Una partita di calcio può cambiarti la vita

Scritto da:  | 22 Aprile 2020 | 5 Commenti | Categoria: Racconti

Viareggio estate 2014.
Il notaio Amilcare Barsotti, vecchio amico di suo padre, ormai morto da tanti anni, aveva telefonato a casa all’una e mezzo per parlare del villino.
Claudio era al mare. Ambra invece era tornata presto. Ormai aveva deciso di andare dal parrucchiere e prima dell’una era entrata in cabina per rivestirsi…
«Non è proprio il momento di vendere, ripensaci Ambrina, oh che direbbe il tu’ babbo: e poi a quel prezzo è regalato. Io gliel’ho detto chiaro e tondo al tu’ marito. Tenetelo, è affittato bene, per ora rende. Il mercato risalirà…»
« Il villino? Ma dottore, mio marito, cosa?» interrogò con un colpo al cuore. Il villino giallo, vicino alla pineta dove aveva passato tutte le vacanze da bambina e dopo da adolescente, da ragazza. Quanti ricordi di estate felici, spensierate, fino al matrimonio. Ogni anno con i genitori facevano la Cisa e venivano giù a Viareggio da Parma e invece dopo… Dopo, dopo… Insomma Claudio Ciompi il bel fiorentino mirava più alto, il villino era da borghesucci, risciacquati, non era chic, bisognava stare più vicino al mare e allora loro, i Rambelli – cosa non avrebbero dato per la loro Ambrina – avevano regalato ai giovani sposi l’attico al Vascello, salone, tre camere, due bagni, cucina e due terrazze, con la passeggiata a due passi.
«Bambina, bambina non lo vendete, è uno sbaglio, tenetelo» continuava a ripetere il notaio Barsotti tenace, senza soddisfare la sua domanda.
«Sì, sì ho capito. Ma lei notaio gliel’ha spiegato a Claudio?» lo stoppò, strangolandosi quasi.
«Claudio? Certo che gliel’ho spiegato, ma lui, è duro sai, peggio delle pigne di Viareggio. E poi insomma è roba tua no, parlaci un po’, vedi di farlo ragionare!»
«Sì, sì lei aspetti, per ora aspetti, insomma non faccia nulla. Ci parlo io» aveva farfugliato.
E come faccio? si era chiesta appena riattaccato, mangiandosi il fegato.
Da troppo tempo gliela dai vinta su tutto, ma il villino? Il villino no, decise. Ma come? Gli hai dato la procura no? Potresti levargliela? Lunedì mattina vai dritta dal notaio e …
Per il nervoso, prima di riuscire a fermarsi divorò boccone dopo boccone un striscia di focaccia all’olio, tanto buona ma almeno mille calorie, lo sapeva.
Preparò in fretta qualcosa per cena, Claudio era sempre così difficile e quando finì l’orologio segnava minacciosamente le tre. Dai e dai aveva fatto tardi!
L’ascensore pareva una sauna. Asciugandosi la fronte saltò fuori e uscì di corsa.

Ossignore l’appuntamento era alla tre, si disse, se hai perso il turno, chissà che ora ti faranno fare.
Si affrettò, grondando. Passava da un marciapiede all’altro nervosamente, seguendo l’ombra ben poca a quell’ora. Continuava a rimuginare. La storia del villino le stava sullo stomaco. Accidenti a te Claudio, si disse. Non ti bastava quello che mi hai combinato finora, stai passando ogni limite. Il villino no!

