il sasso

Scritto da:  | 1 Luglio 2016 | Un commento | Categoria: Cultura e dintorni, Racconti
il sasso 2Ero un bambino di sette anni quando osai chiedere a mio nonno: “Nonno, cos’è questo?” afferrando quello strano sasso che egli teneva sulla scrivania, a volte usandolo come fermacarte ed a volte rigirandolo tra le dita quando stava pensieroso davanti alla scacchiera.
Me lo tolse delicatamente dalla mano, lo rimise al posto abituale e rispose: “E’ un pezzo degli scacchi”.
La risposta non mi risultò soddisfacente. I pezzi di scacchi che mio nonno usava normalmente, e che in quel momento avevo davanti agli occhi, non assomigliavano per niente a quello strano sasso, ma dovetti, per il momento, accontentarmi. Fu soltanto tre anni dopo, quando il nonno dietro mie insistenze fu costretto ad insegnarmi il gioco, che ripetei la domanda e questo fu ciò che mio nonno mi raccontò.
“L’ho trovato andando a caccia quando tu avevi due anni. L’ho pestato, l’ho raccolto e stavo per buttarlo via, quando ho notato queste strane righe, vedi?” e mi indicò alcune lievi striature “Non sono naturali, sono state fatte da qualcuno, chissà quando, anche se io ho un’idea in proposito…”
“Cioè?”
Sospirò. “Si pensa che il gioco degli scacchi sia arrivato in Europa verso l’ottavo o nono secolo grazie agli scambi commerciali con gli Arabi che dominavano parte della Spagna, ma io credo che dalle nostre parti sia arrivato molto prima”
Rimasi in silenzio. A dieci anni di età certi discorsi vanno rimuginati parecchio, e fu quello che feci nei giorni seguenti , aiutandomi consultando la biblioteca del nonno.
Vivevo col mio nonno materno da sempre. Mia madre era morta dandomi alla luce, e mio padre era scomparso nel nulla quando avevo circa tre anni. Mio nonno era vedovo, la casa veniva mandata avanti da sua sorella Rosa, zitella, piccola di statura, taciturna ma estremamente rigida nei miei confronti, anche se di tale fermezza non ci sarebbe stato bisogno; andavo bene a scuola, leggevo molto ed avevo scoperto di possedere una strana facoltà, quella di imparare rapidamente lingue straniere: spagnolo, francese, inglese. Riuscivo a capire testi in queste lingue – la biblioteca del nonno era molto ricca e variegata – e quasi automaticamente ad impadronirmi della loro grammatica e sintassi, oltre alla corretta pronuncia.
il sasso 3Il nonno era tornato, parecchi anni prima, dal Sud America, con una moglie bellissima e due grandi casse di libri, oltre ad un consistente gruzzolo, che gli conentiva di vivere di rendita grazie all’acquisto di alcuni poderi dalle parti di Classe. Mia madre era nata condannando alla morte mia nonna, una perdita che provocò in mio nonno un repentino invecchiamento, anche se io lo divertivo con i miei rapidi progressi nell’apprendimento delle lingue, soprattutto quella spagnola, la cui pronuncia lui mi insegnava. Mi piacevano anche inglese e francese, la prima per la sua scarna semplicità e la seconda per il motivo opposto, la sua estrema raffinatezza; il nonno, che conosceva entrambe, seguiva con interesse le mie letture in quelle lingue, correggendo la mia pronuncia.
Giocavo spesso a scacchi col nonno, la sera; nei primi tempi lui mi faceva notare gli errori che avevo commesso, poi, quando incominciai a vincere qualche partita, i suoi insegnamenti divennero superflui. Riceveva due riviste di scacchi, una tedesca e l’altra francese, ed ero io il primo a sfogliarle quando il postino le consegnava.
Una sera – avevo quasi quattordici anni – ripresi il discorso a proposito del “sasso” che continuava a troneggiare sulla scrivania: “Dove l’hai trovato?”
Eseguì una mossa di Cavallo e rispose: “Andando a caccia, nei campi sulla Faentina”
La Faentina è la strada che, uscendo da Ravenna verso l’entroterra romagnolo, ad un certo punto si biforca: a sinistra verso Russi e Faenza, a destra verso Bagnacavallo e, molto più in là, Bologna.
