il segreto del talento scacchistico

Scritto da:  | 12 Dicembre 2022 | 9 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Curiosità

Tutti noi scacchisti appassionati ci saremo chiesti ameno una volta nella vita qual è la dote più importante che deve possedere un campione di scacchi. E’ una domanda spesso rivoltami da amici o conoscenti alla quale mi sono trovato a dover rispondere soprattutto quando in TV o su internet si parla di un genio scacchistico magnificandone le imprese agonistiche e lo straordinario talento.
Qualche simpatico buontempone (visti i tempi che corrono e i recenti scandali che hanno coinvolto uno dei più forti e promettenti giovani GM del mondo) potrebbe suggerire che basta indossare un buon congegno elettronico ed avere un degno compare che al momento opportuno suggerisca le mosse giuste.
Ma noi, ottimisti fino al midollo, non intendiamo farci coinvolgere in una sorta gioco al massacro e crediamo ancora nella genuina essenza del “Nobil Giuoco”.
E allora, cosa caratterizza un grande talento scacchistico? E un campionissimo degli scacchi può considerarsi a suo modo un “genio”?
Proveremo a rispondere da semplici appassionati senza alcuna pretesa di completezza scientifica, non avendo peraltro competenze specifiche nei vari campi che studiano la mente umana.
Ci affideremo soprattutto al pensiero degli addetti ai lavori, ai loro scritti oppure alle interviste rilasciate da grandi campioni nel corso degli ultimi decenni.
Di certo, tutti pensano che qualcosa di geniale e fuori dal comune deve pur possederla un campione che è in grado di giocare molte partite contemporaneamente alla cieca, ovvero immaginando la posizione che si viene a creare, senza poter vedere le mosse giocate e la posizione sulla scacchiera. Ci sono dei veri e propri record e vari primati nel campo delle simultanee alla cieca. Non meno stupefacente è vedere all’opera un forte GM in grado di calcolare in una partita a tavolino una complessa combinazione, prevedendo gli sviluppi del gioco e tutte le sotto-varianti con assoluta precisione.
Come parimenti desta immenso stupore nel pubblico degli appassionati il fatto che giovanissimi talenti di appena 10-11 anni siano in grado di sconfiggere giocatori molto più esperti e quotati, ovvero siano in grado di diventare a 13 anni grandi maestri, massimo titolo che si conferisce ad uno scacchista.
Tutti gli appassionati sanno, ad esempio, che José Raul Capablanca a soli 6 anni (come Samuel Reshewsky ed altri famosi bambini prodigio) era in grado di sconfiggere il padre, discreto giocatore di circolo, avendo appreso le regole del gioco guardando le sue partite, oppure che Bobby Fischer a scuola veniva sorpreso con lo sguardo che vagava nel vuoto mentre era intento ad esaminare mentalmente posizioni e aperture di gioco.
Ci si domanda: come può un adolescente talentuoso riuscire a trovare mosse geniali laddove tanti adulti, pur dotati di ottima intelligenza, stentano a vedere anche le mosse più banali?
Qualcuno potrebbe osservare che giovanissimi talenti ci sono sempre stati anche nel campo della musica o della matematica ovvero nell’apprendimento delle lingue straniere.
Di certo questi giovani prodigi non hanno acquisito ancora quel bagaglio di esperienza e di studio che si raggiunge soltanto con anni di impegno e di applicazione costante, ma nonostante ciò ci sono giovanissimi scacchisti capaci, quasi istintivamente si direbbe, di trovare mosse forti, idee interessanti in ogni tipo di posizione, attacchi dirompenti o di imbastire tranelli tattici molto raffinati.
Indubbiamente il talento, inteso come una particolare inclinazione verso attività complesse della mente umana, è certamente innato, ma in che cosa consiste, nel campo scacchistico, questa formidabile capacità di giocare una grande partita trovando mosse geniali una dopo l’altra?
Qualche aiuto ci viene dato dall’esame dei metodi di lavoro delle macchine pensanti, i famosi motori scacchistici, che oggi, come tutti sanno, sono in grado di battere, consumando pochissimo tempo, qualsiasi giocatore umano. Queste macchine potenti e implacabili si sono evolute nel corso degli ultimi decenni utilizzando in primo luogo i grandi progressi che la nanotecnologia ha messo a disposizione degli ingegneri informatici. Infatti, la potenza di calcolo oggi raggiunta da un qualunque PC domestico (ma anche un moderno smartphone è sufficiente allo scopo) permette a questi software di calcolare milioni di posizioni al secondo consentendo loro di “vedere” con grande profondità e precisione fin dove nessuna mente umana può arrivare e senza trascurare nessuna possibilità.
