Collina Verde

Scritto da:  | 20 Luglio 2019 | 8 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Di lì a poco giunse e sbarcò a Tripoli l’Africa Korps. Ossia l’armata tedesca al comando del generale Erwin Rommel, destinato al fronte dell’Africa Settentrionale per combattere contro gli inglesi al confine con l’Egitto. Una folla incuriosita assisteva nei pressi del
porto a quello sbarco. C’ero anch’io a pochi passi da Rommel: piccoletto, svelto, oltremodo sicuro di sé nell’impartire ordini.
Che differenza di organizzazione ed equipaggiamento dimostrava l’Africa Korps al confronto con i nostri soldati che pure avevo visto partire poco tempo prima per lo stesso fronte di guerra: i nostri avevano il moschetto ‘91, la divisa di panno, scarponi e fasce dal polpaccio alla caviglia e pezze ai piedi in luogo delle calze (sembravano figure uscite dalle oleografie della Grande Guerra) e partirono a piedi o a bordo di scassatissimi camion seguiti dal pianto delle donne che in essi vedevano ciascuna il proprio figlio.
I tedeschi invece erano in pantaloncini corti, camicie a mezza manica, berretto, scarpe adatte al deserto, armi automatiche tra le quali, a dotazione personale, abbondavano le pistol – machine.
Colpiva anche il sincronismo perfetto col quale agivano e l’ordine osservato in maniera maniacale.
Naturalmente vi furono i soliti saccenti che ne dedussero che la fine della guerra a questo punto era una questione di giorni!
Chiuse a tempo indefinito le scuole per i continui bombardamenti, sfollai con tutta la famiglia a Collina Verde, dal nonno paterno, che destinò a ciascuno dei figli sposati, una camera della sua casa colonica.
E così vivemmo in promiscuità con i parenti di parte paterna fino a quando morì nonna Caterina, nel 1941.

A cagione dei bombardamenti continui, non ci fu funerale vero e proprio.
In chiesa, ove mi ero recato per chiedere le esequie, fra Angelo mi disse che non si poteva officiare la funzione contestualmente al funerale (eravamo a 7 Kh dalla città): troppo pericoloso a cagione dei bombardamenti.
A proposito di bombardamenti subiti, cito testualmente qui di seguito documenti storici dell’epoca per dare un’idea delle sofferenze
della popolazione tripolina:
“…La città che più soffre per i bombardamenti aerei e navali è Tripoli, che costituisce per il suo porto…l’obiettivo principale degli inglesi. Dal 15 giugno 1940 al maggio 1941 la città subì ben 41 bombardamenti aerei nemici. L’incursione più distruttiva è quella aereo-navale del 21 aprile 1941.”
“La nostra Tripoli è irriconoscibile, scrisse Roberto Nunes-Vais: fabbricati distrutti, pali coi fili della luce divelti, incendi, il rifugio sotterraneo della Banca d’Italia centrato in pieno da un proiettile 305 e tutti gi occupanti del rifugio sono morti, ivi compresi il governatore e la sua famiglia.”
Ricordo perfettamente quella notte: da Collina Verde vedevamo e sentivamo un bombardamento mai visto prima: il nonno che era stato in marina disse: Bedda Matri! chissu ie bumbaddamento navali!
L’indomani mattina, al far del giorno, uscendo dalla casa del nonno notai a non più di 100 metri di distanza, di lato alla vasca ove confluiva l’acqua sollevata col sistema della noria, un proiettile inesploso, alto quasi quanto un uomo: Era proprio un proiettile sparato da un cannone di marina. Evidentemente nella sua corsa non aveva incontrato ostacoli (per fortuna) e quindi non era esploso ed era arrivato, per inerzia, fin da noi! –
Dopo la chiusura delle scuole, rimuginai cosa fare e, parlando con coetanei seppi che le officine delle succursali Lancia e Alfa Romeo assumevano apprendisti.
Bisognava presentarsi ai cancelli dello stabilimento alla mattina per tempo e sostare nei pressi: a un dato momento arrivava un capo reparto che dava un’occhiata in giro, sceglieva l’aspirante apprendista e lo invitava a seguirlo: cosi fui scelto una mattina e nell’entrare in stabilimento della LANCIA mi accorsi che puntavamo al reparto carrozzeria al che io obiettai che volevo divenire un motorista.
Mi rispose il mio novello caporeparto, sig Crolle, torinese doc – che i motoristi erano ormai più numerosi dei motori in circolazione e che il mestiere dell’avvenire era quello del carrozziere……beh, alla prova dei fatti non si può dire che sbagliasse…
Mi presentò al mio maestro sig Proli – romano – col quale dovevo collaborare…e imparare il mestiere…
E devo dire che ben poche volte ho riscontrato nella mia vita tanto impegno e passione per il mestiere: il guaio è che lui pretendeva da me altrettanta dedizione.
Nei pochi momenti che si lasciava andare, ricordava la sua Roma e ..l’ippodromo delle Capannelle come appassionato di ippica. –

