Chip

Scritto da:  | 25 Aprile 2017 | 35 Commenti | Categoria: Personaggi, Stranieri

Uno degli aspetti più spettacolari degli scacchi è sicuramente il gioco a cadenza rapida ed in particolare il gioco “lampo”. Chi di noi, quando muoveva i primi passi nel nostro gioco, entrando in punta di piedi nel circolo della propria città, non è rimasto affascinato dai soci che si sfidavano in questa particolare specialità e che ostentando una sicurezza quasi onnipotente, come sapessero qualcosa che a noi neofiti e comuni mortali non era dato comprendere, muovevano sicuri e veloci senza aver bisogno di pensare più di tanto ! E chi non ricorda, almeno per coloro che hanno i miei anni, il mitico Milorad Vujovic che era solito sfidare chiunque blitz per arrotondare le proprie entrate dando di volta in volta vantaggi di tempo che non aiutavano comunque il malcapitato “pollo” di turno. Col tempo noi stessi siamo poi diventati assidui e accaniti “picchiatori di orologio”.
D’altra parte anche i grandi campioni si sono sempre cimentati con questa particolare cadenza e tipologia di partita. L’aneddotica è ampia, dal match al Caffè Kerkau di Berlino del 1914 tra Lasker e Capablanca vinto da quest’ultimo per 6,5 -3,5 al disappunto di Alechin in visita al Manhattan Chess Club per aver perso alcune partite con Fine dal quale pretendeva subito l’organizzazione di un match. O ancora il mitico Fischer ancora ragazzo, in visita al circolo di Mosca che sbaragliò tutti i maestri presenti e molti di quelli “richiamati d’urgenza” per difendere l’onore dello scacchismo sovietico (solo Lutikov riusci nell’impresa ), fino al mitico Tal capace di immergersi in lunghe sedute di gioco con chiunque e dovunque, perfino nella steppa russa incontrando qualche contadino che lo aveva riconosciuto.
Da lì ovviamente il passo è breve fino a ricordare alcuni tornei organizzati in occasione di grandi eventi che celebrarono ulteriormente la fama di alcuni mostri sacri dell’epoca. Penso al torneo organizzato dopo il mitico match URSS – Resto del Mondo del 1970 vinto da Fischer davanti a Tal, Korcnoi, Bronstein e Petrosian considerati veri specialisti di quella cadenza. Il punteggio fu di 19 su 22 distanziando Tal, arrivato 2°, di 4 e 1/2 punti battendo in entrambe le partite Petrosian, Tal e Bronstein (una sola sconfitta con Korchnoi). Un altro grande torneo lo vinse Tal a Belgrado nel 1959 dopo il torneo dei candidati con 18,5 su 22 davanti a Petrosian e Matulovic riuscendo poi a ripetersi dopo l’inezia di 30 anni circa in Canada nel 1988, in quello che è considerato essere il 1° Campionato del Mondo ufficiale ad eliminazione diretta con 32 giocatori (anche Kasparov e Karpov erano della partita).

 

 

Non poteva mancare sua maestà Kasparov che trionfò a Niksic 1983 sbaragliando i suoi avversari in tutti i match singoli (2° Korchnoi) e nel fortissimo torneo di Bruxelles 1987 (18.5 su 22 senza perdere nemmeno un match). Pure Anand era famoso per la velocità di gioco e vince nel 2000 nella Plus GSH World Blitz Chess Cup. Il campionato diviene poi ufficiale dal 2008 con l’impiego dell’orologio Fischer (Grishuk). Ai giorni nostri grandi specialisti sono appunto Grishuk (2006, 2012, 2015), ovviamente Carlsen (2009 e 2014), Svidler, Karjakin (2016), ecc. Per non parlare di “Hawkeye” il soprannome con cui su internet è conosciuto il 4 volte campione del mondo tedesco nella cadenza ad 1 minuto: Roland Schmaltz.
Tutto l’immaginifico legato al fascino del gioco blitz con il suo tirar tardi la notte in lunghe interminabili sfide dove nessuno vuole alzarsi per primo, lo sbattere i pezzi sulla scacchiera rovesciando talora il tutto per terra assieme all’orologio, il prendersi amabilmente in giro durante la partita talora facendo rientrare qualche pezzo mangiato lasciato indolentemente troppo vicino al bordo, qualche alfiere che cambia improvvisamente diagonale, incomprensibili, imperscrutabili, lunghe manovre con l’unico scopo di fare ancora una mossa e passare la mano all’avversario, nascondere la Donna del pedone avversario prossimo a promozione, guardare da un lato della scacchiera per muovere poi sull’altro… tutto questo e molto altro ancora lo ritroviamo puntualmente nel personaggio che andremo a conoscere.

Genrikh Mikhailovich Chepukaitis in Unione Sovietica, negli anni d’oro dei vari Petrosjan, Tal, Spasskji, Korchnoj, Bronstejn, fu un personaggio leggendario e ben conosciuto dagli appassionati scacchisti moscoviti o di Leningrado a dispetto del fatto che non avesse nessun titolo (a lungo nemmeno quello di maestro) e non avesse mai partecipato a tornei internazionali tanto da essere del tutto sconosciuto agli addetti ai lavori d’oltre cortina. Praticamente tutti i mostri sacri succitati e molti altri ancora, incapparono in sonanti batoste contro questo illustre ma sconosciuto connazionale… ma allora come mai il suo nome non assurse mai agli onori della cronaca e non ebbe una notorietà e visibilità maggiore?
Il fatto è che la specialità nella quale Chepukaitis eccelleva era proprio quella del blitz, il gioco veloce, quella disciplina semiseria e quasi da saltimbanco di cui abbiamo parlato in precedenza e chiamata dal nostro stesso eroe “scacchi non seri”, disciplina nella quale era considerato del tutto alla pari di leggende come Petrosjan, Tal, Korchnoi, Bronstein (praticamente tutti i piu forti giocatori blitz del mondo). La sua forza di gioco in questo tipo di competizione era a dir poco impressionante tanto è vero che quando partecipava ai tornei blitz era solito precederli in classifica.
Un aneddoto che vale da biglietto da visita e che la dice lunga sulla considerazione in cui era tenuto dai suoi più famosi colleghi è il divieto che Petrosjan ricevette da sua moglie Rona Yakovlevna Petrosjan a partecipare ad un Campionato Blitz di Mosca: “Tigranchik, forse potrebbe vincere Korchnoi, mi sta bene. Forse Bronstein. Ma tu sei il campione del mondo, cosa succederebbe se vincesse questo terribile Chepukaitis? No, non devi partecipare!”