Tuttavia, tale mostruosa capacità di calcolo, sarebbe del tutto sprecata se in qualche modo la macchina non riuscisse a “ragionare” sulla posizione che si viene man mano a creare valutandola in modo corretto. Il motore, infatti, sceglie alla fine dei tanti calcoli la mossa che gli assicura il massimo vantaggio ovvero il più lieve svantaggio possibile, utilizzando dei sofisticati algoritmi che tengono conto di ogni elemento che caratterizza una posizione di gioco (valore dei pezzi, possibilità di ottenere vantaggio di materiale, sicurezza dei re, possesso di colonne aperte per le torri o di diagonali per gli alfieri, migliori strutture pedonali, possibilità di ottenere un finale vinto, ecc.) fino a giungere ad un punteggio sintetico che caratterizza la posizione contrassegnato da un + o da un – seguito da una cifra che indica l’entità del vantaggio o dello svantaggio ottenuto.
Per intenderci: un +3 assegnato dalla macchina significa, a livello di GM, normalmente partita vinta, mentre un +1 equivale all’incirca ad avere un pedone in più.
Tutti questi “ingredienti” vengono continuamente passati al setaccio dalla macchina mossa dopo mossa, prevedendo, con lo stesso metodo, anche le migliori risposte dell’avversario senza trascurare nulla: il motore esamina proprio tutte le mosse giocabili scartando prima ovviamente quelle che, dopo il suo fulmineo esame, portano ad un punteggio negativo.
Naturalmente, queste macchine al silicio sono pressoché imbattibili in campo tattico, mentre nelle posizioni più chiuse o manovrate perdono in parte la loro mostruosa capacità di calcolo anche se poi riescono a vincere ugualmente accumulando piccolissimi vantaggi mossa dopo mossa.
L’essere umano, invece, non è in grado neanche lontanamente di effettuare simili calcoli ad una profondità di 10 o venti mosse o più e deve pertanto pervenire ad una valutazione sintetica scartando quelle mosse che a prima vista appaiono subito perdenti o pessime e concentrandosi su quelle (le cosiddette mosse candidate) che giudica invece interessanti. Potrà calcolare diverse varianti per ognuna di queste possibilità, ma ad un certo punto si dovrà arrendere (soprattutto se il tempo a disposizione è limitato) e sceglierà tra le varie candidate la mossa che è in grado, secondo il suo giudizio, di assicurargli il vantaggio o il minor svantaggio possibile.
In un certo senso, il processo logico di un essere umano è simile a quello dei programmi scacchistici, anche se i mezzi di cui dispone il nostro cervello sono infinitamente meno sofisticati della macchina e, quindi, dovrà spesso affidarsi all’intuito ed all’esperienza.
Molti grandi campioni moderni si allenano con questi potenti software esplorando, assieme ai motori più in voga, le aperture o le difese, cercando di scovare nuove idee, mosse mai giocate prima o possibilità tattiche nascoste, al fine di sorprendere i loro avversari e spesso riescono nel loro intento ottenendo vittorie sensazionali o posizioni migliori già in apertura.
Possiamo dire ad una prima approssimazione, quindi, che le qualità più importanti per uno scacchista (così come per una macchina) sono rappresentate dalla capacità di calcolo (tattica) e dalla valutazione della posizione (strategia).
Tra i grandi campioni c’è chi istintivamente privilegia nell’esame della posizione il calcolo tattico delle varianti e chi invece, al fine di scegliere la mossa migliore, preferisce formulare giudizi più astratti basati su valutazioni di carattere generale.
Famoso al riguardo è il celebre racconto del grande Michail Tal il quale, in occasione del match per il campionato del mondo contro Botvinnik, dopo una partita chiese al suo avversario cosa pensava di una variante che aveva analizzato senza però giocarla. Egli snocciolò rapidamente decine di mosse e lunghe continuazioni sostenendo che avrebbe ottenuto buone chance. Al che Botvinnik, dopo aver ascoltato pazientemente, osservò brevemente che, nel caso egli avesse giocato quella mossa, egli si sarebbe limitato (cito a memoria con approssimazione) a cambiare le torri, spingere quel tale pedone e posizionare la Donna su quella casa ottenendo un ottimo gioco, quasi come se avesse in mente dei precisi schemi da attuare. Tal dovette convenire che aveva ragione il suo avversario e che le energie che aveva speso per calcolare un’infinità di varianti poteva forse essere risparmiata.
Tale episodio illustra egregiamente 2 diversi metodi di analisi di una posizione anche se, sia ben chiaro, quando occorreva calcolare a fondo le conseguenze di una certa mossa, anche Botvinnik, magari meno rapidamente e approfonditamente di Tal, era in grado di farlo benissimo.
Ma chi non possiede in modo innato straordinarie doti naturali di calcolo, oppure infallibile intuito posizionale, può migliorare in questi campi tanto complessi e strettamente collegati fino raggiungere un livello di gioco molto alto?
Di recente sono apparsi vari manuali scacchistici che illustrano come migliorare la comprensione del gioco sulla base di metodi in parte nuovi: si tratta dello studio dei cosiddetti “patterns”, concetto traducibile come schemi di gioco, ovvero modelli tipici che si rinvengono nello studio dell’apertura e del mediogioco.
Si analizzano strutture tipiche che possono derivare da diverse aperture o difese, analizzando centinaia di partite, si studiano gli elementi tipici ricorrenti e naturalmente si approfondiscono le strategie e le idee tattiche più frequenti che occorre conoscere in tali posizioni.

