E poi chi li lava i piatti?!?

Scritto da:  | 18 Febbraio 2018 | 7 Commenti | Categoria: C'era una volta, Curiosità, Personaggi, Stranieri

A Rodolfo  Walsh, uno che con un nome simile mai avrebbe potuto diventare il presidente della Repubblica Argentina. Gli scacchi lo avevano condotto agli assassinati in ‘Operazione Massacro’ e la mentalità da scacchista lo portarono all’enigmistica ed il giornalismo lo spinse a  decifrare il messaggio in codice nel quale gli USA si attribuivano la paternità della disfatta alla Baia dei Porci.

Sono rimasto in silenzio, senza scrivere, per un annetto.

No, nessuna polemica o litigate con i membri della redazione, nessuna contestazione post Clerical cup, è che più semplicemente non mi sentivo all’altezza di nessuno.

Poi, all’improvviso poco prima di Natale, il nostro Martin bussò alla mia porta e quasi implorandomi mi disse: “Basta Mongo, non ne possiamo più del tuo silenzio. Ti offro il doppio… Il triplo di quello che do agli altri nostri collaboratori, ma devi assolutamente tornare a scrivere per SoloScacchi“.

Si era messo in ginocchio, quasi piangeva, ha perfino aggiunto che sarebbe venuto a lavarmi i piatti tutte le sere…

Come fare a dirgli di no?!?

La realtà non è solo appassionante, è quasi impossibile da raccontare, ma questo fatto merita di essere raccontato e farò del mio meglio, da buon lupetto, nello scriverlo per tenervi con il naso appiccicato al monitor.

Estate del 1969; gli yankee ci hanno appena preso tutti per il culo con le immagini ed i filmati del presunto allunaggio.

Sull’aeroporto di Camiri si sta alzando una fitta e densa nebbia che solo un aereo pilotato dai bravissimi piloti boliviani, abituati nelle vallate della cordigliera andina a queste condizioni atmosferiche, riuscirebbe a tagliare atterrando in tutta sicurezza sulla pista.

Per fortuna il pilota del nostro aereo è boliviano, uno di quelli bravi; non so più quanti e quali santi ho invocato, ma appena toccato terra mi sono sentito sollevato e la baciai, infischiandome del grosso scarafaggio nero che mi passava davanti al naso.

I due soldati che mi sono venuti a prendere mi fanno gentilmente salire su una jeep, che riconosco, dalle foto pubblicate di recente, come essere la famosa jeep di Tania, che l’esercito aveva ormai fatto di sua proprietà, visto che la proprietaria mai avrebbe più potuto reclamarla.

A Camiri, nelle celle predisposte all’interno della caserma militare, alcuni detenuti stanno scontando una pena di 30 anni di reclusione affibbiata loro per insurrezione armata e possesso di armi da fuoco.

Sono proprio loro che sto andando ad incontrare: un argentino, un francese ed un boliviano.

Purtroppo il francese, Regis Debray, non ne vuole sapere di concedere una chiaccherata al sottoscritto e comportandosi da prima donna dell’opera di Parigi, come da quando è stato arrestato due anni prima, chiede di parlare nuovamente con la propria ambasciata. Forse si attendeva un giornalista vero, munito di premio Pulitzer.

Il boliviano, Leon, è impegnato con un lavoro di alta falegnameria e scusandosi mi licenzia, limitandosi solo ad un caloroso abbraccio.

Non vorrei aver fatto tutta questa strada per nulla.

Non mi rimane che l’argentino, il Pelao all’anagrafe Ciro Bustos.

L’Algeria, Cuba, Salta, Nancahuazu e, ovviamente, il Che; sono queste le cose di cui vorrei chiedere, ma appena lo vedo mi coglie un’amnesia totale.

Ciro ha l’aspetto di un pastore protestante che vende bibbie in Guatemala, ma tutto sommato non se la sta passando malaccio: il cibo glielo portano dal ristorante italiano giù all’angolo della strada e quando riesce a ‘comprare’ la collaborazione di qualche soldatino, gli arriva anche una bottiglia di vino.

Riceve regolarmente le visite della moglie, anche di notte, del proprio avvocato e del fratello.

Gli ho portato un regalo, che per fortuna ha passato l’esame della censura del sergente di servizio, il libro ‘Operazione Massacro’ di Rodolfo Walsh, autore argentino che Bustos aveva conosciuto a Cuba come co-direttore dell’agenzia di stampa Prensa Latina da questi fondata con Ricardo Masetti su ordine del Che Guevara.

