L’arbitro principale del Torneo Internazionale di… prima di dare il via al 4° turno di gioco osservava con aria divertita i due contendenti seduti alla scacchiera posta sul tavolo n° 24.
(A dire il vero, il termine “seduto” risultava corretto se riferito al conduttore dei Neri mentre quello dei Bianchi non poteva dirsi che stava “seduto” perché l’interessato era in continua agitazione sulla sedia con conseguenti contorsioni e cambiamenti di posizione che faceva con il corpo, per raggiungere la “postura” di base prediletta – da giovane – anche dal Grande Maestro Godena: ossia “poggiare”col corpo su una gamba ripiegata sulla sedia a mo’ di ciambella… e, dopo una breve pausa, ricominciare daccapo ad agitarsi…
Per pura combinazione, l’abbinamento tra i due, scaturito peraltro rigorosamente dal “cervellone”, era proprio quello auspicato dall’arbitro principale con una punta di sadismo e cioè mettere uno contro l’altro il giocatore più anziano del torneo (90 anni) e il più giovane (dieci anni): e quindi provare l’effetto che fanno gli 80 anni secchi di differenza tra i due.
Non gli era ancora capitato un abbinamento simile nella sua carriera prestigiosa, ed era curioso di vedere che succedeva.
I due contendenti avevano realizzato finora un punto su tre partite giocate e quella che andava ad iniziare era dunque importante ai fini del risultato per rimanere nel giro che contava.
Prima del gioco, il decenne volle omaggiare il suo avversario con un cubo di cartone che poi si rivelò l’imballaggio di una tazza da the in terraglia sulla quale era scritto: WINNERS NEVER QUIT AND QUITTERS NEVER WIN. Seguirono i rituali ringraziamenti del novantenne.
Al via dato dall’arbitro principale, dopo la rituale stretta di manol l’apertura di Re del Bianco ha dato la stura a una Scheveningen classica.
Al termine di essa, secondo i canoni, il Bianco aveva ancora l’iniziativa sul lato di Re e il Nero, rimanendo vigile sulla difesa, un controgioco sul lato di donna.
E questo è accaduto, fino alla ventesima mossa.
A quel punto il conduttore del bianco, sempre in agitazione, si è… tolto le scarpe e la felpa e… ha cambiato piano di gioco, sferrando un attacco sull’ala di donna che però a gioco lungo non ha retto anche per l’attenta difesa del nero .
Di lì a perdere l’iniziativa il passo fu breve e a quel punto con un tatticismo di donna, il nero ha catturato una torre alla 32ª mossa.
Un paio di mosse ancora e poi… un pianto disperato del decenne, invano consolato da un arbitro di sala ha coinvolto l’attenzione degli astanti, sin quando il novantenne al colmo dell’imbarazzo è intervenuto tra i due per… offrire la patta al suo giovanissimo avversario il quale lo ha guardato incredulo e poi si è rivolto all’arbitro per avere conferma di quanto accadeva.
Rassicurato per la patta insperata, il decenne è volato in braccio alla sua mamma che lo attendeva paziente nella sala adiacente quella di gioco abbracciandola e baciandola a più riprese e stringendosi forte forte a lei.
L’arbitro di sala, a caldo, nel ritirare i formulari disse: “Non ho mai visto niente di più bello!”
Grazioso e commovente!
Ps: caro Antonio, c’è qualcosa di autobiografico?
Ebbene, si !
Grande, in tutti i sensi, Pipitone!
Dipende: I pareri di chi ne venne a conoscenza furono discordi, proprio come questi commenti.
Grazie comunque.
Antonio
Maestro di scacchi e di vita.
Troppa roba !
Sono veramente commosso
A mio parere è diseducativo dare patte del genere.
Ho assistito ad un fatto simile qualche anno fa e a caldo avevo pensato la stessa cosa.
Molto più utile sarebbe stato durante l’analisi post mortem parlare col bimbo e fargli capire ciò che chi lo segue evidentemente non gli ha insegnato: a 10 anni devi giocare per divertirti!
Poi se sei bravo e hai passione, i risultati arriverranno.
Come può un bimbo vivere un gioco meraviglioso come gli scacchi giocando con un ansia tale da farlo scoppiare in lacrime appena vede profilarsi una sconfitta?
Non voglio però condannare il gesto di Pipitone: il mio è un parere che va al di là dei sentimenti e delle emozioni che hanno influito sul risultato “ufficiale” della partita citata.
