voce, viella e pizzichi…
Uscì di malumore quella sera dal circolo, contrariato. Faceva freddo, ma non era quello, sapeva che non vi sarebbe più tornato, era la competizione, il gioco, l’ambiente che non lo stimolava più. Si sentiva vuoto, inutile, in quella continua ricerca di profondità che da sempre lo angosciava, nell’eterna ansia di imparare, di sapere, di scavare.
Tornò a casa e, come per abitudine, si mise a cercare tra i suoi libri, alla ricerca di quello giusto, quello giusto da leggere, da iniziare, preferibilmente da rileggere ma, come sempre fu solo la ricerca ad attirarlo, conscio che neppure questa volta lo avrebbe trovato, ma la cosa lo tenne qualche istante occupato e distratto, solo quello fu l’illusorio beneficio. Infine, ancor più nervoso e deluso, si lasciò sprofondare sulla poltrona facendo vagare i suoi pensieri senza ordine sulle note della K.332, quel primo movimento la cui modernità ebbe il potere di rilassarne, almeno per le prime battute, le inquietudini.
Pensava a suo fratello, a quello che era stato e non era più, a quello che era successo, ricordi nitidi e poi confusi, accavallati dalla stanchezza, dal rimpianto.
Era solo, solo in mezzo alla gente, tra fiumi di parole, di scadenze, di iincombenze che ne scandivano le giornate tutte uguali, mai diverse.
Non sapeva che volto avesse lei, sapeva solo che avrebbe avuto una voce bellissima, e che da qualche parte esisteva, che era vera.
Dove non lo sapeva ancora, né in fondo era davvero importante, anche perché in realtà già da tempo la conosceva, dalla sua nascita, nelle pagine dei suoi libri, di quelle letture che, fin da ragazzo, lo avevan fatto sognare. Ruth, poi Tosca, la sfortunata Anna, Emma, poi Clara in Cile, Silvia… tutti e nessuno eran i nomi di lei, solo sapeva che un giorno sarebbe stata vera, a spuntar dalle pagine di questi sogni e prender finalmente forma. Una forma che ancora non vedeva, una figura bellissima, delicata… raffinata e sfuggente, come in quel giorno che l’avrebbe finalmente incontrata, quando lei si sarebbe coperta i capelli dalle prime gocce di pioggia con la sua sciarpa grigia, con timidezza.
Sorrideva con gli occhi, affascinante e profonda, misteriosa. Lei gli parlava, parole bellissime ma che lui non riusciva ad afferrare, a conservare, rapito e incantato da quei suoni, melodiosi, musicali, delicati e posati, note senza tempo il cui incanto ed emozione l’avrebbero afferrato… per sempre. La notte sognava lei… che faralla, che diralla…
Ebbe solo il tempo di sfiorarle il braccio sottile, di cingerlo un istante, quei pochi passi che gli riusci di accompagnarla, fino alla promessa di rivedersi un giorno.
Quel giorno non arrivò ma lui l’attese tutta la vita, in mille speranze… triste e al contempo felice… non era un sogno… era vera.
Autentica Poesia, bravo
Sì, concordo: Martin è il poeta di questo bel sito!
Bello.
Martin sa sempre arrivare al cuore di chi legge.
Davvero bello. Non occorre essere un letterato per apprezzare questo scritto. Anche perché Martin è capace di arrivare coi suoi pezzi al cuore di tutti.
Grazie.
Sì, bello anche per me. Bello, garbato e delicato, solo un po’ tanto triste per i miei gusti.
Volendo riprendere una frase di Alberto Moravia, direi che anche i sogni fanno parte della realtà. Bel racconto.