il dottor Brigliadoro

Scritto da:  | 2 Giugno 2020 | 5 Commenti | Categoria: C'era una volta, Italiani, Personaggi

Io devo la vita – letteralmente – a una persona mai conosciuta prima e mai più rivista dopo quel giorno di Luglio 1944: ricordo un caldo feroce.
In almeno 500 eravamo ammassati negli stand della fiera di Suzzara, in provincia di Mantova, rastrellati sull’Appennino emiliano da soldati tedeschi coadiuvati dalle brigate nere e destinati in Germania a lavorare nelle fabbriche belliche soggette a continui bombardamenti da parte delle “fortezze volanti” degli alleati.
Carne da macello, insomma.
Avevo 17 anni ed ero stato “rastrellato” a Solignano in provincia di Parma, ove temporaneamente abitavo quale sfollato, e assieme ad altri coetanei portato dapprima a Rubbiano ove pernottammo sotto le stelle al riparo di una pianta e l’indomani, a bordo di uno sgangherato camion, trasportato con gli altri a Bibbiano di Reggio Emilia previa ammonizione, delle due guardie tedesche, a non tentare la fuga pena la fucilazione sul posto.
Al terzo giorno di internamento nel foro boario di Bibbiano, comparvero di buon mattino le brigate nere a bordo di autocorriere.
Ci caricarono su quelle e senza dire una parola, ponendosi -mitra alla mano- in prossimità delle portiere per impedire eventuali fughe, ci scortarono fino a Suzzara ove nel frattempo convenivano i “rastrellati” delle altre province.
Corse subito voce che le tradotte erano già pronte e che l’indomani probabilmente saremmo partiti per la Germania.

Escogitare il modo di evitare quella iattura diventò, io credo, l’assillo di tutti noi.
Tre alpini, in divisa e con la mantellina a portata di mano erano seduti in terra, accovacciati, apparentemente intenti a giocare a carte. Accento veneto: richiesti perché si trovassero tra noi civili, imputarono evasivamente la colpa al proprio comandante del battaglione. Intuii che meditavano la fuga da qualche parola in dialetto veneto scambiatasi tra loro e decisi di tenerli d’occhio quella sera per unirmi eventualmente a loro.
A metà mattino vidi un colonnello tedesco – alto e magro – accompagnato da due civili, venire verso il centro del campo. Conversavano in italiano.
Io, addossato a un muro non li perdevo di vista per capire cosa erano venuti a fare.
Si accorse della mia attenzione uno dei civili che si accostò a me e si qualificò come Dottor Brigliadoro funzionario prefettizio.
Con fare gentile e premuroso chiese che ci facevo io lì e perché mi ci trovavo… (a quel tempo ero esile e non dimostravo neppure i miei diciassette anni) . Gli dissi che ero profugo dalla Libia e avevo mamma e 6 fratelli minori sfollati a Solignano il cui sostentamento dipendeva da me.
Non avevo fatto nulla.
Prese a cuore la mia vicenda (anche perché, mi pare di ricordare, disse che nei suoi trascorsi di carriera prefettizia era stato in colonia) e si accostò al colonnello tedesco parlandogli e indicando me. Di supporto l’altro borghese, funzionario della Questura di Parma, si rivelò solidale e concorde col collega prefettizio per cui il tedesco, un po’ perplesso, annuì col capo e compresi che, a quel punto, le cose per me forse si mettevano bene.
Il dottor Brigliadoro si accostò di nuovo a me e disse di non perderlo di vista intanto che svolgevano il loro compito.
Che era quello di controllare se tra tutti noi vi fossero persone rastrellate per errore di modo da liberarle. E così saltarono fuori sacerdoti, medici condotti, insegnanti, fascisti repubblichini (cioè possessori di tessera del partito fascista tra i quali, con mia grande sorpresa, i miei compagni residenti a Solignano e che con me avevano condiviso le vicissitudini che precedono).
In sostanza, la commissione doveva rimediare ad eventuali errori commessi dai “rastrellatori” e liberare quindi coloro che avevano compiti istituzionali da svolgere, e i fascisti repubblichini tesserati.

Sembrava fatta e invece al momento della nostra liberazione si fece sentire il comandante del campo, un altro tedesco, basso e grasso, colonnello pure lui, che con fare molto irritato disse chiaro e tondo al suo collega pari grado della commissione che non intendeva assolutamente lasciar andare le persone individuate perché gli ordini da lui ricevuti erano di inviare in Germania tutti coloro che transitavano dal campo senza distinzioni di sorta.
I due tedeschi cominciarono ad alzare il tono di voce l’un contro l’altro finché quello componente la commissione non disse ad alta voce, rivolgendosi ai due funzionari italiani: “Signori il mio collega non intende assolutamente rilasciare nessun internato affidato alla sua giurisdizione per ordini superiori ricevuti.”
Scoramento da parte di tutti noi e poi il suggerimento dei funzionari italiani di interpellare l’Alto Kommandatur tedesco di stanza a Parma per una decisione finale.
I due tedeschi acconsentirono alla proposta e quindi seguì la telefonata che per nostra fortuna fu favorevole al nostro rilascio alla condizione che con unico foglio di via collettivo si marciasse tutti assieme, a piedi, fino a Parma per poi presentarsi nella sede del partito fascista repubblichino per ulteriori incombenti. Eravamo in 18 nella lista.

