Un colpo… di tramontana

Scritto da:  | 1 Aprile 2020 | 7 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Racconti

Vento: Tramontana
Firenze, Anno Domini, 1538 sotto la signoria del duca Cosimo de’ Medici

All’ora nona aveva smesso di nevicare e all’improvviso, come richiamata dai bizzosi capricci di Eolo, si era levata la tramontana. Il vento del nord che s’ingolfava per la vallata e, ghiacciando le ossa, prendeva d’infilata l’Arno, che scorreva plumbeo tra due ripe imbiancate. Soffiava forte, a raffiche che si incuneavano nei vicoli e  Mastro Bardi e Bista avanzavano a fatica alzando la lanterna per vedere dove mettere i piedi, benché avesse fatto la sua comparsa anche la luna, con la sua vistosa gobba a ponente ripulita dalle brume. L’aria era asciutta ma gelida e la neve, che si era addensata a grossi mucchi sui cantoni e che ammantava la carreggiata con un tappeto intonso, scricchiolava minacciosamente.
Ancora qualche ora di questa buriana e tutte queste strade si trasformeranno in trappole per i passanti. Già stamani il ghiaccio ha fatto la sua prima vittima, si disse il medico, pensando alla sua paziente. «E questa non sarebbe proprio notte da andare in giro» mugugnò Mastro Folco Bardi, cerusico emerito delle migliori famiglie cittadine, affrettando il passo tallonato da Bista, il nuovo servo strabico e un po’ scemo dei Torricelli.
Un quarto d’ora prima proprio Bista aveva bussato con tutte le sue forze al portoncino del palazzetto di via del Purgatorio fino a svegliarlo.
«La mia padrona sta molto male. Ha vomitato l’anima. Fatica a respirare. Mi hanno ordinato di venirla a cercare. Fate presto Magister!»

Prima dell’ora sesta, mentre nevicava fitto fitto, sempre il solito Bista era venuto a chiamarlo mentre ricuciva la gamba di un monello troppo impetuoso. Con voce affannata aveva ingiunto:
«Correte dottore, Monna Porzia Torricelli è cascata nella corte vicino al nevaio».
«Eh che ci faceva Monna Porzia con questo tempaccio fuori, vicino al nevaio?»
«Voi la conoscete la mi’ padrona, unn’ si fida di nessuno. Dice che siamo fannulloni, che non spaliamo quando invece si dovrebbe fa’ tesoro per la calura. Che sprechiamo la neve fresca. È uscita nella corte con la pala in mano ma… intorno alla bocca del nevaio era tutto diacciato!»
«È scivolata?»
«Davvero».
Non avrebbe avuto bisogno chiedere: Monna Porzia, la vedova Correggiani risposata Torricelli, bigotta, codina, ricchissima ma avara allo spasimo, guardava a ogni centesimo di casa sua. Perfino il pane ai poveri centellinava. Tuttavia tre anni prima, pingue ma ancora piacente, si era concessa il lusso di comprarsi a caro prezzo Marzio Torricelli, giovanotto di  famiglia altolocata, ma giocatore e pieno di debiti. Poco più vecchio di Clarice sua figlia, un virgultino stento, una biondina non brutta, gentile, accomodante, tutta il ritratto del suo povero padre buon anima. Casa, chiesa e focolare. Monna Porzia vedeva la figliola ancora implume e non pensava ad accasarla. Rimandava. Ci sarebbe voluta la dote e… separarsi da tutti quei ducati faceva dolere il cuore! A Mastro Folco venne da ridere. Figuriamoci! Lei tiene ben stretti i cordoni della borsa, ma sa cavarsi le voglie. Il  nuovo marito bello e robusto, deve essere uno stallone di vaglia. Ma lei l’ha messo alla frusta, niente gioco e a stecchetto per il denaro. Solo se fa il suo dovere da bravo sposo, allarga un po’ i cordoni della borsa.
Monna Porzia aveva fatto un brutto ruzzolone e il non voler mollare la pala che reggeva in mano aveva peggiorato gli effetti della  caduta. Era coperta di lividi e si era rotta una gamba. Strillava come un’aquila e piangeva come una vite tagliata.
«Su, su» la consolava maldestramente suo marito.
Mastro Bardi l’aveva medicata. Aveva steccato perbenino la gamba. Prescritta una pozione per il dolore e ordinato letto e riposo assoluto per almeno due settimane.
«Si riguardi! Tanto con questo tempaccio tanto vale restare al calduccio» le aveva suggerito consolatorio.
Quando era ripassato nel pomeriggio, Monna Porzia, che non lesinava sulla sua salute e aveva sborsato senza fiatare il suo onorario anche per  una seconda visita e medicazione, l’aveva trovata bene. Fresca, di buon umore. Con il marito a disposizione…
«Non deve fare altro che restare a letto» aveva reitereato e le aveva lasciato una pozione robusta per la notte. «Domani ripasserò» aveva garantito.
E invece…