Era sabato e da – Salvatore e Matteo come recitava la colorata insegna liberty – il miglior parrucchiere del centro c’era la coda.
«Signora Ciompi oh che l’è successo?» interrogò Matteo, voltandosi con il phon in mano?»
«Sa, mio marito » borbottò, invocando complicità.
«Va bene, si sieda» ingiunse lui ombroso, tornando al suo brushing.
Lo fece. L’aria condizionata ronzava spargendo frescura. Respirò profondamente.
«Ha perso il turno, dovrà attendere» le annunciò con sufficienza la manicure, avvicinandosi con una pila di giornaletti.
Acconsentì succube e li prese. Ebbe tutto il tempo di leggere di fidanzamenti, matrimoni, divorzi, nascite insomma: vita, morte e miracoli di tutto il jet set internazionale e non, prima di cominciare a passare al lavateste e erano le sette e mezzo passate quando pagò il conto, salato come sempre, per taglio, brushing, piega e manicure.
«E’ un sogno signora» tubò sadicamente bugiardo Matteo – camicia e pantaloni neri attillati e ciuffo sbarazzino rosso fiamma – mentre le apriva la porta.
Sei stupida, solo una stupida, si rimproverò. Lo vedi!
Non aveva saputo resistere alle sue lusinghe e si era lasciata plagiare in un taglio calato da sedicenne che le lasciava le orecchie scoperte e ingigantiva la rotondità delle sue guance. Povera illusa cosa speravi.
Comunque ormai è fatta, fu costretta ad ammettere.
L’impatto tra l’oasi ad aria condizionata e il bollore esterno, che divampava dall’asfalto, la fece boccheggiare. Ma Ambra Ciompi scattò e, nonostante gli implacabili 37° all’ombra di fine agosto, ritornò a casa, quasi correndo.
Le strade erano semideserte. Ma dalle finestre aperte proveniva un chiacchiericcio di “sistemi di telecomunicazione” in febbrile attesa. La sfida Fiorentina-Napoli della prima giornata del campionato di serie A convogliava schiere di tifosi in vacanza davanti agli schermi.
E tu sai di essere in ritardo, la spronava implacabile il rimorso.
L’ascensore la trasportò fino al quinto piano, con terrazza sovrastante, del Vascello, il prestigioso immobile condominiale con vista mare che dominava orgogliosamente Viareggio.
Aprì la porta e buttò le chiavi nella vaschetta di cristallo sul tavolo. Sudava a fontana. La temperatura dell’appartamento era pari a quella esterna e le finestre dell’ingresso e del corridoio erano spalancate in attesa di un’improbabile serale brezza marina.
«Dov’eri finita? È più di un’ora che ti aspetto. Quando sono tornato dalla spiaggia eri fuori. Oh perché hai lasciato il cellulare a casa? Non riuscivo a trovarti…» ruggì la voce di Claudio Ciompi, proveniente dal soggiorno.
Mise la testa dentro: la televisione trasmetteva i titoli del telegiornale.
Suo marito magro, giovanile, impeccabile, docciato e con i capelli ancora umidi nella sua Lacoste, la sua quasi divisa, all’ultimo colore di moda, che stava spaparanzato sul divano, pronto a riallacciare il suo cordone ombelicale con la Fiorentina, si voltò e accusò iroso: «La partita sta per cominciare. Ti avevo detto che la volevo guardare. E ora io cosa mangio?»
«Eccomi, eccomi. Scusami, lo sai che io e il telefonino siamo nemici. Dovevo andare dal parrucchiere… Stamattina te l’avevo detto …»
«Ah sì, il parrucchiere, è vero» bofonchiò lui, mentre la studiava in silenzio. La gelò con un’occhiata che diceva tutto e riportò gli occhi sullo schermo.
Lo sapevi, si crocifisse. Cosa speravi? Lui ha ben altro per le mani.
In trent’anni di matrimonio aveva fatto il callo alle sue ‘ragazzate’… alle sue fidanzate. Sempre belle, disponibili e avide. Ma finora venivano, passavano, sparivano. Sapeva bene che Claudio, il bancario fiorentino, il bel fusto, aristocraticamente figlio di bancario e nipote di bancario, l’aveva sposata per i soldi anche se a vent’anni non era da buttar via. Ma lui… Sei un po’ pienotta, dovresti fare un po’ di dieta aveva cominciato a suggerire già prima di arrivare all’altare. Lei ci aveva provato, ma… Il suo cuore era emiliano: tortellini, salsicce, gnocco fritto… Fare la dieta era diventato un ossessionante refrain che le aveva avvelenato i primi anni di matrimonio. Aveva scoperto che a lui piaceva il tipo indossatrice, quello quasi grissino. Figuriamoci. Anche se dopo dieci aveva smesso di aprire bocca, i suoi occhi parlavano ogni giorno, la criticavano a ogni minimo segno di debolezza. Non perdonavano il minimo sgarro.
Quindi davanti al marito niente farinacei, dolci, salumi. Che tristezza! Niente di niente, insomma.
Almeno fossero venuti dei figli. Però… forse meglio di no, si disse rabbrividendo. Rischiavano di assomigliare a lui, pensando all’incubo di tanti piccoli Claudii magrolini in Lacoste con occhietti accusatori fissi sui suoi rotolini di ciccia.
Per anni suo marito aveva fatto e disfatto senza alcun riguardo, servendosi a piene mani della sua dote – eh già perche lei aveva una bella dote – e dopo… Dopo era venuta l’eredità dei genitori. Gente di campagna semplice, Claudio glielo rinfacciava sempre: «Figuriamoci il tuo nonno andava ancora a zappare», ma molto accorta, danarosa e Ambra era figlia unica. Claudio aveva venduto in Emilia e ricomprato a suo piacere intestandosi case, terreni, altri beni, macchine e che altro?
«Io ci so fare, con le azioni e invece tu, cara mia, non hai neppure la licenza magistrale, non sei tagliata per giostrare il denaro, se dipendesse da te saremmo in braghe di tela» continuava a ripetere. Ma ora? Ora dopo averla fregata, spogliata e quant’altro, aveva scoperto che voleva lasciarla. E oggi ciliegina sulla torta voleva vendere anche il villino. Strinse i pugni infuriata. Dopo la partita gli dirai di no!
A Firenze le controllava tutto, anche le amiche. Poche e doveva vederle quasi di nascosto.
«Galline, non fanno che spettegolare» decretava secco.
Per ritagliarsi ogni tanto qualche ora di tranquillità Ambra gli aveva dato a bere che non capiva niente di telefonini e che li odiava E invece il ragazzo della Tim, quella vicina a Porta Romana era tanto paziente. Sapeva spiegare, faceva diventare tutto facile. Persino lei, pian piano, aveva imparato ad usarli. E bene! Ma Claudio non l’immaginava. Dava per scontata la sua ignoranza e non si dava la pena di cancellare i messaggi dal suo Samsung Galaxy.
La sera prima, venerdì, appena arrivato in macchina da Firenze, era andato in spiaggia: «Vado a fare un tuffo per levarmi l’autostrada di dosso» aveva dichiarato, lasciandolo a casa, in bella vista appoggiato sul tavolo dell’ingresso.
Aveva dato un’occhiata. E meno male che l’aveva fatto. L’ultima “fidanzata” di suo marito volava alto. Troppo. C’era persino la foto in costume da bagno. Slanciata, tipo miss Italia. Doveva avere meno di trent’anni e, evidentemente, era stufa di aspettare i comodi del signorino. Gli aveva scritto chiaro e tondo, mettendogli l’aut, aut. “Deciditi! O lei o io!”
“Parlerò con mia moglie domenica prima di tornare a Firenze” garantiva l’ultimo SMS che Claudio le aveva spedito, mentre era in viaggio. L’aveva visto dall’ora.

