Milano 1968

Scritto da:  | 16 Luglio 2017 | 33 Commenti | Categoria: C'era una volta, Campionati Italiani, Italiani, Tornei

Recuperando l’annata 1968 dell’Italia Scacchistica per vedere cosa avevano scritto sul torneo di Ybbs, ho trovato il resoconto del Campionato Italiano del 1968 giocato al Castello Sforzesco a Milano dal 6 al 16 giugno.
Ricordavo che ero andato qualche volta a vedere il torneo, naturalmente non potevo partecipare ai tornei di contorno perché ero in periodo di esami.
Vedendo che erano pubblicate tutte le partite senza note, mi è venuta la tentazione di esaminarle con gli occhi di oggi.
La domanda che mi sono fatta è: come giocavano i maestri di allora?
Esaminare tutte le partite sarebbe troppo, mi sono limitato ai primi in classifica per i primi e l’ultimo turno.

Primo turno
Contedini – Laco 1-0
Siciliana in cui il bianco va in vantaggio in apertura, sacrifica due pedoni per un attacco non chiaro, ma considerato vincente da stockfish, poi sacrifica un pezzo in una situazione sempre più confusa, continua l’attacco quando dovrebbe accontentarsi della parità fino alla 36ª quando il nero, in netto vantaggio, sbaglia e prende matto in due.

Grassi – Cappello ½
Siciliana con c3 che evolve in una posizione di blocco circa pari. In finale Grassi sottovaluta il rischio di avere una torre bloccata sul lato di donna, Cappello fa un sacrificio di pedone che lo porta in posizione vincente, ma difficile, perde il filo ed è costretto a dare il perpetuo alla 41ª con Donna per Torre non potendo altrimenti fermare un pedone libero bianco.


Calapso – Paoli ½
Partita soporifera, Spagnola con d3 con lunghe manovre senza uno scopo preciso, sempre in parità. Patta alla 65ª quando sono arrivati ad un finale di torre assolutamente patto.

Classifica dopo il primo turno:
Palombi, Magrin, Contedini 1; Grassi, Cappello, Calapso, Paoli, Napolitano Siveri ½; Ginoulhiac, Pegoraro, Laco 0.

Secondo turno
Paoli – Napolitano ½
Siciliana aperta in cui Napolitano alla 16ª sacrifica un pedone per la coppia degli alfieri ed un gioco libero dei pezzi. Il compenso è a stento sufficiente, ma poi tenta una combinazione in cui Paoli non cade e si trova in svantaggio (netto secondo stockfich, ma sarà vero?). Fatto sta che realizzare il vantaggio non è facile, Paoli non trova la strada, ammesso ci fosse, e la partita finisce patta alla 45ª in una posizione dove il pedone in più è del tutto ininfluente.

Cappello-Calapso 1-0
Cappello si sviluppa semplicemente contro la Pirc di Calapso, poi sacrifica un pedone che non era da accettare, manca un paio di volte il colpo del KO, e si continua in posizione complicata fino alla 39ª quando a Calapso, in leggero vantaggio, perde per il tempo.

Laco-Grassi 0-1
Inglese con e5 in cui Laco esce dall’apertura in leggero vantaggio ma alla 16ª fa un errore per cui perde un pedone. Grassi realizza il vantaggio con buona tecnica, restituisce il pedone per spingere i pedoni centrali ed alla 41ª il bianco abbandona.
Pegoraro-Contedini 1-0
Contedini abbandona il suo usuale gambetto Janisch per la Berlinese e Pegoraro lo assale con un pericoloso sacrificio di pezzo; la posizione è molto difficile e Contedini non sceglie la continuazione migliore (in buona compagnia tra cui un certo Naiditsch 2697) e ne esce con un pedone in più ampiamente compensato dal miglior sviluppo dei pezzi bianchi. Alla 12ª mossa Pegoraro tra i 5 che hanno raggiunto la posizione è l’unico che gioca la mossa migliore suggerita da stochfish, e continua l’attacco senza dare scampo costringendo l’avversario all’abbandono alla 31ª.

Classifica dopo il secondo turno:
Palombi 2; Magrin, Grassi, Cappello 1½; Contedini, Paoli, Napolitano, Pegoraro 1; Calapso, Siveri, Ginoulhiac ½; Laco 0.

Terzo turno
Contedini-Ginoulhiac 1-0
Francese blocco; Contedini si lancia in un furioso attacco sicuramente scorretto; Ginoulhiac manca almeno un paio di volte la difesa migliore e alla fine crolla sotto i colpi e abbandona alla 26ª appena prima di prendere matto.

