Marcel Duchamp artista e scacchista

Scritto da:  | 30 Settembre 2022 | 9 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Mi ha sempre affascinato la vicenda umana e artistica di Marcel Duchamp, figura importante del novecento artistico, spietato dissacratore ed innovatore a suo modo geniale, le cui opere hanno fatto discutere ed arrovellare critici, studiosi ed appassionati di storia dell’arte.
Al tempo stesso Duchamp, forse non tutti lo sanno, fu anche un valente scacchista, tra i più forti giocatori francesi della prima metà del ‘900, anche se, in questo campo, non raggiunse la fama e la notorietà che tutti gli riconoscono quale importante artista del XX secolo.
Ma come riuscì a conciliare Duchamp le sue due grandi passioni cui si dedicò con assoluta dedizione per decenni?
Va subito detto che la passione scacchistica, coltivata fin da ragazzo, impegnò seriamente Duchamp per un periodo di tempo ben definito che va dal 1923 (all’epoca aveva già 36 anni) al 1938, periodo durante il quale prese parte ad importanti tornei ed alle Olimpiadi scacchistiche.

Nel periodo 1927-1933 egli riuscì ad esprimere un gioco solido e strategicamente incisivo, ottenendo risultati a livello internazionale di tutto rispetto. Nel 1930 alle Olimpiadi scacchistiche di Amburgo, difendendo i colori della Francia, pareggiò con il forte americano Frank Marshall in seconda scacchiera; in prima scacchiera per la Francia giocava all’epoca il campione del mondo Alexander Alekine.
Vinse poi nel 1933 il torneo di Parigi battendo il noto campione Znosko-Borosvsky, ma qualche anno dopo diradò la sua attività scacchistica per ritornare a dedicarsi all’arte contemporanea. Più di 30 anni dopo, precisamente nel 1967, lo ritroviamo impegnato nel torneo di Montecarlo al quale partecipò anche l’anno successivo, ottantunenne, poco tempo prima di morire.
Rimase celebre la sua affermazione: “Sono stato in stretto contatto con artisti e con giocatori di scacchi e sono arrivato alla conclusione personale che mentre non tutti gli artisti sono giocatori, tutti i giocatori di scacchi sono artisti”.
In cosa consisteva l’espressione artistica nel gioco degli scacchi secondo Duchamp? C’è una sua dichiarazione in occasione di un pubblico discorso in cui chiarisce la sua idea del gioco come pura poesia: “La bellezza degli scacchi è più vicina a quella della poesia; i pezzi sono l’alfabeto stampato che dà una forma ai pensieri, e questi pensieri, pur formando un disegno visivo sulla scacchiera, esprimono una loro bellezza astrattamente, come una poesia”.
Se riflettiamo, nell’atto stesso di muovere i pezzi il giocatore “disegna” la posizione sulla scacchiera, le linee geometriche che si delineano si congiungono con il rapido movimento dei pensieri fino a configurare, afferma Duchamp, un vero e proprio: ”piacere sensuale dell’esecuzione ideografica dell’immagine sulla scacchiera”.
Quante volte abbiamo ammirato la posizione conclusiva di una celebre partita, una combinazione vincente, uno studio artistico, ed abbiamo colto quell’armonia dei movimenti, unita al fascino visivo dei pezzi posizionati sulla scacchiera che fa di una partita, con il contributo di entrambi i giocatori, un’opera d’arte. E poi, peculiarità degli scacchi, diceva Duchamp, “alla fine della partita si può cancellare il quadro che si è fatto”. Aggiungiamo noi che, mentre negli scacchi non si può ritirare la mossa già eseguita, un artista può sempre, in qualche modo, correggere o modificare la propria opera prima di mostrarla al pubblico.