Lo studio di tali schemi è essenziale per il giocatore moderno: non solo si risparmia tempo sull’orologio, ma soprattutto si scelgono le mosse più efficaci sulla base dei motivi tipici della posizione, analizzando le strutture pedonali, le case deboli da proteggere, le possibili spinte liberatorie, gli attacchi tipici contro il re, ecc.
Lo stesso metodo è applicato da molto tempo anche in campo tattico per risolvere i motivi tattici che caratterizzano posizioni più o meno complesse. Sono quegli “ingredienti” delle combinazioni scacchistiche che appena compaiono sulla scacchiera sollecitano nel giocatore esperto precisi ricordi degli schemi di attacco già memorizzati. E così si studiano, ad esempio, i temi della deviazione, del sovraccarico, dello scacco di scoperta, dell’adescamento, dell’attacco doppio, ecc. cercando rapidamente nella posizione che si è venuta a creare uno di questi motivi al fine di valutare la possibilità concreta di sacrificare materiale e dare matto.
Nel corso degli ultimi anni sono apparsi numerosi libri e manuali che suggeriscono metodi di studio della posizione al fine di poter giocare la mossa più forte.
E’ interessante il volume di Andrew Soltis (“Come scegliere la mossa migliore”) in cui l’autore spiega vari metodi di analisi della posizione, illustra come mettere a punto le varianti, come trovare le cosiddette “mosse candidate”, fin dove spingersi a calcolare le possibili varianti. Tutto ben scritto e corredato da tanti interessanti esempi anche se poi, alla fine, ci si accorge che non c’è alcun metodo rivoluzionario o vincente da apprendere in quanto occorre pur sempre analizzare, calcolare e …sperare di aver indovinato.
Di recente, ho letto il bel libro di un grande e prestigioso maestro, il G.M. Boris Gelfand: ”Il processo decisionale negli scacchi”. Anche qui si rinvengono tanti magnifici esempi, tante belle partite dell’autore nonché del famoso giocatore posizionale Akiba Rubinstein cui Gelfand si ispira per illustrare il suo stile di gioco e le sue idee. Ma pur rappresentando una piacevole lettura (davvero bella la parte autobiografica del volume) l’opera del G.M. russo non si discosta poi tanto da altri numerosi libri similari sul centro di partita.
Vengono spiegati con cura concetti arcinoti come la pianificazione, le strutture pedonali, il vantaggio di spazio, la trasformazione del vantaggio, ecc., ma tutti questi concetti erano già stati ampiamente illustrati tanti anni fa nella famosa trilogia di Alexander Kotov (“Pensa, Allenati e Gioca come un grande maestro”).
Anche il libro di Jeremy Silman (“Teoria e Pratica degli Squilibri”) non ci fornisce un metodo infallibile per migliorare il proprio livello di gioco ed alla fine appare come un buon manuale sul mediogioco alla stregua di tanti altri in commercio.
Certo, la lettura approfondita di questi manuali può aiutare tantissimo a crescere di livello, ma chiunque cercasse in queste opere (e molte altre simili) il “segreto” (ammesso che esista) per trovare con metodo infallibile ed in tempo ragionevole le mosse più forti sulla scacchiera, rimarrebbe deluso. I tanti concetti strategici, gli schemi posizionali, le molteplici variabili che costituiscono l’essenza del nostro bel gioco, si mescolano e si intrecciano fra di loro in modo spesso inestricabile e talvolta, quando al termine della partita scopriamo la mossa più forte che si poteva giocare in una data posizione, rimaniamo sorpresi e ci chiediamo come mai non l’abbiamo giocata (anche se magari l’abbiamo fugacemente considerata).
Vien da pensare quasi che ciò che più conta negli scacchi sia una sorta di intuito magico che la dea bendata attribuisce con spietata casualità ed in misura imponderabile ai più fortunati.
Ma vediamo cosa ne pensano al riguardo gli addetti ai lavori, ovvero i campioni che hanno reso straordinario il nostro gioco. In un’interessante intervista concessa anni fa al famoso giornalista e scrittore Dimitrije Bjelica, il grande campione Victor Korcnoj disse che tra le qualità più importanti nel repertorio dello scacchista figurano l’intuizione e il calcolo, ma a suo parere la dote principale era l’obiettività.
Il grande maestro Bent Larsen alla domanda su qual era per lui l’aspetto più importante degli scacchi, rispose: “secondo alcuni la battaglia, secondo altri la creazione di un’opera d’arte, e secondo altri ancora la soluzione di un problema scientifico. Non si può dire che una sola cosa sia la più importante”.
Secondo l’ex campione del mondo Anatoly Karpov per emergere negli scacchi occorrono “maturità fisica ed intellettuale, competenza, esperienza, capacità critica, e talento”. Insomma gli scacchi come sintesi di scienza, arte e sport. E scusate se vi sembra poco.
Analogamente, il G.M. Borislav Ivkov molti anni fa disse che le doti più importanti per lo scacchista erano: “talento, temerarietà ed abitudine al lavoro”.