Grassi-Pegoraro 1-0
Una variante minore e teoricamente inferiore della partita dei due cavalli in cui il bianco sacrifica in f7. Tutti e due mancano qualcosa in apertura e il nero gioca quasi tutta la partita con materiale pari e vantaggio di posizione. Dopo molte complicazioni si arriva ad un finale pari, ma alla 44ª Grassi non vede un sacrificio di qualità e alla 50ª abbandona.

Napolitano-Cappello 0-1
Est Indiana con blocco e fianchetto bianco.
Cappello dimostra che tratta molto bene anche le posizioni chiuse; senza che l’avversario faccia errori evidenti prende lentamente il sopravvento. In una posizione col centro bloccato attacca prima sul lato di donna, poi sul lato di Re e ancora sul lato di donna. Manca una combinazione che guadagna un pedone alla 38ª ma la fa alla successiva e vince alla 49ª.
Una partita notevole.

Siveri-Paoli 0-1
Siciliana aperta in cui Siveri gioca senza idee; Paoli ne approfitta per prendere l’iniziativa e con un gioco lineare vince senza difficoltà. Abbandono alla 31ª.

Classifica dopo il terzo turno
Palombi 3; Cappello 2½ Contedini, Paoli, Pegoraro 2; Magrin, Grassi 1½; Napolitano, Calapso 1; Siveri, Ginoulhiac, Laco ½.

Quarto turno
Palombi-Paoli ½
Siciliana con Ab5 e poi Af1 uno schema che giocava spesso Canal. Stockfish sostiene che il bianco poteva passare in vantaggio in apertura in un paio di occasioni, ma è tutto da dimostrare. La partita prosegue equilibrata fino alla 25ª quando viene concordata la patta con ancora molte possibilità di gioco, la prima volta nelle partite viste finora. Probabilmente entrambi pensavano alla classifica.

Cappello-Siveri ½
Spagnola in cui il bianco sta subito meglio, ma non si vede mai una strada chiara per andare in vantaggio; non succede nulla e si arriva in un finale di cavalli dove se uno sta meglio è il nero. Patta alla 40ª.

Ginoulhiac-Grassi 0-1
Grassi gioca la francese con 2…Ce7, una mossa che non esiste neanche nell’enciclopedia delle aperture! Non esiste confutazione, non è peggio di tante altre, dimostra che spesso ci si fossilizza a giocare sempre le stesse mosse, mentre ci sono tante altre possibilità.
Ginoulhiac sembra confuso dalla posizione non convenzionale, non segue i suggerimenti di stochfish che in teoria dovrebbero portarlo in vantaggio e probabilmente non si rende conto che dovrebbe pensare a non perdere. Grassi gioca alcune buone mosse non ovvie e alla 17ª sacrifica una qualità per cui prende successivamente un secondo pezzo. Per concludere l’attacco sacrifica l’altra torre, per cui rimane con 3 pezzi minori contro 2 torri, il bianco abbandona alla 35ª.
Una bella vittoria.

Magrin-Contedini ½
Per l’occasione Contedini sfodera una delle sue specialità, il Gambetto di Budapest variante Fajarowics. Magrin gioca per evitare ogni rischio, non cerca di conservare il pedone e rimane in posizione lievemente inferiore. Alla 21ª Contedini fa una mossa debole che perde il suo minimo vantaggio, patta alla 25ª.

Classifica dopo il quarto turno:
Palombi 3½; Cappello 3; Contedini, Paoli, Grassi 2½ Pegoraro, Magrin, Napolitano, Calapso 2; Siveri 1; Ginoulhiac Laco ½.

Quinto turno
Contedini-Palombi 1-0
Francese blocco; Contedini prende gradualmente vantaggio, alla 24ª Palombi manca la difesa migliore e l’attacco diventa irresistibile; sacrificio di alfiere alla 29ª e abbandono alla 31ª .

Grassi-Magrin 1-0
Siciliana aperta dove il bianco arrocca lungo e attacca; alla 18ª potrebbe scegliere una mossa relativamente tranquilla con gioco equilibrato, ma continua l’attacco in modo avventuroso.
Posizione molto complicata, il nero sacrifica correttamente una qualità e sarebbe in minimo vantaggio, ma basta una mossa debole per rovesciare la situazione. Alla 29ª il bianco guadagna un pezzo e la partita è decisa anche se si continua fino alla 41ª.

Ed ecco la partita che per prima ha attirato la mia attenzione ed ha originato il mio interesse per il torneo.