Volendo ancora trovare un parallelismo tra l’arte scacchistica e quella per così dire materica, secondo la concezione di Duchamp, negli scacchi il giocatore sceglie il pezzo, che è già lì sulla scacchiera (riaffiora anche qui il concetto di ready-made) collocandolo in una costruzione ben studiata dell’opera, così come un artista posiziona con occhio esperto le figure nella pittura.
Possiamo comprendere questa visione degli scacchi per Duchamp solo se riflettiamo sul significato più profondo della sua opera in campo artistico in cui il pensiero, l’idea, la concezione astratta, predomina sull’esecuzione manuale. Duchamp, infatti, ancora molto giovane ed incerto sulla strada artistica da seguire, ripudiò la pittura e la sua stessa consistenza materica (lo disgustava finanche l’odore della trementina) ed iniziò ad utilizzare nelle sue opere oggetti di uso comune e addirittura (nella sua opera forse più celebre) un semplice orinatoio rovesciato.
Fin dalle sue prime opere egli trovò nel gioco degli scacchi una fonte di ispirazione. A 23 anni, nel 1910, egli compose il “Ritratto di giocatori di scacchi” in cui, adoperando la tecnica della scomposizione cubista, raffigurò i suoi 2 fratelli che giocavano a scacchi in uno spazio indefinito. Si intravedono pezzi di scacchi (un cavallo, un re, pedoni e torri) disposti a caso all’interno di una composizione disarticolata e dai toni grigi, tipici della tecnica cubista.
Qualche anno dopo, nel 1912, poco prima della sua partenza per gli Stati Uniti, egli compose un’altra opera: “Il Re e la Regina circondati da nudi veloci”. Qui al centro del dipinto si intravedono le figure dei pezzi del Re e della Regina.

I nudi veloci non sono altro che sagome geometriche curve che assolvono il compito di creare del movimento nel dipinto, qualcosa che ricorda anche le opere futuriste del periodo. Come ebbe a suggerire lo stesso artista: “È un tema di movimento in una cornice di entità statiche”.
Ma che tipo di scacchista era Duchamp? Nei vari database online si trovano alcune decine di partite che risalgono al periodo 1923-1937 e se si osservano anche fugacemente ci si rende conto che l’artista francese prese molto sul serio il gioco: aveva studiato le partite ed i libri del grande Aaron Nimzowitsch, famoso giocatore di posizione e maestro della scuola ipermoderna. Apriva in genere con il bianco giocando d2-d4 e cercava di migliorare la posizione con il gioco manovrato senza far ricorso ad attacchi improvvisati o sacrifici di dubbio valore.
Duchamp amava gli scacchi perché gli consentivano di creare opere di ingegno, con forza ed immaginazione, senza correre il rischio, come spesso avveniva nel mondo artistico, di ripetersi ovvero di rifarsi pedissequamente ai canoni del passato, o peggio di esaurire nella più arida tecnica la vena creativa.

In ogni caso, negli scacchi predomina un dato oggettivo: vince chi gioca meglio, mentre il giudizio artistico è pur sempre legato alle mutevoli e talvolta incomprensibili opinioni dei critici e alla moda del tempo.
Il periodo artistico in cui si iscrive l’opera di Duchamp, nel corso della prima metà del ‘900, è probabilmente il più fecondo e rivoluzionario della storia dell’arte. I movimenti che segnano una profonda frattura con il passato si susseguono: postimpressionismo, futurismo, cubismo, surrealismo, dadaismo, giusto per citarne solo alcuni.
E’ proprio nel filone del dadaismo che viene generalmente iscritta l’opera di Duchamp, dopo le prime esperienze artistiche che riconducono al futurismo ed al cubismo. Tra il 1912 ed il 1913 Duchamp rompe definitivamente con la pittura per dare sfogo alla sua vena innovativa e dissacratoria.
Cosa si proponeva il dadaismo, corrente artistica e letteraria il cui nome sottolinea, anche foneticamente, il richiamo alla assoluta semplicità, quasi infantile, della creazione artistica?
Per rimanere negli stretti limiti imposti dal nostro breve articolo, diremo (con inevitabile approssimazione) che il dadaismo segna un rifiuto assoluto delle tradizioni del passato attraverso il superamento dell’imitazione della realtà. Si affermava così la più assoluta libertà dell’espressione che si realizzava anche attraverso la mescolanza di tecniche e materiali e l’uso di oggetti di impiego quotidiano (il famoso “ready made”).
E proprio adoperando comunissimi oggetti, Duchamp tirò fuori delle idee assolutamente originali. Egli utilizzò un comune sgabello e la ruota di una bicicletta per comporre nel 1913 un’opera che ancora oggi è ammirata come espressione tipica della sua arte. Egli usò successivamente altri comuni oggetti: un badile, una finestra, uno scolabottiglie in metallo, fino ad inviare, in occasione di una mostra a New York nel 1917, un orinatoio capovolto denominato “Fontana” firmandolo “R. Mutt” (oggi una copia è presente al Centre Pompidou di Parigi). L’opera non fu esposta per volere degli inorriditi organizzatori, ma l’artista ne difese il valore sottolineando come anche un oggetto di uso comune possa rappresentare un’opera d’arte se l’autore abbia inteso utilizzarlo non per lo scopo primario per il quale era stato costruito, ma secondo la sua personale ispirazione.
Altri oggetti esposti in seguito seguendo il medesimo intento, furono poi distrutti dall’artista, il quale se ne liberò affermando che l’arte non aveva nulla a che fare con il feticismo collezionistico.
Altrettanto celebre è la sua opera del 1920 denominata LHOOQ, in cui, partendo da una copia della ultra celebrata Gioconda di Leonardo, quindi ancora un “ready-made”, egli si diverte a disegnare sulla stessa baffi e pizzetto aggiungendo poi alla fine un commento irriverente.
Pura provocazione, indubbiamente. D’altro canto, le principali e più innovative correnti artistiche del periodo obbligavano lo spettatore ad abbandonare ogni preconcetto al fine di superare ciò che era raffigurato nell’opera e dare spazio all’immaginazione. Così, con la trasfigurazione del reale e con l’uso di nuovi materiali e tecniche, prendono vita le forme più varie sulle ali dell’inventiva e della pura fantasia.