il sasso 4“Forse lì vicino c’erano anche gli altri pezzi” osservai.
“Può darsi, forse…” mormorò.
“Perchè pensi che qui si giocasse a scacchi… prima?”
Interrompemmo il gioco, e questa volta il nonno scese nei dettagli: “So che ti piace la storia” Annuii “Allora voglio dirti quella che è la mia teoria su questo sasso, che potrebbe essere un Pedone, vista la forma quasi cilindrica”
Mi sporsi sulla sedia, in attesa del racconto.
“L’Esarcato? La Pentapoli? Li avete studiati a scuola?”
“S-sì, Ravenna era la capitale dell’Esarcato, che governava anche la Pentapoli, Ancona eccetera” risposi timidamente.
“Bene, l’Italia era stata invasa dai Longobardi, che avevano preso il controllo di quasi tutto il nord e che avevano instaurato due ducati nel centro, l’impero romano d’0ccidente se ne era andato in malora più di cent’anni prima, e Bisanzio, capitale dell’impero d’oriente, controllava ormai, a parte le grandi isole, le punte meridionali di Calabria e Puglia, una stretta fettuccia di terreno che andava da Ravenna a Roma, con una specie di corridoio che passava dall’Umbria e che consentiva le comunicazioni tra Roma e Ravenna. Ci siamo?”
Accennai col capo, per confermare che lo stavo seguendo.
“Siamo nel 638” riprese il nonno “Bizantini e Longobardi si guardano in cagnesco, i primi aggrappati ai loro residui possedimenti nella penisola ed i secondi impegnati a rosicchiare in continuazione fette di questi possedimenti. Battaglie, tregue, scaramucce, altre tregue destinate a finire rapidamente, fino a quando, a Roma, muore il vescovo della città, che si fregiava del titolo di ‘papa’. Questo titolo, che gli dava una notevole autorità sul mondo cristiano, doveva tuttavia essere approvato dall’imperatore di Bisanzio…”
“Aspetta, aspetta!” lo interruppi “Il papa doveva essere APPROVATO dall’imperatore d’oriente? Come è possibile? Il papa è il papa e basta!”
Scosse la testa. “No, non è così semplice. Quello era un periodo di scismi minacciati, di possibili eresie, un gran… ehm… casino, anche a Bisanzio ogni tanto scannavano un imperatore per mettere sul trono qualcuno di più gradito, ma resta il fatto che il vescovo di Roma, se voleva assumere il titolo di ‘papa’, doveva attendere l’approvazione di Costantinopoli, Bisanzio o come la vuoi chiamare”
“Ah, ho capito. Vai avanti, anche se non capisco cosa c’entri con gli scacchi…”
il sasso 5“Ci sto arrivando. Devi sapere che i titoli militare e civile si riassumevano nella stessa persona, per quanto riguarda l’Esarcato, e questa autorità era nominata, tanto per cambiare, da Bisanzio. Quando, nel 638, morì il papa precedente, a Roma venne eletto come nuovo papa un certo Severino, di umili origini e tutt’altro che energico, soprattutto per quanto riguardava le storie di quattrini che si trascinavano da anni. Mi segui?”
“Sì, sì, vai avanti”
“A Roma c’era guarnigione militare modesta, tutto era controllato da Ravenna, dove come esarca si era insediato, con la benedizione di Bisanzio, un certo Isacio, tutt’altro che uno stinco di santo. In quegli anni bui ognuno si faceva i fatti suoi, alla faccia dell’imperatore, dei Longobardi, del papa, e quello che contava era arricchirsi in qualche modo. Roma era governata, come autorità civile, da un certo Maurizio, un notaio – che allora si chiamava ‘cartulario’ – che era in sostanza una specie di podestà il cui compito era soprattutto quello di amministrare il patrimonio della città che non era altro che il patrimonio del papa. Hai capito?”
Annuii vigorosamente ed il nonno continuò il suo racconto.