Enrico Paoli vs. Guido Cappello, 1-0

Milano 10 giugno 1968 (5° turno)

1.e4 e5 2.Cf3 Cc6 3.Ac4 Cf6 4.Cg5 Ac5

Posizione dopo 4…Ac5

Guarda un po’ chi si rivede? L’attacco Traxler!! Ci voleva la follia di Cappello per giocare questa apertura in una occasione tanto importante. Cappello era in testa al torneo con 3 su 4, Paoli, Contedini e Grassi seguivano a mezzo punto.
Una decisione sbagliata sotto tutti i punti di vista; probabilmente Cappello sapeva che qualche anno prima Bonfioli aveva vinto con Paoli giocando il gambetto Greco, si considerava giustamente superiore all’avversario nella tattica e contava di ripetere il colpo, ma io avrei dato per certo che Paoli era ben preparato su questa apertura.

5.Axf7+
Paoli sceglie la variante più sicura. Abbiamo l’occasione di vedere qualcosa sull’altra variante principale dell’attacco Traxler, le mie due partite che ho fatto vedere erano continuate con 5.Cxf7.

5…Re7 6.Ad5 Tf8 7.0-0 De8?!

Posizione dopo 7…De8?!

Una inversione di mosse; è meglio 7…d6 aprendo subito la strada all’Ac8 per cui il bianco come sua migliore deve giocare 8.h3; anticipando De8 il bianco può risparmiare questa mossa e un tempo in queste posizioni è vitale. Cappello continua in modo poco ispirato e va rapidamente in posizione persa.

8.c3! d6 9.d4 Ag4?! (Ab6) 10.Axc6 Axd1?! (Dxc6) 11.Axe8 Ae2 12.dxc5?
Non capisco perché non salvare la qualità con 12.Te1; il vantaggio materiale è superiore e contrapponendo pezzi dello stesso tipo è tecnicamente più facile vincere.

12…Axf1 13.cxd6+ cxd6 14.Rxf1 Taxe8

Posizione dopo 14…Tae8

La situazione si è chiarita. Il bianco con Alfiere, Cavallo e pedone per una torre è in largo vantaggio materiale, deve solo sistemare i suoi pezzi mentre il nero non può far niente di pericoloso.
Proseguendo Cappello è riuscito a raggiungere una posizione di blocco, dove era difficile sfondare, ma Paoli dopo un po’ di tentativi e ripensamenti ha trovato la via giusta e ha vinto alla 47ª.

Fu l’unica sconfitta di Cappello nel torneo; da mezzo punto davanti a Paoli è andato mezzo punto dietro e non ha più recuperato.
Come buttare la possibilità di vincere un Campionato Italiano!
Classifica dopo il quinto turno:
Palombi, Contedini, Paoli, Grassi 3½; Cappello, Pegoraro 3; Napolitano, Calapso 2½ Magrin 2; Laco 1½; Siveri, Ginoulhiac 1.

Saltiamo adesso all’ultimo turno. Gran finale: si incontrano i primi due in classifica a pari punti ed i due al terzo e quarto posto, gli altri sono staccati.
Classifica dopo il decimo turno:
Paoli, Grassi 7½; Cappello, Contedini 6½; Palombi 5½; Pegoraro, Calapso 5; Napolitano, Magrin, Laco 4; Ginoulhiac 2½; Siveri 2.

Undicesimo turno
Paoli Grassi ½
Siciliana dragone accelerato; Paoli arrocca corto e cerca di non prendere rischi, probabilmente ha calcolato di avere lo spareggio favorevole per cui gli va bene anche la patta. Grassi riesce ad ottenere un minimo vantaggio e si va avanti fino alla 39ª quando si arriva ad un finale di torre; qui Stockfish suggerisce un miglioramento, a mio avviso insufficiente per vincere e la patta è siglata alla 93ª.

Cappello-Contedini 1-0
Contedini insiste con la Berlinese, la difesa adottata contro la Spagnola in questo torneo; i giocatori seguono una delle varianti principali fino alla 10ª mossa e la partita prosegue il parità fino alla 15ª quando il nero fa un cambio che apre la colonna c al bianco e cade in inferiorità. Il bianco forse non sfrutta completamente la situazione e alla 23ª il nero ha la mossa per equilibrare, ma sbaglia e permette una lunga combinazione quasi forzata per cui alla 29ª rimane con alfiere e pedone contro due cavalli. Il finale è perso ma presenta ancora qualche difficoltà, la partita prosegue fino alla 39ª quando in nero abbandona.

Classifica finale:
Paoli, Grassi 8; Cappello 7½; Contedini 6½; Palombi, Pegoraro 6; Calapso, Laco 5; Napolitano 4½ Magrin 4; Siveri 3; Ginoulhiac 2½.

Quindi Campione Italiano Paoli per spareggio su Grassi, terzo da solo Guido Cappello a mezzo punto, quarto Contedini.