Vero.
Solo che il fatto si verificò all’improvviso e il ragazzo era sloveno per cui la …comunicativa era inesistente.
Infatti, come detto, non ho criticato la tua decisione di accordare la patta al bimbo.
Sarebbe interessante, prendendo spunto dal tuo articolo, discutere sull’appoccio di questi ragazzini agli scacchi.
E’ capitato a tutti di vedere pianti di ragazzini dopo una sconfitta in sala torneo.
Tre o quattro anni fa giocai con un bimbo che poteva avere non più di 12 anni, forse era il primo torneo che faceva: abbandonò in posizione persa dopo una quindicina di mosse.
Mentre cercava di firmare il formulario si mise a pingere, io lo guardai e gli dissi subito che la cosa più sbagliata che aveva fatto in quella partita la stava facendo in quel momento. Il genitore si avvicinò al tavolo e mi diede ragione, ricordo era il primo turno. Nei quattro turni successivi il bimbo in questione riuscì a fare solo 1 punto ma nelle altre partite che perse non pianse di nuovo.
Mi auguro che qualcuno spieghi a quel ragazzino sloveno che una patta del genere è peggio di una sconfitta.
Ho vissuto in prima persona un episodio simile circa 40 anni fa, giocavo per la promozione in 2N, allora non c’era Elo ma le percentuali, le partite si giocavano con 2h e 30 a testa per 40 mosse e l’aggiornamento in busta. Si giocava dalle 19,30 i giorni feriali e io dopo la partita dovevo fare 1h di auto per tornare a casa e poi alzarmi alle 6 per andare al lavoro. E’ normale che pur cercando di vincere non vedessi l’ora di finire. Non ricordo il turno ma una sera mi capita un ragazzo forse di 12-13 anni, lui gioca peggio di me e perde tre pezzi però non abbandona, io cerco di trovare un matto rapido per andare via badando poco alle sue mosse, ad un certo punto lui porta la Donna in a8 con scacco al mio Re arroccato, ho tre interposizioni inutili ma mi accorgo che a lui è caduta la bandierina dato che dimenticava spesso di schiacciare l’orologio. Ci ho pensato per un minuto poi ho abbandonato e perso la possibilità di passare 2N. Subito dopo gli ho fatto notare l’orologio e abbiamo rivisto rapidamente la partita. Credo fosse il suo primo torneo, io ne avevo solo qualcuno in più. Scusate la lungaggine ma era giusto per far capire che episodi del tipo raccontati da Pipitone non sono poi tanto infrequenti. Non credo sia diseducativo dare patte al bambino che piangeva o riconoscere che in fondo avevo giocato peggio del mio avversario e non meritavo di vincere, occorre sicuramente spiegare loro che per vincere bisogna giocare meglio dell’avversario e che una sconfitta è solo una partita persa e non la fine del mondo e concordo con The dark side of the moon che chi insegna questo bellissimo gioco deve spiegare che si gioca per divertirsi e per imparare……anche se a perdere non si diverte nessuno
Emozionante lo scritto del Maestro Pipitone e anche molto istruttivo questo post di Nessuno: è così che ci si comporta. Dev’essere un gioco e quindi prima di tutto i valori dello sport: rispetto, lealtà e spirito di partecipazione. Lo so, appaiono parole retoriche ma non vi è altro. Guardate il calcio per esempio, è tutto tranne quello che dovrebbe essere: un gioco bellissimo… eppure 😯
A me è capitato qualcosa del genere, ma “a parti invertite”, nel corso di un torneo semilampo a Trecate (NO), uno dei tanti organizzati dall’infaticabile Ottolini. Al penultimo turno, grazie ad una vittoria per il tempo (ma non per la posizione) nel turno precedente, mi ritrovo abbinato ad un noto e simpatico Maestro milanese: grande casino di medio gioco, lui commette una imprecisione e perde un Pedone, poi, nel tentativo di forzare la posizione, ne perde un altro e si ritrova in una posizione peggiore della precedente, roba da abbandono insomma, ma lui mi propone sommessamente la patta. Gli rispondo che, visto che ho rubato un punto al turno precedente, non ho difficoltà ad accordargliela. Risultato: all’ultimo turno il Maestro da me affrontato vince, vincendo il torneo e lasciando al secondo posto un giovane e fresco di nomina Maestro anch’egli milanese (credo) il quale si è dimostrato abbastanza seccato per il mio “regalo” (ed aveva ragione).
