Santi… in terra

Scritto da:  | 3 Dicembre 2016 | 4 Commenti | Categoria: C'era una volta

“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura.
D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.”
Italo Calvino

steccata-01Nei primissimi anni ’40 (42-43) del secolo scorso, alla domenica, mi piaceva prender messa alla Basilica Magistrale della Steccata di Parma (ricca di affreschi del Parmigianino, che ammiravo volentieri) perché vi officiava Monsignor Orsi, fortemente sospetto, in tempi precedenti, di essere stato anche scacchista frequentante il noto “Cafè di Pret” nei pressi della sede dell’Università e di cui ho fatto cenno nella mia storia degli Scacchi a Parma.

steccata-02Don Orsi era noto, anche fuori dalla cerchia della sua giurisdizione, per le sue prediche, quelle di un tempo, dai contenuti di saggezza e dalle quali poter trarre lezioni di vita.
Il suo dire affascinava, per la calda voce baritonale e padronanza dell’eloquio che dimostrava di avere e quindi l’attenzione degli astanti era scontata.
Era insomma un predicatore, di quelli di un tempo, che introduceva argomenti di vita e spirituali che inducevano a riflettere.
A distanza di tanto tempo, ne ricordo due in particolare di tali argomenti.
Il primo. Il tema era: le tribolazioni quotidiane che affronta ciascuno di noi; le preoccupazioni, le difficoltà che incontra e le responsabilità famigliari che incombono e che paiono al di sopra delle nostre forze e comunque superiori a quelle immaginate e attribuibili al nostro prossimo (si pensi, tra l’altro, che si era in tempo di guerra) e di conseguenza il desiderio – o forse l’invidia (in noi) – suscitata dalla sua (del prossimo) condizione di supposto privilegiato.
Ebbene, nell’immaginario configurato da Don Orsi nel corso della predica vi era l’ipotesi di poter, idealmente, tutti noi astanti identificare le nostre tribolazioni compendiate in una croce personale; croce che per un momento riusciamo a toglierci dalle spalle e posarla lì, sul sagrato della chiesa per confrontarla e avendo quindi facoltà di cambiarla” con quella di un altro.
Don Orsi sosteneva che a quel punto tutti – nessuno di noi escluso – dopo tale confronto avremmo ripreso la nostra croce e accettato le nostre tribolazioni confortandoci a vicenda. Bastava guardare a fondo, nell’anima di ciascuno di noi.

steccata-11Il secondo argomento verteva sui Santi ai quali i fedeli universalmente rendono omaggio e ne ricordano le ricorrenze.
Santi famosi per i miracoli compiuti.
Ma Don Orsi, dopo aver reso omaggio a loro nel corso della sua predica richiamava l’attenzione degli astanti sui santi attuali quelli cioè in vita, tra la gente , che affrontano il divenire quotidiano anteponendo il bene comune a quello individuale, condividendo col prossimo le proprie risorse e mettendo in pratica gli insegnamenti cristiani. E dunque – diceva Don Orsi – i santi non appartengono soltanto al passato e ai defunti ma sono anche tra noi viventi, gente semplice.
Riflettendo su quanto appreso, soppesando le mie esperienze, sono convinto di averne conosciuto almeno uno per esperienza personale:
Non andava a messa, non era quindi baciapile, apparteneva al proletariato più schietto. Tendenze socialiste alla Turati, Treves, Massarenti…

steccata-15Lui, nato nel 1906 in un quartiere povero di Parma Vecchia (ovvero Oltretorrente), iniziò a lavorare da fanciullo come garzone di un “maestro” vetraio che modellava il vetro incandescente “a soffio” (le macchine automatiche operatrici ancora non esistevano) perché suo padre, cadendo da una impalcatura, era rimasto totalmente inabile e la famiglia in miseria (a quel tempo non esisteva l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro).
Nella stessa fabbrica del vetro continuò a lavorare divenuto, a sua volta, maestro vetraio, sino all’età pensionabile, rispettato e ben voluto da tutti.
Promotore negli anni venti di una mutua aziendale tra operai quando non vi era neanche la parvenza di un sistema pubblico analogo, ne era il responsabile, così come i compagni di lavoro lo indicavano come loro rappresentante quando vi era da trattare col datore di lavoro.
Al tempo del fascismo era tenuto d’occhio dalla Questura per queste sue attività del tutto gratuite a pro dei compagni.

steccata-14Nei momenti caldi dei conflitti sindacali, poi, lo convocavano in Prefettura, lo facevano attendere assieme agli altri per ore e ore, poi dopo l’ammonizione a non turbare l’ordine pubblico, lo lasciavano in libertà.
E lui tornava ad essere quello di prima.
La moglie – operaia in un calzaturificio assieme alla sorella di lui, nubile, che con loro conviveva –  gli aveva dato due figli.
La famiglia viveva in uno stabile onusto di anni in pieno Oltretorrente, in un appartamento di due camere, cucina, ampio corridoio, un unico rubinetto e con …il bagno alla turca nel ballatoio a servizio di ben tre appartamenti…
In queste condizioni, nel Natale del ’42 , appreso che era giunta dall’Africa una famiglia di profughi di guerra formata da madre e sette figli alloggiata dall’ECA (Ente Comunale di Assistenza) alla “Cibia”, (trattoria del tempo, estremamente popolare, di fama dubbia, ove trovavano vitto e alloggio a prezzo oltremodo modesto i girovaghi, suonatori ambulanti et similia), l’uomo pensò bene di invitare per il pranzo di natale a casa sua uno dei bimbi profughi e lo fece di persona e fu così che la famiglia profuga di guerra (italiana, che proveniva dalla Libia con rimpatrio coatto, senza il capofamiglia costretto a rimanere in Africa in quanto militarizzato) conobbe lui e la sua famiglia.
A Novembre del ’45 i profughi su disposizione della Prefettura, dovettero lasciare Parma per raggiungere Catania ove sorgeva un campo profughi che li avrebbe accolti assieme a numerosi altri, nell’attesa del ritorno in Africa promesso come possibile dagli Alleati che amministravano quei territori ex coloniali da fine guerra.
L’addio tra le due famiglie fu molto commovente: il viaggio dei profughi durò tre giorni per i continui cambi di fortuna di treni che viaggiavano – quando viaggiavano- a scartamento ridotto.