Genrikh Chepukaitis nasce il 14.09.1935 a Leningrado e morì il 06.09.2004 a Palanga in Lituania. Inizia a giocare all’età di 14 anni. Nel 1957 presta servizio militare nel distretto di Baku essendo già un giocatore di scacchi “qualcosa come una 1° categoria”, riferisce Chip “ma ero un giocatore molto debole e senza nessuna scuola anche se molto sicuro di se’”. “Mi accorsi con stupore che il circolo era frequentato dal famoso istruttore di scacchi Vladimir Andreevich Makogonov ma che gli ufficiali e i soldati erano molto più interessati a passare il tempo a dormire o a bere per cui per due anni divenni il suo unico pupillo e discepol”. In quei tempi in Unione Sovietica, contemporaneamente al servizio militare ci si poteva dedicare e perfezionarsi in altre discipline, come la musica, lo sport, il calcio. L’esercito istituiva delle vere e proprie competizioni (il primo grande successo di L. Stejn fu ad esempio il titolo di Campione delle Forze Armate) e durante quel periodo Chip fu per tre volte Campione del Club del distretto militare di Baku. “Da Makogonov non ricevetti delle vere e proprie lezioni (non ci sono mai riuscito in tutta la mia vita così come malsopportavo un vero e proprio insegnante a qualsiasi titolo… forse ero un ribelle, ma solo così le cose funzionavano per me) ne’ si preparavano aperture o si studiavano finali, ma si discuteva di posizioni, si parlava dell’approccio agli scacchi o a vari schemi di gioco. Era pacifico che mi mancassero le basi ed ancora oggi sono un cattivo giocatore per le mie numerose lacune in finale e nelle aperture, ma svilippai uno stile che avrebbe compensato quei difetti dandomi in alternativa alcuni pratici vantaggi, tanto più facilmente nel gioco rapido. Il mio sparring-partner per le partite era quei tempi il futuro grande maestro Vladimir Bagirov”. A Leningrado anche Borisenko e Furman si accorsero del suo talento e delle grandi possibilità offrendosi di lavorare con lui ma fu solo per un breve periodo e presto l’atteggiamento troppo scolastico di quegli insegnamenti lo spinse ad abbandonarli per seguire la sua particolarissima strada. Dirà: “Io non seguii una classica educazione scacchistica, il mio unico e grande allenatore fu il blitz, dove cercavo di trovare il giusto collocamento dei miei pezzi mentre i secondi passavano.”
Non diventerà mai un giocatore professionista lavorando per tutta la vita come operaio elettrico specializzato / saldatore elettrico. Ma nella sua disciplina preferita ha già conseguito una forza ragguardevole e nel 1958, nel Campionato Blitz di Leningrado vinto da Korchnoi, troviamo al secondo posto assieme a “leggende” come Spassky e Taimanov la semplice “prima categoria” Chepukaitis che per di più si era concesso il lusso di battere tutti i grandi maestri incontrati.
Il blitz divenne la sua passione, trascorse tutto il proprio tempo libero giocando innumerevoli partite. I suoi risultati nelle competizioni a cadenza classica erano più che modesti non riuscendo mai ad andare oltre i 2420 punti Elo, ma nel gioco veloce ebbe veramente pochi eguali!
Tutti, anche i grandi campioni, riconoscevano il suo particolare talento. Una volta, parlando in modo negativo della costante tendenza alla riduzione del tempo di riflessione, Karpov disse a Bronstein che si sarebbe finiti tutti quanti a giocare blitz e allora anche Chepukaitis sarebbe potuto diventare campione del mondo! Bronstein rispose: “si, potrebbe– sottolineò – ed io non vedo nulla di scandaloso in questo. Chip è un magnifico stratega ed un tattico brillante. Le sue innumerevoli vittorie nei tornei blitz sono dovute alla sua non comune abilità nel creare situazioni complicate in cui il suo avversario, troppo abituato ad un gioco “corretto”, semplicemente finisce per smarrirsi”.
Già nel 1957 si era classificato 2°-4° con Taimanov e Spasskj nel campionato blitz vinto da Korcnoj, ma erano previsti solo tre premi ( una TV per il vincitore e due macchine fotografiche ) e Chip rimase a bocca sciutta!
Quando Chepukaitis divenne per la prima volta compione blitz di Leningrado nel 1965 davanti a quotati e titolati GM, per quanto all’epoca avesse acquisito le sue norme per diventare maestro, la commissione preposta, dopo aver visionato le sue partite, ritenne di non concedergli il titolo in quanto “non ancora pronto” e quando l’anno successivo Chip decise di prendere parte al campionato blitz di Mosca, non gli fu concesso di accedere direttamente alla finale.
Egli fu costretto ad arrivare di notte col treno, vinse la semifinale e dopo aver trascorso la notte su di una panchina della stazione, al mattino seguente ottenne una folgorante vittoria precedendo la solita schiera di forti GM e IM. In quegli anni parteciperà diverse volte con successo al campionato blitz di Mosca aggiudicandosi il primo premio davanti ai forti partecipanti locali come Tal, Averbakh, Bronstein, Vasiukov. Il campo di battaglia principale e favorito di Chepukaitis sarà per tutta la vita il Chigorin chess club della sua città, partecipando per 47 volte al locale campionato blitz di S. Pietroburgo, riuscendo a classificarsi al primo posto per 6 volte (il mitico Korcnoi lo vinse solo una volta in più), nel 1965,67,76, 78, 82 e 2002. L’ultima volta, nel 2002, aveva 67 anni e superò molti GM e IM precedendo il GM Popov, uno specialista del gioco blitz accreditato sulle classifiche ICC di 3100+ punti.
A riprova del fatto che il campionato blitz della città non poteva dirsi tale senza Chip, se questi non riusciva a qualificarsi per la finale, riceveva un invito personale per non deludere i numerosi fans che venivano apposta per vederlo giocare. In tali occasioni gli spettatori si accalcavano tra i tavoli o spiavano dalle finestre della sala da gioco, non soltanto per vedere i rinomati GM che partecipavano, ma anche perchè giocava Chip, che era capace di sconfiggere quegli stessi Spasski, Korcnoj, Tal, Taimanov. Per l’occasione si recavano al circolo anche i suoi colleghi della fabbrica dove lavorò tutta una vita e per Chip quel giorno era una festa, la sua festa personale, ed egli si presentava al circolo sbarbato, con una camicia bianca immacolata e la cravatta.

Il gioco divenne la sua unica ragione di vita: tutte le sue giornate, e molto spesso anche le notti erano riempite dal gioco. Le volte che si era andato a coricare si alzava alle 5 di mattina per andare in fabbrica ed il resto della giornata era tutta dedicato ad estenuanti, lunghe sedute di gioco blitz. Giocava ovunque. Al Chigorin, il circolo scacchistico cittadino, nei circoli dei vari palazzi e case della cultura, e d’estate nei parchi, nei giardini. Egli amava giocare in pubblico ed in effetti era spesso circondato da tifosi ed ammiratori con i quali era solito discorrere del più e del meno, mentre l’avversario pensava, magari “rollandosi” una delle immancabili sigarette, sempre calmo e quasi incurante della bandierina ormai pericolosamente in bilico, per poi scatenare il caos in pochi secondi con selvaggi colpi sul pulsante dell’orologio fino a farlo schizzare via dal suo alloggiamento o facendolo cadere rovinosamente a terra insieme a tutti i pezzi della scacchiera. Era diventato un vero e proprio professionista e dovunque si recasse portava con sè in una borsa un orologio di legno, lo strumento del suo guadagno. Sosonko descrive così il Chepukaitis di quegli anni: non molto alto, con braccia corte e muscolose,occhi piccoli e furbi, un’espressione allegra, capelli neri ricci e arruffati con incipienti e precoci spruzzature di grigio. Appariva quasi sempre stanco e cascante, indossando una maglietta ciancicata ed una appariscente giacca nera. Pochi lo prendevano sul serio e nel suo stesso nome c’era già qualcosa di insensato, scanzonato e divertente, come negli scacchi che giocava.
Per di più egli risolutamente disprezzava ogni sano stile di vita. Poteva arrivare 45 minuti o un’ora in ritardo alla partita, iniziare il turno dopo una notte insonne spesso dimenticandosi di mettere qualcosa sotto i denti e senza mai lasciare le amate sigarette.Ci si domanda come abbia potuto reggere tanti anni ad un simile ritmo e condizioni di vita. Ma come altri con un’indole di tal fatta, il suo fisico aveva un meccanismo di difesa: egli poteva “spegnersi” di colpo, anche solo per pochi minuti, dovunque, in metropolitana, su di una panchina dei giardinetti o in poltrona al circolo scacchistico.
Per quanto di professione fosse un operaio saldatore, in realtà fu per natura un giocatore di scacchi. Giocava blitz ogni giorno. Ovviamente nell’età più avanzata iniziò a stancarsi più presto, i suoi riflessi divennero più lenti, ma mai cessò di giocare o pensò nemmeno di farlo. Fino agli ultimissimi giorni della sua vita fece visita al circolo di scacchi del distretto di Petrogradsky, dove giocò regolarmente tornei con piccole poste in palio riuscendo spesso ad aggiudicarseli.
Anche la sua vita sentimentale fu smodata, eccessiva e sopra le righe. Si sposò 5 volte ed era solito scherzarci su: ” la vita è come gli scacchi, si può fare una mossa cattiva e negli scacchi si sà… gli errori sono inevitabili.. “ Tuttavia non bisogna farsi un’idea sbagliata. In realtà era una persona sensibile, seria e molto riservata ma quando si innamorava desiderava sempre legalizzare subito la relazione. Ma Chip prendeva la vita con la stessa spensieratezza e leggerezza degli scacchi e quando lui e la sua seconda moglie decisero di separarsi, semplicemente strapparono e cestinarono il loro certificato di nozze senza ulteriori impicci burocratici, tanto che durante i preparativi per il suo terzo matrimonio si rese conto che il precedente non era ancora stato annullato e andò molto vicino ad un reato di bigamia. La sua ultima moglie era una scacchista di Chisinau, Tanya Lungu, di 33 anni più giovane di lui. La sua vita così disordinata e convulsa lasciava poco spazio per gli affetti e Chip ammise di essere stato un cattivo padre per i suoi due figli anche se divenne un nonno fiero e orgoglioso, anni dopo, scoprendo che un altro Chepukaitis, suo nipote, stava frequentando il circolo di scacchi al Palazzo Anichov.
Chip era un vero e proprio personaggio, eclettico, con una mente irrequieta e originale che teneva costantemente in attività la sua capacità di riflettere.
Leggeva tutto ciò che gli passava per le mani, spesso accontentandosi di cose poco impegnative come quotidiani o riviste illustrate o di gossip, ma se gli accadeva poteva anche leggere romanzi, libri di storia, letteratura e “gialli”. Non possedette mai libri di scacchi, ma dopo che sua moglie si trasferì a San Pietroburgo egli lesse con interesse i suoi libri di scacchi.