In tal modo in unico gruppo ci avviammo sul fare della sera raggiungendo Luzzara, provincia di Reggio Emilia che era notte. Ottenemmo asilo nel fienile di un contadino del luogo e di buon mattino fummo tutti in piedi pronti a riprendere la marcia e a quel punto mi accorsi di non avere più il portafoglio.
Terrorizzato mi misi a cercare freneticamente nel pagliaio dove avevo riposato la notte e finalmente lo ritrovai.
Essenziale avere i documenti che conteneva altrimenti a un possibile controllo per la strada rischiavo il ritorno al campo.
Cosa successa a due fratelli che avevano indugiato a una fontana pubblica e avevano quindi perso contatto con il nostro gruppo.
Raggiunti da una pattuglia tedesca, non furono creduti e ricondotti al campo da dove -mi si disse – furono deportati in Germania.
Non mi risulta siano tornati, neppure a Liberazione avvenuta.
Sempre a piedi, giungemmo a Parma e, come ci era stato detto di fare, andammo alla sede del partito fascista repubblichino e lì uno alla volta fummo ricevuti da un gerarca e abilitati a tornare al nostro domicilio. Io però fui oggetto di pressioni per arruolarmi visto che “la Patria” aveva bisogno di me che ero giovane.
Con grande imbarazzo tergiversai accampando il carico famigliare che sostenevo finché l’interlocutore, infastidito, mi disse “ho capito: vai, vai”. E non me lo feci ripetere due volte e per la fretta sbagliai porta, aprendola, e invece di uscire mi ritrovai in un vasto stanzone ove viveva notte e giorno, nel terrore, un famigerato fascista il quale prese il mitra e me lo puntò contro e io intanto mi profondevo in mille scuse per l’increscioso equivoco.
Uscii dalla porta giusta in men che non si dica e con gli altri giovani di Solignano mi apprestai senza indugi a fare ritorno a casa. Ancora una volta a piedi.

Provenendo da Parma in direzione La Spezia una lunga galleria di 800 metri precede la stazione ferroviaria di Solignano. A quel tempo, per i bombardamenti che avevano sconvolto e reso inagibile il traffico ferroviario e mancando un collegamento stradale, con il monte che ci si parava contro, la galleria era rimasta l’unico percorso possibile, da effettuarsi nella più completa oscurità.
Percorrerla non era uno scherzo ma esisteva un modo per ovviare all’inconveniente del buio pesto: munirsi di un bastone o di un ramo d’albero, appoggiare alla parete della galleria una sua estremità e procedere mantenendo il contatto.
Così procedendo ci avvicinammo all’uscita e nel chiarore accecante di luglio vedemmo finalmente i nostri famigliari in trepida attesa e io, mia madre e i miei fratelli in preghiera perché non sapevano se ero nel gruppo dei giovani rilasciati. Lascio immaginare i ringraziamenti fervidi a Sant’Antonio da parte di mia madre…

I fatti qui riferiti sono realmente accaduti. E il mio pensiero, nel corso della mia vita, è tornato spesso con gratitudine al dottor Brigliadoro, una figura indimenticabile: alto, magro, occhiali cerchiati in oro e atteggiamento di persona estremamente buona. Mai più visto ma sempre ricordato…

avatar Scritto da: Antonio Pipitone (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a il dottor Brigliadoro

  1. avatar
    Martin 2 Giugno 2020 at 10:26

    Grazie Antonio per questo ricordo così commovente e toccante…

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    Fabio Lotti 2 Giugno 2020 at 11:14

    Racconto che esce di getto dal profondo. La memoria, la memoria… non perdiamola.

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    The dark side of the moon 2 Giugno 2020 at 14:04

    La memoria storica, se si perde quella siamo destinati a ripetere gli orrori del passato.
    Oggi l’ignoranza verso la storia in generale è preoccupante.
    Mi preoccupano soprattutto le nuove generazioni totalmente indifferenti e con la mente rinchiusa dentro ad uno smartphone, il loro mondo….
    L’uomo ridotto a vivere nell’istinto di sopravvivenza senza preoccuparsi più di niente, perché chi decide il nostro futuro ha già deciso che questo deve essere il presente.
    Gli animali almeno hanno un equilibrio apparentemente perfetto riguardo le risorse del pianeta mentre l’uomo sta distruggendo tutto quello che gli capita tra le mani, nel nome del progresso…
    Buona Festa della Repubblica!

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    Controgambetto 3 Giugno 2020 at 01:31

    Grazie per aver condiviso queste toccanti vicende, il fato è una brutta bestia ma non quanto la crudeltà dell’uomo .anche un solo atto di carità è un momento che cambia tante ma tante vite.

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  5. avatar
    Sergio Pandolfo 20 Ottobre 2020 at 14:35

    Sì, la memoria storica è davvero importante…

    Mi piace 1

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