steccata-13Giunti a Catania furono accolti nella palestra di una scuola, dotata per la bisogna di rudimentali letti a castello in legno con relativo pagliericcio.
Il maggiore dei figli prese a lavorare nella sede di Catania di un Ente dal quale già dipendeva quando risiedeva a Parma.
Così col suo stipendio il nucleo famigliare poteva concedersi una alimentazione più dignitosa di quella messa a disposizione dall’amministrazione.
Il tempo intanto trascorreva senza grosse novità per il ritorno in Africa. tranne quella, spiacevole, della notizia che gli uomini di maggiore età di 18 anni non potevano più tornare in colonia per disposizioni di quel governo.
Preoccupazioni, angoscia tra gli uomini interessati, alcuni dei quali decisero di tentare uno sbarco clandestino sulle coste tripoline pagando all’uopo pescherecci che si erano resi disponibili a ciò e confidando, una volta arrivati, in amicizie o presunte tali, anche tra gli arabi, per essere di nuovo accolti nell’ex colonia in attesa delle famiglie alle quali si sarebbero finalmente uniti.
Altri, persa ogni fiducia, tornarono alle città e paesi d’Italia abbandonando il campo profughi.
Così fece anche il figlio maggiore del nucleo di cui ci interessiamo non senza sofferenza perché lasciava mamma e fratelli ai quali peraltro fece promessa solenne di continuare a provvedere a loro al massimo consentitogli. Tornava a Parma potendo contare ancora sul proprio posto di lavoro. Era il marzo del 1946.

steccata-05Come prima tappa andò a salutare il benefattore di cui si è detto dianzi il quale, informato della situazione creatasi, offrì subito ospitalità a tempo indeterminato e chiarì subito che non voleva compensi perché il giovane doveva pensare a mantenere la propria famiglia rimasta al campo profughi a Catania.
Grazie a ciò, le rimesse puntuali alla famiglia consentirono a questa di esternalizzarsi rispetto all’incubo del campo profughi (pidocchi e ruberie sulle già scarse derrate erano all’ordine del giorno) fino a che, nel 1948, potè tornare nell’ex colonia per ricongiungersi col capo-famiglia.
A quel punto al giovane tripolino fu detto, dalla famiglia ospitante, che era libero, se credeva, di uscire dalla casa del benefattore ma egli rifiutò perché gli pareva giunto il momento di ricambiare concretamente tanta bontà dando un contributo al menage famigliare ora che poteva.
Si sentiva figlio, ormai.
Nel tempo ebbe modo di ammirare fino in fondo la probità del suo benefattore che lo trattava alla pari con i suoi due figli ed era ammirevole per il suo comportamento: mai una parola fuori posto, sempre puntuale al lavoro osservando turni di lavoro pesanti.
Non possedeva una bici propria,usava quella della moglie per percorrere i 5 Km che lo separavano dalla Vetreria, e d’inverno, specie al turno di notte, indossava il tabarro (mantello) per ripararsi dal freddo.
Prese una polmonite e tutta la famiglia fu in apprensione e trepidante per i fatidici 8 giorni (non esistevano gli antibiotici ancora), ma tutto si risolse per il meglio.

steccata-08Con l’alluvione del Polesine giunsero a Parma altri profughi e il nostro si sentì in dovere di offrire ospitalità a uno di essi. Così tornò a casa con un adolescente suo nuovo ospite.
Giunse l’anno 1954 e si celebrarono le nozze del profugo tripolino.
Al momento dell’uscita di casa di questi per raggiungere la chiesa e la sposa e quindi la sua nuova dimora, la commozione di tutti era evidente e il giovane tripolino sentì il pianto sommesso del suo benefattore che però presto si ricompose per guidare il corteo, a piedi, verso la chiesa di Ognissanti… Usciva di casa un figlio…

steccata-12

avatar Scritto da: Antonio Pipitone (Qui gli altri suoi articoli)


4 Commenti a Santi… in terra

  1. avatar
    fabrizio 3 Dicembre 2016 at 18:36

    Grazie Antonio per queste storie vere ed esemplari, che riconciliano con l’umanità tutta.

  2. avatar
    Luigi O. 4 Dicembre 2016 at 09:54

    È sempre emozionante leggere questi pezzi del Maestro.

  3. avatar
    Fabio Lotti 4 Dicembre 2016 at 11:33

    Ricordi, ricordi…parte importante della nostra vita.

  4. avatar
    Dino 4 Dicembre 2016 at 12:15

    Parma stupenda, sia oggi che ieri!
    Racconto meraviglioso, grazie anche da parte mia.

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