Dal 15 al 18 marzo 2007 si svolse all’Auditorium Parco della Musica di Roma (attualmente intitolato al compositore e direttore d’orchestra Ennio Morricone, morto nel 2020) il 1° Festival della Matematica, il cui motto chiastico era La bellezza dei numeri e i numeri della bellezza.
Nel corso del Festival, Zhores Alferov (Premio Nobel per la fisica nel 2000) e Boris Spassky (Campione Mondiale di scacchi negli anni 1969-1972) furono intervistati insieme da Piergiorgio Odifreddi, organizzatore principale e conduttore del Festival. Io ero fra il pubblico. Nell’ultima giornata, Spassky giocò una simultanea di scacchi contro una dozzina di matematici e scienziati, fra i quali John Nash (Premio Nobel per l’economia nel 1994, morto nel 2015) e lo stesso Zhores Alferov (morto nel 2019).
L’intervista completa è contenuta nel libro Il Club dei matematici solitari del prof. Odifreddi, a cura di Piergiorgio Odifreddi (Mondadori, marzo 2009), e ne costituisce un Intermezzo alla scacchiera (pp. 63-76). Riporto una parte delle domande poste dall’intervistatore a Spassky (in grassetto), ciascuna seguita dalla sua risposta (in corsivo), aggiungendovi alcune mie considerazioni (in parentesi quadre):
Quando ho invitato Boris a venire a giocare qui, lui mi ha risposto: «A un festival di matematica c’entro poco, ma ci vengo volentieri se posso portare un amico che invece c’entra molto di più, avendo vinto un Premio Nobel in fisica». In realtà però un po’ c’entra anche Lei con la matematica, vero?
In effetti, mi sono iscritto a matematica all’università. Ma quando ho cominciato a giocare seriamente agli scacchi, in tornei internazionali, sono passato a filologia per motivi pratici […]. Anche il mio secondo allenatore, il Grande Maestro Igor Bondarevskij, che mi ha infuso tanta autostima quando ho iniziato la mia scalata verso l’Olimpo, aveva dovuto lasciare la matematica per studiare […] l’economia, nel suo caso. Ma gli rimase sempre un’enorme capacità di calcolo: era un computer vivente, utilissimo nelle analisi notturne. Perché oggi, con i computer elettronici, le partite di scacchi devono finire entro la giornata. Una volta, invece, si giocava per cinque ore e ci si aggiornava al giorno dopo, e durante la notte lui stava sveglio ad analizzare la situazione.
A proposito di computer, non stanno uccidendo l’arte degli scacchi?
È vero. Noi giocavamo usando principalmente il talento, a volte senza una grande conoscenza delle Aperture. Adesso invece molte partite iniziano veramente solo alla trentesima mossa, perché fino ad allora tutto è già stato analizzato e calcolato.
A parte giocare in pratica con dei matematici, ci può dire come vede in astratto il rapporto fra scacchi e matematica?
Naturalmente in entrambi i casi c’è un grande senso della logica e la capacità di trarre conseguenze da una situazione. Ma se si osservano i migliori giocatori di scacchi, si nota che tutti o quasi hanno delle facce diaboliche! Perché giocare ad alto livello non è affatto un piacere, e non dà molta felicità: porta piuttosto a essere dei lottatori, o degli “assassini” [le virgolette le ho inserite io]. E la bellezza degli scacchi va a farsi benedire…
Dunque Lei non li consiglierebbe ai bambini, o ai giovani?
Come no! Quello è un altro livello, e oltre a essere divertente è anche un’ottima scuola di vita. [Io, generalmente, non mi trovo d’accordo sull’apprendimento del gioco degli scacchi da parte di bambini con età inferiore a 10 anni. Ammetto che possano esservi eccezioni.]
Forse perché gli scacchi sono una versione miniaturizzata del gioco della vita?
