Ascoltate Majakovskij

Scritto da:  | 26 Aprile 2018 | 3 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

La prima volta che ascoltai Vladimir Vysotsky fu nell’estate del 1981, durante il mio primo soggiorno-studio a Leningrado, oggi San Pietroburgo. Ricordo che dopo i primi giorni di ambientamento presso l’Istituto Politecnico Kalinin insieme ai miei colleghi di corso, ho cominciato a girare con più disinvoltura per la meravigliosa città di Pietro il Grande nel tentativo di immergermi in una realtà per me completamente nuova e, naturalmente, di conoscere ragazzi della mia età. Non fu difficile anche perché in quel periodo – circa dieci anni prima del crollo dell’Unione Sovietica e ancora quattro o cinque anni prima dell’avvento di Gorbacev e dell’inizio della “perestrojka”, i giovani erano molto attratti dai turisti stranieri, erano curiosi di entrare in contatto con noi che venivamo dal mitico occidente, dalla favola della libertà e del benessere.

Dopo pochi giorni, eccoci dunque in casa di uno di questi ragazzi, uno studente universitario, seduti su un tappeto a chiacchierare bevendo tè nero, spillato direttamente da un variopinto “samovar”, mangiando squisite focaccine fatte in casa e ascoltando musica di gruppi e cantanti russi a noi perfettamente sconosciuti. All’improvviso quella voce: non riuscivo a capire tutte le parole della bellissima canzone, ma ricordo perfettamente quella voce profonda e potente, a volte rauca, spesso quasi parlata, teatrale al massimo. Ricordo anche la chitarra che passava dall’arpeggio dolcissimo alla pennata rabbiosa, accompagnando la storia che veniva raccontata. Volli ascoltare ancora e poi ancora altre canzoni di Vysotsky e gradualmente, aiutata anche dal racconto del mio nuovo amico russo, riuscii ad entrare nel suo mondo, venni catapultata nello spettacolo della sua vita, nella storia e nella tradizione della sua terra.

Un poeta che canta, un attore che suona, un Amleto perfetto e in genere un eccezionale interprete sui palcoscenici russi, un musicista ancorato alla tradizione e innamorato del jazz; un cantautore che alimenta la fantasia e la capacità critica in un paese sterminato avvolto nella “stagnazione brezhneviana”; un intellettuale che penetra il cuore della gente e che per il Potere non è altro che un fastidioso guitto. Tutto questo è stato Vladimir Vysotsky, grande attore, poeta, e cantautore. Se volessimo trovare una figura simile in Italia dovremmo fondere in un solo personaggio Carmelo Bene, Pierpaolo Pasolini e Fabrizio De André. Ha scritto oltre 700 canzoni ed è stato reso grande dalla gente comune che lo ha sempre ascoltato di nascosto: infatti la Melodia, unica casa discografica abilitata alla produzione dei dischi in Unione Sovietica negli anni ’60-’70, non ha mai voluto incidere le sue canzoni, ma questo non ha impedito il processo di diffusione a macchia d’olio; grazie all’umile e privato uso della riproduzione domestica in cassetta le canzoni di Vysotsky cominciarono a circolare per tutta l’Unione Sovietica a decine e decine di migliaia di copie, a dispetto della censura di regime e del boicottaggio della critica ufficiale.

Era amato da tutti, dagli intellettuali e gli artisti, ma anche dagli operai, dai minatori, dai marinai e dai contadini. Ovunque andasse, nelle sue peregrinazioni da artista di strada, veniva accolto con grande complicità: nei concerti clandestini le sue canzoni esprimevano i profondi rivolgimenti della storia, le difficoltà della gente, i sentimenti più veri di chi andava ad ascoltarlo.
Nella Russia dell’era brezhneviana, così assurdamente imbrigliata dal potere, ma sempre ricca di slanci culturali e di tradizioni antichissime, Vysotsky, cantando, dava corpo ad un sentimento collettivo e lo faceva circolare di casa in casa, fungendo da raccordo tra le mille voci del popolo.