Occorre poi considerare che ogni grande giocatore possiede uno stile inimitabile. Può capitare che in una posizione complessa 2 campioni non giochino la stessa mossa (a meno che non si tratti di una variante forzata).
Basti pensare, ad esempio che, mentre l’ex campione del mondo Smyslov era sempre alla ricerca dell’armonia, della coordinazione dei pezzi, dell’accumulo di piccoli vantaggi fino al finale di partita, giocato sempre con precisione tecnica e maestria, Tal giocava sulle ali della fantasia, teso a creare posizioni in cui potesse sacrificare materiale per l’attacco, mentre Fischer lavorava come un matto dalla mattina alla sera nell’intento di perfezionare il proprio gioco e le sue varianti preferite fino al parossismo e Botvinnik era uno stakanovista metodico, si preparava studiando a fondo le partite dei propri avversari ed è riuscito a rimanere per tanti anni ai vertici assoluti degli scacchi pur non possedendo il talento puro e le capacità combinative di altri grandi campioni dei suoi tempi.
Kasparov è stato forse il più completo campione della storia scacchistica: un mix di talento, preparazione manicale, visione combinativa, unite a capacità agonistiche e sportive fuori dal comune. Insomma, il meglio di Botvinnik, Tal e Fischer.
Ciò che possiamo considerare una qualità comune che caratterizza i grandi campioni è indubbiamente il possesso di una memoria fuori dal comune. E per memoria deve intendersi non solo la capacità di incasellare come un computer migliaia di partite, di varianti di apertura oppure di schemi vincenti del finale, ma anche una memoria visiva eccezionale. I grandi scacchisti, come abbiamo visto, sono in grado di giocare simultanee alla cieca riuscendo a immaginare con precisione i movimenti di un’infinità di pezzi sulla scacchiera come se li vedessero e potessero toccarli.
La memoria eccezionale di cui dispongono consente loro di immagazzinare un numero infinito di “pattern” ovvero posizioni o schemi di gioco tipici studiati accuratamente, il che gli consente di trovare velocemente la strada giusta per giocare la mossa più forte richiesta dalla posizione.
Le loro capacità mnemoniche in alcuni casi sono divenute leggendarie; si racconta che Kasparov riusciva a ricordare e snocciolare i numeri di targa di una serie di auto transitate per strada o, nel caso di Carlsen, attuale campione del mondo e di altri famosi G.M., essi riescono a ricordare una serie infinita di partite anche se giocate tantissimi anni prima.
Oltre a questa prodigiosa memoria, un grande scacchista deve possedere anche una raffinata capacità di analisi e di sintesi: egli deve valutare la posizione in tempi ristretti in modo preciso e profondo scorgendo possibilità nascoste laddove un “normale” giocatore si perderebbe in mille calcoli del tutto superflui e fuorvianti.
Infatti, affinare le capacità di calcolo non serve a nulla (soltanto il computer, infatti, utilizza la cosiddette analisi “brute force”) se non si sa esattamente cosa e fin dove occorre analizzare e cosa non vale neanche la pena di esaminare fugacemente.
E allora, volendo azzardare delle conclusioni, per rispondere alle domande che ci siamo posti all’inizio, possiamo dire che il segreto degli scacchi consiste anzitutto in una memoria prodigiosa, in buona parte dono di madre natura, unita ad un talento innato (sebbene perfezionabile con tanto duro lavoro) che consenta di analizzare la posizione approfonditamente da un punto di vista tattico e strategico. Quest’ultima è la dote che tanti scacchisti chiamano “obiettività”, qualità essenziale se si vogliono raggiungere importanti risultati.
E neanche tutto ciò è sufficiente per emergere ad altissimi livelli, se non si possiedono doti puramente agonistiche (comuni a chiunque pratichi attività sportive) come una ferrea volontà, la forza di risollevarsi dopo una sconfitta, una grande autodisciplina, una profonda capacità di concentrarsi per ore sulla scacchiera giocando con freddezza nei momenti critici ed infine (ma non meno importante) anche un buon fisico in piena salute ed allenato alla fatica.
Insomma, comincio a credere che arrivare a giocare al livello di un buon maestro internazionale FIDE sia già una discreta impresa sportiva non alla portata di tutti e che le aspirazioni “fischeriane” della mia adolescenza fossero delle pie illusioni. Mi consola, tuttavia, il pensiero che anche la conoscenza dei propri limiti costituisce una grande qualità e non soltanto per divenire un ottimo scacchista.
Forse un giorno la scienza ci svelerà tanti altri misteri della mente umana che ci aiuteranno a comprendere pienamente il processo logico che caratterizza il pensiero scacchistico e quindi l’essenza del talento inimitabile dei grandi campioni.

