Giocare a scacchi, anzi: alla vita

Scritto da:  | 28 Giugno 2020 | 5 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni

La sopravvivenza del fascino degli scacchi all’interno della sterminata ludoteca che ormai ha preso il posto del mondo, il prestigio ostinato di cui continua ad ammantarsi questo gioco vecchio di un millennio e mezzo, hanno del miracoloso. Un po’ come il permanere dell’aura magica intorno alla letteratura e ai libri, in un universo di persone che non leggono.
Quand’ero un ragazzino, il primo dei tentativi che ho fatto per dare un senso alla mia vita è stato proprio quello di diventare un campione di scacchi. Ho dedicato allo studio del gioco gli anni del ginnasio, ma era evidente che il mio talento non era pari alle ambizioni. Allora ho ripiegato sulla letteratura… d’altronde Luca Doninelli, il grande scrittore bresciano, mi ha raccontato di aver deciso di scrivere romanzi solo dopo essersi rassegnato al fatto che non riusciva a rifare sulla chitarra l’assolo di Jimmy Page in Stairway To Heaven.

Un’eredità incredibilmente preziosa che gli scacchi mi hanno lasciato è stata però questa scoperta: ci sono alcune grandi leggi strategiche e psicologiche del gioco, riguardanti sia l’approccio generale alla partita sia i meccanismi decisionali che stanno dietro ogni mossa, che si applicano perfettamente alla vita. Trascendono gli scacchi e diventano proposte sapienziali, aforismi offerti alla meditazione, ispirazioni capaci di guidarci nel nostro viaggio nel mondo.
Proverò qui a illustrarvene sette, scegliendole fra le più suggestive.

1. La cosa più difficile è vincere quando si è in una posizione vincente.
Che paradosso! Eppure, pensandoci bene, è così: le qualità che ti hanno portato a realizzare una posizione vincente (fantasia, intraprendenza, creatività) non sono le stesse richieste per concretizzare il vantaggio e chiudere definitivamente la partita: accuratezza, lucidità, pazienza, saldezza di nervi, rimanere concentrati anche quando il più sembra fatto.
È lo stesso anche in tante situazioni della vita, non vi sembra? Pensate a un amore: le qualità che ti hanno permesso di sedurre quella persona non sono le stesse che ti occorrerebbero per conservare il rapporto.

2. Se giochi con un piano sbagliato puoi vincere comunque la partita; se giochi senza un piano perderai sicuramente.
Certo. Perché un piano è qualcosa che dà ordine al mondo, suggerisce un percorso, un’organizzazione delle cose da fare… e ti fa anche venire voglia di farle, le cose! Se segui una logica e una direzione, anche qualora la meta sia sbagliata, lungo il viaggio che intraprendi possono accadere imprevisti che a loro volta suggeriscono nuove direzioni e aprono nuovi orizzonti. E puoi anche decidere di fermarti prima della meta, in quel certo luogo attraente che hai trovato lungo il cammino. Se invece vaghi senza sapere che fare sei destinato a una sconfitta sicura.
L’esempio più illustre è evidentemente Cristoforo Colombo, che parte alla volta delle Indie con l’obiettivo di buscar lo levante por lo poniente e va a sbattere contro un continente imprevisto nel mezzo del viaggio.

3. Prima del finale gli dei hanno messo il centro di partita.
Attribuita a Siegbert Tarrasch, uno dei più grandi teorici degli scacchi, suggerisce di diffidare dei piani troppo a lungo termine. Non è in contraddizione con il consiglio appena dato, di giocare comunque con un piano? No, perché è vero che fin dalle prime mosse si segue appunto una strategia, per esempio giocare per un attacco diretto sul Re; oppure creare una posizione dominante al centro; o, ancora, provocare l’avversario e poi infilzarlo in contropiede; e così via. Ma il giocatore dev’essere versatile, elastico, pronto a cambiare piano se la posizione lo richiede e in particolare se l’avversario mette il piede in fallo e bisogna approfittarne.
Direi anzi che la rapidità nel cambiare progetto in base alla nuova situazione che si è creata è uno dei più grandi insegnamenti degli scacchi e si adatta a moltissime circostanze della vita reale, in ogni campo. Dallo scegliere la coda giusta al supermercato o cercare la strada più breve per arrivare in stazione, col treno che parte fra sei minuti, all’affrontare situazioni relazionali complesse e dolorose.