Non saprei come definirli: me lo sono domandato recentemente, ma non sono riuscito a trovare una risposta. Per alcuni grandi campioni sono stati una lotta, per altri un’arte. Per me, forse, una partita con la Giustizia.
In che senso?
Perché io sono sempre stato molto pigro, e preferivo dormire piuttosto che allenarmi. E quando sono stato punito ho capito che la Giustizia esiste. O, se preferisce, che dio esiste.
Un dio degli scacchi, intende? [Nel libro, nelle due occorrenze precedenti il termine ‘dio’ è scritto con l’iniziale maiuscola; io ho preferito scriverlo con l’iniziale minuscola, per distinguerlo dal termine ‘Dio’ nelle due occorrenze seguenti.]
Sì, ma in realtà è una dea, e si chiama Caissa. [Il magistrato e orientalista inglese Sir William Jones, nel suo poemetto intitolato Caissa (1763), scrisse: «Una amabile driade corre per le foreste della Tracia, il suo viso è incantevole, il suo aspetto dolce; il suo passatempo è la caccia del saltante cervo, insidiata da Imene e dal figlio di Ciprigna; per monti e per valli la sua bellezza è famosa, e il nome della vezzosa fanciulla è Caissa». Marte, dio della guerra, s’innamora della ninfa ma non viene ricambiato da lei. Così, su consiglio di una Naiade e aiutato da Eufrone, inventa il gioco degli scacchi e lo dona a Caissa, riuscendo a conquistarla. È evidente l’assonanza fra le parole Caissa e Chess.]
E la vede a volte, o riesce a parlarci?
No, purtroppo. Ma dà al gioco una specie di spiritualità, se così vogliamo dire. Succede lo stesso con la religiosità canonica: sappiamo che Dio esiste, ma non Lo incontriamo mai. A parte nei sogni, forse.
Lei è religioso?
Sì, ortodosso, ma non strettamente: so solo che Dio esiste, altrimenti non potremmo esistere nemmeno noi. [Piergiorgio Odifreddi, logico matematico e divulgatore scientifico, si è più volte dichiarato ateo, benché sia piuttosto attratto dalla questione dell’esistenza di Dio. Boris Spassky, dal canto suo, considera la presenza di noi esseri umani la prova suprema dell’esistenza di Dio…] Invece sento molto la spiritualità degli scacchi, che li rende diversi dalla maggior parte degli altri giochi. In questo sono vicini alla matematica, credo.
Qual è lo scacchista che preferisce?
Direi Alexandre Alekhine, un personaggio tragico nella storia degli scacchi.
Non l’ha certo conosciuto, però, visto che è morto nel 1946.
Direttamente, no. Ma indirettamente, sì: in sogno ci ho giocato e gli ho parlato.
E fra i giocatori che ha incontrato di persona, invece, qual è stato il più interessante?
Paul Keres. Era il mio idolo: una personalità fantastica, un gran senso di collegialità, molta modestia. Mi ha enormemente influenzato, dal punto di vista culturale.
E che si prova a lasciare il titolo di Campione del Mondo nelle mani di un altro?
Lei vorrebbe che parlassi di Bobby Fischer, vero?
Già… [Nel dicembre 1992 una Corte distrettuale degli Stati Uniti d’America aveva emesso un mandato di arresto nei confronti di Bobby Fischer, reo di aver giocato, fra settembre e novembre di quello stesso anno, un match scacchistico contro Boris Spassky – la “rivincita” del Match del secolo disputatosi a Reykjavik, in Islanda, fra luglio e settembre 1972, la quale tuttavia si era conclusa con un’altra vittoria di Fischer – a Sveti Stefan e Belgrado, in Serbia-Montenegro (l’allora Jugoslavia di Slobodan Milošević, verso la quale erano state poste in atto alcune sanzioni da parte degli Stati Uniti). Fischer, però, non era più tornato nel proprio Paese. Nel luglio 2004 venne arrestato in Giappone all’aeroporto di Narita, nei pressi di Tokyo, mentre stava cercando di andare nelle Filippine: era stato trovato in possesso di un passaporto non valido e accusato di violazione delle leggi sull’immigrazione. Nel marzo 2005 venne liberato, dopodiché si stabilì in Islanda, nazione che aveva accettato di accoglierlo affinché non subisse l’estradizione negli Stati Uniti, e vi rimase fino alla morte, avvenuta nella capitale islandese il 17 gennaio 2008.]