Le partite sono tutte su chess365 chi vuole approfondire può andare a vederle.
Ho confrontato il campionato Italiano del 1968 con il campionato del 2016 a Roma di cui ho visto tutte le partite.
Cominciamo dai dati oggettivi.
Categorie: nel ’68 un Maestro Internazionale e 11 Maestri nel 2016 credo 7 GM e 6 MI.
Età: non ho fatto calcoli precisi, ma direi nel primo caso intorno ai 40 anni e nel secondo intorno ai 25; i giocatori più giovani e più vecchi dovrebbero essere Laco (30) e Paoli (60) contro Lodici e Moroni (17) e Godena (49).
Professione: nel primo caso tutti veri dilettanti cioè con una attività lavorativa, non studenti nullafacenti o persone che vivessero di rendita, nel secondo tutti professionisti, semiprofessionisti o studenti.
Punteggio finale: nel ’68 due vincitori ad 8 punti, l’ultimo a 2½ nel 2016 4 vincitori a 6½ l’ultimo a 3½.
Numero di vittorie: su 132 partite 40 (30,4%) nel ‘68, 25 (18,9%) nel 2016; le patte corrispondentemente 39,4% e 62,1%.
A questo punto bisogna tirare le conclusioni.
Premetto che nel ’68 il campionato era stato considerato di livello inferiore un po’ perché mancavano i vincitori degli anni precedenti, un po’ perché tra i vincitori Paoli era considerato ormai vecchio e Grassi non era ritenuto uno dei maestri italiani di punta.
Il maggior numero di patte può essere spiegato in due modi: maggior equilibrio tra i giocatori, più alto livello tecnico o minor combattività.
La prima spiegazione è opinabile, di difficile valutazione, la seconda è certa.
Nel ’68 patte in 12 mosse proprio non ce ne sono state e non ho visto neanche partite giocate con l’apparente obbiettivo “primo non perdere”.
Si è detto giustamente che il modo più efficace per cercare di vincere un torneo all’italiana sia di risparmiarsi tra i favoriti e giocare alla morte con i più deboli: nel ’68 l’atteggiamento negli scontri tra i favoriti era più: “intanto provo a vincere, poi si vedrà”.
L’aggressività dei maestri del ’68 è evidente.

Molti non cercavano tanto la mossa migliore, ma quella che metteva più in difficoltà l’avversario.
Il pensiero è illustrato bene da una affermazione che ricordo aver sentito da Cappello: “A volte a scacchi non vince il giocatore che ha l’idea più giusta per una certa posizione; vince il giocatore che segue la propria idea con maggior coerenza, che ci crede di più.”
E ancora di più da una affermazione paradossale sentita da Grassi: “Per vincere bisogna mettersi in una cattiva posizione”. Intendeva che è difficile vincere una posizione pari, meglio squilibrare la posizione anche a costo di stare oggettivamente peggio, e invitare l’avversario a sbilanciarsi attaccando.
Certamente ci sono degli errori, ma non tanti e non tanto gravi; ovviamente è molto più facile sbagliare se si gioca per vincere e si è disposti a rischiare, le patte guardinghe in 20 mosse senza errori dell’ultimo campionato non contano, devono essere considerate fuori dalla statistica.
Bisogna anche tener conto che alcuni giocatori hanno iniziato il torneo fuori forma perché non giocavano da tempo e hanno migliorato notevolmente il loro livello di gioco nel corso del torneo; Contedini ha giocato male le prime tre partite, anche se ne ha tirato fuori 2 punti, Laco ha iniziato con ½ su 4 e ha finito con 5 su 11.
In maggioranza i maestri del ’68 avevano il loro punto di forza nella tattica e conseguentemente aprivano più frequentemente con e4; le partite di impianto strategico sono relativamente poche. Si può supporre che in questo campo fossero meno forti, ma manca la controprova.
Anche sulla tecnica non ho appunti da fare; tutte le volte in cui un giocatore è andato in vantaggio decisivo ha portato a casa il punto senza incertezze.
Concludendo nelle partite che ho esaminato ho trovato un livello di gioco migliore di quanto mi aspettassi.
I confronti sono opinabili, ma a me il livello di gioco sembra paragonabile a quello del Campionato 2016. Voi che ne pensate?

avatar Scritto da: Giancarlo Castiglioni (Qui gli altri suoi articoli)