«Allora io cosa mangio» chiese di nuovo Claudio bilioso.
Domenica è domani, si ricordò, ma dichiarò impavida: «Prima di uscire ho preparato dell’insalata di riso: uova, tonno pomodoro capperi… Ah ho messo anche il granturco. Per dopo, avevo pensato a prosciutto e melone.»
«Per me va bene, tu però. Faresti bene a limitarti a prosciutto e melone» sibilò suo marito, stringendo le labbra.
«Ti preparo un vassoio» rispose senza impegnarsi, assaporando il piacere di mangiare da sola in cucina, senza dover sfuggire il suo sguardo.
Lo preparò e glielo portò, con sopra mezza bottiglia di vino bianco gelato, cercando di trascurare la sua smorfia davanti alle macchie di sudore che le si allagavano sotto le ascelle.
«Puzzi» protestò immediatamente, storcendo il naso.
Il telegiornale, che sproloquiava sentenze, le offrì una via di fuga, accompagnata da «Fatti una doccia!»
«Ci vado, ci vado» promise e rimandò la cena.
Entrò in bagno, chiuse la porta, si spogliò completamente e, prima d’infilarsi sotto il getto, come la matrigna di Biancaneve sfidò la risposta crudele dello specchio a parete, a tutt’altezza.
Il suo, che per fortuna non parlava, si limitò a riflettere impietosamente l’immagine un po’ sfatta di una ex Miss Viareggio 1979. La cinquantina passata aveva appesantito pancia e cosce, smollando quel bel seno fiorente di diciottenne. Quella era la realtà.
In soggiorno Claudio aveva alzato il volume della televisione. La partita era incominciata. Poteva seguire ogni passaggio di pallone in diretta.
Scosse la testa impotente, mise la cuffia e si tuffò sotto il getto, crogiolandosi.
Naturalmente, quando si tolse la cuffia, constatò che il “sogno” di Matteo era ridotto a un mazzo di spinaci. Provò a gonfiarli con la spazzola, ma niente da fare. E allora, accettando quanto il destino le offriva, indossò l’accappatoio e si affacciò a guardare il mare.
Il sole, incorniciato da stracci di nuvole rosate, calava lentamente all’orizzonte.
La voce dello speaker, che l’aggrediva impetuosa con i suoi complicati termini calcistici, risaliva anche dai piani inferiori. Pareva che tutti fossero incollati davanti alla televisione e in basso, più vicino alla spiaggia, scorgeva la piccola folla raccolta davanti allo schermo gigante del bar ristorante del bagno Onda Marina.
Che slogan ragazzi si disse: una partita di calcio, può cambiarti la vita.
Finì di asciugarsi e s’infilò un vestito sciolto, una specie di caffettano comprato dai marocchini al mercatino di san Lorenzo poi, rinviando ancora la sua cena, e si ricordò che doveva bagnare i gerani. Si era guastato l’impianto di annaffiatura automatico e da una settimana era la sua croce. «La prossima settimana» aveva promesso il proprietario di “Fiori e Giardini per te”.
Speriamo, pensò sbuffando e imboccò la scala a chiocciola per raggiungere al piano superiore una specie di salotto veranda ingentilito da divano e poltrone di vimini con grandi cuscini a fiori e spalancò la porta finestra che guardava la terrazza. Il tubo di gomma, scomoda sostituzione dei minierogatori automatici che latitavano, pendeva a larghe spire dal rubinetto. Lo prese, aprì l’acqua e cominciò a dispensare refrigerio alle piante più vicine. La giornata era stata torrida. Riempì i primi vasi fino all’orlo.
Poi studiò il nastro a strisce, quello in uso nei cantieri, che andava da muro a muro con al centro un bel cavalletto di legno a far da transenna, che esibiva un cartello bianco e rosso per segnalare divieto di transito. Nastro e cavalletto messi là dal Bindi, il capomastro dell’impresa che si occupava della manutenzione dell’immobile, su ordine dell’amministratore del condominio.