Mi racconta che lì le giornate sono tutte uguali: sveglia all’alba con rituale puntata ai servizi, dove sui pezzi delle pagine di giornali accartocciate e buttate per terra dai soldati, che le avevano usate per pulirsi, riusciva a tenersi aggiornato su ciò che capitava nel mondo e, cosa più importante, comunicare circa le strategie di difesa con messaggi cifrati con il francese.

Le giornate erano lunghe da far passare, ormai gli interrogatori ed il processo erano alle spalle, e per far trascorrere le ore aveva capito che gli scacchi erano un eccellente passatempo.

«Incominciai così, intagliando un pezzo del gioco, il cavallo, da un manico di scopa e disegnando una scacchiera di cartone, con l’idea di ripetere le partite che apparivano sulle riviste e migliorare così le mie conoscenze rudimentali. Anche Leon si è entusiasmato e così decidiamo di fare di meglio.

I nostri fornitori ci rimediavano bei pezzi di legno, noi sceglievamo quelli senza nodi; chiedemmo ai soldati di guardia altro materiale necessario, come fogli di carta vetrata, seghetti per traforare il legno, lucido da scarpe nero, cartoni e lamette da barba, con cui fabbricammo strumenti per intagliare.

Disegnai un modello degli scacchi, pensando soprattutto a facilitare la levigatura e ispirandomi alla cattedrale di Brasilia, di Niemeyer, che risultò molto bello e moderno, e ci mettiamo all’opera. La prima cosa fu di insegnare a Leon a lavorare su qualcosa di tanto lontano dalla sua professione (era stato un contadino in un’azienda contadina, gaucho nel Beni); per lui le cose si facevano a colpi di machete o di frusta. Disegnai  un modello a grandezza naturale, con le misure esatte e gli mostrai i passi successivi che doveva fare. Dato che non avevamo un bancone da lavoro né presse, bisognava intagliare, limare e levigare tutti i pezzi ricavabili da un blocco di legno, lasciando un buon margine per tenerlo, prima di tagliare con la sega e separare i pezzi. I dettagli più piccoli, come i cavalli, la corona della regina, la croce del re, la testa delle torri e degli alfieri furono l’ultima cosa che fece e la più difficile per lui, ma finì con l’imparare e gli vennero abbastanza bene. I pezzi neri furono curati e lucidati; per i bianchi, lucidammo solo il legno. Le scacchiere le facevo io, come un libro.

Un pomeriggio mentre giocavamo a scacchi nel cortile, un ufficiale si entusiasmò alla vista dei pezzi e chiese di comprarli. Leon gli vendette i suoi. L’ufficiale mostrò orgoglioso il suo acquisto davanti ai colleghi ed iniziò un ondata di richieste, che aumentò col passare del tempo.  Leon accettò di soddisfarle tutte e finì col diventare il virtuale proprietario di una fabbrica artigianale di pezzi degli scacchi, di qualità unica sul mercato locale. Non ricordo il prezzo, che aumentò via via che migliorò il prodotto, trasformandosi nella fonte principale di reddito per Leon, che gli permise di cambiare dieta, vestiti, spirito e umore.

Sebbene anch’io lavorassi dal mattino al tramonto, le entrate erano per lui. Il mio salario era rappresentato dei suoi racconti particolareggiati, che ricostruivano giorno per giorno ciò che era accaduto; ogni evento, ogni aneddoto, ogni situazione, drammatica o allegra della guerriglia.

Leon era il cuoco della guerriglia del Che; avvenne che un giorno, in un accampamento provvisorio e con l’esercito alle spalle, egli scese fino al luogo dove c’era l’acqua da bere e trovò un M2 abbandonato vicino al torrente. Tornando al suo posto di cuoco, lo riferì al Che che mandò qualcuno a stabilire chi fosse il proprietario dell’arma e punire lo smemorato con una settimana di lavoro in cucina. L’incaricato andò e tornò con il fucile, che era proprio quello del Che. L’ordine di punizione era stato dato e il Che, che non accettava alcun privilegio, neppure per sé stesso, prestò servizio in cucina per una settimana. Forse la situazione però fu più dura per  il cuoco, Leon, che per l’aiutante, perché, come poteva dirgli: “Ramon vai a lavare le pentole!”? Glielo ordinava in modo indiretto: “Bisognerebbe lavare le pentole”, oppure “Mi servirebbe dell’acqua…” e il capo partiva col bidone per andarla a prendere. “Manca la legna…” e il Che cercava rametti secchi per il fuoco. Leon poteva fare solo così, altrimenti avrebbe attirato la punizione su di sé per ruffianeria, che il Che non sopportava».