Chip conosceva un numero straordinario di incredibili racconti, aneddoti e anche frottole dove la verità era spesso mischiata con la finzione. Spesso le sue storie erano ripetitive e dopo un quarto d’ora risultava pesante da ascoltare, ma per rispetto ed educazione nessuno lo interrompeva.
Si dilettava anche di poesia e scriveva versi o poemi terribilmente lunghi, che recitava a chiunque volesse ascoltarli. Che fossero tristi o divertenti erano comunque il lavoro tipico di un “rimaiolo”. Mentre li declamava faceva largo uso di mimica, enfasi ed intonazioni ed era evidente che tale attività gli procurava grande piacere. I suoi componimenti erano in genere sugli scacchi e sul suo pezzo preferito, il cavallo, oppure sulla sua “Mongrel Opening” e sul titolo di Grande Maestro, ma la maggior parte erano incentrati su di lui stesso. Infatti così come era modesto nel giudizio sulla sua abilità come giocatore di scacchi seri, così gelosamente teneva alla sua reputazione nel gioco blitz. Spesso scriveva e parlava di sè in terza persona chiamandosi “il leggendario Chepukaitis” e la parola che ricorreva più comunemente nei suoi versi era “io”.
Egli aveva numerose conoscenze. Giocatori di scacchi e di carte, avversari del blitz, compagni di bevute, ma non ebbe mai dei veri e propri amici. In compagnia amava ripetere incessantemente e ripetitivamente le sue storie divertenti, gli aneddoti ed il suo trito repertorio. Anche in gioventù aveva la tendenza ad imbastire lunghi monologhi e col tempo divenne ancora più verboso e prolisso. Un interminabile fiume di parole sgorgava dalla sua bocca e socializzare diventava difficile anche perchè egli aveva più bisogno di un ascoltatore che di qualcuno con cui avviare una conversazione. Nel diluvio di parole c’erano gli scacchi, ma sopratutto c’era lui , lui in persona, senza titolo e senza riconoscimenti ma di fatto grande e leggendario!
Proprio quel titolo di Grande Maestro mai ottenuto, fu per tutta la vita il suo grande cruccio e si può immaginare la soddisfazione nel leggere sul tabellone del torneo per il Campionato Mondiale Seniores in Germania: G.M. Chepukaitis allorquando gli organizzatori scambiarono le iniziali di Genrickh Mikailovich per il titolo. Per quanto avesse completato diverse volte le norme per Maestro Internazionale ed una volta fosse andato vicino a quella per Grande Maestro, egli non ricevette mai il titolo ufficiale, sebbene oggi così svalutato e sminuito. Chip considerò la cosa offensiva, una vera e propria ingiustizia, l’ingiustizia per il misconoscimento del suo talento. L’onta diviene palese nell’ultima riga del suo libro, dove impresso in grassetto si legge: Genrikh Chepukaitis, Maestro dello sport dell’URSS . ed in una quartina dei suoi versi
essi non mi fecero mai grande maestro forse dopo la mia morte nel libro dei guinness io ci passerò sopra / sarò superiore (I’ll make my way up high).
Il divorzio da sua moglie, nel Novembre 2003, dopo circa 13 anni di vita insieme, fu un duro colpo per Chip, che non riuscì più a risollevarsi. Egli si era in qualche modo indebolito ed aveva completamente smesso di curarsi di se stesso e del suo aspetto, trascorrendo quasi ogni notte giocando a carte. Dopo la partenza per l’estero dell’ex moglie ritornò a casa sua nel piccolo e trascurato appartamento di una sola stanza. L’alloggio era per lui poco più di un bivacco che usava solo per dormire. Solo grazie alle sorelle della sua ex moglie, che una volta alla settimana si occupavano di quelle incombenze necessarie ad un uomo solo, poteva garantirsi la sopravvivenza. In quelle occasioni esse facevano un bucato, riordinavano un minimo e riempivano il frigo perennemente vuoto, visto che Chip non comprava nulla per sè ed aveva bisogno di poco e piccole porzioni.

Sua moglie Tanya ricorda che la vita coniugale era già difficile. Lui era perso nel suo mondo, nei suoi pensieri, ed era spesso chiuso e taciturno. Anche se senza pretese per il cibo ed il vestiario la vita domestica con lui non era facile: richiedeva costante attenzione poichè era del tutto concentrato su se stesso.
Quando i muri e le barriere nazionali caddero, si recò all’estero partecipando in Europa al Campionato Mondiale Seniores. Pensò più volte di stabilirsi in Germania sfruttando le origini ebree del padre ma i suoi genitori non avevano mai regolarizzato il loro matrimonio ed il padre morì a Stalingrado nel 1942. Chip dovette prendere il cognome della madre, Chepukaitis appunto, e ne conservò di conseguenza anche sui propri documenti la dicitura “polacco”, tanto da dover abbandonare il suo proposito.
Negli ultimi anni comperò un computer e durante la notte giocava senza fine partite all’Internet Chess Club , in genere usando on line il nick name “SMARTCHIP” saltando anche in quelle occasioni il ristoro del sonno. Anche in tale disciplina batteva ancora rinomati grandi maestri raggiungendo un rating ragguardevole per un sessantenne che lo vedeva di regola sopra i 3000 punti, ma in Internet i risultati non erano così eclatanti come nel gioco blitz a tavolino. La cosa non deve meravigliare: egli usò un computer per la prima volta a 60 anni ed invece del pulsante dell’orologio, dove poteva impiegare la sua regola principale, doveva schiacciare un mouse. Tuttavia egli non amava i computer pensando che con il loro avvento il rischio ed il bluff erano scomparsi dagli scacchi e tutti avevano iniziato a giocare alla stessa maniera, come i computers.
Attorno ai 60 anni visse una seconda giovinezza scacchistica, riprese a frequentare i tornei a cadenza regolare e riuscì vittorioso in diversi di essi arrivando molto vicino all’agognato titolo internazionale. Il suo ELO a 57 anni era molto modesto: 2245 ma nel 1998 era salito a 2420.


Nel 2000, a 65 anni, prese parte al 73° campionato cittadino in un torneo chiuso a 12 giocatori (media Elo 2504) e per quanto fosse il partecipante più anziano, l’unico senza alcun titolo internazionale, con un Elo inferiore ai 2400, e dovesse giocare contro giovani ma già agguerriti ed affermati esperti professionisti, raggiunse un risultato più che rispettabile totalizzando il 50% dei punti (7° con 5,5 su 11 ) sconfiggendo 3 forti GM accreditati di un ELO di circa 2540 punti (Yemelin, Solozenkin e Ivanov). In un’intervista Chip, fedele al suo personaggio, ingigantirà un pò le cose affermando che in tale torneo avrebbe raggiunto la percentuale per la norma ma che purtroppo erano presenti solo giocatori russi. Egli non specifica quale norma ma le tabelle ufficiali indicano che la norma di GM era fissata a 7 punti mentre effettivamente quella di IM si guadagnava con circa 5 punti… fu comunque una performance non indifferente!
Le sue preferenze andavano ai tornei open dove se la giocava alla pari con i suoi titolati colleghi over 2500 riuscendo spesso a prevalere e dove il suo peggior risultato era in genere un onorevolissimo 50%-60% dei punti, unico maestro fra fior fiore di FM, IM e GM. Quasi immancabili le sue presenze al “Notti Bianche” di S. Pietroburgo ed al campionato cittadino, piazzandosi spesso onorevolmente nella parte medio alta della classifica con 5 / 5,5 punti.


Ricordiamo tra le sue performances più significative degli ultimi anni nel gioco “serio”:
Nel 1997 nel fortissomo Memorial Chigorin di S. Pietroburgo 13° (9°-23°) su 154 con 6 su 9 dove i primi 23 sono tutti GM ed altri 30 ne seguono dopo di lui battendone alcuni (Nikitin, Volkov, Brodsky, Kiriakov tutti sopra i 2500) e guadagnando in un sol botto 287 punti ELO con una sola sconfitta.
Nel 1999 altro fortissimo open a Novgorod con i primi 35 giocatori su 77 oltre i 2500 punti ELO, totalizza 4.5 su 9 . Nel Campionato di S. Pietroburgo altro fortissimo open a 28 giocatori, totalizza 5 su 9 e giunge 8° preceduto solo da titolati e perdendo solo col primo classificato. Si classifica 20° con 7 punti nel Campionato Mondiale Seniors a Gladenbach (192 giocatori).
Nel 2001 nel fortissimo Chigorin Memorial Open, 46° su 175 con 5,5 su 9 dove partecipavano oltre 60 GM senza contare gli altri titoli internazionali.
Nel 2002 si classifica 2° ( 1°-5° ) con 7 su 9 nel 10° Memorial Chigorin “B” di S. Pietroburgo.
Nel 2003 vince con 7,5 punti su 9 il campionato russo seniors a Kratovo. Primo posto con 7 su 9 nello “Winter on Pietrograd Side”. Zak Memorial di S. Pietroburgo 5° con 6 su 9. Partecipa poi al forte torneo chiuso Memorial Botvinnik di Tula, media ELO 2428, dove partecipavano GM ancora forti come Zaitsev, Kholmov, Vasiukov e Karasev e si classifica 8° su 12 battendo il vincitore. A Bad Zwischenahm, nel Campionao Mondiale Seniors (circa 300 partecipanti), 15° con 7,5 su 11. Ancora un 8° /9° ed un 12° posto in altri due forti tornei “open” della sua città.
Nel 2004, a 70 anni, si classifica 1° nella semifinale del 77° Campionato di S. Pietroburgo e 4° nell’Open della stessa citta ( Winter on Petrograd).
Guardando al suo spirito, nessuno gli avrebbe dato gli anni che aveva e fino alla sua morte nessuno lo avrebbe preso per un anziano. Le generazioni passavano ed egli aveva combattuto con avversari nati agli inizi del secolo e con altri nati negli anni 80, che avevano la stessa età di suo nipote, ma il suo atteggiamento e lo stile di gioco non cambiarono mai e continuò a fare 50 anni dopo quel che faceva a 20 anni tanto che la sua vecchiaia non fu troppo diversa dalla sua gioventù.
Aveva numerosi ammiratori che videro qualcosa nelle sue partite, distinguendole dalle migliaia di partite giocate ogni giorno in Internet o nei tornei. Il Maestro messicano Raul Ocampo Vargas scrisse un articolo dopo la sua morte intitolato “Peculiar Chess” e Gerard Welling, dall’Olanda, pubblicò una selezione delle sue partite. Il commento di un suo grande discepolo che ricevette dall’Argentina fu “Non sono sicuro di aver accresciuto la mia abilità nel gioco ma ho già molta più fiducia in me stesso”.
Sosonko: A S. Pietroburgo e Leningrado egli fu un simbolo, un mito,che resta nella memoria degli scacchisti più che altro come un fenomeno di spirito.
Morì per un attacco cardiaco mentre partecipava al suo ultimo torneo a Palanga, in Lituania la notte tra il 5 ed il 6 Settembre del 2004.