Ma… eravamo lì per divertirci… o no?
Un caro saluto al Maestro Pipitone
Interessanti spunti di riflessione …. Vale più’ l’etica o lo spirito sportivo e agonistico? È ancora , dobbiamo curarci delle implicazioni sportive delle nostre decisioni sul risultato della classifica e sulle ricadute per gli altri partecipanti? È’ più educativo insegnare a perdere con dignità privilegiando il divertimento al risultato sportivo o considerare la competizione alla stregua di uno dei tanti aspetti della vita è mostrarsi magnanimi e generosi a prescindere? Le opinioni esposte hanno tutte una parte di ragione.
Riflessioni interessanti Dottore…. aspetto con piacere il suo prossimo lavoro.
Grazie a tutti per le piacevoli letture.
Luigi
Un fatto analogo capitò recentemente anche a me.
Giocavo contro una bimba di 8/10 anni e la partita era matematicamente patta, re e torre contro re e torre, ma io avevo anche un pedone (h) in più.
Non volevo cedere e la ragazzina non aveva il coraggio di chiedere la patta o non sapeva come fare.
Morale alla 112esima mossa, stremata, la mia avversaria gioca l’unica mossa, tra tutte quelle possibili, che la portava alla sconfitta ed io, gongolante, porto a casina l’intero punto.
La notte però non riuscìi a dormire e la prima cosa che feci il giorno dopo fu quella di andare a chiedere umilmente scusa a quella bambina. 😉
ma guarda … qualche mese fa anche io ho giocato con una bambina polacca (un po’ cresciuta, di 18 anni, elo 2200+) che ha continuato imperterrita (lei T+P in quinta, io solo T) ad andare avanti e indietro con la torre e muovendo il re aspettando che io togliessi la torre dalla sesta (avevo il nero). Quando poi si è proprio stufata mi ha offerto patta e io ho accettato, dicendole “Philidor aveva ragione!”. Ha sorriso e mi ha detto che in apertura poteva giocare meglio…
Ho letto con piacere le considerazioni fin qui espresse da voi tutti e vi ringrazio .
Ho agito di istinto,senza avere il tempo di soppesare il pro e il contro di quanto facevo.
Ma non ne sono pentito.
Cordialissimi saluti
Bravissimo Mongo! Anch io lo farei.
Io la penso più o meno come ‘the dark side’. Gli scacchi sono un gioco ma hanno anche la prerogativa di insegnare a chi lo pratica a prender decisioni (presumibilmente quelle migliori) e a vederne realizzate sulla scacchiera le conseguenze. Quindi non so cosa abbia imparato questo bambino. Di sicuro qualcosa dovrebbe aver imparato l’avversaria del Mongo, e magari potrebbe farne tesoro in futuro.
Per divertirsi a scacchi ci sono infinite occasioni e possibilità ma se si partecipa a tornei più o meno seri si dovrebbe rispettare il risultato della scacchiera, con le relative conseguenza sugli altri giocatori.
Aggiungo che il proliferare di questi bimbi iperemotivi e accompagnati da schiere di insegnanti e genitori mi stanno facendo perder la voglia e la passione di giocare. Preferisco cimentarmi con un novantenne composto e pacato che dover vedere capriole sulla sedia e drammi famigliari ad ogni risultato negativo.
Tutto molto simpatico, del resto ho grande stima e affetto per Antonio Pipitone, con cui ebbi modo di giocare qualche lustro fa per corrispondenza e credo anche a tavolino. Vorrei però spezzare una lancia a favore dei “bambini”. A leggere i vari commenti, sembra che ce ne siano a dozzine che durante le partite si agitano, si spogliano (!), disturbano, piangono al momento di abbandonare e così via. Tutto ciò non corrisponde minimamente alla mia esperienza. Per via di mio figlio Francesco, ho seguito 4 tra Europei e Mondiali giovanili, 4 Campionati italiani giovanili e milioni di tornei normali. In linea di massima, i ragazzini sono ineccepibili e serissimi; qualche piantino qua e là per una sconfitta, ma di solito fuori della sala di gioco, ma nulla più. Aggiungo che, come detto anche da altri, sono assolutamente contrario alla “bontà” mostrata da Pipitone, in quanto profondamente diseducativa. Ma, ovviamente, non intendo con questo accusare l’ottimo Maestro, di scacchi e di signorilità.