La sua carriera di cantautore ha inizio nel 1961, anno in cui, dopo l’incontro con Bulat Okudzhava, maestro nell’arte della poesia popolare cantata, si dedica a scrivere le prime canzoni. Allo stesso tempo Vladimir recita in teatro ed è un attore meraviglioso che trionfa nella pièce intitolata “Ascoltate Majakovskij” e nel Pugacev di Esenin. Sarà un Amleto eccezionale nel famoso teatro Taganka di Mosca, che farà innamorare di sé la sua futura compagna, l’attrice francese Marina Vlady. Sul palcoscenico ha sicuramente molto dell’eroe shakespeariano pur non identificandosi col personaggio: la sua personalità e l’esperienza di vita prorompono sulla scena, straripano e permeano l’eroe che non appare più come il raffinato intellettuale, cinico e disilluso, ma come un uomo retto,amante della verità, la cui arguta intelligenza sferra colpi implacabili. Osservandolo mentre recita, Marina Vlady dirà: “Come tutti gli spettatori anche io sono scossa dalla forza dell’attore, dalla sua disperazione e dalla sua voce incredibile”.
Ancora la sua voce.

È difficile descrivere una voce: si possono usare diversi aggettivi ed espressioni, ma è impossibile riuscire a “farla sentire” a chi non l’ha mai ascoltata. Immaginate la voce di Vysotsky come la sua arma più affilata: è espressiva, infiammata, di tanto in tanto ironica con una vena ammiccante e poi dura o triste, nostalgica e malinconica; è’ una voce irripetibile e indimenticabile. Il suo è un canto sempre perfettamente scandito in cui i testi, le parole, gli accenni e le metafore devono essere compresi: arrota le “erre”, si sofferma sulle consonanti più dure, prolunga i suoni, tenta di far sciogliere magicamente le consonanti in vocali che alla fine risultano più nitide e lineari. Grande è l’abilità del cantante: la sua voce diventa sempre più tagliente, incisiva, incalzante, a volte si trasforma nel lupo, ripercorre la sua corsa, braccato dai cacciatori e ci trasmette la sua paura la sua rabbia, la voglia di riscossa e di libertà.

“La caccia ai lupi”, una favola sulla libertà, è il pezzo che Vysotsky inserisce in un suo spettacolo nel 1970 e che diventerà uno dei suoi maggiori successi.

Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
ma oggi, ancora come ieri,
sono braccato. Braccato!
i tiratori, allegri, corrono ad appostarsi!

Dietro gli abeti un tramestio di fucili a canne doppie,
i cacciatori sono acquattati nell’ombra,
i lupi si rotolano sulla neve
trasformandosi in bersagli viventi.

La caccia ai lupi. La caccia!
Ai predoni grigi, alle madri e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea.
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.

I cacciatori non giocano alla pari
con i lupi, e le loro mani non tremano!
Hanno accerchiato la nostra libertà con le bandierine,
ci colpiscono con certezza, sicuri di centrare il bersaglio.

Il lupo non può rompere le tradizioni,
noi da piccoli cuccioli ciechi
abbiamo succhiato dalla lupa,
e con il suo latte, il divieto di oltrepassare le bandierine!

La caccia ai lupi. La caccia!
Ai predoni grigi, alle madri e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea.
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.

Le nostre zampe e le nostre mascelle sono veloci.
E rispondi, tu che sei il capo branco,
perché ci avventiamo, braccati, contro i fucili
e non cerchiamo di trasgredire il divieto?

Il lupo non può, non deve agire diversamente,
Ecco, è arrivata la mia ora.
Colui al quale sono destinato
Sorride e solleva il fucile.

Ho rifiutato di obbedire,
ho oltrepassato le bandierine – la sete di vita è più forte!
Ho solo sentito dietro di me, con gioia,
le grida di stupore degli uomini.

Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
ma oggi, non sono come ieri!
Sono braccato. Braccato!
E i cacciatori sono rimasti a mani vuote!

La caccia ai lupi. La caccia!
Ai predoni grigi, alle madri e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea.
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.

I concerti si moltiplicano nonostante la stretta del regime contro gli intellettuali e gli artisti indisciplinati. Vysotsky è capace di tenere tre, quattro concerti in una sola giornata; i suoi spettacoli vengono registrati dal vivo su cassette che poi, clandestinamente, fanno il giro della Russia.
È il periodo dei processi ai dissidenti, della censura più rigida. Vysotsky, che intanto ha sposato Marina Vlady, non vuole andarsene: il suo canto, la sua poesia hanno motivo di esistere nella sua terra, ascoltati dalla sua gente.

Le sue canzoni descrivono le nevi e i ghiacci, il mare e i fiumi gelati, le cicogne e i lupi, tutti i paesaggi tipici del suo sterminato paese. L’uomo è protagonista: soffre, ride, si dispera, vaga, riflette, s’infuria senza scendere a compromessi, rifiutando l’irreparabile: il lupo braccato riesce a fuggire oltrepassando il divieto, sulle forze, balzando oltre gli ostacoli. E’ ciò che cerca di fare il poeta ogni volta che canta e per questo viene accolto sempre come un eroe popolare, il bardo della sua terra.