33 Commenti a Milano 1968

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    mbettalli 16 Luglio 2017 at 12:35

    caro Castiglioni,

    innanzi tutto grazie per aver introdotto il tema del valore dei giocatori di una volta rispetto quelli di oggi, che anch’io trovo affascinante. Credo però che la tua conclusione, che le partite siano “confrontabili”, sia un po’ ambigua. Prima di affrontare il tema del valore intrinseco delle partite, c’è da premettere quanto tu già peraltro sottolinei: si tratta di giocatori non comparabili, nel senso che i “vecchi” erano dilettanti che si divertivano a giocare, in modo per lo più aggressivo, mentre i “giovani” sono sostanzialmente professionisti che pensano a molte cose prima che a divertire chicchessia, il pubblico o loro stessi. Da qui le molte patte più o meno d’accordo. Gli scacchi sono profondamente cambiati, sono uno sport e non più un’attività, per così dire, “culturale”. Detto questo, in relazione al valore delle partite, penso che Dvyrnyy (non so se azzecco tutte le y), Brunello, David e Godena (per citare solo i migliori del 2016) siano, in assoluto, enormemente superiori al buon Paoli o a Grassi e Guido Cappello. L’affermazione mi pare semplicemente banale, suffragarla “matematicamente” non è così facile, ma i risultati dei suddetti in campo internazionale, con confronti continui con GM 2600 e oltre, mi pare non lascino spazio a dubbi.

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      Giancarlo Castiglioni 16 Luglio 2017 at 16:21

      Il confronto con i giocatori stranieri significa poco, non metto in dubbio la forza dei maestri attuali.
      Il problema è dare un giudizio oggettivo sul valore delle partite.
      Mi pare che siano stati fatti dei tentativi di valutare il punteggio ELO dei giocatori esaminando le partite con un programma di scacchi.
      I confronti che possiamo fare noi lasciano il tempo che trovano.
      Vorrei precisare un paio di cose.
      Scrivendo “erano dilettanti che si divertivano a giocare” dai l’impressione che non dessero molta importanza al risultato.
      Non era assolutamente così; giocavano in modo rischioso, ma l’obbiettivo era vincere.
      Poi scrivi che gli scacchi sono profondamente cambiati, indubbiamente vero, ma non perché adesso sono uno sport e non più un’attività, per così dire, “culturale”.
      Devi pensare che i dilettanti di allora spesso dovevano fare sacrifici maggiori dei professionisti di oggi, nello studio, nella famiglia, nelle ferie, nel lavoro; per farlo ci vuole una grande passione.
      Quindi non sono assolutamente d’accordo, gli scacchi agonistici sono sempre stati uno sport, indipendentemente che fossero giocati da professionisti o dilettanti.

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    Fabio Lotti 16 Luglio 2017 at 15:05

    Bel ritratto scacchistico italiano. Penso che un tempo si osasse di più anche perché meno consapevoli del “futuro” sulla scacchiera. Oggi ragazzini come Francesco Bettalli (ciao, Marco), attraverso le loro capacità e conoscenze teoriche, riescono a pattare anche contro i Grandi Maestri.

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    Giancarlo Castiglioni 16 Luglio 2017 at 15:30

    Prima di tutto ringrazio Martin per aver aggiunto le partite ai miei commenti.
    Non avevo intenzione di farti lavorare così tanto, ma così il pezzo è molto più bello.

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    Martin 16 Luglio 2017 at 16:32

    Grazie a te Giancarlo per questo nuovo eccezionale lavoro… definirlo monumentale sarebbe riduttivo ;)

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    mbettalli 16 Luglio 2017 at 17:04

    Hai ragione, sono sembrato inutilmente “sprezzante”, ma non era assolutamente mia intenzione e mi scuso. L’agonismo c’era eccome. Soltanto, come scrisse anche Tatai in un articolo su Scacco degli anni 70, i maestri italiani, tranne rarissime eccezioni, non avevano quel bagaglio tecnico (specie nei finali, ma anche nelle aperture) necessario per affrontare i giocatori stranieri più forti. In questo sì mostravano il loro “dilettantismo”. Quanto al giudizio oggettivo sulle partite valutando gli errori e “traducendo” in ELO, sarebbe interessante farlo. Ma non è cosa da venti minuti… e io non la so fare!

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      Giancarlo Castiglioni 16 Luglio 2017 at 22:10

      Non devi scusarti, lo immaginavo, infatti ho scritto “dai l’impressione”.
      Tatai giudica dal suo punto di vista, tra i maestri italiani del periodo era sicuramente il più preparato sia nelle aperture che nei finali.
      Io vedo il gap più nelle aperture che nei finali.
      Certamente nei finali ben pochi avevano studiato certe sottigliezze teoriche, forse Alfiere e Torre contro Torre sulla scacchiera non sarebbero riusciti a vincerlo, ma in partita sono situazioni rare, i finali pratici sapevano giocarli bene.
      Almeno questo per i maestri più forti, meno per quelli di seconda fascia.
      Per le aperture non giocavano varianti alla moda; un po’ come i grandi maestri di punta di oggi.