Come ogni appassionato ben conosce, anche nel blitz esistono diverse cadenze: partite classiche da 5 minuti, da 3 minuti e perfino da 1 minuto ed altre formule in cui il giocatore più forte concede uno svantaggio. Queste ultime erano le preferite di Chepukaitis ed in particolare “1 minuto contro 5”, anche contro candidati maestri. Spesso gli avversari dopo la sconfitta pretendevano un controllo dell’orologio col cronometro per verificare che i 60 secondi fossero reali ma dovevano sempre rassegnarsi alla dura realtà. Il suo svantaggio classico contro i maestri (cioè per giocatori con un rating fino a 2400!!) era di 3:5 e contro i candidati maestri 2:5. Invece di sfavorirlo (l’età avanzava), l’avvento dei nuovi orologi elettronici con l’incremento dopo ogni mossa, era stato molto apprezzato dal nostro eroe che spesso terminava la partita con quasi lo stesso tempo sull’orologio di quando aveva iniziato.
Oltre alla cadenza di gioco molti altri elementi erano fondamentali e dovevavo essere decisi prima dell’inizio della partita. Ad esempio se il match era su di un numero determinato di partite o al meglio delle 3. Da quale parte posizionare l’orologio era un importante variabile da stabilire, poichè ovviamente più lontano è l’orologio dalla mano che muove maggiori sono i secondi impiegati per raggiungerlo. Ancora, se dovesse impiegarsi la regola “pezzo toccato pezzo mosso” e se la mossa fosse da considerarsi ultimata solo dopo che il pulsante era stato schiacciato. Ogni dettaglio era deciso prima di avviare l’orologio e poteva essere critico nello spostare da uno all’altro degli avversari le spesso cospicue somme di denaro che rappresentavano la posta in gioco. Tali “poste” erano spesso tanto esagerate da risultare addirittura immorali e ad ogni seduta di gioco Chip poteva vincere o perdere somme molto più alte del suo stipendio mensile da operaio.
Tra gli svantaggi concessi poteva esserci anche quello di materiale e Sosonko riferisce di un match cui assistette contro un candidato maestro al quale Chip concedeva una Torre ma in compenso l’avversario doveva togliersi il pedone “c”, molto importante secondo le teorie di Chepukaitis perchè il centro, a suo dire, non poteva essere stabilizzato senza tale pedone.
Per divulgare la sua esperienza ed il suo talento nella particolare disciplina che tanto amava, nel 2011 Chip scrisse anche un libro in russo nel quale espose quelle particolari regole e insegnamenti che aveva perfezionato unicamente sulla base delle innumerevoli partite giocate blitz e della sua esperienza agonistica: “Sprint on the chess board” (secondo la traduzione che ci fornisce Sosonko), apparso nel 2016 anche in lingua inglese: “Winning at blitz” e ne stava preparando un altro dal titolo “Anthology of Careless Genre”. Molte di queste dritte farebbero inorridire i più decoubertiani di noi ma…. non dimentichiamoci che per lui era lavoro! Una fonte di reddito. Vediamone alcune.
1) La più importante e ormai famosa è la “regola del bottone”, per Chepukaitis addirittura fondamentale, cioè “fai le tue mosse il più vicino possibile al pulsante dell’orologio, le mani devono essere più veloci del pensiero. In particolare durante il finale muovi a caso ma vicino all’orologio, lascia al tuo avversario l’onere di pensare e sbagliare”.
2) “Non muovere dove stai guardando e non guardare dove stai per muovere”
3) Se il tuo avversario dimentica di schiacciare l’orologio assumi un’aria concentrata , come chi sta pensando. Questa è una grande occasione: ogni secondo trascorso ti fa fare un passo verso la vittoria.
4) La sua personalissima teoria delle aperture era: “Esistono solo 2 tipi di aperture: quelle che giochi bene e quelle che giochi male”
5) “Non è assolutamente necessario giocare bene, il tuo avversario deve giocare peggio” con questo attribuendo una grande importanza all’atmosfera ed al clima che si instauravano durante la partita , al ruolo dell’avversario ed alla psicologia.
“Quando la partita ha inizio si dispone di 16 pezzi ciascuno, con un valore diverso, ma ne esiste uno molto più importante di tutti gli altri, il 17° pezzo: il tuo avversario! E’ lui l’unico con cui devi confrontarti quando scegli la tua mossa. Soprattutto cerca di non impedire al tuo avversario di fare una scelta, di prendere una decisione tra varie alternative. Io cerco di mettere il mio avversario davanti a questa scelta e spero che commetta un errore.” In effetti egli non amava le posizioni in cui esisteva una sola soluzione.
6) In accordo con la sua sconfinata confidenza in se stesso ovviamente predicava: “Devi avere una totale sicurezza in te stesso e quando sei alla scacchiera devi essere consapevole di chi è il più creativo. Sei tu. Soltanto tu”. In definitiva uno dei “credo” fondamentali della sua teoria era che “Tutti commettono errori, GM e Campioni del Mondo, e non ci sono trucchi particolari in questo gioco. Acquisendo gradualmente esperienza, conoscenze ed abilità sarai sorpreso di scoprire che anche tu hai talento! Ciascuno ha del talento, il problema è soltanto come tirarlo fuori e dimostrarlo.”
7) Se non lo ostacolerai troppo su questo percorso, Il tuo avversario troverà da solo una strada per perdere . Lo scacchista è solo un essere umano ed è nella sua natura commettere errori, perdere dei pezzi e “non vedere piani di gioco”.
Disse in un’intervista che aveva fatto suo, trasponendolo nel gioco blitz, un insegnamento letto in un libro di Nunn nel quale il forte GM inglese dava indicazioni su come difendersi in posizioni inferiori; “Mantieni la calma. Cerca di rendere la vita il più dura possibile al tuo avversario. Disturbalo”. Continua Chip: “Io disturbo il mio avversario prevenendo le sue idee e costringendolo a pensare, lasciando a lui il compito di scegliere una strada, preferibilmente quella sbagliata, e portandolo in posizioni inusuali e non famigliari dove deve pensare, dove può fare scelte errate o ancora tergiversare per timore di avventurarsi su di un terreno sconosciuto”. “Tratta la tua posizione come una donna. Le donne amano il trucco, i cosmetici, l’imbellettamento. Se puoi rendere più graziosa la tua posizione fallo! Essa ti ringrazierà”
8) Quando non c’è tempo per pensare “Cortesia”, “Timidezza”, e “Prudenza” sono un inutile zavorra, necessarie talora solo per nascondere le nostre vere attenzioni. Essenziali invece “Aggressivita”, ” Bluff”, “Astuzia” e “Audacia”. Il gioco timoroso, non sicuro di se’, troppo teorico o preda del panico è inaccettabile.
9) “Aiuta l’avversario a perdere il suo ritmo. La confusione può essere un compenso adeguato per un sacrificio di pezzo.”
10) “Una imprvvisa, irrilevante mossa “distante” può rivelarsi un’arma micidiale”
11)” La tua condotta di gioco all’inizio della partita deve essere improntata solo da una semplice regola: Chiarezza e Semplicità in apertura sono più importanti di un vantaggio materiale”
12) Fedele a questi suoi “principi” non meraviglia che anche lui si lasciasse andare, senza malizia e simpaticamente, a qualche piccola scorrettezza e che durante la concitazione del gioco ad esempio qualche Alfiere potesse improvvisamente cambiare colore secondo un clichè che ben conoscono i lampisti incalliti. Era addirittura riuscito a teorizzare anche tale evenienza estrapolandone una regola e dei principi da seguire ed insegnare: “In tali casi non bisogna affrettarsi e dopo aver cambiato il colore dell’alfiere io eseguo dozzine di mosse inutili (Chip usava questa tecnica sopratutto in finale a seconda che gli convenissero gli AA di colore uguale o contrario), fino a quando il mio avversario digerisce la piccola trasformazione della posizione, e solo in seguito eseguo la manovra decisiva”. Naturalmente di quando in quando qualcuno si accorgeva che qualcosa non andava e dopo aver perso tutti i pedoni perplesso e confuso bloccava il gioco e cercava di ricostruire la posizione originale dicendo “…un momento, un momento…. ma questo prima…” allora Chip che fino ad un momento prima aveva negato, allegramente, con uno dei suoi sorrisi, conveniva e preparava i pezzi per una nuova battaglia.
Negli ultimi anni della sua vita il GM russo Khalifman gli offrì un impiego come docente nella sua scuola al S. Pietroburgo Fontanka Canal. Chepukaitis faceva lezione di persona e su Internet ma doveva impiegare un interprete con gli studenti non russi perchè non conosceva nessuna lingua straniera. Le sue lezioni erano molto particolari. Egli non poteva spiegare le sottigliezze della teoria delle aperture o la strategia dei moderni schemi di gioco ma riusciva ad affascinare gli ascoltatori e far arrivare loro il grande entusiasmo che lo animava e il suo amore per il gioco mostrando un modo diverso di concepire gli scacchi e concetti come fiducia in se stessi, agonismo, tenacia. Mostrava quasi esclusivamente le sue partite vinte e le combinazioni , spesso sfornando una grande quantità di idee e spunti che prescindevano dalla loro attuazione e dai freddi calcoli delle varianti.