In occasione di visite ai musei o in occasione di mostre d’arte contemporanea, nel vedere una di queste opere, all’epoca tanto rivoluzionarie e trasgressive, ci si ritrova ancora oggi a chiedersi (anche se ormai non ci sorprende più nulla) cos’è davvero l’opera d’arte. Se riflettiamo, il fatto stesso che sentiamo la necessità di porci queste domande rappresenta proprio uno degli intenti dell’autore. Nelle opere di Duchamp non c’è nulla da capire, s’è detto che forse si tratta solo di un gioco: l’oggetto è lì nella sua semplicità, scolpito nelle sue linee e nelle sue forme, belle o brutte che siano, ed esprime il suo diritto ad esistere al di là di ogni interpretazione critica.
Secondo il noto studioso Francesco Bonami, l’arte contemporanea inizia proprio nel 1917 con l’invio ad una mostra da parte di Duchamp del famoso orinatoio rifiutato dalla giuria e quindi mai esposto, ma poi riprodotto attraverso infinite imitazioni. È la prima volta, osserva lo scrittore, che un artista sostituisce alla semplice realizzazione dell’oggetto, l’idea: l’orinale esisteva già come oggetto di uso comune da moltissimo tempo, ma nessuno aveva prima pensato di rovesciarlo e firmarlo.
Da allora in poi, tutta l’arte contemporanea è un susseguirsi di “idee” più o meno originali, bizzarre o semplicemente provocatorie. Abbiamo così assistito in questi anni all’esposizione di tele tagliate, tele bianche, tele nere, escrementi d’artista in bottiglia, monumenti o strutture varie impacchettati, oggetti invisibili, luci intermittenti, fino all’esibizione di artisti che pongono in essere, in presenza del pubblico ed in situazioni a dir poco originali, i più strani comportamenti.

L’artista contemporaneo diventa egli stesso opera d’arte e non solo quando si lascia guardare a turno da una lunga fila di spettatori (la celebre mostra cui facciamo riferimento si intitolava proprio “L’artista è presente”) ma anche quando, ad esempio, di fronte allo sfregio della Gioconda con i baffi, ognuno di noi si domanda chi è il buontempone che si è divertito a compiere il misfatto e perché ha sentito l’esigenza di esprimersi così.
Nel corso della lunga vita artistica di Marcel Duchamp, scacchi ed arte incroceranno il loro cammino in tante altre occasioni. Nel 1963 Duchamp è presente all’inaugurazione della mostra retrospettiva al Museo dell’Arte di Pasadena intitolata “Opere fatte da Marcel Duchamp o Rrose Selavy” e rimase celebre una fotografia scattata in tale occasione che lo riprendeva in una partita a scacchi con una bella e provocante modella completamente nuda (Eve Babitz).
A proposito di Rrose Selavy, si tratta di uno pseudonimo che Marcel adottò nel 1921, una sorta di alter ego femminile che appare per la prima volta in un ritratto fotografico eseguito da Man Ray, in cui l’artista è vestito e truccato da donna. Con un fotomontaggio furono poi aggiunte delle mani femminili per rendere più verosimile la foto.
“Rrose Selavy” è un divertente gioco di parole che si legge come “Rose c’est la vie”, ma anche come “eros” grazie al suono tipico della doppia R iniziale.
Tornando alla celebre partita con la modella Eve Babitz, la famosa foto fu sviluppata in bianco e nero e ritrae le due figure di profilo, lei totalmente svestita, il cui viso resta coperto dal caschetto di capelli e Duchamp, che indossava un elegante completo nero, chino sulla scacchiera mentre studiava la posizione.
E’ stato giustamente osservato che la fotografia era: “l’illustrazione del paradosso, l’immagine dei tanti contrasti: quello tra gioventù e vecchiaia, tra presente e passato, tra pudicizia e nudità, tra azione e contemplazione, il contrasto tra esibizionismo e desiderio d’anonimato”.
Se Duchamp può considerarsi un artista anticonvenzionale, irriverente ed innovatore, come scacchista si dimostrò un giocatore solido, posizionale, per nulla eccentrico.
La foto con la modella nuda alla scacchiera ci mostra Duchamp, vero protagonista dell’opera, attento ad osservare la scacchiera, per nulla distratto dalle fattezze della Babitz.