 «Com’è possibile? La frattura non sembrava grave. L’ho lasciata tranquilla, accudita da Maria, la fantesca. Magari s’è voluta alzare?».
«No, no. Unn’ s’è mossa e sembrava che stesse bene. La pozione le aveva quasi levato il dolore. Aveva persino fame. Ha ordinato brodo e gallina in umido. Il padrone si è tranquillizzato ed è uscito prima di cena. Passa la notte in ritiro spirituale al Monastero di San Salvatore per la penitenza della Quaresima. Ma poi… Maria è venuta giù per le scale e Piero, il portinaio mi ha spedito da lei».
«Ho capito, ho capito… ma Ser Marzio, il marito. Sarà il caso di cercarlo?»
«Sissignore illustrissimo e magari anche Madonna Clarice. Lei è in ritiro a San Marco, da tre giorni».
«Ben detto, anche lei».
«Non dubiti Magister, accompagno lei e vado!»
Il dottore rabbrividì, avviluppandosi stretto nel mantello, con la mano sinistra serrò il cappuccio sulla testa.
Poco dopo attraversavano l’Arno e imboccavano via Maggio. Pochi passi ancora e furono davanti al Palazzetto Correggiani.
Il servitore infilò la chiave nel portone. Spinse la porta ed entrò nella corticina  pregustando la seconda borsa promessa, dopo la prima per andare fin dal dottore e raccontargli quella storia. Bista aveva poco cervello e gli affari dei padroni lo riguardavano poco. Lui vedeva solo il denaro. Dalla corte, aprì il cancelletto, poi il portoncino di legno e passò nel primo ingresso immerso nel buio poi, come gli era stato ordinato, disse:
«Mia dia il mantello illustrissimo e aspetti qui. Chiamo il portinaio per le chiavi e andiamo di sopra».
Il tempo di raggiungere la guardiola, entrare richiudere alle sue spalle e sussurrare:
«Dov’è Piero? Il dottore è arrivato!»
Ma la sua lanterna evidenziò il cadavere del Piero, disteso a terra davanti a lui.
Prima che avesse tempo di tirare fuori il fiato, un pugnale, lungo e ben affilato saettò da dietro, un colpo netto deciso che gli trafisse il cuore… e quelle appena dette  furono le sue ultime parole in vita.
Così neppure tu potrai tradirmi, decretò con ferocia l’assassino, ripulendo il pugnale sulle vesti della sua vittima. Si pensi che chi ha organizzato il colpo mortale ha deciso di liberarsi dei suoi complici.  Raccolse la lanterna ma, prima di uscire, frugò il servitore per ricuperare il borsellino pieno che l’aveva abbindolato .
Fuori della guardiola si sentiva solo l’ululare minaccioso del vento, mentre casa, corte e ingresso erano immersi in un silenzio quasi sepolcrale.
Stai a vedere che la padrona, Monna Porzia ha avuto un coccolone ed è bell’e morta, ipotizzò il dottore Bardi, strizzando gli occhi per tentare di abituarli  al nero che lo circondava, appena rotto dal niveo candore della neve della corte che filtrava dalla finestrina vetrata.
Il cuore gli scandiva secondo che parean minuti. Intimorito suo malgrado chiamò:
«Bista!»
Prima di ricevere in testa un colpo di mazza che lo sprofondò nel nulla.

