Teoria classica delle aperture: cosa si intende?

Scritto da:  | 12 Gennaio 2019 | 12 Commenti | Categoria: Aperture, Teoria e Studio

Mi è stato chiesto di portare qualche esempio di quelle che io ho definito “eccezioni” alla teoria “classica” delle aperture; Jas da parte sua non ne vede alcuna (posso dedurne quindi che lui ritiene sempre valida la teoria “classica”, qualunque cosa intenda per questa?).
Ma sorge la domanda fondamentale: quali sono i principi di apertura che contraddistinguono questa teoria?
Per quanto mi riguarda, e sulla base della mia esperienza personale di gioco iniziata a metà degli anni ’60 dello scorso secolo, considero la teoria “classica” delle aperture abbastanza ben rappresentata da un magnifico libro di Reuben Fine “The ideas behind the chess openings” (che a suo tempo lessi con estremo interesse).
Ebbene Fine, sicuramente uno dei giocatori più forti del periodo ’30-’40, in questo libro scritto negli anni ’40 e ristampato più volte (io posseggo l’edizione inglese del 1964) enuncia nelle prime pagine i principi strategici generali di quella che io ritengo la teoria “classica”, quella che sintetizza la teoria e pratica scacchistica consolidatasi nel tempo, partendo da Philidor fino ad arrivare a Steinitz, Lasker, Tarrasch, Capablanca, Reti, Nimzovitch, Alekhine, Euwe, Botvinnik, cioè i migliori giocatori-teorici del suo tempo e di quelli di poco precedenti.
Tra i principi generali (ne sintetizzo liberamente solo alcuni dei 10 che lui enuncia) Fine afferma che in apertura (che deve avere per obiettivo fondamentale la questione del centro) bisogna fare poche mosse di pedone e aprire preferibilmente con il pedone di re o di donna, poi badare soprattutto allo sviluppo ottimale dei pezzi e alla sicurezza del re.
Ormai sono passati più di 70 anni da quel libro (d’altra parte il termine “classica” dovrebbe certamente denotare una datazione non recente, ma se Jas considera come “classica” qualche opera più moderna di carattere strategico-generale sulle aperture, che definisca principi generali sulle stesse e non soltanto delle analisi più approfondite e più recenti, lo dica: il discorso ovviamente potrebbe cambiare) e la teoria delle aperture si è evoluta continuamente e sempre più rapidamente, soprattutto negli ultimi 20 anni, contraddistinti dall’uso sempre più massiccio del computer.
A me sembra perciò evidente che le “eccezioni” ai principi esposti da Fine siano, inevitabilmente, sempre più numerose: ne evidenzio nel seguito soltanto alcune.
A titolo di esempio di eccezione, una recentissima partita nel torneo Rilton Cup che ho vista giusto ieri su Chessbomb, di Valsecchi contro un avversario con oltre 2300 punti Elo (non proprio un dilettante sprovveduto, quindi) vede il nero che nelle prime 6 mosse di apertura ne fa ben cinque di pedone, di cui 3 di pedoni laterali; dopo 10 mosse, 8 sono di pedoni (il bianco ne fa da parte sua 5) : all’analisi online di Stockfish il tutto sembra ancora plausibile e non vengono segnalati errori significativi.

Credo che di eccezioni ai principi di Fine ne possiamo trovare moltissime nel gioco moderno, spesso giustificate da valide motivazioni tattiche. Penso proprio però che Fine, Capablanca, Lasker, ecc, sarebbero inorriditi.
Oltre ad esempi del genere di singole partite, interi sistemi di apertura sarebbero “anormali” secondo Fine; per entrare più nello specifico, a pag 86 del suo libro, parlando della siciliana, Fine afferma che una volta aperta la colonna “d” per il bianco con il cambio “cxd”, non deve assolutamente muovere il pedone “e” in e5, lasciando il suo pedone “d” arretrato su colonna aperta. La variante Sveshnikov e similari non sono evidenti eccezioni alla teoria di Fine? (che poi dette varianti si siano dimostrate più che valide non cambia il discorso).
Anche Kasparov nel suo “La rivoluzione teorica degli anni ’70” (2007, stampato in italiano nel 2008) porta una infinità di esempi di sistemi di apertura considerati da lui non “ortodossi” sulla base dei criteri classici (altrimenti non avrebbe usato il termine “rivoluzione”!); c’è da dire che Kasparov non definisce in maniera chiara i principi di una teoria “classica” a cui fare riferimento e nel libro stesso parecchi autorevoli GM dell’epoca non sono del tutto d’accordo con lui riguardo il termine “rivoluzione teorica”, in parecchi casi considerando che le “eccezioni” (o “novità”) erano l’inevitabile evoluzione naturale degli scacchi e di analisi più approfondite di queste aperture (in sostanza, mi permetto di dire, traducendo “classico” con “valido”).
Ritorniamo pertanto alla questione iniziale: se non si definisce esattamente (in termini storici o cronologici o di principi definiti) che cosa si intende per “classico”, ogni discussione in merito sembra inutile. Aspetto vostre considerazioni in proposito e la vostra concezione di teoria “classica” delle aperture.