Il nonno bevve un sorso di trebbiano, il suo vino preferito quando mangiavamo e quando giocavamo a scacchi, e proseguì: “Ovviamente Bisanzio doveva convalidare l’elezione del nuovo papa, e impose a Severino l’approvazione della linea telogica elaborata dai teologi d’Oriente, ma Severino si rivelò a quel punto un osso più duro del previsto, e prese tempo per valutare la faccenda. Maurizio, il cartulario, ligio agli ordini che arrivavano da Bisanzio ed amministratore del patrimonio romano, vide nella situazione il modo di fare quattrini: chiamò da Ravenna l’esarca Isacio con il pretesto che nella città eterna erano scoppiati disordini, ed Isacio, anche lui a caccia di soldi, piombò a Roma con un folto esercito. Intendiamoci, in quel periodo un folto esercito era costituito da poche migliaia di uomini, se non poche centinaia…”
“Veramente?”
“Certo, la famosa battaglia della Scultenna, descritta dagli storici dell’epoca come una specie di ecatombe di ottomila soldati bizantini, fu soltanto qualcosa di più di una violenta scaramuccia tra Bizantini e Longobardi, e probabilmente i Bizantini non avevano in tutta la penisola un simile numero di gente alle armi. Comunque, questo non c’entra…” e finì il bicchiere di trebbiano.
“Allora?” Ero affascinato dal racconto del nonno.
il sasso 6“Allora Isacio arriva a Roma, sbudella un po’ di gente, entra in Laterano, sede papale – il Vaticano era ancora di là da venire – e mette le mani sul tesoro del papa, che assiste impotente, certamente ricco visto che il papa precedente aveva passato il tempo ad ammucchiare quattrini. Isacio paga il soldo arretrato alle truppe, quello era stato il pretesto per provocare disordini a Roma, carica il tesoro su diversi carri, paga la dovuta ‘provvigione’ a Maurizio, intasca una bella fetta, e spedisce il resto a Bisanzio, con grande gioia dell’imperatore il quale, pur sapendo di avere a che fare con dei corrotti e ladri, elogia entrambi. La carovana di Isacio torna a Ravenna e qui… salta fuori il Pedone, quello lì” ed indicò il sasso.
“Non ho capito” confessai.
Altro bicchiere di trebbiano del nonno che, dopo avere schioccato la lingua, continuò: “Sono convinto che sui carri ci fosse anche un gioco di scacchi, del quale quello” ed indicò nuovamente il sasso “faceva parte. Ma, se la mia ipotesi corrisponde alla realtà, questo starebbe a significare che in Italia il gioco arrivò molto, ma molto prima di quanto ipotizzano alcuni studiosi. Il gioco completo di scacchiera poteva essere un dono ricevuto chissà quando e chissà perchè da qualche papa precedente a Severino”
“Gli Arabi?” lo interruppi.
“No, non credo, quando Severino venne eletto gli Arabi stavano iniziando la loro espansione verso est ed ovest e non riesco ad immaginare…” Lasciò in sospeso la frase, bevendo un altro sorso del suo trebbiano.
il sasso 7“E quello” lo incalzai indicando il sasso “come finisce sulla Faentina?”
“Be’, tieni presente che Ravenna non era come tu la vedi oggi. Il mare non era lontano una decina di chilometri, come oggi, ma quasi sfiorava i margini della città.  Gli armati bizantini stavano accampati a poca distanza dal centro abitato, nell’entroterra, ad esempio dove oggi passa la Faentina, ed Isacio se ne strafotteva di una scacchiera; lui pensava all’oro ed ai preziosi, e probabilmente avrà lasciato la scacchiera ed i pezzi ai soldati… forse, perchè si divertissero… non lo so”
Azzardai un’ipotesi: “Cercare di capire da dove viene il materiale del… Pedone?”
Il nonno mi fissò per qualche secondo: “E questa da dove te la sei tirata fuori?”
“Non so… se si riuscisse a capire da dove viene quel materiale, forse si riuscirebbe…”
Alzò una mano per interrompermi: “Che?… è un’idea”
Inorgoglito per questo riconoscimento continuai: “Troviamo la cava, il posto insomma, dalla quale proviene questo materiale e forse riusciamo a capirci qualcosa”
Il nonno si alzò ed iniziò a sfilare lungo gli scaffali della biblioteca. “Ecco qua, manuale di mineralogia. Aristotele, Teofrasto, ma chi se ne frega…” borbottò continuando a sfogliare il volume. Mi puntò contro l’indice: “Vai a letto, è tardi, domani hai la scuola” e non mi rimase altro che obbedire.