Mastro Folco Bardi giaceva a terra. Il suo aggressore aveva colpito sodo. Ma per scrupolo gli legò braccia e gambe. Il dottore gli serviva come testimone.
Ora l’ assassino doveva completare la sua opera.
Si allacciò dietro la testa la maschera di cuoio e si alzò l’ampio cappuccio del mantello nero. Poi facendosi luce con la lanterna di Bista, imboccò la scala che portava al primo piano.
Tutti dormivano della grossa.
Con passo felpato raggiunse la camera della padrona e signora. La porta era aperta. Un lumino fioco brillava sopra il canterano. Monna Porzia dormiva e ronfava leggermente con la bocca aperta.
La fantesca dormiva anche lei. Era scivolata in avanti, bocconi sul letto. Ma doveva avere il sonno leggero. Si sollevò insonnolita, vide la figura spaventosa in piedi accanto a lei, fece per gridare, ma lo stessa mazza robusta usata per il dottore la rispedì nel mondo dei sogni.
L’uomo aveva picchiato forte per farla tacere. Controllò impaziente ma vide che respirava ancora. Imbavagliò rapidamente anche lei e le serrò insieme braccia e gambe.
Era meglio lasciare un paio di testimoni vivi, in grado di avvalorare che il ladro o i ladri assassini avevano ucciso solo chi dovevano o volevano.
La pozione calmante e soporifera del dottor Bardi aveva fatto il suo dovere. Monna Porzia si mosse appena mugulando, poi ricominciò a ronfare.
Doveva sbrigarsi. Era il momento di agire. Bisognava organizzare la scena del delitto.
Rovesciò le coperte. La donna protestò stizzosa, aprendo gli occhi ma era intontita. Una specie di diavolo nero la sovrastava. Atterrita spalancò la bocca per urlare, ma il suo aguzzino fu pronto a impedirglielo. Nello spazio di un amen era imbavagliata con braccia  e gambe ben tornite legate alle quattro colonne del letto.
Il mostro la minacciava con un coltello.
Ordinò secco: «Dove nascondi la chiave?»
«Tu, tu…»  I suoi occhi sbarrati dicevano che riconosceva quella voce.
La schiaffeggiò  cattivo con violenza e chiese ancora: «La chiave?»
Lacrime d’ira le bagnavano le guance. Scosse la testa decisa.
«Ora vedrai» la minacciò e, mettendogli la lama del pugnale al collo, incise la carne sotto il mento.
Sgorgò uno zampillo di sangue.
Gli occhi di Porzia si fecero atterriti, tremava…
«La chiave» ruggì lui.
Lei alzò il mento sanguinante, come a indicare verso la finestra.
Bene. Allora hai capito che è meglio parlare. Ti libero la bocca e tu mi dici dove cercare, ma niente scherzi, sennò chiave o no, ti taglio la gola” grugnì appoggiandogli di nuovo il pugnale sotto il mento mentre le allentava il bavaglio:
«Forza, dove?»
«Sopra l’architrave!» mormorò affannosamente prima che il suo aguzzino le tappasse di nuovo la bocca.
«Bene, vediamo, ma se hai mentito avrai ciò che ti meriti!»
Non aveva mentito. Prese la chiave e aprì lo scrigno. Il tesoro era davanti a lui, tutto per lui.
Non restava che liberarsi della donna e prenderlo. Tornò verso il letto.
Lei lo vide arrivare e intuì di essere perduta. Tentò di muoversi in qualche modo, mugulò disperatamente.
«Grazie moglie mia» disse crudelmente Marzio Torricelli tagliandole la gola da parte a parte.
Poi, ignorando lo scempio di quell’orrenda seconda bocca sanguinolenta, ripulì con cura il coltello sulle coltri, prima di sciacquarsi vigorosamente le mani nel catino appoggiato sulla cassapanca.
Poscia svuotò il forziere, riempiendo le borse di cuoio che si era portato dietro alla bisogna e se le buttò sulle spalle.
Un cupo scricchiolio lo mise sul chi vive. Alzò le orecchie, qualcosa sbatteva
Si rispose: tranquillo non vien nessuno, è solo il vento che soffia e fischia
contro gli sportelli della loggia.