Chip confessò in piu di una occasione l’avversione allo studio della teoria o comunque a “lavorare sui suoi scacchi” per affinare strategie, finali e aperture affermando di non avere comprensione per gli scacchi cosiddetti “seri” nei quali reputava di essere “senza speranze”.Tutto ciò era naturalmente un’esagerazione, come dimostrò negli ultimi anni della sua vita quando si cimentò un pò più seriamente nei tornei regolari. Tuttavia la differenza dei risultati col blitz era stupefacente ed è comprensibile che un giocatore del suo talento, istintivo e con doti particolari nel gioco veloce, potesse vivere come un fardello, un handicap, sprofondare in lunghe meditazioni che possono solo condurre ad errori quando si avvertono più sfaccettature della posizione, con autoanalisi, dubbi sulla scelta migliore da seguire ed esitazioni che si insinuano nei processi mentali. Allora il gioco perde di originalità di inventiva ed il talento naturale lo abbandona. Egli stesso spiegò che allorquando la curva dei suoi successi nei tornei regolari iniziò a salire, i risultati a blitz peggiorarono. “prima non capivo nulla e non avevo paura, ma ora capisco le implicazioni delle varie scelte mie e dell’avversario e medito, esito, ho dei dubbi…”
Chepukaitis aveva le sue personalissime opinioni anche sugli schemi di gioco e sulle aperture, che dovevano essere complementari alla sua visione del gioco a cadenza rapida.Intanto preferiva le posizioni in cui esistevano diverse soluzioni, con spazio all’inventiva, poco teorizzate. Tendeva a costruire il prima possibile impianti irrazionali e sbilanciati , caos che chiamava “bazar” per sottolinearne le caratteristiche. In quest’ottica non meraviglia la sua avversione allo studio di aperture più solide e che la sua apertura preferita fosse lo svilippo dell’ Alfiere in g5 il più velocemente possibile, alla seconda mossa, per poi cambiarlo subito. Amava ricordare che lo stesso Petrosjan scrisse un’articolo sulla mossa d’ Alfiere al terzo tratto e per parte sua si dispiaceva che le regole del gioco non permettessero di muoverlo già dal primo tratto.
Chepukaitis amava invece i Cavalli che erano il suo pezzo preferito (“senza di loro il gioco degli scacchi sarebbe noioso” ) e per questo restò profondamente ammirato quando nella sfida Kasparow- Deep Blue del 1997 la macchina cambiò l’Alfiere per il Cavallo alla quarta mossa: “Finalmente i computers hanno iniziato a capire qualcosa di scacchi!” . Egli chiamò la “sua” apertura “Mongrel Opening” che dovrebbe tradursi con qualcosa sul tipo di “Apertura ibrida/ incrocio/bastarda”. L’idea principale di questa mossa era molto semplice e ben dimostrata in una sua partita contro Taimanov in un campionato blitz della città quando il GM, colto di sorpresa, dopo 1) d4,d5 2)Ag5 giocò la sciagurata e meccanica “e6”. Istantaneamente, poche frazioni di secondo dopo che la mossa era stata legalmente ultimata, la Donna nera era già sparita dalla scacchiera, come se il Bianco non si fosse aspettato altra risposta, ed al furibondo Taimanov, dopo aver ammucchiato indispettito i pezzi al centro della scacchiera non restò che sbottare: “Dovresti fare il venditore di birra e non giocare a scacchi!”.
Chepukaitis sperava anche che dopo le decine di centinaia di partite giocate con tale impianto qualcuno decidesse di darle il suo nome e attribuirgliene la paternità: “Anche se un tal Trompowsky giocò tale apertura ancor prima della guerra, tutte le idee ed i piani della Mongrel Opening sono mie e solo mie, frutto dei miei pensieri e della mia esperienza personale”. Nessuno all’epoca prese sul serio le stravaganze di un lampista non titolato, tanto che nel 1967 quando Gulko scrisse un articolo teorico dopo il torneo di Leningrado in cui Chepukaitis impiegò il suo sistema in diverse partite, l’editore della rivista tagliò senza troppe remore quella parte dell’articolo.
Con il Nero era invece solito impiegare diversi impianti con l’Alfiere nero in fianchetto e tra i diversi sistemi inventati il suo preferito era la “Rope a Dope System” (la cui traduzione dovrebbe essere più o meno “strategia passiva” o “aspettare all’angolo/alle corde”) in cui il Nero lascia deliberatamente l’niziativa all’avversario ed in cambio il Bianco non usufruisce di punti di riferimento o dettami teorici cui affidarsi, correndo il rischio di essere sopraffatto giocando routinariamente. Chip di tanto in tanto usava tale sistema anche con il Bianco. Naturalmente egli aveva affinato idee, schemi originali e non convenzionali da impiegare in tali frangenti.
In una partita contro Zak, il famoso allenatore, con il Nero Chip sacrificò la Donna per due pezzi minori fin dalla quinta mossa nella variante di Leningrado della Nimzo-Indiana. Chepukaitis travolse letteralmente il suo quotato avversario che dopo aver abbandonato chiese inviperito: “Ti sei voluto prendere gioco di me, vero?”. Ancora anni dopo, nel Palazzo dei Pionieri di Leningrado, Vladimir Grigorievich Zak, uno degli esperti di questa variante, avrebbe ancora analizzato con stupore e incredulità la posizione raggiunta in quella partita con Chip.
Egli non pretendeva di scoprire delle verità nelle sue partite, seguiva solo le sue certezze e mirava ad un solo scopo: la vittoria. In questa ricerca della sua verità aveva però a disposizione solo una limitata manciata di secondi ed era solito dire: “Non c’è tempo per pensare, devi solo vedere”.

Il demone del gioco era il vero padrone del suo corpo e dei suoi pensieri.La passione per il gioco era talmente connaturata in lui che poteva giocare a qualsiasi cosa, dovunque, con chiunque, in qualsiasi momento. La gente come lui era conosciuta come “Rollers”. Egli spaziava da tutti i tipi di gioco con le carte al domino, alle slot machines e allo “shmen” ( che consiste semplicemente nell’indovinare l’esatto numero di banconote o spiccioli chiusi nel pugno della mano) .
E proprio le carte contribuirono pesantemente a minarne il fisico. Dopo il divorzio dalla moglie del Novembre 2003, che lo provò profondamente, cercò consolazione nel gioco delle carte e trascorreva quasi ogni notte giocando fino a tarda ora in accanite battaglie. La gente che frequentava erano però giocatori spietati e senza scrupoli che non erano animati dalla passione del gioco ma dall’avidità e dalla brama di guadagno. Per costoro Chepukaitis diventò subito un buon “cliente” che il più delle volte veniva raggirato ed imbrogliato. I suoi debiti raggiungevano in pochi giorni cifre ragguardevoli in virtù degli interessi accumulati e non pagare poteva essere molto pericoloso. Tuttavia qui entravano in gioco le sue peculiarità caratteriali ed anche quando intuiva le vere intenzioni dei suoi avversari, egli continuava a giocare imperterrito, pensando che comunque alla fine la sua abilità, il suo acuto ingegno e la rapidità di calcolo avrebbero avuto ragione di ogni trucco ed espediente altrui ed avrebbe vinto la battaglia intellettiva finale. Inutile dire che il più delle volte le cose andavano ben diversamente e gli avversari, considerandolo un sempliciotto, si permettevano di prenderlo in giro e ridergli apertamente in faccia. Continuò a giocare a carte fino alla fine dei suoi giorni e negli ultimi anni delapidò la sua pensione ed i proventi del blitz e delle lezioni di scacchi alle slot machines. A nulla valsero le raccomandazioni del cardiologo che aveva consultato qualche anno prima su insistenza della moglie e che aveva prescritto riposo e tranquillità essendo ad alto rischio di infarto e cardiopatia. Egli ignorò sistematicamente tali avvertimenti facendosi letteralmente divorare dalla dipendenza dal gioco.
Leggiamo sul libro di Sosonko: nell’estate 1965 all’Hotel Oktyabraskaya Chip ed il maesto georgiano Roman Dzhindzhikhashvili, anche lui noto e forte specialista del blitz, decisero di giocare “qualche” partita rapida da 3 minuti. Iniziarono nel pomeriggio ma la mattina dopo Sosonko vide che che i due erano ancora seduti al tavolo interrompendo brevemente solo per andare al bagno e snebbiarsi le idee infilando la testa sotto l’acqua fredda. Dzhindzhikhashvili disse: “Verso le 5 del mattino (!) ero in vantaggio di 12 partite ma a quel punto Chip mise una marcia in più e non solo pareggiò il conto ma si portò in vantaggio. Comunque è ancora giorno e io sono nuovamente a +4”. Dopo 1 ora Chip aveva nuovamente recuperato. Il maestro georgiano aggiunse che non era la prima volta che si verificavano tali “marcialonghe”: “Una volta giocammo 5 ore di filata”.
Mark Tseitlin disse di aver incontrato Chip un Venerdi e di aver giocato con lui per tre giorni di seguito. “Il punteggio oscillava tra noi due avanti e indietro sullo scarto di circa 3 punti per l’uno o per l’altro e la posta era solo di 1 rublo a partita, ma una volta iniziato a giocare semplicemente non riuscimmo più a fermarci”.
L’episodio più famoso resta l’aneddoto del suo incontro con Tal. Il campione del mondo, uno dei più forti giocatori blitz dei suoi tempi , invitò un giorno Chip a fare qualche partita nella sua stanza di albergo. Chip ovviamente accettò con entusiasmo ed all’orario convenuto si presentò all’appuntamento. Gli aprì un signore di mezz’età che lui non aveva mai visto e che gli disse che Misha era dovuto uscire per alcune commissioni ma sarebbe tornato al più presto e che se voleva nel frattempo poteva intrattenerlo lui giocando qualche lampo. Chip accettò per ingannare il tempo dell’attesa pensando di giocare con lo zio di Tal, Robert, che spesso era solito accompagnare il campione nei suoi viaggi. Nella prima partita giocò distrattamente e fu rapidamente distrutto ma “quando cominciai a perderne altre quattro di fila, andai nel pallone, mai avevo perso in questo modo e mai fui schiantato come la flotta russa in fiamme nella battaglia di Tsusima del 1905. Potevo essere schiantato così da Tal ma non di certo da suo zio!”. Così riporta Sosonko nel suo libro. Faticosamente Chip riuscì a pareggiare il punteggio e quando Misha rientrò in albergo disse “Vedo che Rashid Gabiatovich ti ha riscaldato!” Fu così che Chip conobbe Nezmetdinov, il genio della combinazione. Il riscaldamento era comunque stato efficace poichè Chip si impose per 8:1 contro il grande Misha. Tal chiese immediatamente un appuntamento per il giorno dopo per una rivincita che si aggiudicò con il punteggio di 16:1. Di questo aneddoto esistono diverse versioni con i punteggi più diversi (che cambiavano ogni qual volta Chip raccontava l’episodio) dal pareggio con Nezhmetdinov ai risultati con Tal nei due incontri. Tuttavia Sosonko racconta che i due lampisti si incontrarono diverse volte e talora egli stesso era presente e affermò che le vittorie erano abbastanza equamente suddivise tra i due campioni. Nel Campionato di Kharkov del 1967 Chip giocava velocissimo le sue partite per poi rincorrere Tal nei corridoi e sfidarlo blitz.
La cosa era abbastanza comune per Chip. A quell’epoca le cadenze di gioco permettevano di rifugiarsi in sala analisi per riposarsi tra una mossa e l’altra o ripassare mentalmente qualche variante. Lui “ottimizzava” quel tempo impiegandolo in qualche improvvisata partita blitz o per giocare a carte o a “shmen”.
Nei tornei americani, dove si svolgevano contemporaneamente più tornei (a cadenza classica, blitz e rapida), sarebbe sicuramente stato un emulo del GM inglese Bogdan Lalic, schizzando da una sala all’altra per partecipare contemporaneamente a più competizioni.
E ora per finire alcuni esempi del suo gioco.
L’incredibile partita che segue forse non regge all’impietoso sguardo a raggi x dei computers ma non può che mandare in estasi gli appassionati e tutti coloro che restano un pò annoiati dalle prestazioni degli uomini-computer come i recenti protagonisti del match mondiale Carlsen e Karjakin, che costruiscono le loro strategie su di un giudizio di + 0,10 nelle lunghe sedute di analisi casalinghe dei computers. Ruban è un altra grande figura della galleria di personaggi tratteggiati da Sosonko nei suoi libri. Giocatore dalle grandi possibilità, fu osteggiato per la sua omosessualità e terminò in miseria la sua esitenza tra stenti ed umiliazioni.
Testimone oculare di questa partita fu lo stesso Sosonko, che giocava sulla scacchiera accanto e ne parla nel suo libro . Durante la partita Chip si alzava spesso dalla scacchiera per uscire dalla sala a fumare o scambiare quattro chiacchere con gli amici rientrando solo lo stretto necessario per effettuare velocemente la sua mossa. Quando la partita terminò, lo sentì vantarsi con un amico “Hai visto lo show che ho messo su oggi?”, “Era tutto corretto?” rispose l’interlocutore. “Tu lo sai, senza un mezzo litro di vodka non c’è modo di saperlo” rispose con uno dei suoi disarmanti sorrisi.
La riportiamo con pochi, scarni, essenziali commenti poichè il bello della partita è la rissa, l’atmosfera da partita da caffè che la contraddistingue.

