Chi pratica gli scacchi non può non conoscere l’ungherese Gyula Breyer, visto che, nonostante la sua brevissima vita, Breyer ha contribuito a formare ed alimentare quella che venne chiamata la “Scuola Ipermoderna”.
Nasce a Budapest il 30 aprile 1893 e già in età giovanile fa circolare il proprio nome negli ambienti scacchistici della capitale ungherese fino a quando la sua abilità non viene consacrata il 26 gennaio 1911 quando, non ancora diciottenne, batte in simultanea l’allora campione mondiale Lasker. Quello stesso anno gioca al torneo di Colonia, piazzandosi al sesto posto, poi, nel 1912 in giugno è settimo a Pistyan (9,5 su 17), in luglio è ottavo al Congresso tedesco di Breslavia (8,5 su 17) e nel mese di agosto è a Temesvar (l’odierna Timisoara, oggi in Romania) dove si disputa, con la partecipazione di quasi tutti i migliori giocatori ungheresi, il Campionato Nazionale. Si lascia alle spalle Havasi, Von Balla ed Asztalos, oltre a Reti, di quattro anni più vecchio, col quale stringe una solida amicizia, e vince le 500 corone del primo premio, terminando imbattuto (+7 =7).
Non ha ancora vent’anni ed è già una stella di prima grandezza, grazie anche alla sua notevole capacità di analisi; l’unico lato negativo del quale non è tuttavia responsabile è la salute, che a volte non lo sorregge a dovere. Il 1913 è la volta del suo 6° posto a Scheveningen (7,5 su 13), mentre nel 1914 è quarto al Torneo dei Gambetti (un girone doppio) di Baden-bei-Wien con 10,5 su 18, manifestazione organizzata dal locale Kasino Club in occasione dell’inaugurazione del locale. A luglio del ’14 si presenta a Mannheim, il “torneo interrotto”; quando, in agosto, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, gli organizzatori lanciano il “si salvi chi può”, Breyer è quarto con 7 su 11.
Nel 1915 vince il torneo invernale del Circolo Scacchistico di Budapest; il monte premi di 815 corone viene devoluto per la metà alla Croce Rossa.
E’ negli anni di guerra che Breyer matura la convinzione che “dopo 1.e4 la partita del Bianco è già in crisi”; in realtà non abbandonerà mai del tutto questo tratto di apertura ma, dopo aver proposto la sua variante del Gambetto di Re (1. e4 e5 2. f4 e:f4 3. Df3), sposta la propria attenzione sull’impianto chiuso della Spagnola proponendo la variante che porta il suo nome e che diverrà una delle armi difensive preferite da Spasski.
Nel 1918, a Kosice, nel torneo vinto dall’amico Reti, è terzo e nel 1920, dopo un deludente nono posto a Goteborg, a dicembre vince il forte torneo di Berlino (6,5 su 9). E’ in quell’anno che esce con una rivista, Szellemi Sport, dedicata a diversi giochi di abilità, ma la pubblicazione avrà vita breve scomparendo dopo cinque uscite.
Nel gennaio del 1921 è a Kosice, ingaggiato dal locale Circolo per disputare una simultanea alla cieca che costituirà per diversi anni un record mondiale: +15 =7 -3 il risultato finale. A maggio è terzo al torneo di Vienna; sarà la sua ultima prestazione agonistica. Il 9 novembre 1921, a Bratislava, rimarrà vittima di un mortale attacco cardiaco.
La sua eredità scacchistica è notevole; a parte le proposte che sono già state citate, negli anni postbellici Breyer sperimentò nuovi impianti nella Siciliana, nel Gambetto di Donna, nella Francese e nella Caro-Kann.
Grazie, Paolo!
Grandioso come sempre, grazie Paolo!
Esatto, “dopo 1.e4 la partita del Bianco è già in crisi”, specialmente se a giocarla fosse il sottoscritto (qualora decidessi di giocarla).
Attualmente mi sfugge la sua variante nella Caro-Kann, c’è qualcuno che la ricorda?
Se non facciamo oggi nemmeno lo sforzo per un minimo di ringraziamento di fronte a lavori come questo, per favore evitiamo domani l’ipocrisia di tirar fuori i fazzoletti quando gli autori di questo bellissimo blog ci informeranno che non se la sentono più di dedicare tempo ed energie per mandarlo ancora avanti.
Bell’articolo, come sempre.
A proposito dell’affermazione “dopo 1.e4 la partita del Bianco è già in crisi” va però detto che c’è una discussione sul fatto che sia vera o apocrifa.
L’affermazione in questione venne attribuita a Breyer da Reti nel libro Modern Ideas in Chess [precisamente: (as Breyer preaches in one of his published treatises) ‘after 1 P-K4 White’s game is in its last throes’], ma non è chiaro a quale pubblicazione del Ns. si faccia riferimento. Forse Reti (che lo conosceva personalmente) gliel’ha sentita dire a voce, ma per darle maggior rilievo si è inventato un non meglio precisato “trattato”.
P.S.: Curiosamente, dopo aver riportato l’affermazione in questione, Reti conclude/commenta con la citazione latina “Credo quia absurdum” (ci credo proprio perché è assurdo)
Una domanda: cosa ci fa in testa allo scritto un ritratto di Mieses? Non voglio criticare, ma perchè? Martin, dimmi …..
Mi accodo ai meritati plausi per la qualità del lavoro dell’autore.
Hai ragione, Paolo, questo è Mieses.
è stato un banale errore di cui chiedo personalmente scusa a te e a tutti i lettori.
Nel correggere l’articolo ti faccio anch’io, ovviamente, i più vivi complimenti!
Martin, sono io che mi scuso, non volevo “rampognare”, ma tentavo semplicemente di capire cosa c’entrasse Mieses nella faccenda.
Un abbraccio a te e a tutti
Paolo
Si tratta di una serie di ritratti eseguiti da Leo Nardus nel corso del torneo di Scheveningen (1913); credo che Martin abbia cliccato sull’immagine sbagliata (ah, distrattone…!).
Mi unisco anche io ai meritatissimi soliti complimenti!