Aprì la porta e uscì. La tramontana faceva danzare in aria un pulviscolo accecante di paglia e rimasugli di foglie e fascine, seminati sul selciato dai carretti, una ciotola di stagno ammaccata rotolava sinistramente. Una ventata repentina gli gonfiò il mantello raggelandogli le membra. Si avviò benedicendo quella buriana che aveva svuotato strade e cantoni. Solo mentre percorreva il borgo scorse di lontano due viandanti  intabarrati nei mantelli.
Svoltò veloce su via del Drago d’oro per non farsi notare. Era quasi arrivato.
Sentiva che il vento mugghiava forte, prendendo l’Arno d’infilata. Rabbrividì e  pescò nella scarsella, la chiave della porticina segreta sul vicolo, che correva lungo le  mura, stringendosi addosso il giubbone. Una volata per attraversare l’orto, poi
dal chiostro s’infilò in chiesa e scese nella cripta. Sapeva dove nascondere il suo bottino. Sotto l’altarino della cappella dei Verrazzano c’era lo sportello che conteneva i paramenti per i funerali. Li spostò e cacciò bene sul fondo, c’era tanto posto, le sue borse piene, poi, a portata di mano rimise vasi, croce e ostensori.
Qui sarà al sicuro almeno fino al prossimo morto della famiglia, si disse ghignando.
Muoviti ora, si ordinò, si fa tardi, non rischiare.
Ma poteva stare tranquillo. Nella cella doppia, arricchita da corredi di pregio, suo cugino, Fra’ Martino da Verrazzano, il priore, dormiva il sonno del giusto davanti al camino. Rinfilò la chiave della porticina esterna al suo posto tra le altre, nel grosso mazzo che il sant’uomo teneva sempre appeso in vita.
Di certo a quell’ora gli altri frati e i conversi di servizio ronfavano nei loro giacigli. La potente pozione soporifera dello speziale cerusico di Scarperia che aveva fatto cadere nella zuppa durante la parca cena quaresimale nel refettorio, valeva il suo prezzo. Una puntina per una buona notte di sonno… Una boccetta e mezzo per addormentare mezzo convento.
Il fuoco era quasi spento. Rimestò le braci, aggiungendo un ciocco. La fiamma si levò alta prepotente. Restò a fissarla con gli occhi aperti, poi sedette davanti, teso, irrigidito. Tranquillizzati, non hai commesso errori, si ripeteva ripercorrendo ogni scelta e ogni gesto. Ma solo quando la campana del convento batté tre rintocchi, si lasciò andare all’indietro contro lo schienale del seggiolone e chiese con tono assonnato:
«Non è il Mattutino?»
«Ossignore Benedetto, perdonaci» farfugliò il priore, destandosi di colpo.
«Il tuo vino è troppo generoso, caro cugino. Ieri sera abbiamo esagerato».
Fra’ Martino annuì, allargando le braccia, sbadigliò poderosamente e ordinò: «Andiamo a pregare».
Quando uscirono, dopo aver recitato devotamente i Salmi e le letture, l’alba si avvicinava. Rabbrividì infilandosi nel letto della sua cella. Presto i conversi, avrebbero cominciato a fare il giro per il corridoi…
La notizia, ne era certo, sarebbe arrivata prima dell’ora terza…
I servi correranno a cercare aiuto. La confusione, le guardie…
Magister Bardi avrebbe denunciato l’evidente complicità di Bista, il servo sciocco. Il portinaio ignaro aveva aperto e il furto premeditato si era trasformato in una carneficina. Le indagini… I sospetti? Non certo su lui che non aveva niente da nascondere e da temere. Era in ritiro, in convento con il cugino priore. Si sarebbe guardato altrove. Con l’avvento del nuovo duca, Firenze si era fatta più sicura, ma imperversavano ancora bande di malfattori della vecchia signoria. Furbi, prepotenti e tagliagole.
Poi il funerale. Il testamento… E tu avrai via libera con Clarice la figlia di Porzia…