Lo aveva chiamato lei giovedì, Claudio era ancora a Firenze, a lavorare, perché la mattina, mentre era in terrazza con il tecnico di “Fiori e Giardini per te” a «fare un progettino» aveva notato che una della colonnine di mattoni che reggevano la ringhiera si era mossa, piegandosi un po’ di lato. Non le piaceva e : «La faccia controllare subito» aveva decretato anche l’uomo minaccioso.
Era peggio di quanto sembrasse.
«Attenzione signora, questa ringhiera fa paura, la colonnina ormai è andata, “Unn” ci state vicino» aveva raccomandato il capomastro. « Se “unn” si fa qualcosa subito, insomma le dico io che bisogna metterla a posto e alla svelta. Ma è un momentaccio, ho sempre un paio d’operai in ferie e siamo intasati di lavoro. Ovvia, abbia pazienza. Sarà per la prossima settimana». Insomma rimandavano tutti alla prossima settimana, pareva una condanna.
E ora quella fragile barriera di protezione appesa al muro con dei chiodi, divideva a metà la terrazza che faceva da tetto dell’immobile, ma un parte dei vasi di gerani era rimasta di là. Di scavalcare il nastro con il tubo in mano non se ne parlava e quindi bisognava arrangiarsi. Lo staccò da una parte, e lo lasciò cadere a terra. Spostò di lato anche il cavalletto per muoversi meglio e annaffiò tutti i vasi, tenendosi alla larga dalla ringhiera.