La partita seguente è uno stralcio delle sue lezioni per la scuola di Khalifman con i suoi commenti originali reperibile in Internet.

GM V. Simaghin v NM G. Chepukaitis

1.Axf6
Una mossa convinta. Ora il Nero ha poca scelta : 1…gxf6 andrebbe incontro a 2.Axd5, 1…Cf6 è seguita da 2. Axb7.
1…Dxe4
Forzata.
2.Te1
La Donna nera non è in una posizione invidiabile. E’ impossibile ritrarsi per via del matto sull’ultima traversa.2…De4 sarebbe interessante tentare: 3.Ce1 Tc1 4.f3 (unica) Txe1 5.Rf2 Te3! 6.Da4 gf6 7.Da7 Te7 8.Db8 Rg7 9.Dg3 Rf8 10.Db8= e non è patta? Be’, qui il Cavallo nero attacca alla baionetta:
2…Ce3!?
Con tutta la sincerità del mondo il cavallo nero sembra trotterellare nel campo nemico sotto i colpi avversi. Tuttavia il suo destino sembra quello di poter sopravvivere, meglio non esser catturati. Per questo motivo il grande maestro, novello matador, pianta la sua banderilla sulla schiena della più caratteristica creatura della fauna scacchistica.
3.Ad4??

Sono convinto che nove maestri su dieci giocherebbero questa mossa.
3…Dxf3!!
I nostri arrivano giusto in tempo!
4.gxf3 Tg5 5.Rh1 Axf3 matto
Il mio contributo a questo successo non è stato poi così rilevante. E’ il cavallo che merita a pieno titolo il suo monumento equestre per la vittoria in questa battaglia. E’ l’eroe che ha fornito la cornice alla disperazione e all’abbandono al proprio destino salvando tuttavia i propri sovrani, aprendo la strada per l’imboscata opportuna, impedendo l’accesso al monarca avversario alla casa “f1” consentendo infine l’avvento provvidenziale dell’Alfiere giustiziere… Ogni “calcolatore scacchistico” esistente oggi difficilmente potrebbe fare mosse quali 2…Ce3!!??. I computers non sono stati ancora programmati per metabolizzare il concetto di rischio.La svista 3.Ad4?? è dipendente dallo scenario lampo e l’attività sovversiva del Nero è riuscita con successo proprio per via della modalità blitz. Il Bianco avrebbe vinto senza problemi giocando 3.Bh4!, tenendo in tal modo sotto controllo la casa fatale “g5”.

In un certo senso il Nero, ben oltre l’uso del comune buon senso e dell’esatto calcolo delle varianti, ha impiegato il focoso destriero con provvidenziale fortuna. L’improvvisazione, la prontezza di risposta, la forza di volontà, l’energia e, ovviamente, la conoscenza e l’esperienza, sono tutte doti fondamentali di ogni gladiatore degli scacchi. Quello che state leggendo ora non è un manuale comune ma una sorta di brogliaccio di allenamento ove sono annotati e suggeriti consigli specifici per districarsi con successo in questa specialità e, comunque, per invitare il lettore a riflettere e approfondire.

Stiamo per intraprendere un breve tour esplorativo nell’affascinante campo della velocità scacchistica, e le opportunità del lettore di sconfiggere anche i più titolati edesperti avversari ne trarranno beneficio certo e sicuro.

avatar Scritto da: Enrico Cecchelli (Qui gli altri suoi articoli)


35 Commenti a Chip

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    Martin 25 Aprile 2017 at 00:30

    Assolutamente superlativo!

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    The dark side of the moon 25 Aprile 2017 at 09:20

    Fantastico, più che un articolo potrebbe essere un capitolo di un libro.
    Grande lavoro, grazie Enrico.
    Più tardi lo leggerò molto volentieri e con attenzione, prima scendo a fare un giro in spiaggia…. ;)
    Buona Festa di Liberazione! :p

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    Fabio Lotti 25 Aprile 2017 at 09:34

    Eccellente!
    Campioni blitz che non conoscevo.
    Grazie, Enrico!

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    fabrizio 25 Aprile 2017 at 12:42

    Articolo monumentale, come il personaggio descritto! Grazie a Cecchelli per questo capolavoro!

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    alfredo 25 Aprile 2017 at 15:51

    capolavoro

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    Luca Monti 25 Aprile 2017 at 16:26

    Ottimo lavoro così ben documentato da tenere botta all’altro di Cecchelli: Salo Flohr, alla ricerca del match perduto. Anche L’affaire Cigorin mi piacque tanto. Complimenti perché passare da un argomento all’altro mostrando sempre competenza ed entusiasmo nella ricerca non è facile. Approfitto dell’occasione per mandare un saluto al mitico Mongo.

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    Uomo delle valli 25 Aprile 2017 at 21:41

    Proprio bello, l’ho letto con piacere e interesse. Lodi senza posa all’autore.

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    Tux 26 Aprile 2017 at 10:42

    Parto dalle congratulazioni all’autore: magnifico e rarissimo lavoro, bravissimo! ;)
    Per quanto riguarda invece il gioco lampo, premesso che mi diverto a giocarci, che lo trovo emozionante e spettacolare, l’interrogativo di sempre è se in fondo non si tratti di una sorta di aberrazione degli scacchi. Faccio un esempio per far capire meglio il concetto a cui alludo: chi di noi non ha mai vinto per il tempo una partita in cui aveva, che so, una Torre in meno?
    Ebbene, si prova vera soddisfazione da vittorie come queste? Nel fondo del nostro animo non ci siamo mai, almeno un pizzico, vergognati per questi meschini successi??
    E se non abbiamo provato nulla di queste sensazioni non è già di per sé questo fatto significativo e illuminante di cosa sia alla fine il gioco lampo se non una specialità per i furbi e gli opportunisti?
    Se è vero quello che tutti noi ci pregiamo di sbandierare, cioè che sulla scacchiera c’è quella giustizia che invece in tanti casi della vita ci lamentiamo mancare, ecco, come ci rapportiamo allora di fronte al gioco lampo?
    Non voglio cadere né nella retorica né nel moralismo ma questi sono gli interrogativi che mi pongo quando le lancette si alzano inesorabilmente.
    Che ne pensate?