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      Franco Trabattoni 20 Luglio 2017 at 01:52

      Quell’articolo di Tatai me lo ricordo bene (anche perché in qualche modo ci colpiva tutti); e coglieva indubbiamente nel segno: molti maestri italiani potevano anche avere un discreto talento, ma erano spesso approssimativi sul piano teorico. E la faccenda era grave soprattutto per quel che riguarda le aperture, perché dall’apertura si passa per forza e lì si decide buona parte della partita. Del resto in assenza di strumenti elettronici la preparazione “ad personam”, che oggi è parte indispensabile del lavoro che un giocatore scrupoloso svolge in un torneo, era molto più macchinosa e richiedeva tempi di esecuzione molto lunghi. Anche per quanto riguarda i tornei chiusi, in cui era possibile conoscere in anticipo i nomi degli avversari, lo sforzo era comunque doppio, perché occorreva prepararsi per entrambi i colori. Di conseguenza il giocatore preparato in apertura doveva quasi per forza costruirsi un bagaglio di conoscenze di tipo estensionale, tentando di avere qualosa di pronto per tutti o quasi tutti i possibili sviluppi. Uno che volesse giocare e5 contro e4, ad esempio, doveva avere pronto qualcosa anche controm il Gambetto di re. E di questo tipo era appunto la preparazione di Tatai. Una volta gli chiesi se gli accadeva mai di essere sorpreso in apertura con qualcosa che non conosceva (dunque a esclusione delle novità teoriche), e lui mi rispose, sorridendo, semplicemente con un “no”. La stessa cosa di può dire di Bela Toth, che pure imperversava tra gli anni ’70 e ’80: aveva un mostruoso archivio di schede, certosinamente catalogate e ordinate in pile e pile di scatole da scarpe. Lo stesso Mariotti, che non amava affatto studiare gli scacchi, non sarebbe certo arrivato dove è arrivato se non avesse studiato molto accuratamente quel piccolo pacchetto di aperture eccentriche contenute nel mitico libriccino di Gunderam (spagnola con Df6, Est Indiana “sei pedoni”, ecc.). Il fatto che poi riuscisse cavare il massimo e anche di più da questi impianti dadaisti è tutto a carico del suo smisurato talento: ma la conoscenza di base indubbiamente c’era anche lì. Ma il punto è che Tatai e Toth, e per qualche anno anche Mariotti, si sono dedicati interamente agli scacchi. E a quei tempi era un lusso che pochi si potevano permettere. Mariotti ha dovuto smettere in fretta; Toth sopravviveva con sovvenzioni mecenatizie, e quando queste mancavano non dico che facesse la fame, ma poco ci mancava. Tatai, dal canto suo, dava l’impressione (magari mi sbaglio) che gli scacchi non fossero l’unica risorsa econonica di cui disponeva. Insomma, il problema era reale, e dunque Tatai aveva visto giusto. Ma all’interno dei limiti in cui allora erano confinati gli scacchi in Italia era probabilmente insolubile

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        Giancarlo Castiglioni 20 Luglio 2017 at 08:41

        Perfettamente d’accordo; e aggiungo che il limite di Mariotti probabilmente é stato nelle aperture minori che giocava, anche se accuratamente studiate.
        E’ una scorciatoia che permette di arrivare fino ad un certo punto, ma poi per migliorare è necessario studiare le strade principali.
        Taruffi ha avuto lo stesso problema.

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        alfredo 21 Luglio 2017 at 12:56

        L articolo di Tatai lo ricordo anch’io ma non riesco a trovarlo . Potrebbe essere ripubblicato ?
        a mio modo di vedere la ” mancata ” svolta di Mariotti fu il suo totale insuccesso al torneo di Milano 75 dove concluse solo con 5 patte . All’ultimo turno con il nero pattò con Karpov in posizione che molti definirono superiore ma che a ben vedere era impossibile da vincere , anzi se Karpov avesse raggruppato i pezzi in un dato modo le piu’ concrete possibilità di vittoria le avrebe avute Karpov che un mese prima lo aveva liquidato in 25 mosse a Portorose dove Mariotti gioco’ la nefasta Df6 .
        Ma come lui stesse ammise scherzosamente c’erano 11 campioni e un brocco !
        In realtà brocco non era ovviamente e anche in seguito ebbe modo di diostrarlo ma forse sentiva il ” bisogno” di emozionare il pubblico . Cosi’ si spiegano ad esempio la spinta in h4 ( una sua passione) contro Portisch o l’attaccco con sacrificio in h5 contro Browne ( partita del tutto simile a quella vinta contro il grande Polu ( ma per un clamoroso errore finale del campione russo) dell’anno prima . Un risultato ( alla sua portata) piu’ decente in quel torneo secondo sarebbe stato un trampolino di lancio verso l’elite . e in fondo l’anno dopo dimostrò a Manila che in quellla elite ci poteva stare benissimo .
        Certo il suo potenziale d aperture era surreal dadaista .
        Ma ho un ricordo preciso . Venezia 74 . Mi alzo alle sette del mattino per andare al liceo . Alla radio : clamoroso . Un italiano batte a scacchi un campione russo
        Era la sua vittoria contro Savon in cui nella variante Panov della Caro Kann gioco’ c5 . e dove ea ” teorzzata” questa ” stangata ? Sui famigerati libretti del Gunderam !