Sento un militare dirmi che il tempo a mia disposizione è finito; ringrazio il Pelao per la chiaccherata concessami e abbracciandolo gli faccio sapere che se un giorno vorrà scrivere la propria storia, farò l’impossibile per farla pubblicare anche in italiano.

La cattedrale di Brasilia

Ramon era il nome usato in Bolivia dal Che Guevara; dalla primavera del 1967, dopo la cattura da parte dell’esercito boliviano dei ‘forestieri’ (come erano chiamati nel diario dal Che,  Bustos e Debray), il Che si farà chiamare Fernando.

Bustos Ciro Roberto (Carlos, Pelado, Pelao). Argentino (1932- 2017). Pittore e giornalista, aiutò a raccogliere fondi per il movimento guerrigliero argentino diretto da Jorge Ricardo Masetti. Chiamato dal Che per discutere sulle attività di sostegno in Argentina, arrivò in Bolivia nei primi giorni di marzo del 1967 e si mise in contatto con Tania che lo portò sino all’accampamento di Nancahuazu il 6 marzo. Fu arrestato a Muyupampa il 20 aprile 1967. Condannato a 30 anni di prigione, fu liberato la vigilia di natale del 1970 con l’amnistia decretata da Juan José Torres. Il suo libro di memorie ‘Il Che vuole vederti‘ è stato pubblicato, con il mio supporto come gli avevo promesso, nel 2016 dall’editore Roberto Massari.

Debray Jules Régis (Danton, Francés, Francese). Francese (1940). Giornalista, ricercatore, intellettuale e politico, autore di ‘Rivoluzione nella Rivoluzione?‘. Fece uno studio sociale nella zona dell’Alto Beni e della Bolivia. Chiamato dal Che per discutere le attività di appoggio dall’Europa alla guerriglia, giunse all’accampamento di Nancahuazu il 6 marzzo del 1967. Fu catturato dall’esercito boliviano il 20 aprile a Muyupampa nei pressi di Camiri. Processato e condannato a 30 anni di prigione, fu liberato la vigilia di natale del 1970 con l’amnistia decretata da Juan José Torres. E’ divenuto, con il passare del tempo, uno dei più violenti denigratori della figura politica e umana del Che.

Leon (Dominguez Flores Antonio). Boliviano. Contadino nato a Trinidad, dipartimento del Beni. Incaricato di lavorare nell’accampamento di Nancahuazu, entrò successivamente nella guerriglia come combattente. Disertò (così scrisse il Che nel suo diario, ma le memorie di Bustos lo indicano come fuggiasco – sopravvissuto ad una imboscata dell’esercito boliviano e allontanatosi armato – pronto a rientrare nei ranghi della guerriglia alla prima occasione possibile) il 26 settembre del 1967 ad Abra del Picacho. Fu catturato il giorno dopo mentre si dirigeva a Pucarà, tradito dal contadino che lo aveva ospitato per la notte. Fu messo in prigione e a natale del 1970 fu amnistiato.

Tania (Bunke Bider Haydée Tamara). Argentino-tedesca (1937-1967). Nata a Buenos Aires, in Argentina, da padre tedesco e madre sovietica. Militò nella Gioventù comunista della Rdt e nel 1955 entrò nel Partito socialista unificato dello stesso paese. Andò a Cuba nel 1961, dove lavorò e studiò giornalismo sino al 1964. Dal 1963 chiese di partecipare alla lotta per la liberazione dei popoli e nel 1964 ricevette istruzioni dal Che. Il 18 novembre del 1964 arrivò in Bolivia con il nome di Laura Gutiérrez. Lì collaborò per l’organizzazione della rete urbana e partecipò al trasporto dei guerriglieri e collaboratori all’accampamento di Nancahuazu. Scoperta la sua identità (aveva dimenticato foto e documenti nella jeep lasciata all’accampamento di Nancahuazu, quando accompagnò Bustos e Debray), rimane nella guerriglia come combattente, il 6 marzo. Per ragioni di salute il 17 aprile passò con il gruppo di retroguardia. Cadde il 31 agosto 1967 nell’imboscata di Puerto Mauricio, dove venne annientato dall’esercito boliviano tutto il gruppo della retroguardia. Il suo cadavere fu ritrovato nel Rio Grande il 7 settembre 1967.