Per alcuni giorni l’argomento non venne ripreso, anche se la faccenda restava in sospeso tra il nonno e me, fino a quando una sera, nel corso di una combattutissima Spagnola del Cambio, venni sorpreso da una sua battuta: “T’an si miga stòpid, forse hai trovato la chiave della faccenda”.
Rimasi a fissarlo in attesa del seguito. “Potrebbe venire da qualunque parte”
“Hai trovato qualcosa?”
“Per caso” ammise “Questo minerale ha proprietà magnetiche”
“Magnetiche?”
“Magnetiche, magnetiche, non sai cosa significa?”
“Sì, attira i metalli…”
“Già, ha componenti ferrose” commentò “e questo materiale è abbondante un po’ dappertutto”
La mia curiosità, tuttavia, era più forte della sua riservatezza, ed un paio di sere dopo tentai di riprendere l’argomento: “Come hai fatto…?”
“Non c’è voluto molto: il colore, la consistenza, la relativa facilità di modellarlo… C’è da meravigliarsi che abbia resistito per quasi tredici secoli sepolto nel fango… E’ qualcosa di ferroso, molto comune in Asia Minore” e quella sera tutto finì lì.
il sasso 9Un mese dopo il mio tredicesimo compleanno i quotidiani riportavano notizie a tutta pagina: l’arciduca Francesco Ferdinando era stato ucciso a Sarajevo da uno studente serbo. Passò un altro mese e scoppiò la guerra, con il regno d’Italia che, nominalmente alleato degli Imperi Centrali, dichiarava la propria neutralità, strizzando l’occhio a Gran Bretagna e Francia, pronto ad un ribaltamento delle alleanze. Iniziai a studiare il tedesco.
Per gli studi superiori il nonno aveva scelto, per me, un istituto di Bologna, diretto dai Barnabiti, e devo dire che fu una scelta felice in considerazione di quanto appresi, grazie anche ad una rigida disciplina, negli anni successivi. Bruciai le tappe e a meno di diciassette anni ero pronto per l’esame di ammissione all’università, ma nel frattempo, nel corso delle vacanze estive, avevo scoperto l’esistenza delle ragazze.
Nonostante la guerra in corso, le feste dell’uva, a settembre, continuavano, anche se in tono minore e con qualche trombone della politica che osannava al “sacrificio dei nostri fanti”, che in realtà erano mandati al massacro sul Carso in nome delle famose “spallate” di Cadorna, tanto sanguinose quanto improduttive. Andai col nonno ad una di queste feste, a San Pietro in Vincoli; c’era albana, sangiovese, vino nuovo, e c’erano le ragazze, ma quella che mi trascinò in un fienile non era una ragazza, ma una donna matura, sui quaranta, che in pochi minuti frenetici mi iniziò ai misteri del sesso, ridendo della mia imperizia ma approfittando largamente della mia inevitabile prontezza nel rispondere alle sue sapienti sollecitazioni.
Uscii sconvolto, sbalordito, ancora eccitato da quell’esperienza; ritrovandomi in mezzo alla folla il nonno capì che qualcosa era successo, non disse niente, sorrise, finì il suo bicchiere di albana e, ancora sorridendo, lanciò un’occhiata alla donna che pochi minuti prima mi aveva letteralmente posseduto e che si stava togliendo dai capelli qualche filo di paglia, la stessa paglia della quale erano cosparsi i miei vestiti. L’unico suo commento fu: “Parò, miga mèl”.
il sasso 8
Colombia, 1932
La corda si srotolò nel buio della caverna e gli operai iniziarono a recuperarla per consentirmi di entrare nella cesta pendente alla sua estremità. Il fetore che veniva dall’oscurità era tremendo, un misto di marcio, sterco, putrefazione; l’unica mia protezione era una striscia di tessuto che, legata dietro la nuca, tentava di filtrare quell’odore indefinibile. I pipistrelli, unici abitatori, dormivano appesi a radici penetrate nel sottosuolo nel corso dei secoli; erano centinaia, migliaia. Calzai il cappello con forza, entrai nella cesta, tirai un profondo respiro e feci il segno di calarmi nel buio, sperando che il rudimentale sistema allestito resistesse al mio peso, consentendomi di raggiungere il pavimento della caverna e di recuperare il materiale per il quale avevamo percorso migliaia di chilometri.