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    paolo bagnoli 16 Luglio 2017 at 17:26

    Per quello che può valere, mi dichiaro d’accordo con le considerazioni fatte da Giancarlo.

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    The dark side of the moon 16 Luglio 2017 at 20:28

    Un plauso all’originale ed interessante articolo di Castiglioni.
    Non entro nel merito perché non possiedo le conoscenze necessarie.
    Mi preme solo ringraziare ancora una volta il grande lavoro di Martin che aggiunge ad ogni pezzo quel qualcosa in più che lo rende speciale.

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    Uomo delle valli 17 Luglio 2017 at 07:23

    Assolutamente strepitoso! Pezzi come questo non hanno confine.

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    Pietro Conti 17 Luglio 2017 at 16:46

    Scusate se mi intrometto per una ‘comunicazione di servizio’ indirizzata a Martin:
    ti ho inviato del materiale e tre mail senza ricevere risposta.
    Siccome il mio server di posta elettronica fa spesso i capricci, mi chiedo se hai ricevuto
    quanto sopra elencato.
    Grazie e ciao a tutti.

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      Martin 17 Luglio 2017 at 17:20

      Ciao Pietro, meno male che mi hai scritto anche qui perché purtroppo non ho ricevuto nulla.
      Per favore riprova su: soloscacchi@gmail.com
      Grazie

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    Enrico Cecchelli 17 Luglio 2017 at 17:42

    Bel pezzo ed interessanti considerazioni!

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    Luigi O. 17 Luglio 2017 at 21:15

    Interssantissimo ed eccellente lavoro. Trovo tuttavia fuorviante il confronto tra i maestri di oggi e quelli del passato. Sarebbe come tentare il paragone tra Pantani e Binda. Tra un ciclista contemporaneo ed uno degli anni che furono. Ora vanno tutti più forte, raggiungono medie per l’epoca neppure lontanamente immaginabili, probabilmente hanno una posizione sul mezzo più aerodinamica e sono anche stilisticamente più belli da vedere ma nessuno di questi avrebbe tenuto la ruota di un Binda, di un Bobet o di un Fausto. Scherziamo?
    Non facciamo l’errore di confondere il progresso della tecnica con la grandezza dell’atleta, vi prego.

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      Giancarlo Castiglioni 17 Luglio 2017 at 22:53

      Non mi interesso di ciclismo, ma non ne sono tanto sicuro.
      Binda e Coppi erano i più forti del loro tempo, credo che ora il livello medio sia molto aumentato.
      Comunque per gli sport in generale sono d’accordo; sono cambiate attrezzature, metodi di allenamento, quasi tutto.
      Per gli scacchi è diverso; sono cambiati i tempi di gioco, ma per il resto è tutto uguale e le partite sono una registrazione più fedele di una ripresa cinematografica.

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        alfredo 21 Luglio 2017 at 12:59

        Per fare un esempio ciclistico
        all’inizio degli anni 80 ( prima di Kasparov) .
        Karpov era Merckx
        Tatai era Gimondi ( con le dovute proporzioni )
        Mariotti era Roger de Vlaeminck
        Gimondi era la solidità la tenacia . Roger il lampo , la classe purissima , la fantasia

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    Tux 17 Luglio 2017 at 21:17

    Congratulazioni anche da parte mia per lo squisito articolo.
    Giusto una curiosità: quanti dei partecipanti a quel campionato di quasi mezzo secolo addietro sono ancora tra noi? Penso Laco e Contedini, altri?
    Nuovamente complimenti.

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    Giancarlo Castiglioni 17 Luglio 2017 at 23:01

    Oltre a Laco e Contedini Palombi, Pegoraro e Ginoulhiac potrebbero essere al di sotto dei 90 anni.
    Dicono che l’esercizio mentale fa bene, gli scacchisti sono longevi!

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      valdo eynard 18 Luglio 2017 at 19:05

      Pegoraro è scomparso qualche anno fa, Ginoulhiac (1934) tra l’altro mio cognato, è tuttora vivente.