La tramontana, che si era chetata poco dopo l’alba cedendo il passo a una nuova spruzzata di neve, aveva ripreso a soffiare ostinata. Una guardia era venuta a cercarlo.
La terribile notizia, lo stupore, la costernazione.
«Prega per la povera Porzia» aveva chiesto mesto al cugino prima di andare.
Il portone era aperto, due guardie stazionavano nella corte.
Si fermò per un momento e alzò lo sguardo ad ammirare la casa. Bella signorile. Tra poco sarà tutta tua si ripromise soddisfatto
Ma  Porzia con le sua maledetta avarizia l’ha trascurata, la facciata è  in disordine, i cornicioni in cattive condizioni, i portali crepati, la pietra è erosa. E il ghiaccio farà altri danni. Bisognerà riparare, mettere mano alla borsa…
Il capitano Duccio Rubelli vice comandante della guardia stava uscendo dal portoncino sulla corte, accompagnato da uno dei suoi uomini.  L’ufficiale lo vide, lo riconobbe e gli si fece incontro dicendo: «Condoglianze ser Marzio, le purtroppo già saprà: sua moglie e due dei servitori… Piero il portinaio e Bista… Il dottore l’ha passata brutta, ma si sta riprendendo. L’ho interrogato, ma non ha visto nessuno. Ricorda solo la botta in testa. La fantesca, la Maria invece dice di aver intravisto una specie di diavolo vestito di nero…»
«Un diavolo?»
«Doveva essere l’assassino, ma forse erano più d’uno. Abili e informati. Sapevano  della caduta, che Monna Porzia era sola con i domestici. Hanno fatto del dottore il loro salvacondotto. Pensiamo che si siano serviti della complicità di Bista per montare il loro piano e poi abbiano eliminato lui e il portinaio per farsi aprire. Era una nottataccia: il vento impazzava e gli altri domestici, la cuoca, la sguattera e lo stalliere, non hanno sentito niente».
«Bista? Lui? Ma è un povero scemo. Lui complice dei banditi?»
«Eccome! Spesso si fingono scemi. Era molto che lavorava da voi?»
«No capitano, è di ragione, da poco, meno di un mese».
«Vede! Che dicevo. Altro che scemo. Quello era legato a filo doppio con gli assassini. Lei sa cosa conservava sua moglie in casa?»
«O Dio benedetto! Tanta roba: argenti, gioielli, ducati… lo scrigno era pieno! Tutto chiuso a chiave».
«E le chiavi?»
Torricelli allargo le braccia impotente e rispose:
«Ben nascoste. Non so dove e non l’ho mai saputo… E che io sappia nessun altro. a meno che sua figlia Clarice…»
«Certo, certo. Quindi gli aguzzini avrebbero infierito per far parlare Monna Porzia perché ora lo scrigno è aperto e vuoto!»
«Un bottino principesco» commentò  il vedovo amaramente.
«Argenti, gioielli e ducati, ha detto?»
«Sa Porzia era molto  ecco.. come dire: economa, molto tirata.»
«Per non dire avara» rise Rubelli.
«Lei l’ha detto e non la contraddico» mormorò Torricelli spiegando anche: « Voleva disporre di abbastanza denaro. Per la buona o la cattiva sorte, diceva. E teneva sempre a portata di mano almeno cinquecento ducati».
«Si potrebbe sostenere che la cattiva sorte sia passata all’incasso!» esclamò  brusco l’ufficiale. «Ma per combatterla mi serve qualcosa di più. Il mio sergente ha preso in mano l’indagine e vorrebbe fare un inventario. Vada su e gli faccia scrivere  tutto ciò che ricorda!»
«Subito ma non sarebbe il caso di chiamare anche  Clarice?»
«Certo anche lei, ho già mandato ad avvertire la badessa di San Marco…»
«Vedrò di risparmiarle il peggio. Povera piccola, sarà sconvolta».
«I miei uomini mi ragguaglieranno su tutto. Le prometto che faremo ogni mossa in nostro potere per acciuffare gli assassini e punirli. Il boia avrà da fare!»
«Grazie capitano, conto su di lei e sulla giustizia ducale» rispose cerimoniosamente Torricelli, prima di aggiungere: «Ma lei stava per andarsene, l’accompagno» avviandosi con il capitano verso l’uscita su strada di via Maggio.
Rubelli superò il portone in sua compagnia, raggiunse la guardia che l’aspettava e gli porse le redini. L’ufficiale  balzò in sella, alzò il braccio nel saluto e partì.
Il padrone di casa ormai vedovo si girò su se stesso, riflettendo, fece per rientrare…
Ma una folata più forte, uno scricchiolio, uno schianto sinistro: e proprio la traversa del portale  al quale pensava di mettere mano si staccò…
Un attimo dopo Marzio Torricelli giaceva esanime sotto un mucchio di calcinacci polverosi. Morto stecchito!
Lo spaventoso rumore del crollo fece accorrere le guardie dalla corte e i servitori superstiti.
«Ossignore che disgrazia, il padrone, Ser Marzio… Non è possibile! Anche lui!» gridò lo stalliere sbalordito.