Debray, con la sigaretta in bocca, seguito da Ciro Bustos il giorno del loro arresto

 

avatar Scritto da: Mongo (Qui gli altri suoi articoli)


7 Commenti a E poi chi li lava i piatti?!?

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    Enrico Cecchelli 18 Febbraio 2018 at 13:05

    Ben ritrovato !!!!

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    Ivano Ettore Pollini 19 Febbraio 2018 at 07:17

    Interessante. Bravo

    Mi piace 1
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    The dark side of the moon 19 Febbraio 2018 at 14:12

    Innanzitutto ben tornato compañero!!
    Non mi fare sentire più cazzate del genere “…non mi sentivo all’altezza di nessuno” :o
    Senza di te a questo blog manca qualcosa, e te lo dico senza ruffianeria.
    Bello l’articolo che hai scritto, che Debray fosse uno squallido infame lo sapevo ma ho “sentito” dire da qualche storico che anche Bustos fosse un tipo molto controverso, su di lui ci sarebbero molte ombre.
    Ti risulta o è solo una calunnia?
    Hasta siempre!

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      Mongo 19 Febbraio 2018 at 19:07

      Grazie The dark, troppo buono. ;)
      All’epoca si disse che per colpa dei ritratti fatti da Bustos si scoprì la vera identità di Ramon e di molti altri guerriglieri. Ho visto quei disegni ed immagino il perché lui li fece (i militari gli dissero che la moglie e le due sue figlie non sarebbero più state al sicuro; sapevano tutto del suo fratello Avelino), ma non ce ne è uno assomigliante ai guerriglieri e la conferma di come e perché li ha disegnati c’è nel suo libro ‘Il Che vuole vederti’.
      Debray era famoso per via della madre, parlamentare con De Gaulle presidente, e venne trattato diversamente dai media dell’epoca rispetto a Bustos, quest’ultimo quasi trascurato.
      Un giorno si e l’altro si c’era sempre un giornalista, un ambasciatore, una troupe televisiva per intervistare il Francese, solo lui.
      A tradire la presenza in Bolivia del Che furono: gli errori commessi da Tania, foto ed indumenti con etichette cubane; le dichiarazioni di Debray, prima fatte al suo avvocato e da questi riportate e successivamente smentite. La vera identità di Bustos venne scoperta solo quando ormai al Che ed alla sua guerriglia rimanevamo pochi giorni di vita.
      Una figura importante è quella del ‘giornalista free-lance/agente della CIA’ Roth; ancora oggi, letti i suoi articoli di quel periodo non sono ancora riuscito a decifrare il suo ruolo: era solo un giovanotto in cerca di uno scoop che gli avrebbe data notorietà mondiale o era uno che giocava sporco? Comunque era stato pochissimo con la guerriglia e manco aveva visto il Che.
      Se mi fai avere tramite Martin i tuoi dati anagrafici, compreso l’indirizzo del tuo domicilio, ti invio copia del libro di Bustos (un libro molto interessante, a tratti fantozziano, che narra per la prima volta dall’interno la guerriglia di Salta di Masetti e quella boliviana del Che, con particolari inediti). :)

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        The dark side of the moon 19 Febbraio 2018 at 20:26

        Grande!
        Martin li ha già i miei dati, li puoi chiedere a lui e se vuoi contattami tramite e-mail (ho una spiccata antipatia nei confronti di social e telefonini).
        Sei molto ben informato e mi fa piacere, sapevo comunque che Bustos viveva in Svezia, mi pare a Stoccolma, soffriva di continui e forti mal di testa che lo costringevano in continuazione a prendere medicinali.
        Ci risentiamo però magari tramite mail, per il momento grazie mille ;)

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    Fabio Lotti 20 Febbraio 2018 at 14:06

    Era l’ora che ti rifacessi vivo!
    Bella lettura.

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      Joe Dawson 20 Febbraio 2018 at 14:48

      Il vecchio Martin intanto sta spendendo un patrimonio in sapone liquido per i piatti :p

      Mi piace 1

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