Preciso che dal fronte di guerra era un continuo arrivo in stabilimento di autocarri e autovetture danneggiati, da riparare con la massima urgenza per rispedirli al fronte e posso dire che ce la mettevamo tutta.
Spesso eravamo oggetto di bombardamento da parte di aerei britannici e correvamo lesti nei rifugi al primo allarme.
Da perfetto incosciente, non ero molto sollecito a rifugiarmi ma mi è sempre andata bene…
A mezzodì, di solito mangiavo qualcosa che mia madre mi aveva preparato la sera prima e che mi ero portato con me e raggiungevo l’officina LANCIA in bicicletta, da Collina Verde.
Durante la pausa pranzo ci ritrovavamo tra apprendisti coetanei a parlare del più e del meno ma non frequentavamo i coetanei che lavoravano nello stabilimento ALFA ROMEO, di fronte, al di là della strada che ci separava. A quel tempo era molto accesa la rivalità tra alfisti e lancisti, anche tra gli operai adulti.
Ho detto all’inizio dell’esistente penuria di generi alimentari e di conforto per la popolazione. che si aggravava col trascorrere del tempo.
I convogli di navi da trasporto di derrate alimentari, provenienti dall’Italia, erano sistematicamente attaccati da sommergibili e aerei inglesi con gravi perdite e l’isola di Malta si dimostrava una formidabile base di operazioni belliche e rifugio sicuro per aerei, navi e sommergibili inglesi.
Alle Autorità governative di Tripoli non restava altro che rimpatriare donne e bambini italiani allo scopo di diminuire quanto possibile il flusso e la frequenza di convogli navali con derrate alimentari.
E così diventammo novelli profughi… sì perché il rimpatrio fu reso obbligatorio per donne e minori di età e di ciò furono incaricati i Carabinieri che si presentavano nelle case degli italiani costringendoli entro poche ore a prepararsi al rimpatrio e abbandonare le proprie abitazioni, niente bagagli, tanto ci avrebbero dato tutto quanto occorreva in Patria. Si viaggiava in aereo.
Lascio intuire lo sgomento delle famiglie e in particolare ricordo la disperazione della mamma che non era mai stata in Italia e di abbandonare la nostra casa non voleva proprio saperne.
Per tre giorni aspettammo ai margini del campo di aviazione il nostro turno di partenza : all’aperto. Era di febbraio, ma a Tripoli il clima era già mite. Papà, per fortuna nostra arrivava quotidianamente in bicicletta, con qualcosa da mangiare che si procurava al mercato nero.
Gli aerei da trasporto che facevano l’incessante spola con l’Italia e su uno dei quali eravamo destinati a salire, erano gli S79 – Savoia-Marchetti o in alternativa i tedeschi Junker 88.

In cuor mio, mi auguravo di viaggiare con l’aereo italiano e così fu.
Era il 15 febbraio del 1942.
Equipaggio italiano dunque e alle mitragliere nostri soldati… feriti e convalescenti.
Si perché l’ipotesi di scontrarsi con gli Hurricane inglesi era tutt’altro che remota. E difatti questi apparvero a metà percorso circa e l’allarme fu dato ai mitraglieri improvvisati ma per fortuna gli inglesi – erano due caccia – non ci attaccarono, forse perché volavamo con uno stormo numeroso e protetto da nostri aerei da caccia.
Fatto si è che quello stesso giorno 15 febbraio 1942 atterrammo in Sicilia, a Castelvetrano. –

avatar Scritto da: Antonio Pipitone (Qui gli altri suoi articoli)


8 Commenti a Collina Verde

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    Fabio Lotti 21 Luglio 2019 at 09:51

    Un caro saluto ad Antonio ed un grazie per i suoi ricordi.

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    fabrizio 21 Luglio 2019 at 10:31

    Grazie Antonio per questi ricordi così semplici e concreti, che fanno percepire la realtà di quella situazione storico-sociale e che valgono forse più della lettura di tanti libri di storia.

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    paolo bagnoli 21 Luglio 2019 at 18:46

    Anche mio padre Renzo era in Libia, ma per rientrare in Italia dovette aspettare – via India – anni di prigionia a Rawalpindi. Partito quando mia madre era incinta mi potè abbracciare per la prima volta pochi giorni prima del Natale 1945.

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    The dark side of the moon 24 Luglio 2019 at 14:21

    La tragedia della guerra portata dalla dittatura nazifascista e che ha distrutto l’Europa NON deve MAI essere dimenticata.
    In quest’epoca di revisionismi storici è bene ricordarlo.

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      DURRENMATT 24 Luglio 2019 at 14:27

      …I vincitori scrivono la storia, non la verità…è bene ricordarlo.

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      Giancarlo Castiglioni 25 Luglio 2019 at 14:31

      La visione convenzionale della seconda guerra mondiale, come lotta delle democrazie contro le dittature, buoni contro cattivi è profondamente sbagliata.
      L’aspetto principale fu una lotta tra imperialismi tra cui gli Stati Uniti hanno saputo far meglio i loro conti e sono usciti vincitori.

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    Chess 25 Luglio 2019 at 21:36

    Sono d’accordo con Castiglioni, bisognerebbe riscrivere una storia della seconda guerra mondiale.

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    marco 8 Agosto 2019 at 11:05

    Bellissimo racconto del Sig. Pipitone (con cui ho giocato nel lonato 2006 a P.S. Giorgio)La guerra è una tragedia, la guerra libica (1911-1912)contro i turchi, poi da lì a poco la Grande Guerra!

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