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12 Commenti a Teoria classica delle aperture: cosa si intende?

  1. avatar
    Giancarlo Castiglioni 13 Gennaio 2019 at 22:16

    Come definizione di teoria classica mi va benissimo quella di Fine.
    Solo interpreterei la sua indicazione di aprire e4 o d4 come valida per i giocatori principianti o comunque di non grande esperienza.
    Anche 1.Cf3 (mossa di sviluppo che controlla le case centrali) è una mossa “classica”.
    Nella partita vedo più una conferma che una smentita delle teorie classiche sulle aperture.
    Dove non seguono i principi generali i giocatori ne pagano le conseguenze peggiorando la posizione.
    Naturalmente non di molto, non sono grossi errori, ma il peggioramento è sensibile.
    4.Cbd2 è una mossa anomala per evitare posizioni teoriche, ma è una mossa di sviluppo che mette il cavallo in posizione centrale, quindi si può considerare “classica”.
    Non classiche e deboli sono 4…a6 (non di sviluppo) e sopratutto 10…h6 al posto di 10…Ag6 (rovina la struttura di pedoni).
    Non classica è 12.g4 (indebolisce l’arrocco) più forte era 12.f3 minacciando e4 (classica rottura al centro su Re non arroccato).
    Non classica è 12…Cxg4 (allontana un cavallo dal controllo delle case centrali); con 12…fxg4 il nero avrebbe quasi equilibrato la posizione.
    Condannando sempre e comunque e5 del nero nella siciliana Fine è decisamente troppo dogmatico.
    Vero che in quel tipo di posizioni e5 lascia il pedone d6 arretrato e spesso debole, ma ci sono contropartite: il controllo della casa d4 e usualmente un guadagno di tempo attaccando un pezzo in d4; quindi è una mossa non classica solo relativamente.
    Non conosco il libro di Kasparov, ma la sua rivoluzione teorica non la vedo.

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    fabrizio 14 Gennaio 2019 at 12:07

    Caro Giancarlo, visto che accetti il punto di vista di Fine ed i suoi concetti generali di conduzione della fase di apertura come “classico”, preciso nuovamente che detto termine non deve ovviamente considerarsi sinonimo di correttezza o validità di gioco.
    Fine definisce “normal” le mosse aderenti ai suoi dettami e “abnormal” quelle che non lo sono, ma non dice che le prime sono corrette e le seconde inevitabilmente sbagliate. Non so se Fine fosse un dogmatico alla Tarrasch, ma nel suo libro è scritto chiaramente (in corsivo e grassetto per evidenziare meglio l’affermazione) che “the book (la teoria) is not infallible”.
    Le “eccezioni” alla teoria classica che tu e Jas mi avete chiesto, sono per me le aperture che non rispondono ai suoi specifici principi: se Fine dice di non fare troppe mosse di pedone e di badare soprattutto al centro (indicazioni valide tutt’oggi in moltissimi casi), ogni apertura che non osserva questi precetti non può considerarsi “classica”.
    Quando dici che stai facendo una valutazione di gioco, non di aderenza ai principi di Fine. L’impostazione del nero (sistema Cebanenko della slava, se non sbaglio abbastanza di moda), nella partita di Valsecchi, non è certamente classica: tu obietti che i principi”classici” sarebbero stati preferibili, ma non è questo il punto in discussione.
    Nel libro di Kasparov vengono analizzate quelle aperture che lui ritiene “rivoluzionarie” rispetto al passato, ad esempio : il riccio, la Svesnikov, molte varianti moderne della siciliana, della Grunfeld, della Caro-Kann, della slava (tra cui proprio la variante Cebanenko), e tante altre ancora. Come già detto molti GM da lui interpellati non sono d’accordo con lui sulla “rivoluzionarietà” di questi sviluppi: sei quindi in buona compagnia!