Sono un po’ restio a farlo, perché so quanto lui sia suscettibile. Io mi considero un suo amico. Lui invece mi considera un amico-nemico: ‘frenemy’, secondo la sua stessa definizione. Immagino che sia il massimo a cui può arrivare uno come lui.
Lei, però, l’ha difeso pubblicamente in una lettera al presidente Bush.
Sì, perché in quel periodo era in una posizione estremamente vulnerabile. L’avevano arrestato in Giappone, e io ho chiesto al signor Bush di permettermi di condividere la sua situazione, visto che ero stato complice del suo presunto reato. Ho chiesto che fossimo messi nella stessa cella, con una scacchiera.
Perché così Fischer sarebbe stato costretto a giocare con Lei?
Già. Ma Bobby poi mi ha detto che non avrebbe voluto avere il suo amico-nemico con lui in cella […].
Qualcuno sostiene che Lei sia arrivato impreparato alla sfida con Fischer.
Non credo fosse una questione di preparazione. È stato il mio sistema nervoso a crollare, e si sa che un sistema nervoso saldo è indispensabile per affrontare un periodo di lunga lotta. In fondo, l’avversario più difficile con cui ho dovuto lottare sono sempre stato io stesso. [Condivido quest’ultima osservazione di Spassky: nella vita, non di rado, il nostro avversario più temibile è il nostro stesso io!]
E quale fu il motivo del crollo, col “senno di poi”?
Credo che volessi farla finita con la vita da Campione, che era molto pesante. Avrei potuto mantenere il titolo, non assecondando le bizze di Fischer e lasciando che lo squalificassero. Ma ho rifiutato di farlo: ho preferito lottare ed “essere ucciso” [di nuovo, le virgolette le ho inserite io], per finire degnamente questa bella attività.
Dopo la partita Spassky si unì al pubblico nell’applaudire la vittoria di Fischer, e ciò stupì quest’ultimo, che definì il suo avversario «un vero sportivo».
Nel corso dell’8° Open Scacchistico Internazionale “Condino Valle del Chiese”, svoltosi nella località trentina dal 28 luglio al 2 agosto 2008 e al quale partecipavo, Boris Spassky (che vi era stato invitato come ospite d’onore, oltreché per giocare una simultanea), mentre passeggiava, un pomeriggio, nella sala municipale sede del torneo, si soffermò un momento a guardare la partita in cui io avevo appena giocato 1.c4: forse, l’Apertura da me adottata gli aveva ricordato quella famosa sconfitta…
Per un po’ ho fatto lezioni di scacchi nelle scuole elementari. I bambini si divertono, non vedo cosa ci sia di male se giocano a scacchi.
Nell’intervista rilasciata da Boris Spassky a Piergiorgio Odifreddi nel maggio 2005, in occasione di una sua visita a Frascati (intervista che ho già citato nel mio commento del 17 dicembre scorso), alla domanda: Saper giocare a scacchi serve, nella vita?, Spassky rispose: Credo di sì. Bisognerebbe insegnare a giocare ai bambini, dalle elementari alle medie, per educarli a pensare strategicamente. Naturalmente, anche la matematica può svolgere lo stesso compito, ma è un addestramento di alto livello. Gli scacchi, invece, sono un divertimento.