Dal “Canto della Terra”

Chi ha detto che la Terra non canta,
che ha perduto la parola per sempre?

No, echeggia di gemiti soffocati,
da tutte le sue ferite, da tutte le sue fessure.
La Terra è la nostra anima,
non calpestatela con gli stivali!

Chi ha creduto che la Terra bruciasse?
No, si è solo nascosta per un po’…

Il regime cerca ogni espediente per annullare qualsiasi iniziativa artistica di Vysotsky, lo boicotta, gli rende la vita impossibile, non solo lo priva di qualsiasi riconoscimento pubblico, ma lo vuole rendere “invisibile”. È il momento dell’alcol e della morfina, di un’esistenza in bilico tra viaggi continui, ritorni improvvisi ed esperienze estreme che lo condurranno inevitabilmente alla morte. Il 25 luglio 1980, a soli quarantadue anni, Vladimir Vysotsky muore a Mosca per un arresto cardiaco. I suoi funerali saranno il grandioso riconoscimento che non ha potuto ottenere in vita: una fila di gente si snoda per nove chilometri per raggiungere il luogo dove verrà sepolto; sulla sua tomba non mancheranno mai fiori, né i pensieri del suo popolo.

Ma la storia di Vysotsky non termina con la sua morte: le sue canzoni continuano ad echeggiare di casa in casa, il suono della sua chitarra continua a riempire i momenti di aggregazione tra i giovani russi, la sua poesia viene cantata a memoria e insegnata a tanti.
Marina Vlady si fa portavoce della fama del poeta all’estero incidendo molte sue canzoni in Francia. Soltanto alla fine degli anni Ottanta, durante la “perestrojka”, arrivano i riconoscimenti ufficiali e le case discografiche cominciano ad incidere i dischi del cantautore.

Finalmente migliaia di copie di dischi vengono venduti per tutta la Russia: poesie in musica, liriche tumultuose, disperate, popolate di fantasmi storici, autobiografici, di eroi che parlano un linguaggio non enfatico, ma semplice eppure ricco della più alta cultura, e contemporaneamente pregno di linfa ed energia popolare. Dalle sue canzoni è evidente che Vysotsky nella forma è un esteta che si dedica alla realtà e alla verità nei contenuti.
Come ricordano i suoi amici e come lui stesso ha dichiarato in qualche rara intervista, aveva un approccio molto particolare alla composizione: raramente si preoccupava della struttura, spesso catturava l’idea e si precipitava poi sulla melodia. Per tre o quattro giorni, rinchiuso nella sua stanza, scriveva ininterrottamente, come in preda ad un’ossessione. Credeva profondamente nella forza della poesia e si appassionava alla creazione dei versi in un’ansia che lo portava alla massima concentrazione. Il tutto approdava all’arpeggio della chitarra e al suono della sua voce. Poesia, chitarra, voce: ognuno di questi elementi, per proprio conto era imperfetto, manchevole, ma tutti e tre insieme rendevano il suo stile unico e inimitabile.

Con “Il silenzio Bianco” del 1972 , e “La fucilazione dell’eco”, del 1974, Vysotsky raggiunge il livello massimo in cui musica ed alta poesia si coniugano nella perfezione, resa ancora “più perfetta” dall’interpretazione appassionata della sua magica voce.

Il silenzio bianco

Gli anni, i secoli e le epoche che si susseguono,
tutto si precipita verso il caldo, lontano dai geli e dalle tormente.
Perché gli uccelli volano verso il Nord
se a loro è destinato solo il Sud?

Non hanno bisogno né di gloria né di grandezza.
Ecco, sotto le ali finirà il ghiaccio
e troveranno la felicità di uccelli,
ricompensa del volo audace.

Non siamo riusciti né a vivere, né a dormire?
Cosa ci ha spinto verso la cresta dell’onda?
Non abbiamo potuto ancora contemplare la luce.
La luce non ha prezzo!

Silenzio. Solo i gabbiani sono come bagliori.
Le nostre mani li nutrono di vuoto.
Ma la nostra ricompensa per il silenzio
sarà necessariamente il suono.

Da tempo abbiamo solo sogni bianchi,
tutte le altre sfumature le hanno spazzate via le nevi.
Siamo rimasti accecati – è buio da tanto biancore.
La linea nera della terra ci restituisce la vista.