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      Ramon 18 Luglio 2017 at 19:37

      Di Roberto Palombi ha scritto Fabrizio in questo bel ricordo.

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      alfredo 21 Luglio 2017 at 13:02

      Su questo ci sono evidenze scientifiche!!!!!

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    Oleg 18 Luglio 2017 at 11:47

    Giancarlo, davvero bellissimo articolo. Avrei anche io una domanda per te. Avevo letto da qualche parte ma non ricordo dove che il pittore Marcel Duchamp era tra gli spettatori del torneo. Hai avuto per caso occasione di incrociarlo?

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    Giancarlo Castiglioni 18 Luglio 2017 at 19:22

    Non avevo mai sentito questa notizia.
    Duchamp è morto in Francia a 81 anni il 2 ottobre 68, mi sembra improbabile che pochi mesi prima fosse a Milano a vedere il torneo.
    Comunque probabilmente allora non sapevo neanche chi fosse Duchamp e tanto meno che fosse un maestro di scacchi.

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      Walter Longo 18 Luglio 2017 at 19:41

      Le ultime apparizioni scacchistiche di Duchamp sono del 1968, dapprima a un concerto chiamato “Reunion” alla Ryerson University di Toronto, dove giocò con il celebre John Cage, pure grande appassionato.

      Poi a Milano, in giugno, pochi mesi prima di morire, quando venne a Milano e fece una visita al Campionato Italiano insieme all’amico Arturo Schwarz, che poi scrisse: “L’amore di Duchamp per gli scacchi è durato tutta la vita. Nel giugno 1968 siamo andati insieme al Castello Sforzesco di Milano a vedere i migliori giocatori italiani che si battevano per il titolo di campione d’Italia.

      Duchamp trascorse tutto il pomeriggio guardando la bella partita giocata da Guido Cappello (Milano) contro Mario Napolitano (Firenze). Di quando in quando commentava una mossa particolarmente brillante, prediceva la reazione dell’avversario e la contromossa. Circa un’ora prima della fine della partita riuscì a predirne l’esito e le mosse che avrebbero condotto Cappello alla vittoria.

      Al momento di lasciare la sala mi disse “Vedi gli scacchi sono diventati una scienza, ora, non sono più un’arte.”, con una nota di vago rincrescimento nella voce.”

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        Oleg 18 Luglio 2017 at 20:27

        La partita tra Napolitano e Cappello è stata giocata al terzo turno ed è tra quelle riportate da Giancarlo e definita “una partita ntevole”. Chissà se davvero hai incrociato Duchamp senza saperlo…

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          Giancarlo Castiglioni 18 Luglio 2017 at 22:31

          Non credo, ero andato una o due volte al massimo e mi pare nella seconda metà del torneo.

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        chess 19 Luglio 2017 at 11:21

        Bellissimo anedotto.

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      alfredo 21 Luglio 2017 at 13:00

      Per questo tuo articolo che mi riporta bambino di 9 anni ti vorrei abbracciare Giancarlo
      Mi sono commosso fino alle lacrime .

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    alfredo 20 Luglio 2017 at 21:01

    Nel caso di Tatai toglierei il “forse”
    Ho un indizio unico ma inequivocabile da un articolo di D di Repubblica di 25 anni fa più o meno ma che sfortunatamente ho perso.
    Una intervista alla vedova Pannunzio (il fondatore de il Mondo) davanti a una scacchiera che riportava le mosse di una partita di Tatai che conoscevo. Fate voi 2 + 2
    Un tetto sulla testa Tatai lo aveva se non di più.
    Casa Pannunzio era uno dei salotti più chic di Roma e un mio amico scacchista per passione e ex giornalista mi disse di averlo visto lì più volte.
    Lo aveva soprannominato in maniera scherzosa che per rispetto del defunto non ripeterò. Vidi personalmente molte di quelle partite. Prendevo la “Grattoni” (un bus che dai paesi dell’hinterland portava a Piazza Castello).
    Una partita simile Paoli Cappello la giocarono anche al Castiglioni del 73 ( pubblicata su Scacco potrebbe essere reperibile)
    Il torneo fu onorato da un personaggio che pochi riconobbero: Marcel Duchamp!
    Si fermò a commentare la partita Napolitano Cappello.
    Arturo Schwartz quando pubblicò la sua monografia su Duchamp chiese a Guido Cappello di curare la parte scacchistica. E qui un altro ricordo che ancora mi commuove. Fu lì che conobbi Paoli che mi prese in simpatia. Fu il secondo torneo che vidi dopo quello di Venezia ’67.

  17. avatar
    alfredo 20 Luglio 2017 at 21:02

    Scusate, la presenza di Duchamp era nota…

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