Un faraonico boato proveniente dal piano di sotto e le grida di giubilo degli spettatori del bar ristorante del Bagno Onda Marina le dissero che qualcuno aveva segnato. E, poco dopo, ce ne fu un secondo. Ma chi?
Incuriosita, finì di annaffiare, arrotolò il tubo di gomma, lo riappese, fece per rimettere a posto nastro e cavalletto, ma si bloccò.
La sua testa mulinava vorticosamente. Quel “O lei, o io” e poi.. anche il villino si ricordò e no! Non glielo devi permettere, si ingiunse e infine si disse: lascia fare alla sorte.
Tornò di sotto.
«Chi vince?» chiese, passando davanti alla porta del soggiorno.
«Noi, due a zero è una cenciata» rispose Claudio, senza girare la testa, incollato alla partita.
Non fece una piega e andò in cucina. Mentre il primo tempo proseguiva si servì due volte d’insalata di riso.
Ci fu un altro boato, poi il muggito di Claudio che gridava: «E tre» le spiegò che la sorte stava dalla sua parte. Si alzò per lavare il piatto e si dedicò al prosciutto e melone, servendosi con parsimonia.
Mentre finiva, suo marito piombò in cucina, prese dal frigorifero una seconda bottiglia di vino bianco e si riempì il bicchiere. Bevve tutto d’un fiato, ne riempì un altro fino all’orlo e vuotò anche quello.
«La Fiorentina è devastante, Montella fa a pezzi il Napoli. C’è qualcosa in fresco per brindare?» chiese gongolante.
«Una bottiglia di Prosecco e una di Franciacorta Brut».
«Il Franciacorta va meglio e, per ora, lasciacela».
L’eccitazione condita da euforia lo spinse ad affliggerla con il puntuale resoconto dell’espulsione del terzino napoletano…. Le descrisse un paio di mirabolanti passaggi di palla dei calciatori viola, poi l’abbandonò davanti a un’unica pesca bianca matura e tornò in salotto.
Ambra tese l’orecchio. Quando senti fischiare l’inizio del secondo tempo, aprì il freezer e prese un gelatino di panna e cioccolata che aveva nascosto dietro una confezione di spinaci surgelati da un chilo.
Mentre la partita avanzava, portò il sacco della spazzatura nel cassonetto a pianterreno. Al ritorno decise di fermarsi al quarto piano per fare un salutino alla signora Bacci, proprietaria dell’appartamento sotto al loro. Il dottor Bacci, funzionario in pensione, gran giocatore di scacchi, sfegatato tifoso della Fiorentina come Claudio, era incollato davanti allo schermo TV. Ambra accettò la proposta di fermarsi per una tazza di tè tiepido, che bevve con calma seduta in cucina, sgranocchiando dei biscottini al limone fatti in casa. Ottimi.
Il grido: «E quattro» venne seguito da una rapida incursione in cucina del padrone di casa, il dottor Bacci, con gli occhi quasi lucidi dall’emozione. Ancora due chiacchiere tra escluse dall’arena, prima di ringraziare, congedarsi, e ritornare di sopra.