In occasione di una sua visita a Lodi, nel giugno 2005 l’ex Campione Mondiale di scacchi Anatoly Karpov fu intervistato da Piergiorgio Odifreddi. Alla domanda: Gli scacchi sono così educativi?, Karpov rispose: Sono ottimi per i bambini, anche se non vorrei che facessero parte degli insegnamenti obbligatori: non sono adatti a tutti, e non bisogna obbligare chi non è interessato o portato. Ma bisogna dare la possibilità di conoscerli, a chi lo vuole, perché insegnano ai bambini la gestione del tempo, e la pianificazione alla breve e alla lunga. O, se vuole, insegnano a combinare strategia e tattica nel portare a termine i propri compiti.
Dunque, riguardo a questo punto, io sono d’accordo più con Karpov che con Spassky.
Solo stamattina mi sono accorto della presenza, nel blog, dell’interessante articolo
Chess in school del Maestro Internazionale Roberto Messa.
Oltreché nel presente articolo e nel precedente commento, io ho affrontato i temi ivi toccati,
in particolare, negli articoli Il Teorema degli Scacchi e Apologia di uno scacchista, nonché nel commento del 3 agosto 2022 all’articolo La sinfonia di scacchi di Zenone e nei commenti, del 20
e 21 luglio 2022, all’articolo Ma gli scacchisti sono davvero (così) intelligenti?!? di Fabio Lotti.
Al di là del “tifo da stadio” che a volte si riscontra anche in questo blog, sono convinto che una maggior varietà di idee e di dati renda più informativo e costruttivo il dibattito intorno a certi temi.
Bellissimo articolo e interessante intervista al grande Spassky: ho sempre pensato che Boris da grande sportivo quale era, in fondo “desiderava” che Fischer diventasse il nuovo campione del mondo coronando il sogno della sua vita. Uscire di scena così, lottando degnamente contro un tale avversario e liberandosi dal peso della corona mondiale era in fondo per il pigro Boris una sorta di liberazione (pensiamo anche alle responsabilità politiche che all’epoca un campione sovietico doveva sostenere e alla sorte che toccò a Mark Tajmanov, reo di aver perso 6-0 contro il grande Bobby).
Scacchisticamente parlando, credo sia stata altrettanto dura per Spassky la vita in Unione Sovietica dopo aver perso il titolo. Esplicitamente Spassky non lo ha mai ammesso, ma il fatto che sia emigrato in Francia nel 1976 la dice lunga su ciò che deve aver subito in patria dopo la sconfitta con Fischer.
Su internet gira questa divertente barzelletta.
Un abitante della Siberia, vive da solo in mezzo alla gelida steppa spazzata dal vento.
Ex dissidente esiliato, vive isolato dal resto del mondo e si mantiene a stento con quello che riesce a coltivare e ricavare dalla terra.
Solo una vecchia radio, che funziona solo quando vuole lei, lo tiene sottilmente collegato con il resto dell’umanità.
Grazie a questa radio, ascolta anche le poche e frammentarie notizie, anche scacchistiche, unico passatempo concessogli dalla solitudine.
Ma un bel giorno la radio si guasta definitivamente.
Disperato, passa più di tre anni senza sapere niente di quello che accade nel mondo.
Una mattina, mentre lavora nel suo orticello, intravede un grosso gregge di pecore che avanza lentamente nella steppa (sempre spazzata dal gelido vento).
Tutto emozionato per quell’unico contatto umano che gli si prospetta, si catapulta verso il pastore che guida il gregge.
Finalmente una persona con cui parlare in russo, una lingua che stava quasi dimenticando!!
Dopo i convenevoli, entrambi felici e sorridenti per quel po’ di calore umano regalato dal destino, si mettono a chiaccherare.
Davanti al fuoco di un camino e con una calda tazza di te’ in mano, il dissidente tempesta di domande il pastore su varie materie, per sapere le novità del mondo. Lui risponde felicemente a tutte le domande e quando può, arrichisce con ulteriori particolari.
Ad un certo punto il dissidente chiede: “Ma dimmi una cosa: com’è finito il match tra Fischer e Spassky? La radio mi si è rotta dopo la seconda partita….”
