Ma per fortuna ho la sua mano e le sue guance rosse…
Lo aveva chiamato Moiseev. Come Igor Moissev, il coreografo russo che aveva ammirato al festival del Roseto, là a quei parchi di Nervi ove i le palme sfiorano gli scogli e il sapore della salsedine si mischia col profumo degli ulivi. E Anna, in quelle interminabili giornate di esercizi alla sbarra, di fronte a quel lungo specchio che si estendeva attraverso tutta la parete della sala e la cui condensa del sudore dei ballerini a stento permetteva di specchiarsi, si perdeva a fantasticare palcoscenici lontani… il Mariinsky, l’Opéra, il Covent Garden, lontani, irragiungibili perfino nei suoi sogni di ragazza.
Anna Michela si chiamava, ma lei preferiva semplicemente Anna, solo Anna, Anna come la grande Anna Matveyevna Pavlova, l’étoile di San Pietroburgo per cui avevano perso la testa i più grandi coreografi, da Fokine a Diagilev. Sognava Giselle e Petruška, e la sera quando stanca, con le ossa a pezzi, rientrava nel suo povero alloggio ne raccontava le scene piuù belle al suo Moiseev, ne mimava i passi, sfiorando l’aria con le sue braccia lunghe e raffinate, a quel gatto striato per cui stravedeva. Lui non capiva ma quegli arabesque, quei balancé, quegli echappé aveva ormai imparato esser il preludio alla sua modesta cena, spesso i semplici avanzi dei già semplici pasti di Anna.
Lui lo aveva incontrato a Firenze, un ragazzo greco, il cui vero nome non aveva mai saputo, nè aveva mai voluto sapere. Si faceva chiamare solo Robi, perché lo faceva sentire italiano, come tutti, come gli altri, per dimenticare una vita che non gli apparteneva. Lui passava distratto e le aveva fatto cadere il foulard, come nei film, in via della Vigna Nuova, in centro, in quella Firenze ove gli artisti respirano l’aria di casa e lo spirito viaggia nel tempo. Lui si era scusato impacciato, per via di quel foulard macchiato nella pozzanghera, glielo voleva far lavare, ma un foulard non si lava, non torna più quello di prima, lei lo sapeva, lui no. Così aveva insistito per farselo lasciare e volerlo portare in tintoria, e poi ritirarlo e riportarglielo come nuovo. Anna sorrideva timida, imbarazzata, coi suoi occhi esotici e pieni di poesia non sapeva se credere davvero a quel tipo bizzarro che magari era sbucato lì solo per rubarle un foulard. Alla fine aveva ceduto, tanto ormai era perso, e poi il suo cardigan grigio in fondo stava bene anche senza.
Si era dimenticata di quel foulard e quel giorno di marzo era ormai volato via, nel vento, come le pieghe di quel drappo di seta. Solo le sere d’inverno scorrevano tutte uguali, usciva stanca dalla scuola, e le sue scarpette da punta sempre più logore, i piedi suoi piccini e la mascherina ormai andata via che quasi non le faceva più mantenere l’equilibrio. Ma non le importava, felice solo di ripetere le sue glissade e i grand jeté per Moisseev, ansioso di una lisca di pesce, non già di arte.
Quel ragazzo greco non l’ha più rivisto, da quella sera quando tornando a casa v’era appeso alla maniglia un pacchetto di carta. Dentro solo un foulard, non era macchiato, puro per sempre come quel giorno eterno di marzo…
Poesia pura, come sempre solo il nostro Martin riesce a donarci.
Credo che in qualsiasi tipo di blog ci vorrebbe anche questo. Così, tanto per ricordarci che siamo fatti anche di sentimento.
Bellissimo, io mi son commosso. Cos’altro aggiungere?
Un’altra piccola gemma di questo meraviglioso sito!
Cominciavo a preoccuparmi di questo lungo silenzio ma leggendo questo ultimo pezzo divo dire che ne è valsa la pena aspettare tanto
Ho esperienza famigliare riguardo la danza, quindi i termini e nomi usati li conosco.
Bravissimo Martin!
Davvero bellissimo, complimenti. I tuoi racconti, Martin, sono avvolti di magia, dovresti pubblicarli e farli conoscere a tutti.
Son d’accordo con gli altri commenti: davvero molto bello e delicato, grazie.
Martin, sei come sempre bravissimo! I tuoi racconti mi fanno sempre stupirmi perche non tanti miei connazionali conoscono quello che conosci tu dell’arte, della storia e della cultura della Russia. Non lasciar di scrivere! Penso che tutti quelli che visitano il tuo blog abbiano voglia di leggere i tuoi racconti molto commoventi
Martin sei come il vino, invecchiando migliori sempre di più!!
Senza parole…sarebbero inutili!
Complimenti bel testo commovente