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      Giancarlo Castiglioni 26 Aprile 2017 at 11:25

      Giocando a 3′ più incremento il gioco lampo cambia molto ed è molto più vicino agli scacchi veri.
      Con 5′ quando l’avversario rimaneva con 20′ bastava giocare veloci senza prendere matto e si vinceva.
      Possibilmente muovendo i pezzi vicino all’orologio, come suggeriva Chepukaitis.

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        Uomo delle valli 26 Aprile 2017 at 11:36

        È solo un palliativo quello che, caro Giancarlo, proponi tu.
        Infatti, estremizzando, allora anche la cadenza (0, 1), ovvero 1 secondo a mossa, potrebbe esser passata, come sostieni tu, per ‘scacchi veri’, eppure così non è, sei d’accordo?
        Gli interrogativi che prospetta Tux per me rimangono tutti.

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      Enrico Cecchelli 26 Aprile 2017 at 11:45

      Lo stesso Chip definiva la sua disciplina scacchi non seri. Vi sogna sapere che sono due cose diverse e relativizzare il contesto. Ai tempi in cui frequentavo il circolo era un po anche un modo per poter giocare tutti senza lunghe attese o senza dover fare la partita “pensata” col solito terza categoria sociale, l’unico disposto ad essere sfidato a cadenze normali. È’ vero che una punta di aberrazione esiste e non è’ certo il modo migliore per progredire… Gia’ ai miei tempi molti si rifiutavano di giocare blitz. Io ho sempre preso la disciplina come un modo veloce per testare idee e aperture ….

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      fabrizio 26 Aprile 2017 at 22:00

      Caro Tux, non sono molto d’accordo con la tua visione del gioco lampo, ovvero di una specialità per furbi ed opportunisti, che poco ha a che fare con i valori superiori di ricerca della giustizia intrinseca(?) negli scacchi.
      Il gioco lampo non lo ritengo affatto un’aberrazione degli scacchi, ma solo una variante giocosa che a molti piace e a qualcun altro no. Sul suo valore didattico, educativo, sportivo, si possono avere opinioni diverse e tutte rispettabili.
      Che il gioco lampo, visto il tempo di riflessione limitato, preveda inevitabilmente più errori di quello “lento” (che però non ne è certo esente! è solo una questione di gradazioni) mi sembra una ovvietà; proprio per questo è necessario che il buon giocatore lampo debba trovare l’equilibrio ottimale tra “accuratezza d’analisi” e “tempo di riflessione” (cosa vera, anche se meno appariscente, per il gioco “lento”): chi non riesce a farlo (ad esempio ottiene posizione vincente ma perde per il tempo) ha sbagliato assai gravemente. Perciò non riesco a capire per quale motivo chi vince per il tempo in posizione inferiore si debba vergognare o sentire in colpa. In qualunque competizione o gioco, una volta stabilite regole accettate e valide per tutti, ed una volta che queste siano state correttamente rispettate da tutti, non credo si possa reclamare una giustizia superiore, oltre le regole stesse.

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        Tux 26 Aprile 2017 at 23:02

        Nessuno mette in dubbio la liceità della vittoria per ‘scader del tempo’, non si tratta di questo, suvvia, e neppure si sminuisce il godimento ludico della cosa (rileggi la mia premessa, per favore). Mi riferivo semplicemente al fatto che gli scacchi sono per antonomasia il gioco della riflessione e dell’approfondimento, quanto più vi si riflette tanto maggiore è la possibilità di ricavarne ‘poesia e diletto’, il venir meno di questi presupposti (riflessione e approfondimento) ne svilisce gioco forza la natura intrinseca.
        Sicuramente il campione saprà trovare in pochi istanti le mosse per sconfiggere comunque il proprio avversario e, ripeto, lo spettacolo può risultare nondimeno emozionante e avvincente, ma, come anche altri qui hanno sottolineato, si tratta sempre e comunque di una forzatura, di un prevalere di sveltezza e scaltrezza, su quello che invece sta esattamente all’opposto.
        Ti faccio un ulteriore esempio: hai mai sentito parlare di un risultato matematico ottenuto in pochi secondi? Di una dimostrazione di un teorema o di un problema complesso risolto in cinque minuti?
        Ecco, il gioco lampo sta a quello ‘vero e serio’ come il moltiplicatore da circo, quello che elabora a mente, in pochi secondi, il risultato di una difficile moltiplicazione sta a Bernoulli o a Cauchy.
        Saluti

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          Luigi O. 27 Aprile 2017 at 09:53

          Ti prego, caro Tux, di non insistere oltre, mi pare infatti evidente che la maggior parte delle persone non afferra i tuoi concetti. Le stesse persone che mettono sullo stesso piano Claudio Cecchetto e Itzahk Perlman (entrambi si occupano di musica), così come Bruno Vespa e Joseph Roth (entrambi hanno scritto dei libri), pazienza, via =))

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          fabrizio 27 Aprile 2017 at 23:17

          Perdonami Tux se insisto: la mia risposta, se la leggi bene, si riferisce puntualmente e soltanto a quanto tu affermi:
          “cosa sia alla fine il gioco lampo se non una specialità per i furbi e gli opportunisti?”
          “se in fondo non si tratti di una sorta di aberrazione degli scacchi.”

          E inoltre:
          “Faccio un esempio per far capire meglio il concetto a cui alludo: chi di noi non ha mai vinto per il tempo una partita in cui aveva, che so, una Torre in meno?
          Ebbene, si prova vera soddisfazione da vittorie come queste? Nel fondo del nostro animo non ci siamo mai, almeno un pizzico, vergognati per questi meschini successi??”

          In queste parole percepisco (forse sbaglio e nel caso correggimi) un certo “disprezzo intellettuale” per il gioco lampo, perché più distante dalla “verità scacchistica” rispetto a quello lento.
          Ma se per te gli scacchi “veri” sono soltanto quelli con lungo tempo di riflessione (e ovviamente hai buoni motivi e tutto il diritto di pensarlo), per analogia diresti che la “vera” corsa è solo la maratona e i 100 metri sono una sua “aberrazione”? Non credo: penso che converresti che si tratta di discipline diverse, non omogenee e poco confrontabili (anche se in entrambi i casi si usano le gambe e si corre).

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            Tux 28 Aprile 2017 at 07:24

            Caro Fabrizio, intanto grazie per la gentilezza e il dialogo costruttivo e franco impostato.

            Siamo davvero ad un passo dall’intenderci. Proverò col tuo prezioso aiuto a farmi capire meglio, d’accordo?

            Qual è lo strumento per ottenere la vittoria nell’atletica? Per vincere?? La velocità! Dai 100 metri alla maratona. Semplicemente la velocità… E proprio i 100 metri ne sono l’apoteosi. Non conta nè l’intelligenza né l’approfondimento ma solo correre più in fretta e più velocemente di tutti, giusto? E, paradossalmente anche in una maratona chi fosse in grado di mantenere un ritmo da velocista non avrebbe bisogno di altro, vincerebbe semplicemente correndo come un folle.

            Convieni quindi con me che stai confrontando due cose semplicemente agli antipodi? L’atletica ove, come abbiamo testé visto, lo strumento per spuntarla è appunto la velocità, con un gioco che invece fa della riflessione e dell’approfondimento le sue ‘armi’ ed i suoi strumenti
            non solo per vincere ma, in ultima analisi, per quella soddisfazione qualitativa e intellettuale che tutti gli apprezziamo.

            Due aspetti quindi in palese antitesi: la velocità del corpo contro il pensiero della mente.

            In atletica prevale la velocità mentre nei giochi della mente (pleonastico pensare agli scacchi, vero?) prevale la riflessione.

            Ecco, dimmi allora come non storcere la bocca di fronte al rovesciamento di questi punti di riferimento: volendo applicare, come nel tuo ragionamento, a qualcosa, come gli scacchi, la velocità quale strumento per decidere le gare, e -rovesciando appunto il piano logico- l’atletica ove, ti potrei dire, inventiamo una nuova specialità in cui vince non chi arriva più veloce al traguardo ma colui che, che ne so, coordina con più armonia i movimenti del corpo.

            Ecco, che ne pensi?

