Apologia di uno scacchista

Scritto da:  | 17 Febbraio 2021 | 4 Commenti | Categoria: C'era una volta, Stranieri

Godfrey H. Hardy è stato un illustre matematico inglese, nato a Cranleigh nel 1877 e morto a Cambridge nel 1947. Ha apportato contributi notevoli a più di un settore della sua scienza, e ha fatto da mentore all’originale matematico indiano Srinivasa Ramanujan. A Hardy e al medico tedesco Wilhelm Weinberg si deve inoltre una legge, nell’ambito della Teoria dell’Evoluzione, inerente alla stabilità genetica di una popolazione (date certe condizioni), che i due formularono indipendentemente l’uno dall’altro.

Nel saggio Apologia di un matematico, pubblicato nel 1940 [io mi riferisco all’edizione Garzanti 1989, contenente la Prefazione del fisico e scrittore inglese Charles P. Snow all’edizione uscita nel 1967, e la Presentazione del matematico Edoardo Vesentini], egli ha esaltato la dimensione scientifica, culturale ed estetica della Matematica, prima di quella utilitaria. A un certo punto viene operato un confronto fra la Matematica e il gioco degli Scacchi nonché, nel contesto di quest’ultimo, fra i problemi e il gioco vivo.

L’autore sostiene, anzitutto, che un problema di scacchi rappresenta un autentico «esercizio di matematica pura (una partita non del tutto, perché anche la psicologia vi gioca la sua parte). Parlare di un “bel” problema significa elogiare la bellezza matematica, anche se è una bellezza di un genere relativamente inferiore. I problemi di scacchi cantano le lodi della matematica» (p. 68). Tuttavia, un problema di scacchi «è matematica “banale”. Per quanto complicato e ingegnoso sia, per quanto originali e sorprendenti siano le mosse, gli manca qualcosa di essenziale. I problemi di scacchi non sono importanti. La migliore matematica non solo è bella ma è anche seria, importante, se preferite, ma il termine è molto ambiguo, mentre seria esprime meglio quello che voglio dire» (p. 69). «La “serietà” di un teorema matematico non dipende dalle sue applicazioni pratiche, che di solito sono irrilevanti, ma dalla significatività delle idee matematiche che esso mette in relazione [più avanti l’autore sottolinea che la stessa bellezza di un teorema matematico dipende soprattutto dalla sua serietà, «proprio come in poesia la bellezza di un verso può dipendere in una certa misura dalla forza delle idee che contiene»]. […] Nessun problema di scacchi ha mai influenzato lo sviluppo generale del pensiero scientifico, mentre Pitagora, Newton, Einstein, ciascuno nella propria epoca, ne hanno cambiato l’intero corso» (p. 70). Riguardo alle qualità estetiche, ad esempio, dei teoremi di Euclide e di Pitagora della Geometria razionale euclidea (incluse le loro dimostrazioni), l’autore parla di imprevedibilità unita a inevitabilità ed economia. «Anche un problema di scacchi ha l’imprevedibilità e una certa economia; è essenziale che le mosse siano a sorpresa e che nella scacchiera ogni pezzo reciti la sua parte. Ma l’effetto estetico è cumulativo. È anche indispensabile (altrimenti il problema è troppo semplice per essere davvero divertente) che la mossa chiave sia seguita da molte varianti, ciascuna a sua volta seguita dalla sua risposta particolare. […] Tutto ciò è autentica matematica e ha i suoi meriti; ma è proprio la “dimostrazione per enumerazione dei casi” (e di casi che, alla fine, non differiscono poi di molto) che un vero matematico tende a disprezzare» (p. 84).

Hardy, a questo punto, spezza una lancia a favore del gioco vivo, osservando che «un maestro di scacchi, un giocatore di grandi partite, di grandi tornei, in fondo disprezza l’arte puramente matematica del semplice solutore di problemi. Lui stesso ne possiede molta di riserva e può ricorrervi in caso di necessità: “Se il mio avversario avesse fatto quella mossa, io avrei avuto pronta un’altra combinazione vincente”. Ma il “grande gioco” di scacchi è prima di tutto psicologico: la lotta di due intelligenze esercitate, e non una semplice collezione di piccoli teoremi matematici» (pp. 84-85).

Appare evidente, nella concezione di Hardy attinente al gioco vivo degli Scacchi, l’influenza delle idee del tedesco Emanuel Lasker, nato a Berlinchen (oggi Barlinek, cittadina polacca) nel 1868 e morto a New York nel 1941, Campione Mondiale di Scacchi dal 1894 al 1921. Lasker fu anche un matematico e s’interessò di varie questioni concernenti la Fisica e la Filosofia. Conobbe personalmente Albert Einstein, il quale fu autore della Prefazione alla Biografia dello scacchista scritta dall’austriaco Jacques Hannak e pubblicata nel 1952 (Einstein però non amava gli Scacchi, poiché detestava «i contrasti di forze e lo spirito di competizione» in essi presenti, benché in forma puramente ludica).

Jonathan Rowson è uno scacchista e filosofo scozzese, nato nel 1977 e diventato Grande Maestro Internazionale nel 1999.

È autore del libro Scacchi per zebre (Un modo diverso di pensare in bianco e nero), pubblicato nel 2005 [io faccio riferimento all’edizione Caissa Italia 2010]. In questo libro si dà un particolare rilievo all’aspetto psicologico del gioco degli Scacchi, e si criticano alcuni luoghi comuni che lo riguardano: «Gli scacchi sono in effetti logici, nel senso che sono legati a un qualche tipo di ragionamento, ma la logica più importante nel nostro gioco non è la logica digitale della teoria matematica, né quella completamente priva di emozioni del signor Spock di Star Trek. È invece una logica che si aggira nel fitto sottobosco dei nostri pensieri: è la logica della nostra psiche, ciò che chiamo ‘psico-logica’» (p. 32).

A proposito, sembra che i motivi per i quali le zebre non riescono a giocare a Scacchi siano i seguenti: «1) non possono accettare di avere soltanto il bianco o il nero; 2) non riconoscono l’esistenza di motivi ‘a scacchi’ (ma solo ‘a strisce’); 3) detestano i cavalli e, di conseguenza, si rifiutano di muoverli. Se solo le zebre potessero pensare diversamente…» (E per finire…, p. 299).

Anch’io, che non sono un Maestro di Scacchi, non amo la composizione scacchistica.

Preferisco il gioco vivo, possibilmente in presenza; con cadenza standard.
Apologia (moderata) di uno scacchista.

avatar Scritto da: Giorgio Della Rocca (Qui gli altri suoi articoli)


4 Commenti a Apologia di uno scacchista

  1. avatar
    Fabio Lotti 17 Febbraio 2021 at 22:33

    Complimenti. Interessante e di gradevole lettura.

  2. avatar
    Uomo delle valli 18 Febbraio 2021 at 07:20

    assolutamente meraviglioso

  3. avatar
    Sergio Pandolfo 18 Febbraio 2021 at 14:55

    Bellissimo articolo, i problemi attinenti al rapporto tra scacchi, scienza e matematica mi affascinano sempre. Complimenti al signor Giorgio.

    Mi piace 1
  4. avatar
    Giorgio Della Rocca 20 Febbraio 2021 at 15:04

    I wish to thank Fabio Lotti, Uomo delle valli, Sergio Pandolfo for their appreciations (and Martin for his professional help, of course).

    Mi piace 1

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