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      Giancarlo Castiglioni 15 Gennaio 2019 at 17:03

      Di rivoluzioni negli scacchi ne vedo poche e lontane.
      Philidor del ‘700.
      Morphy a metà ‘800.
      Reti e Alekine, gli ipermoderni negli anni ’20, sono quelli che hanno più diritto di ritenersi rivoluzionari.
      Ma con mia sorpresa ho trovato partite dell’ottocento giocate secondo questi concetti, quindi anche questa è una rivoluzione fino a un certo punto.
      Meno vedo quella di Kasparov degli anni ’70.
      Meno ancora vedo quella di questi ultimi venti anni legata al PC.
      Certamente si è corretto qualche errore in analisi precedenti.
      Sopratutto si sono trovate molte linee minori alternative giocabili anche se non migliori della linea precedentemente giocata.

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        fabrizio 15 Gennaio 2019 at 19:03

        Come già detto, hai tutto il diritto di non vedere “rivoluzioni” nel pensiero scacchistico moderno, al pari dei tanti GM interpellati da Kasparov nel suo libro. Anch’io ritengo che gli sviluppi moderni siano soltanto l’inevitabile evoluzione del gioco, accelerata dalle risorse informatiche.
        Ma il punto di partenza, almeno per me, era un altro: gli sviluppi odierni sono in linea col pensiero “classico” (che io ho schematizzato con il vecchio libro di Fine)?
        La teoria “classica” conserva un certo grado di validità?
        A me sembra che nella pratica moderna di apertura ci siano numerose “eccezioni” (valide e motivate) ai criteri di Fine e che questi ultimi abbiano oggi, alla luce delle conoscenze attuali, una validità parziale (comunque sempre utili, come osservi tu, a livello di principianti).

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    Jas Fasola 15 Gennaio 2019 at 10:43

    Scrivi “la teoria delle aperture si è evoluta continuamente e sempre più rapidamente, soprattutto negli ultimi 20 anni, contraddistinti dall’uso sempre più massiccio del computer.” Avevi scritto nell’articolo precedente “come mi sembra le analisi computerizzate dimostrino”. Adesso citi Sveshnikov e Chebanenko che esistono da un bel po’ e allora perchè non anche la Alekhine? Io aspetto queste analisi computerizzata su qualcosa di nuovo, spregiudicato, degli ultimi 20 anni.

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      fabrizio 15 Gennaio 2019 at 14:25

      Scusa Jas, ma ho paura che non ci stiamo capendo; se hai letto quanto scritto sopra, il mio riferimento per l’espressione “teoria classica delle aperture” è il citato libro di Fine. Quando è stato scritto, forse Sveshnikov e Chebanenko erano appena nati; Alekhine invece già lo era ed infatti trova ampia menzione, insieme all’apertura omonima (considerata una rottura dei canoni tradizionali).
      Sveshnikov e Chebanenko sono trattati come “rivoluzionari” da Kasparov.
      Aspetto sempre di capire quali sono i tuoi riferimenti “classici”.

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        Jas Fasola 17 Gennaio 2019 at 13:40

        Aagaard ha scritto un ottimo libro sul gioco posizionale, Grandmaster Preparation Positional Play, in cui ci sono solo tre principi: 1) case deboli (cioè il “buco” di Steinitz, es.la Sveshnikov) 2) posizione dei pezzi (in particolare ogni pezzo deve essere ben posizionato, Tarrasch) 3) profilassi (Nimzowitsch). Questi insegnamenti riguardavano principalmente gli elementi statici della strategia scacchistica. Dopo la seconda guerra mondiale altri giocatori (Tal, Bronstein, Geller e successivamente Kasparov) proposero uno stile diverso, basato sul concetto di dinamismo. Il valore degli elementi statici non è stato messo in discussione, ma è stato sottolineato che il valore di questi elementi dipende dalla posizione specifica. Per capire in quale posizione, ad esempio, sia possibile accettare case deboli in cambio di qualche tipo di attività bisogna innanzitutto conoscere bene i classici. Quindi la teoria classica delle aperture è ancora valida ma temperata da quanto sopra.