La televisione mugghiava, la partiva proseguiva. Ormai tutta la folla viola, vicina e lontana, impazziva osannante, incontrollabile.
Ambra uscì sul secondo terrazzo, quello in fondo al corridoio, sedette nella poltroncina di vimini e aprì l’ultimo sfolgorante Chi. Lo sfogliò con calma, leggendo tutti i titoli prima di calarsi in un bel servizio gossip su un nuovo “amore” sbocciato a Porto Cervo. Un attore e una velina. Gli ex fidanzati dei due tempestavano…
Un ultimo boato trionfale fu seguito dal “sììììì!” ruggente di suo marito che uscì di corsa dal salotto e la coinvolse in una specie di danza tribale di festeggiamento per poi precipitarsi in cucina a prendere la bottiglia di Franciacorta.
‘Pam’ esplose gloriosamente il tappo ma, mentre Ambra si avvicinava con i calici, ma Claudio intimò: «Dov’è hai messo la bandiera?»
«Lo sai, al solito posto, nello stanzino, vicino agli ombrelli» e come ogni brava moglie di uno sportivo andò ad aprire, frugò e la tirò fuori, consegnandogliela.
Suo marito la sventolò fiero. Esclamò: «Ottimo!» Versò due dita di brut in un bicchiere che le passò. Mugugnò: «per te». Lo toccò con la bottiglia quasi piena grugnendo : «Salute» e ci si attaccò bevendo a garganella. E infine dichiarò: «Vado su in terrazza ad attaccare la bandiera».
“Ma no Claudio, per piacere non lo fare, stai attento…”
“Cosaaa? Attento? A che? La sai bene che lo faccio sempre.”
«Sì, lo so, lo so, è vero, ma questo è un condominio di prestigio… L’ultima volta, ti ricordi, il Carli, quello del secondo piano ha avuto a ridire…»
«La Fiorentina ha stravinto la partita. Chi avrebbe avuto da ridire? Il Carli? Il cummenda… Perché non è il suo Milan. Figuriamoci! Se non è d’accordo, che vada a farsi …
«Ma Claudio» protestò debolmente.
«Piantala» ingiunse cattivo, puntando verso la scala a chiocciola.
Basta, hai provato. Sia quello che sia, decise Ambra.
Lo lasciò arrivare a metà della scala poi disse ad alta voce: «Claudio, se vai in terrazza, fai attenzione alla ringhiera!»
«Ma che vuoi? Non rompere» la rimproverò iroso, senza neppure girarsi, mentre continuava a salire.
«Ascoltami, Claudio no! Stai attento! Non t’avvicinare alla ringhiera! È pericoloso» ripeté urlando a squarciagola per farsi sentire. Ma lui era già in cima al pianerottolo, usciva nella terrazza…
Gli andò dietro, volando per gli scalini e lo vide. Suo marito era già a metà della terrazza e, con in mano la bottiglia di Franciacorta brut Clarabella, marciava dritto verso la sua nemesi. Sventolava la bandiera, poi arrivato alla ringhiera, ci si appoggiava con forza, sporgendosi, mentre chiamava a squarciagola il dottor Bacci del piano di sotto.
La colonnina di mattoni si ripiegava su se stessa, si frantumava scrosciando, la ringhiera si piegava inesorabilmente in avanti e Claudio spariva con la bandiera…
Ambra corse come una lepre. Rimise a posto il cavalletto di legno, riattaccò il capo del nastro al chiodo e ricordò in un lampo lo slogan perfetto che aveva pensato prima: ‘una partita di calcio ti può cambiare la vita’ prima di urlare: “Claudio! NOOOO!!!! Nooo! Aiutoooo! Aiutooooo!

avatar Scritto da: Patrizia Debicke (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a Una partita di calcio può cambiarti la vita

  1. avatar
    Fabio Lotti 22 Aprile 2020 at 09:13

    Grande Patri!

  2. avatar
    Uomo delle valli 22 Aprile 2020 at 09:20

    Bellissimo racconto, mi associo alle lodi di Lotti.

  3. avatar
    Mongo 22 Aprile 2020 at 12:03

    Che dire, non mi piace, ma sono costretto a copiare quanto dice un commento precedente: “Bellissimo racconto”.
    Solo il tenente Colombo ed il commissario Maigret, abilissimi nello scrutare la psiche dei personaggi che circondano la vittima, potranno scoprire la premeditazione nella morte del Claudio.

    Mi piace 1
  4. avatar
    lucio nocentini 22 Aprile 2020 at 12:36

    Brava, è piacevolissimo e si legge molto volentieri. Un bacione

  5. avatar
    fabrizio 22 Aprile 2020 at 15:15

    Descrizione di un delitto perfetto!! (un marito così se lo merita!) :p

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