avatar Scritto da: Patrizia Debicke (Qui gli altri suoi articoli)


7 Commenti a Un colpo… di tramontana

  1. avatar
    Uomo delle valli 1 Aprile 2020 at 08:58

    Bellissimo!

    Mi piace 1
  2. avatar
    Fabio Lotti 1 Aprile 2020 at 09:27

    Racconto gustosissimo. Per gli amici scacchisti-giallisti come Mongo ricordo alcuni libri di Patrizia: “L’uomo dagli occhi glauchi”; “L’oro dei Medici” e “La gemma del Cardinale de’ Medici”, tre gialli storici di ottima fattura.

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      Mongo 1 Aprile 2020 at 23:20

      Grazie Fabio, ma al momento sono alle prese con ‘Storia della rivoluzione russa’ di Lev Trotsky e tutta una serie di libri di Victor Serge. Ma in futuro…

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        Giancarlo Castiglioni 1 Aprile 2020 at 23:37

        ‘Storia della rivoluzione russa’ di Lev Trotsky
        Lo ho letto molti anni fa, molto buono.

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  3. avatar
    lucio 1 Aprile 2020 at 15:03

    Brava Patrizia, facciamo che tante parole antiche e dismesse risuonino come nuove e meravigliose nelle nostre stanze! Un abbraccio. (Bista era il nostro benzinaio… a Castiglion Fiorentino)e tutti gli dicevano Bista, con la cavalla trista… Lucio

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  4. avatar
    Dino Betti van der Noot 1 Aprile 2020 at 16:17

    E il tesoro? Bello, quasi pirandelliano.

  5. avatar
    Fabio Lotti 2 Aprile 2020 at 18:20

    Anche io ce l’ho nell’edizione degli Oscar del 1969!

    Mi piace 1

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