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    The dark side of the moon 16 Gennaio 2019 at 11:45

    Provo a rispondere alle domande che mi pare riassumano l’articolo, almeno secondo Fabrizio.
    1.La teoria “classica” conserva un certo grado di validità?
    Si, sempre.
    2.Gli sviluppi odierni sono in linea col pensiero “classico”?
    Lo sono in parte dal momento in cui, grazie allo studio approfondito tramite computer, le linee che scaturiscono siano giocabili.
    In questo caso potremmo “classificare” tali aperture per comodità “aperture minori”.
    In un lontanissimo passato si giocava quasi solo 1.e4,e5 o al massimo 1.d4,d5 ; tutto il resto era considerato poco ortodosso.
    L’evoluzione scacchistica ha portato nel corso degli anni a centinaia di alternative giocabili.
    Di rivoluzioni però non ce ne sono state fino all’avvento dei pc che hanno permesso lo studio di linee giocabili che però hanno solo in parte (come dicevo precedentemente) a che fare con i principi del gioco.
    Questo è accaduto grazie (o per colpa) dei pc che negli ultimi 20 anni hanno parzialmente influenzato la teoria degli scacchi.

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      Giancarlo Castiglioni 16 Gennaio 2019 at 22:37

      Non capisco cosa abbia cambiato l’introduzione del PC.
      Consente di fare analisi più rapidamente, ma concettualmente non è cambiato nulla.

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        The dark side of the moon 17 Gennaio 2019 at 10:17

        Certo, concettualmente non ha cambiato nulla, però ci sono delle varianti molto lunghe dove puoi deviare dopo una decina di mosse giocando una linea che 20 anni fa non veniva presa in considerazione.
        Esempio la partita dello scorso torneo dei candidati Aronian-Kramnik: http://www.chessgames.com/perl/chessgame?gid=1914397
        Nella difesa berlinese della spagnola Vlad gioca 7…,Tg8!?
        Una mossa chiaramente studiata e analizzata al pc che manda in tilt un giocatore del livello di Aronian.
        Sto parlando di una partita a cadenza classica dove non puoi giocare come nell’esempio di Carlsen da te citato.
        I pc hanno cambiato un certo approccio agli scacchi ma parlare di rivoluzione riguardo la teoria del gioco è probabilmente azzardato.
        C’è stato indubbiamente (pure qui grazie al pc) un innalzamento del livello del gioco, oggi la maggior parte dei giocatori può in partita arrivare decentemente al medio gioco anche contro avversari più forti di loro.

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        Andrea Mori 24 Gennaio 2019 at 19:19

        La differenza forse sta nel fatto che oggi si possono analizzare a fondo continuazioni che una volta sarebbero state scartate a priori perché “eretiche”. Questo permette di comprendere che i principii “teorici” non sono poi così solidi e che ammettono molte più eccezioni di quanto si poteva supporre.

        Ma sono d’accordo che è una differenza sottile senza grosse implicazioni concettuali.

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    wcaru 30 Gennaio 2019 at 22:45

    credo che un buon testo di storia della teoria in tal senso sia quello di watson, soprattutto il primo, una sorta di “mein system” aggiornato a fine secolo. non ha certo l’importanza dell’originale, ma fa un punto della situazione e mi sembra utile per questa discussione.
    per quello che ho letto, e che vedo, mi sembra che ad oggi la differenza fondamentale stia nella continuità spinta all’estremo, tra apertura e finale. ormai conta essenzialmente che tipo di finale si raggiungerà, piuttosto che capire quanto sia classica un’apertura. contano le linee specifiche, le valutazioni orientative basate sul tipo di posizioni, e naturalmente le valutazioni numeriche dei software.
    sicuramente il centro è sempre fondamentale in ogni discussione scacchistica, ma credo che oggi, e watson ne accenna con qualche esempio, conti di più la “struttura della posizione”, che non è necessariamente la struttura pedonale, e non è sempre il centro della scacchiera. dovrebbe essere, credo, la peculiarità insita in una certa linea di una variante che scaturisca soprattutto dall’analisi dei software. tipo, lottare da subito per il controllo di una certa casa, che conta più di tutto il resto, o di una certa disposizione di uno o due pezzi, che faccia da cardine alla gestione successiva. insomma, tutto molto concreto, sorretto dall’analisi, e tenendo presente che in mancanza d’altro controllare il centro è sempre il male minore.

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