Il pastore cessa all’improvviso di sorridere.
I suoi occhi si inumidiscono e il volto si arrossa. L’espressione è di chi, tra un momento e l’altro, dovesse scoppiare a piangere a dirotto.
Con le labbra tremolanti dice: “…..ho perso io….”
A Paolo Landi:
Rispondendo ad altre domande postegli dall’intervistatore, Boris Spassky parlò, appunto, delle responsabilità nei riguardi del Sistema Sovietico che, una volta laureatosi Campione Mondiale di scacchi, gli piombarono addosso…
Grazie per l’apprezzamento del mio ultimo articolo. Anch’io ho trovato molto interessante il Suo.
A Fabio Andrea Tomba:
Nel corso di una precedente intervista che lo stesso Piergiorgio Odifreddi fece a Boris Spassky nel maggio 2005, in occasione di una sua visita a Frascati, l’ex Campione Mondiale di scacchi accennò a come aveva imparato a combattere il Sistema Sovietico dopo la lettura de La quercia e il vitello (1975), opera autobiografica di Aleksandr Solženicyn (il celebre dissidente russo, laureato in matematica, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1970).
Nell’intervista di cui parlo nell’articolo, inoltre, Spassky ammise che una volta emigrato in Occidente dovette ricominciare tutto daccapo, ma era felice di poter decidere dove giocare a scacchi e sperimentava un fantastico senso di libertà.
Fortissima!!! Nella ex unione sovietica era tutto difficile, se si moriva con un raffreddore pensa cosa ti poteva succedere perdere il titolo dell sport nazionale. Ricordo in Giappone alle olimpiadi del 1964 quando nel torneo open di judo il giapponese perse la finale fu tale lo scoraggiamento e la depressione che si suicido`
Mi ha incuriosito lo scoramento dello judoka giapponese al punto che sono andato a cercare la sua storia su wikipedia. Alle olimpiadi del ’64 i giapponesi vinsero 3 medaglie d’oro su 4. lo sportivo che vinse solo l’argento, appunto nell’open, si chiamava Akio Kaminaga, sconfitto dall’olandese Antonius Johannes Geesink già campione del mondo nel 1961, battendo i migliori giapponesi (fra i quali lo stesso Kaminaga) e che che si ritirò imbattuto nel 1967.
Sembra che. purtroppo per lui. Kaminaga alle olimpiadi del 64 che avesse subito un infortunio ai legamenti del ginocchio. Fu comunque molto criticato dai media giapponesi che avrebbero voluto l’en plein con 4 ori ma fortunatamente non si suicidò, dopo una carriera come allenatore mori nel 1993 di cancro al colon.
Opportuno l’intervento di Fabrizio (che ha fatto le ore piccole, oggi).
Riguardo a Marco Nagni, ci siamo incontrati sulla scacchiera al 3° turno del Torneo B del 7° Festival Internazionale di Scacchi “USCIAMO DALLO STALLO”, svoltosi a Falconara Marittima dal 21 al 23 giugno scorsi.
Io mi ero seduto alla scacchiera 5 minuti prima dell’inizio della partita, e non appena lui è arrivato gli ho detto: «Questo non è solo un incontro di scacchi, è anche un incontro di SoloScacchi»!
La partita, nella quale io avevo il Nero, si è aperta con una Difesa Est-Indiana (una delle Difese predilette di Bobby…), Variante Kramer.
Buone feste a tutti
Mi associo!
Dal momento che nello spazio dei commenti al mio articolo sono presenti due interventi relativi
all’imminente festa del Natale (ne ringrazio gli autori), riporto la poesia di Salvatore Quasìmodo
(Premio Nobel per la letteratura nel 1959) intitolata, appunto, Natale (1952):
Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
Condivido il messaggio veicolato da questa poesia.
Ma avrei operato una distinzione fra i due ladri…