Nel 1858 la stella del Café de la Régence, a Parigi, era Daniel Harrwitz, londinese, stabilitosi in Francia come giocatore di scacchi professionista.
Quarant’anni, di piccola taglia, un viso dai tratti fini, sguardo penetrante; tale appariva Harrwitz.
Compariva verso le ore 14 e accettava di giocare con chiunque ma non concedeva vantaggi di materiale in partenza: al massimo un cavallo ai giocatori riconosciuti più deboli…
Con l’arrivo di Morphy in Europa, diventa di attualità organizzare un match tra i due e presto fu raggiunto l’accordo.
Un match sulla distanza di 10 partite. 300 franchi la posta in gioco.
Il match inizia il 7 settembre.
Come prima mossa, l’inglese con il bianco, spinge il pedone di donna.
Morphy sembra perdere la consueta imperturbabilità e si dimostra nervoso. Di contro l’inglese appare in ottima forma e… vince il primo match e… con orgoglio ironizza sulle lodi del mondo scacchistico al proprio avversario.
Il segretario di Morphy, Frederik Edge, racconta che la sera prima Morphy aveva partecipato alla vita notturna parigina ed era rincasato non prima delle quattro del mattino, per cui non c’era da allarmarsi più di tanto per il risultato a sorpresa del primo match…
L’indomani la seconda partite inizia bene per l’americano ma con l’andar del tempo Morphy appare affaticato, insicuro, commette errori dei quali approfitta Harrwitz che vince di nuovo e non si contiene più per la gioia e si avvicina al suo avversario e mostra di tastargli il polso esclamando di seguito: “Non batte più, non c’è più vita.”
E poi, intervistato afferma: “posso dire di aver vinto contro questo ragazzo senza grandi difficoltà.”
Punto sul proprio amor proprio, Morphy dichiara che il suo avversario non vincerà più una sola partita del match.
Nella terza e quarta partita Morphy vince alla grande con uno stile di gioco splendido, inducendo Harrwitz a modificare il suo giudizio sull’avversario. Agli astanti ora egli dichiara che Morphy è… l’avversario più forte che egli abbia mai incontrato e domanda una pausa del match adducendo motivi di salute.
Il match riprende qualche giorno più tardi e …quinta e sesta partita sono appannaggio di Morphy.
Altra richiesta di sospensione del match da parte dell’inglese, subito concessa da Morphy che ne approfitta per giocare una simultanea -senza compenso alcuno- con i giovani avventori del Café.
Otto i giocatori contro: due riescono a pattare, gli altri sei perdono. Durata della manifestazione: 10 ore.
Acclamato come fosse un eroe nazionale, gli astanti lo avrebbero voluto portare in trionfo, ma la calca era tanta che non fu possibile rendergli tale tributo.
Ristabilitosi in salute, Harrwitz si dice pronto a riprendere il gioco e l’ottava partita finisce pari per ripetizione di mosse.
Lo score dopo l’ottavo match è: 5 vittorie per Morphy, due sconfitte, un pari.
Il giorno seguente Morphy riceve un messaggio verbale che gli comunica l’abbandono del match da parte del suo avversario.
A Morphy vanno i 300 franchi della posta in gioco che -tra la sorpresa generale- destina quale rimborso spese di viaggio a Adolf Anderssen annunciato in arrivo a Parigi per un atteso match con lui.
Sempre un piacere leggerti.
Grazie, troppo buono
complimenti maestro!
ringrazio e saluto cordialmente
Ah gran virtù dei cavalieri antichi!E’ bellissimo che Morphy abbia pagato le spese per il suo avversario.
Mi fa piacere questo suo commento…la sensibilità d’animo che dimostra mi commuove…cordialità – Pipitone
Patri, aspetto anche un tuo pezzo.
Avrei una favola ma non mi sembra adatta a voi malvagi.
Va benissimo. Così alterniamo malvagità e bontà…
No,no: mi dovete supplicare almeno in cinque.
Mi posso aggregare alla lista dei supplicanti?
Beh non pretendo di avere venticinque lettori come Manzoni ma almeno cinque sì, altrimenti non mi applico.
Mi aggrego alla supplica:
“Non esiste vascello veloce come una favola per portarci in terre lontane…”
e di questi tempi non mi pare cosa da poco, inoltre le favole risvegliano in noi il fanciullo di un tempo.
A dire il vero la Dickinson nella poesia scrive Libro e non Favola, ma penso non se ne abbia a male.