4. Non basta essere un bravo giocatore: bisogna giocare bene la partita.
Banale? Niente affatto. Negli scacchi, come in tutti gli sport agonistici, i risultati di una partita non sono determinati in partenza dalla quotazione dei contendenti, altrimenti basterebbe guardare quella e decidere chi vince senza nemmeno farli giocare. Capita spesso che un giocatore in teoria meno forte pareggi con uno più quotato o lo sconfigga, proprio perché al più forte non basta essere il più forte: deve giocare meglio dell’altro quella partita lì.
Applicata alla vita, questa legge non solo ci suggerisce di non dare mai nulla per scontato, ma in particolare ci parla della differenza fondamentale fra talento e determinazione. È inutile avere una Ferrari se il serbatoio è vuoto: a quel punto, per arrivare dove si vuole arrivare va meglio una Panda, ma che abbia benzina. Stephen King osserva che il talento è un bene inflazionato, una cosa comunissima che “si vende a chili come il sale”, mentre quello che fa davvero la differenza per ottenere un risultato (scrivere un romanzo, per esempio) è la determinazione. La capacità di applicare tutto il proprio talento, grande o piccolo che sia, a un obiettivo preciso.

5. La minaccia è più forte della sua esecuzione.
C’è bisogno di commentarla? Saltiamo pure l’applicazione scacchistica e passiamo alla vita: tutti i ricatti, a partire da quelli sentimentali, educativi, emotivi, di cui facciamo largo uso fra noi, funzionano fin tanto che il castigo rimane sospeso sulla testa della vittima. Nel momento in cui la spada cala, il potere di chi minaccia si annichilisce e la vittima torna libera. Magari morta, ma libera.

6. Nell’analizzare una posizione, le varie mosse e contromosse vanno esaminate una sola volta, fino in fondo, senza tornarci sopra.
Questa è una delle mie preferite e l’occasione di verificarla mi viene offerta ogni giorno! I campioni di scacchi, come sapete, quando riflettono sulla mossa da giocare devono prevedere diverse contromosse da parte dell’avversario, che a loro volta generano altre possibili risposte e controrisposte, fino a immaginare una sorta di albero ricco di ramificazioni e sottoramificazioni. Bene, quelli davvero bravi percorrono mentalmente ogni ramo e rametto una sola volta, senza tornarci più sopra. È necessaria molta fiducia in se stessi, nella propria capacità di analisi, ma è l’unico modo per non cadere preda della confusione e dei dubbi.

Qualche giorno fa ho lasciato l’auto nel gigantesco parcheggio sotterraneo di un centro commerciale che non conoscevo. Al ritorno, non la trovavo più. Il parcheggio era organizzato malissimo, non vedevo i classici numeri o lettere che ti aiutano a individuare una posizione. Sono andato dritto dove ricordavo di averla posteggiata, ma non c’era. Quel posto era buio, opprimente, e ho sentito salire una punta di ansia. Allora mi sono costretto ad applicare la regola: sono ripartito dal fondo del parcheggio – anche se così mi sembrava di perdere tempo – e ho esaminato sistematicamente tutte le file, senza mai tornare indietro. Eccola, l’auto: lontanissima da dove credevo di averla lasciata.
Servono altri esempi?

 

7. Pensa sempre che il tuo avversario giocherà la mossa migliore possibile nella posizione.
È l’ultima ma poteva essere la prima. Non giocare mai illudendoti che il tuo avversario sia stupido, distratto o ubriaco e che quindi probabilmente commetterà degli errori. Gioca sempre come se giocassi contro Dio. Ovvero contro il caso, contro il destino, la vita, il mondo, coalizzati per sopraffarti.
Qual è la conseguenza di questo approccio? Be’, dipende dai caratteri. Ci può essere chi si corazza di fatalismo davanti alla disfatta, pronto a dire: “Doveva andare così”. Che invidia per queste persone! Per quanto mi riguarda adotto una versione modificata: “Io ho fatto del mio meglio, non posso rimproverarmi nulla. Ma è andata così”.
Forse è qui che gli scacchi e la vita si somigliano davvero tanto. Di volta in volta il giocatore di scacchi fa la mossa che gli sembra migliore, e tutti noi giocatori della vita facciamo la stessa cosa: al bivio scegliamo la strada che secondo ogni evidenza pare quella giusta. È possibile però che questa sequenza di scelte ragionevoli porti, sorprendentemente, a una posizione persa. A una situazione disastrosa, magari anni e anni dopo che abbiamo fatto quelle scelte.
Eppure, vi dico la verità, da quando ho capito che le cose stanno così ho smesso di avere rimpianti. Ha poco senso voltarsi a guardare il passato e dire: “Lì dovevo fare questo invece di quello; ecco, lì ho proprio sbagliato”. Non esistono errori, solo situazioni concrete in cui hai fatto quello che ti sembrava giusto o semplicemente quello che potevi fare. Quello che eri in grado di fare. Ora che contempli il panorama dall’alto della collina e vedi bene il labirinto dei sentieri nel bosco è facile dire: sarei dovuto andare a destra invece che a sinistra, avrei fatto meglio a costeggiare il torrente invece di attraversare il ponte.
Forse alla fine tutto il ragionamento che abbiamo fatto insieme ha solo questo senso: che gli scacchi non ti insegnano solo a vivere in modo più razionale. Ti insegnano anche a perdonarti.
Ti insegnano, senza averne l’aria, a volerti più bene.