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              fabrizio 29 Aprile 2017 at 11:21

              Caro Tux, ho il timore che stiamo annoiando i lettori del blog con la nostra discussione; cercherò perciò di essere conclusivo per quanto mi riguarda. Francamente non sono d’accordo con le tue argomentazioni: mi sembrano assai riduttive e non prendono in considerazione la complessità dei fenomeni (atletici o scacchistici che siano). Se tu dici che l’unico parametro importante per vincere nella corsa è la velocità, ovvero correre più veloci degli altri, si può dire allo stesso modo che per vincere a scacchi basta “giocare meglio” dell’avversario: siamo insomma a livello di tautologie banali.
              Sia la corsa che gli scacchi sono attività complesse e mettono in gioco molteplici caratteristiche, che vengono diversamente sfruttate a seconda delle modalità della competizione (un centometrista si basa molto, ma non solo, sulla potenza muscolare, un maratoneta deve avere soprattutto, ma non solo, resistenza alla fatica).
              Lo stesso per gli scacchi: in quelli veloci, essenzialmente giocosi e divertenti, prevalgono naturalmente intuito e colpo d’occhio; in quelli lenti si possono incontrare maggiormente le caratteristiche di profondità di analisi e di correttezza delle mosse.
              Si ha il diritto di preferire l’uno all’altro, ma non di “svalutare” uno perché non ha le caratteristiche dell’altro. Ti saluto con stima per la corretta discussione. Alla prossima

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                Tux 29 Aprile 2017 at 21:15

                Ringrazio per lo spazio concessomi e per l’interessante e piacevole chiacchierata :p

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    Pedoncino 26 Aprile 2017 at 14:58

    Articolo eccellente. Circa il gioco lampo non so che pensare ma so solo che Enrico Paoli, decano dello scacchismo italiano, ce l’aveva a morte col gioco lampo.

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    lordste 26 Aprile 2017 at 15:05

    il “decano” Paoli ahimè a volte toppava: il “lampo” può essere un buon allenamento per la visione tattica e per la gestione dello zeitnot.
    Paragonarlo alle partite a tempo lungo, beh, è come paragonare nell’atletica un centometrista a un maratoneta (con i mezzofondisti che sulla scacchiera possono essere i semilampisti): sono cose diverse e non paragonabili, tutto qui

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      Uomo delle valli 26 Aprile 2017 at 15:33

      Non sono tanto d’accordo: tra gli scacchi ‘seri’ e quelli giocati lampo passa la stessa differenza che c’è tra leggere un libro per puro diletto e doverlo leggere in cinque minuti (o in tre ma con l’incremento di due secondi a pagina come suggerito da Castiglioni).

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        Pedoncino 26 Aprile 2017 at 16:03

        Paragone azzeccatissimo! =)) Sarebbe come a dire ingerire le stesse portate a un pranzo di nozze senza lo stress di doverci alzare di lì a poco da tavolo e dover invece ingollare tutto in cinque minuti?!? ;) Alla fine avrei inghiottito la stessa quantità di cibo, ma che differenza ragazzi! :o

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          lordste 26 Aprile 2017 at 16:19

          Pensatela pure come volete. Rimango (e come me, parecchi, per fortuna :)) della mia opinione: cose diverse, e il lampo può tornare utile come buon allenamento tattico e di abitudine allo zeitnot.

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            chess 27 Aprile 2017 at 09:08

            Cose diversissime!

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    Mongo 26 Aprile 2017 at 23:08

    Semplicemente sublime!!

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    Cesare 27 Aprile 2017 at 19:53

    Penso anche io che il gioco lampo sia un pallido e sbiadito surrogato degli scacchi. Qualcuno qui ha parlato di aberrazione, in un certo senso ha ragione. Perché è come se ad uno scultore, in luogo di apprezzarne l’arte nella sua forma più pura ed eccelsa, si chiedesse la formina di pongo. La farà sicuramente da par suo ma in tutto questo vedo solo il nitido impoverimento culturale in cui versa la società attuale. Gli scacchi ne seguono il corso sempre più aggrappati con le unghie agli interessi commerciali.

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      Cesare 27 Aprile 2017 at 20:03

      Aggiungo: cos’è successo? Per sopravvivere (o meglio per adeguarsi ai canali odierni) si son ridotte le cadenze di gioco (bisognava pur attrarre le palanche televisive, vero?) e allora benvenuto tutto quello che è rapido, fulmineo, superficiale: acchiappa-sponsor.
      Trent’anni fa quanti erano i tornei lampo? A livello internazionale neppure raggiungevano le dita di una mano, oggi invece?
      [Complimenti per il bellissimo articolo]
      Cesare

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    The dark side of the moon 28 Aprile 2017 at 09:03

    Ragazzi, oramai è stato detto tutto riguardo gli scacchi veloci e puntualmente si continuano a ripetere le stesse cose.
    Non scopriamo certo l’acqua calda nel dire che sono una disciplina NON paragonabile agli scacchi classici.
    Possono essere utili per chi gioca già benino in modo tale da poter affinare il classico “colpo d’occhio”.
    Stop.
    TUX, l’esempio che hai fatto con l’atletica non calza affatto.
    L’atletica ha diverse specialità totalmente diverse tra loro e non è ASSOLUTAMENTE vero che la velocità sia il minimo denominatore comune.
    Trovami qualche punto di contatto tra i 100 metri e il lancio del peso…
    Nell’atletica conta poi anche l’intelligenza (come in ogni altra attività) al contrario di quanto affermi: gestirsi per una maratona è anche e a volte soprattutto una questione di testa.
    PS
    Di fronte ad un articolo cosi bello come questo di Cecchelli, si è discusso di….?
    Mi ci metto anche io di mezzo con questo post ma non potevo far passare certe “tesi” sull’atletica.

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      Tux 28 Aprile 2017 at 19:21

      Chiedo scusa, sì, son stato poco preciso. Dato che si faceva riferimento ai 100 metri e alla maratona, alla velocità e al fondo. ho dato erroneamento per scontato che si parlasse di atletica leggera. In ogni caso mi riferivo alle gare di corsa in generale. Quelle appunto in cui è la velocità a far da discriminante, l’esatta antitesi di quello che richiede analisi e approfondimento, perciò tempo.

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    Enrico Cecchelli 28 Aprile 2017 at 09:59

    In quanto autore dell’articolo mi sento di intervenire nell’interessante dibattito in corso.
    La mia personalissima opinione è che il blitz sia una “disciplina” a sè stante e che non vada nè demonizzata nè assolutizzata. Sono in parte vere tutte le cose positive come quelle negative attribuitele. D’altra parte come dice giustamente Fabrizio la cappella in ristrettezze di tempo ( e spesso anche con tutto il tempo a disposizione! ) è sempre in agguato e rischia costantemente di sminuire una perfetta concezione strategica fin lì perseguita, premiando senza meriti il nostro fortunato ( e spesso non sportivo ) ma tenace avversario. Se poi guardiamo all’ ” aberrazione ” …. non è che il gioco per corrispondenza sia tanto più limpido e sportivo ( oggi ci sono i computer e ieri c’erano le sedute in consultazione con più cervelli ad analizzare le mosse. Ancora, se nel gioco e nel tempo sono state istituite più cadenze di gioco( corrispondenza, normale, 30′, 15′, 5′ ), non è semplicemente una scala di grigi? Il giudizio negativo sul blitz potrebbe riverberarsi sul suo più immediato vicino, il semilampo. Inoltre dovremmo considerare che se una nazione come l’ex Russia, dove è praticamente nata la cultura scacchistica, teneva in così grande considerazione il gioco blitz da istituire praticamente in ogni grossa città un campionato di tale disciplina, forse qualche domanda dovremmo porcela. I russi sono stati i primi ad istituire scuole scacchistiche e trainers, e certamente il problema l’avranno sviscerato prima di noi. Secondo me l’importante, come in ogni cosa, è che le regole siano chiare, semplici e condivise: è chiaro che se tu spendi 4 minuti per le prime 15 mosse o per sviscerare una posizione con sacrificio ( e quindi presumibilmente avrai più possibilità di acquisire un vantaggio), la tua splendida posizione potrà collassare quando ti resteranno 20 ” per finirela partita e farai una banale cappella…Sono le regole del gioco. Il tuo avversario sarà stato più uniforme nella gestione del tempo assumendosi il rischio di una posizione inferiore ma magari ancora gestibile grazie al gruzzoletto di tempo risparmiato.
    Per fortuna c’è la libertà di non giocare a tali cadenze se non se ne convidono le regole che certamente sono più ludiche rispetto alla cadenza normale ma che permettono di fare una partita ( o un torneo), in maniera più rilassata e con meno pressione ( o comunque diversa… ) rispetto ad una partita normale. E poi … la butto lì: la figura da “stupido” che facciamo quando il nostro avversario ride sotto i baffi ( che noi gli facciamo) per il matto in una che ci ha dato con 12 pezzi in meno ed un secondo sull’orologio, non sarà forse frutto di qualche complesso esclusivamente nostro? Sarà capitato anche a lui qualche volta! Basta non giocare! Chi non ha assistito a qualche seduta di “mangia e passa” ? Che è gioco quello?. Certamente l’argomento è interessante e difficile da inquadrare.

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    Un lettore 29 Aprile 2017 at 10:49

    Bellissimo ritratto, complimenti. Solo per curiosità: ci vogliono settimane, se non mesi, per un lavoro come questo, vero? Davvero magnifico.

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      Enrico Cecchelli 29 Aprile 2017 at 12:18

      In effetti …. Mi è costato un po’ di tempo… Ma con piacere per SoloScacchi!

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    paolo bagnoli 29 Aprile 2017 at 11:03

    Carissimo Enrico, appena uscito dall’ospedale accendo su SoloScacchi e cosa trovo? Un autentico capolavoro di ricerca e narrativa. Formidabile!

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      Uomo delle valli 29 Aprile 2017 at 11:47

      Grande Paolo! Rimettiti presto che ti vogliamo tutti in piena forma per riempire le pagine di SoloScacchi coi tuoi pezzi meravigliosi!

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        paolo bagnoli 29 Aprile 2017 at 18:18

        La MegaRedazione dovrebbe avere qualcosa di mio nel cassetto…..

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