avatar Scritto da: Paolo Landi (Qui gli altri suoi articoli)


9 Commenti a il segreto del talento scacchistico

  1. avatar
    Uomo delle valli 12 Dicembre 2022 at 17:21

    finalmente avete ripreso
    e anche meglio di prima
    complimenti a tutti

  2. avatar
    Fabio Andrea Tomba 12 Dicembre 2022 at 18:45

    Fantastico lavoro, credo tu abbia spiegato perfettamente perchè la maggior parte degli scacchisti non diventeranno mai forti giocatori …. :)

    • avatar
      Paolo Landi 13 Dicembre 2022 at 09:37

      Grazie per i complimenti! Tranquillo, lo spunto per l’articolo è autobiografico… :)

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  3. avatar
    Fabio Lotti 13 Dicembre 2022 at 09:47

    Complimenti. Comunque è sempre bello avere delle aspirazioni “fischeriane”!

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  4. avatar
    Sergio Pandolfo 14 Dicembre 2022 at 13:50

    Credo che il tema trattato sia tra i più complessi, non solo per gli scacchi, ma anche per ogni altra attività ad alto livello. Probabilmente, per eccellere negli scacchi, come nella musica, nello sport o nelle matematiche, ci vuole un talento di base, una predisposizione; ma anche tanto lavoro, per cercare di coltivare quel talento. Quante ore si allena, ogni giorno un violinista, un pianista, uno sportivo, o uno scacchista di livello magistrale per mantenersi al top?

    • avatar
      Durrenmatt 15 Dicembre 2022 at 14:58

      La “Regola delle 10.000 ore” afferma che la chiave per raggiungere competenze di livello mondiale in qualsiasi abilità è, in larga misura, una questione di “praticare” nel modo corretto, per un totale di circa 10.000 ore.

      Quindi il “talento” è in realtà una pura e semplice “ossessione”.

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        Fabio Andrea Tomba 15 Dicembre 2022 at 17:34

        Concordo con questa visione.

        Negli scacchi però il difficile è “capire” quale sia il modo corretto di praticare.

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          Paolo Landi 15 Dicembre 2022 at 18:12

          Non solo, ma per raggiungere l’elite assoluta occorrono anche particolari qualità innate non così semplici da individuare, almeno per quanto riguarda gli scacchi. D’altro canto, se voglio emergere come centometrista a livello mondiale, hai voglia di allenarmi 10 ore al giorno se non posseggo determinate qualità fisiche innate…

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            The dark side of the moon 15 Dicembre 2022 at 20:44

            Esattamente!
            E comunque, a prescindere, non esiste nessuna formula che spieghi come primeggiare in nessuna disciplina. Esistono un insieme di regole che vanno seguite e basta ma che pur essendo utili, non assicurano nulla.
            Questa mania di voler semplificare sempre tutto denota una certa superficialità.
            Concludo facendo all’autore i dovuti complimenti per il bell’articolo.
            Un ringraziamento particolare anche a Martin che, non dimentichiamolo mai, continua a regalarci questo splendido blog in maniera gratuita e senza secondi fini.
            Fare questo è assolutamente rivoluzionario.

            Mi piace 6

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