Un furto e una questione di principio

Scritto da:  | 10 Maggio 2019 | Un commento | Categoria: C'era una volta, Italiani, Personaggi

Non tutti gli eroi della storia del pugilato sono grandi campioni pluridecorati e presenti ai vertici delle classifiche. Esistono eroi rimasti parzialmente nell’ombra, che pur non avendo raggiunto le vette più ambite del nostro amato sport hanno contribuito a renderlo grande con imprese talvolta poco note ma dal formidabile impatto. Uno di questi è il protagonista della storia che vogliamo raccontarvi oggi: il suo nome è Dave Tiberi, pugile americano di nascita ma di chiare origini italiane di cui andava fiero.

Correva l’anno 1992 e il fuoriclasse statunitense James Toney era il campione del mondo dei pesi medi per la federazione IBF. Il 1991 era stato per lui un anno da incorniciare: aveva strappato la cintura iridata al fortissimo e grande favorito Michael Nunn mettendolo KO dopo una memorabile battaglia e aveva difeso il titolo tre volte, ottenendo tra l’altro l’ambito riconoscimento di Fighter of the Year da parte della rivista The Ring. La sua difesa successiva, programmata per l’8 febbraio contro il semisconosciuto Dave Tiberi appariva ai più come un banale match di collaudo in vista di sfide più prestigiose e significative.

Lo sfidante italo-americano tuttavia non si curava delle opinioni degli esperti e aveva ben saldo nella mente un altro epilogo per la serata rispetto a quello atteso dai più. Giunto alla sfida con un record tutt’altro che impressionante di 22 vittorie, 2 sconfitte e 3 pareggi e con soli 7 KO all’attivo, Tiberi aveva tuttavia conseguito miglioramenti esponenziali rispetto ai suoi esordi da professionista anche grazie allo sparring quotidiano con il fenomenale Bernard Hopkins. I suoi allenamenti in vista del mondiale, svolti tra Philadelphia e New York, furono durissimi: il sogno di diventare campione e la ferma intenzione di non lasciare il ring senza la cintura alimentavano i suoi muscoli e lo spingevano a gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Giunse finalmente il giorno tanto atteso. Il pubblico di Atlantic City, recatosi al Trump Taj Mahal aspettandosi di assistere a una brillante quanto semplice prova di forza del campione, faticò probabilmente a credere ai propri occhi di fronte allo spettacolo che gli riservò il main event. Un Dave Tiberi letteralmente indemoniato, per nulla intimorito dalla fama e dalle indiscutibili doti tecniche del rivale, diede vita a una pressione asfissiante ed estenuante sin dal primo suono del gong portando un’enorme quantità di colpi e costringendo il blasonato detentore alla distanza ravvicinata senza soluzione di continuità. James Toney, che da counter-puncher qual era avrebbe dovuto far faville contro un demolitore privo del colpo da KO, si trovò immediatamente a disagio nell’essere francobollato dall’avversario e pur riuscendo a scuoterlo alla fine del primo round perse ben presto convinzione e spavalderia non trovando spazio e tempi per mettere a segno i propri colpi migliori. Round dopo round Tiberi, col tricolore italiano ben visibile sui pantaloncini, si rese protagonista di una performance indimenticabile fatta di cuore, orgoglio, fiato infinito e sorprendenti doti tecniche dalla corta distanza. I numeri di compubox, che lo videro superare il campione nel numero di colpi a segno per 439 a 290 fotografano soltanto in parte la predominanza manifesta e palese che qualunque spettatore imparziale con un minimo di competenza non poté non ravvisare quella notte.

Il verdetto fu dunque una doccia gelata per tutti: a fronte di un giudice onesto, il cui 117 a 111 per Tiberi si sposava perfettamente con quanto visto sul quadrato, due cartellini regalarono incredibilmente la vittoria a Toney assegnandogli tre punti di margine e permettendogli di restare campione del mondo. I punteggi furono talmente sconcertanti che il giornalista della ABC Alex Wallau definì in diretta il verdetto “uno dei più disgustosi a cui io abbia mai assistito” ribadendolo al vincitore ufficiale durante le interviste di rito. Toney sul momento dichiarò di aver vinto con merito: soltanto 17 anni più tardi, in un’intervista, ammise finalmente che il giusto vincitore quella sera non fu lui.

Il risvolto più singolare di questa vicenda, che a prima vista parrebbe simile a tante altre ingiustizie perpetrate nella storia della boxe, fu ciò che accadde dopo. Il senatore William Roth, rappresentante del Delaware, stato di provenienza di Tiberi, promosse un’indagine sull’accaduto col risultato di far emergere che i due giudici che determinarono la vittoria di Toney non possedevano neppure la licenza per poter giudicare incontri nel New Jersey! Il team di Toney, desideroso di lavare l’onta del furto universalmente ritenuto tale cercò in ogni modo di organizzare una rivincita arrivando ad offrire a Tiberi mezzo milione di dollari oltre a una piccola percentuale dei ricavi della pay per view. Occorre tener presente che per il match della discordia lo sfidante aveva portato a casa appena 30mila dollari e che la cifra che gli veniva offerta sarebbe stata di grande aiuto per lui e per la sua famiglia. Dave Tiberi però pose una condizione: essendo stata accertata la composizione fraudolenta della giuria, quel verdetto infame sarebbe dovuto essere rovesciato d’ufficio permettendogli di salire sul ring per la rivincita da campione in carica. In alternativa pretendeva almeno la nascita di una commissione nazionale che perseguisse come primo obiettivo la tutela dei pugili e delle loro carriere battendosi contro la pratica di trattarli come carne da macello. Nessuna delle sue richieste fu assecondata e così Tiberi non soltanto rinunciò al rematch, ma addirittura decise di non combattere mai più. La delusione per il torto che aveva mortificato anni di sacrifici ma ancor di più la convinzione di dover essere protagonista di una battaglia di principio e porsi come esempio per il cambiamento furono più forti dei richiami del denaro.

Da allora fino ai giorni nostri l’italo-americano non ha mai rinunciato alle sue battaglie e se nel 1999 fu promulgata in USA la legge nota con il nome Muhammad Ali Boxing Reform Act, avente lo scopo di proteggere i diritti e la salute dei pugili, assistere le commissioni statali nella supervisione della boxe, incrementare i valori di sportività e integrità nel pugilato, è anche merito della sua spinta propulsiva e dell’eco che ebbe la sua storia.

avatar Scritto da: Mario Salomone (Qui gli altri suoi articoli)

Mario Salomone, alias Magic Man, nasce a Caserta il 21 gennaio del 1989. Muove i primi passi nel mondo del giornalismo sportivo quando Stefano Slomma lo recluta come redattore di Mondoboxe, il prestigioso sito internet di informazione sul pugilato. Dopo la chiusura del portale, ed in seguito a un periodo di pausa, viene scelto da Luigino Murru ed insignito del ruolo di redattore capo del nascente Boxenews al quale collabora per tutti e cinque gli anni di durata del progetto. Ha una laurea magistrale in ingegneria Aerospaziale, parla quattro lingue e coltiva l’hobby della lettura.


Un Commento a Un furto e una questione di principio

  1. avatar
    Enrico Cecchelli 10 Maggio 2019 at 17:16

    Bellissimo articolo è grande personaggio. Grazie di avercelo fatto conoscere. Sarebbe interessante un articolo su altri verdetto scandalosi nella storia di questo sport …che so non essere pochi!

    Mi piace 1

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