Ma non era certo la prima volta che Duchamp interpretava tali “performance”. Se prestiamo fede a quanto dichiarato dall’amico e fotografo Man Ray, Duchamp, durante il viaggio di nozze, passò la maggior parte della settimana a studiare problemi di scacchi e sua moglie, per la disperazione, si vendicò alzandosi una notte mentre egli dormiva per incollargli tutti i pezzi sulla scacchiera. Inutile dire che pochi mesi dopo il matrimonio andò in frantumi e i due divorziarono.
Nel 1968 a Toronto, pochi mesi prima della morte dell’artista, Duchamp, assieme al musicista John Cage, dette vita ad un’altra performance che fu intitolata “Reunion”. I due artisti giocarono a scacchi su di un palco alla presenza di centinaia di persone; quella fu l’ultima apparizione pubblica di Duchamp, il quale vinse la sfida dando all’avversario il vantaggio di un pezzo. La scacchiera era stata modificata: le 64 caselle avevano dei sensori sensibili allo spostamento dei pezzi ed ogni fotocellula era collegata a un sound-generating system che risuonava nel teatro composizioni di grandi musicisti contemporanei.
Duchamp morì il 2 ottobre 1968 a Neuilly. Sulla lapide da lui voluta presso la tomba di famiglia a Ruen si legge l’iscrizione: ”D’alleurs c’est toujour les autres qui meurent” che può tradursi come un richiamo beffardo alla nostra effimera esistenza, ”Del resto sono sempre gli altri che muoiono”.

Di seguito una interessante partita giocata da Duchamp contro il forte e famoso scacchista americano Frank Marshall, ideatore del celebre “attacco Marshall” nella partita spagnola, ancora oggi molto giocato dal Nero, con il quale mise in difficoltà il campione del mondo J.R. Capablanca.
La partita si concluse con un risultato di parità, ed illustra lo stile di gioco posizionale dell’artista francese:

avatar Scritto da: Paolo Landi (Qui gli altri suoi articoli)


9 Commenti a Marcel Duchamp artista e scacchista

  1. avatar
    Cheope 30 Settembre 2022 at 16:44

    Un altro pezzo stupendo, complimenti!

  2. avatar
    Uomo delle valli 30 Settembre 2022 at 16:48

    letto tutto d un fiato
    davvero avvincente

  3. avatar
    Fabio Lotti 30 Settembre 2022 at 18:13

    Arte e scacchi binomio vincente!
    Un grazie a Paolo.

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    Sergio Pandolfo 30 Settembre 2022 at 23:47

    Splendido articolo, complimenti. Ma come faceva, Duchamp, a non distrarsi con Eve Babitz completamente nuda davanti a lui??? Che tempra…

    Mi piace 1
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      Paolo Landi 1 Ottobre 2022 at 17:43

      Vero, veniva naturale giocare sul lato di donna… 🙂

      Mi piace 1
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    Nagni Marco 1 Ottobre 2022 at 10:54

    Veramente interessante, complimenti.

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    DURRENMATT 1 Ottobre 2022 at 17:15

    Per la cronaca l’immagine Duchamp-Babitz è censurata dal social globalista/neoliberista Facebook.

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    Fabio Andrea Tomba 2 Ottobre 2022 at 18:40

    Ottimo articolo. Proprio un bel personaggio questo Duchamp.

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    Paolo Landi 3 Ottobre 2022 at 12:31

    Grazie a tutti per i generosi apprezzamenti; ho cercato di sintetizzare cercando di cogliere tra mille spunti solo alcuni aspetti singolari del personaggio davvero unico e originale

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