Dalla nostra gola scaturisce il silenzio,
la nostra debolezza cresce come un’ombra.
E la ricompensa per le notti di disperazione
sarà l’eternità di un giorno polare.

Il nord, la volontà, la speranza – paesi senza frontiere,
neve senza fango, come una lunga vita senza menzogna.
I corvi non ci caveranno gli occhi dalle orbite,
perché qui non ci sono corvi.

Chi non ha creduto alle profezie cattive,
non si è disteso sulla neve neanche per riposare un attimo,
come ricompensa per la solitudine
avrà l’incontro.

La fucilazione dell’eco

Nel silenzio del valico, dove le rocce non sono da ostacolo ai venti,
in questi anfratti, dove nessuno è mai penetrato,
viveva una gioiosa eco dei monti.
Lei rispondeva alle grida, alle grida degli uomini.

Quando la solitudine salirà alla gola come un nodo
e un gemito soffocato, quasi senza rumore, scivolerà nell’abisso,
agile, l’eco afferrerà il grido d’aiuto,
lo rafforzerà e lo porterà via con cura nelle sue mani.

Non dovevano essere uomini, gonfi di veleni e di oppio,
quelli che giunsero per uccidere e ammutolire la gola viva,
se nessuno ne sentì il calpestio e il grugnito.
Legarono l’eco e sulla sua bocca misero un bavaglio.

Per tutta la notte continuò la farsa sanguinosa e crudele,
l’eco venne calpestata, ma nessuno sentì alcun suono.
All’alba l’eco dei monti, ammutolita, venne fucilata,
e pietre sprizzarono, come lacrime dalle rocce ferite.

 

avatar Scritto da: Sveta (Qui gli altri suoi articoli)


3 Commenti a Ascoltate Majakovskij

  1. avatar
    The dark side of the moon 27 Aprile 2018 at 09:14

    Se la “perestrojka” fosse stata circoscritta nell’includere questi artisti nel processo di rifondazione dell’Unione Sovietica, oggi esisterebbe ancora un antagonista al grande “Pensiero Unico”
    La miopia di Gorbacev e della sua cerchia di burocrati occidentalizzati ha disintegrato un sistema fondato comunque su basi migliori di quelle occidentali.
    Il sistema economico andava certamente rivisto ma su basi socialiste, la “libertà” conquistata dai russi è stata quella che una nuova cerchia di politicanti ha dato alle imprese, privatizzandole, per fare profitto ai danni della povera gente.
    Voglio assolutamente ringraziare Sveta per il suo stupendo scritto sperando che tutti gli artisti e i geni del calibro di Vladimir Vysotsky costituiscano in futuro il faro dell’intelletto umano al fine di fondare una società migliore.
    Una società antitetica a quella attuale che si basa esclusivamente sul profitto e che usa l’arte e la cultura in maniera strumentale per mascherare le proprie barbarie, questo aspetto è ancora peggiore (perché subdolo e meschino) rispetto alla già citata censura sovietica.

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  2. avatar
    Olga M 27 Aprile 2018 at 18:36

    Vorrei ringraziare Sveta per queste parole commoventi. Avevo 13 anni nel 1980. Erano i giorni olimpici. La citta di Mosca era semivuota. Non c’era internet, non с’è stato nessun communicato ufficiale alla radio o alla TV. Ma tutto il paese è saputo immediatamente della morte di Vladimir Vysotsky. Il lutto era profondissimo e infinito. Tutti hanno percepito la morte di Vladimir come la morte di un parente. La folla vicino al cuartiere del teatro di Taganka era senza fine. Piangevano tutti: i poliziotti, gli operai, gli anziani, le donne, gli uomini… Vladimir come nessun altro rifletteva, riflette e refletterà l’anima del popolo russo con tutti i suoi difetti e tutti i suoi vantaggi. Ognuno vede se stesso nelle sue canzoni: il marinaio dice che Vladimir canta di lui, il cacciatore dice che canta di lui, il veterano vede la sua guerra. Ogniuno di noi trova un pezzo della sua vita propria nelle sue canzoni e nella sua poesia. Anchè nei nostri giorni la gioventù considera Vysotsky come il grandissimo uomo e poeta. Perche’ gli uomini come Vladimir non muoiono mai.

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  3. avatar
    Enzo 30 Aprile 2018 at 11:03

    Un’altra gemma di questo inimitabile sito! ;)

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