Ciò che più mi spaventava non era l’eventuale fauna che poteva abitare quell’ambiente, ma la malattia contratta da Pat quando, per primo, si era calato in quell’oscurità. Dopo due giorni aveva iniziato a tossire muco misto a sangue, mentre tutti ci chiedevamo cosa fare. Le piogge erano in arrivo, ed anche Dick, che si era calato dopo Pat, era sdraiato in branda, scosso da tremiti di febbre. Ero l’unico che potesse portare a termine il compito affidatoci ed il premio promesso da Big O era troppo allettante per indurmi a rinunciare.
Lo scricchiolìo che giungeva dall’alto non era rassicurante e, giunto a pochi centimetri da una massa scura, incrostata dallo sterco dei pipistrelli, urlai uno “stop”. La cesta rimase sospesa a meno di un metro da terra, oscillando leggermente. Alzai la lampada per illuminare quella massa informe; era a portata di mano, potevo toccarla, ma l’idea stessa di sfiorare quell’ammasso putrefatto mi provocò un conato di vomito che repressi a fatica.
Sul fatto che si trattasse di una forma vagamente umana non c’erano dubbi, così come non c’erano dubbi sulle sue intuibili dimensioni: poco più di un bambino, seduto su ciò che poteva essere un trono, ai lati del quale erano presenti alcuni piccoli ammassi, anch’essi ricoperti dallo sterco e dal marciume. Usai la piccola vanga che avevo con me per rimuovere ciò che ricopriva il più vicino di questi, e misi allo scoperto una sacca di pelle, irrigidita dai secoli, chiusa da un legaccio dello stesso materiale; la afferrai con la mano coperta dal guanto, rimuovendola e provocando un lieve risucchio che mi mise in allarme.
Silenzio. Dall’alto una voce lo ruppe: “Qué pasa?”
“Nada, nada Miguel” risposi “Dentro de poco…” Non terminai la frase, scavando attorno ad un altro di quei piccoli ammassi di marciume. La luce della lampada mandò improvvisamente un riflesso giallo, quando iniziai a scoprire ciò che era celato sotto lo sterco degli abitatori della caverna. Afferrai anche quell’oggetto, pesantissimo, e per poco non lo lasciai cadere. Lo infilai in una delle tasche del giaccone e gridai: “Su, tiratemi su!” ed il tono della mia voce , anche se avevo parlato in inglese, spiegò chiaramente quanto gli operai dovevano fare; dopo due minuti ero nuovamente all’aria aperta.
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(continua, forse)
Questo è l’inizio di un romanzo da me scritto una ventina di anni fa, un misto di immaginazione ed esperienze realmente vissute.
Non so come e se pubblicare il seguito.
il sasso 12
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


Un Commento a il sasso

  1. avatar
    Riccardo Musso 2 Luglio 2016 at 15:35

    Ciao Paolo.

    Ho letto un po’ di fretta, e quel che ho letto mi è piaciuto!

    Appena possibile, me lo rileggerò con calma.

    Intervengo anche per darti un suggerimento, qualora tu non trovassi un editore per il tuo racconto.

    Visto che SoloScacchi chiude, apriti un blog su Chess.com e posta a puntate il tuo romanzo.

    Posso dirti che è possibile pubblicare materiale anche non in lingua inglese.

    Te lo dò per certo in quanto mi sono informato personalmente della cosa (tramite delle mail con più persone dello staff) quando decisi di aprire il mio blog ‘Sentenzio’ su Chess.com qualche mese fa.

    Ci sono alcune difficoltà tecniche (piccole, tutto sommato) ma nel complesso la procedura per aprire il blog e quella per postare poi i blog-post (vengono chiamati così) non sono molto complicate.

    Un saluto a te, al signor Pipitone e a tutti… e in bocca al lupo!

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