L’articolo è stato pubblicato nel 2019 nella rivista letteraria online “Limina” con il titolo “La mossa migliore. Confessioni di uno scacchista” (scelto dalla redazione: il titolo che l’autore aveva dato al pezzo era quello che si vede qui su SoloScacchi). Si rivolgeva ovviamente a un pubblico di non scacchisti e per questo Raul si scusa per alcune semplificazioni che faranno inarcare qualche sopracciglio.

avatar Scritto da: Raul Montanari (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a Giocare a scacchi, anzi: alla vita

  1. avatar
    Salvatore Tramacere 28 Giugno 2020 at 19:17

    Condivido i sette punti. In particolare l’ultimo: non esistono errori, solo scelte e conseguenze. E la cosa più importante che gli scacchi ti insegnano è perdere. Cadere e rialzarsi.

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  2. avatar
    Fabio Lotti 28 Giugno 2020 at 21:38

    Direi di leggere bene l’articolo ma anche qualche libro di Montanari. Fidatevi…

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  3. avatar
    the dark side of the moon 28 Giugno 2020 at 22:51

    Se si potesse tornare indietro col tempo, probabilmente cambieremmo il 90% delle scelte fatte nella vita. Negli scacchi, forse la percentuale sarebbe ancora più alta. La differenza sostanziale, per quanto mi riguarda, è che nella vita sono convinto che nelle stesse situazioni, rifarei gli stesci identici errori mentre negli scacchi no; sicuramente ne farei altri, ne commetterei meno o forse di più. Gli errori della vita sono si più importanti ma sembrano avere quasi sempre una specie di status di inevitabilita’. Puoi quindi conviverci meglio…

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    Giorgio Della Rocca 9 Luglio 2020 at 08:08

    «Non crediate che tutto questo sia molto, perché vado solo preparando, come si dice, i pezzi sulla scacchiera. Mi avete chiesto di parlarvi del fondamento dell’orazione; io, figlie mie, quantunque Dio non mi abbia condotta per questa strada, perché certo non credo d’avere ancora tali virtù, non ne conosco altro. Credete pure che chi non sa disporre bene i pezzi nel gioco degli scacchi, giocherà male e se non sa fare scacco, non farà neppure scacco matto. Voi certo mi biasimerete perché parlo di un gioco che non esiste né deve esistere in questa casa. Da ciò potete vedere quale madre vi abbia dato Dio, se ha conosciuto anche questa vanità, ma dicono che qualche volta tale gioco sia permesso; a maggior ragione, sarà lecito a noi usarne la tattica, e vedrete come presto, se vi ricorriamo spesso, daremo scacco matto a questo Re divino, il quale non potrà sfuggirci, né lo vorrà».

    Ho riportato un passo del Cammino di perfezione di Teresa d’Ávila (XVI secolo), prima redazione del 1566 [faccio riferimento alla quarta edizione Figlie di San Paolo 2012, a cura di don Luigi Borriello e suor Giovanna della Croce (p. 89)], contenuto in un capitolo nel quale madre Teresa, rivolgendosi alle monache carmelitane di clausura nel monastero di San Giuseppe ad Ávila (Spagna), parla del fondamento dell’orazione, la quale ha il suo compimento nella contemplazione, orientate costantemente all’azione. In questo capitolo l’Autrice, più che presentare un’interpretazione particolare del gioco degli Scacchi, ne propone un’applicazione assolutamente originale e paradossale – valida non solo per quelle monache…

    Teresa d’Ávila fu canonizzata il 12 marzo 1622 dal papa Gregorio XV, e proclamata Patrona degli scacchisti il 14 ottobre 1944 dall’allora vescovo di Madrid.
    Al di là del Bianco e Nero, gli scacchisti (che la desiderano) dispongono di una protettrice Celeste!

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    Giorgio Della Rocca 26 Luglio 2020 at 08:30

    Esiste un libro, scritto da Giovanni Gualtieri (appassionato di Scacchi, ingegnere civile e membro dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche), intitolato addirittura Stallo Matto (La dialettica degli scacchi come metafora dell’umanità) [Edizioni Polistampa 2009].
    Si tratta di un libro che, toccando filosofia, poesia, cinema, cosmologia, religione, presenta il nucleo del Mistero salvifico cristiano attraverso un’ardita metafora metascacchistica: Cristo Mât (Il Cristo è morto) sostituisce Shâh Mât (Il Re è morto, locuzione della lingua persiana con riferimenti a quella araba e a quella ebraica, dalla quale deriverebbe la locuzione Scacco Matto, secondo una parte degli studiosi); ma il Cristo morto, e risuscitato il terzo giorno, consente la salvezza dell’umanità.

    Dio può anche “giocare a Scacchi” con noi esseri umani.
    La Sua Strategia, tuttavia, è diversa dalla nostra strategia…

    Mi piace 1

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