Lo stile di gioco dei grandi campioni (I)

Scritto da:  | 7 Febbraio 2023 | 17 Commenti | Categoria: C'era una volta, Partite commentate, Personaggi, Stranieri

Il campione del mondo che più di tutti è entrato nella legenda degli scacchi moderni è senza dubbio l’americano Bobby Fischer.
Anche i non addetti ai lavori conoscono le sue imprese scacchistiche, le sue manie, la sua ferrea volontà e soprattutto l’alone di invincibilità che caratterizzò la sua inarrestabile scalata al titolo mondiale.
Indubbiamente, Bobby Fischer, nel periodo dal 1969 al 1972, fu un giocatore quasi imbattibile. Il suo gioco raggiunse vette di assoluta perfezione ed affrontarlo con qualsiasi colore era davvero molto arduo.
Ma cosa caratterizzava lo stile di questo grande campione?
Osservando le sue partite, anche un profano comprende subito che il talentuoso americano non lasciava nulla al caso: fin dalle prime mosse di gioco egli mirava ad ottenere l’iniziativa ed incalzare

l’avversario ponendogli pressione ad ogni mossa. Conosceva alla perfezione le aperture e le sue difese predilette e sfidarlo sul suo terreno preferito costituiva un compito difficilissimo.
Il suo gioco mirava a comprimere l’avversario lasciandogli pochi spazi di manovra e più che la giocata ad effetto, il sacrificio mirabolante e rischioso (alla Tal per intenderci) egli puntava a consolidare anzitutto la posizione per poi sferrare un attacco decisivo. Se poi riusciva ad arrivare con qualche vantaggio al finale di partita, allora non c’era scampo: era in possesso di una tecnica fantastica e generalmente commetteva pochissimi errori in qualsiasi fase del gioco.
Fischer non amava sacrificare materiale se non era strettamente necessario e spesso accettava i sacrifici altrui se non vedeva minacce immediate. Egli temeva unicamente di finire in posizioni passive dove occorreva manovrare senza concrete prospettive di attacco.
Il suo gioco era connotato da una solidità strategica senza eguali, ogni mossa era tesa a creare problemi ed aumentare la tensione sulla scacchiera in modo parossistico e, appena possibile, a sferrare un attacco devastante sul Re avversario. Fischer, si diceva, giocava sempre fino a “Re contro Re”, ovvero non mollava mai, anche in posizioni apparentemente patte, mantenendo la tensione sulla scacchiera sempre alta.
La sua rapidità di calcolo era leggendaria: l’americano riusciva a prevedere con precisione varianti assai complesse ed era formidabile anche nel gioco lampo.
Fischer ha affrontato i più forti giocatori del suo tempo nei momenti di loro massimo fulgore e negli anni ’60, a parte Botvinnik ormai ultra cinquantenne, egli si trovò a competere contro una straordinaria generazione di giovani talentuosi scacchisti sovietici.
Più volte, prima della scalata al titolo mondiale, affrontò il leggendario Michail Tal (campione dl mondo nel 1960), Tigran Petrosian, anch’egli campione del mondo dal 1966 al 1969, il longevo Vasily Smislov , campione del mondo negli anni ’50 ed ancora i fortissimi Evfim Geller, David Bronstein, Lev Polugajevsky, Leonid Stein (prematuramente scomparso) Paul Keres, Viktor Korkhnoi (futuro acerrimo avversario di Karpov) per citarne soltanto alcuni.
Ebbene, nessuno di questi grandi campioni è riuscito a imporre la propria superiorità sull’astro nascente americano negli scontri diretti e, dopo alcune vittorie alla fine degli anni ’50 e nei primissimi anni ’60, quando Fischer era ancora un adolescente (sebbene temutissimo e già dotato di grandissima classe) anche i forti GM sovietici finirono per capitolare man mano che il suo gioco diventava sempre più preciso e implacabile.

Abbiamo lasciato da parte Boris Spassky, campione del mondo dal 1969 al 1972, in quanto fu protagonista di memorabili sfide scacchistiche con il campione americano culminate nel celebre match del secolo che lo vide soccombere dopo una lunga battaglia.
Spasskij è stato definito il prototipo del “giocatore universale”, in grado cioè di attaccare o difendere in base alle esigenze della posizione, solido nei finali di partita e molto duttile nella fase di apertura. In realtà, tali caratteristiche tecniche si rivelarono per lui più un handicap che un vantaggio nella sfida diretta con Fischer.
Il campione sovietico non amava dedicarsi anima e corpo allo studio delle aperture e preferiva affidarsi al suo intuito strategico ed alle sue doti di solido difensore da tutti riconosciute. Inoltre, mostrava una certa indolenza nell’affrontare la preparazione ai match, e contro un avversario del calibro di Bobby Fischer tale atteggiamento finì per condizionarne negativamente il rendimento.
Egli confidava nella preparazione casalinga che l’apparato della federazione sovietica aveva gestito per lui organizzando un team di GM (tra i quali alcuni ex campioni del mondo quali Tal, Smyslov e Petrosjan) di assoluto livello che per mesi aveva studiato le partite del campione americano individuandone i possibili punti deboli.
Dal punto di vista umano, Spasskij era l’antitesi di Fischer; tanto l’americano si mostrava arrogante, capriccioso, venale, quanto il russo appariva signorile, sportivo, misurato. Forse anche troppo. Le concessioni che Spasskij fece prima dell’inizio del match del secolo ed anche nel corso della prima fase dello stesso furono davvero tante e non vi è dubbio che questo comportamento, sebbene apprezzabile dal punto di vista umano e della lealtà sportiva, finì per porre il detentore del titolo in una chiara situazione di inferiorità dal punto di vista psicologico.
Spasskij ammise poi di aver ceduto alle troppe pretese del rivale il quale continuamente minacciava di far saltare l’incontro (pretese che a volte apparivano vere e proprie bizze per innervosire l’avversario) affermando che più di ogni altra cosa, egli desiderava che il match avesse svolgimento.

Non staremo qui a ricordare le varie diatribe che precedettero l’incontro del secolo. Ne menzioniamo soltanto alcune: la controversa scelta della sede di gioco, l’ammontare della borsa (alla fine raddoppiato grazie all’intervento decisivo di un mecenate inglese) l’accesso del pubblico nella sala di gioco, la qualità dell’illuminazione, la presenza di telecamere che riprendevano gli incontri (con il loro inevitabile ronzio) le ispezioni sulle poltrone di gioco e le tante manie che sciorinò una dopo l’altra lo sfidante americano.
E poi l’intervento telefonico (vero o leggendario non è chiaro ancora) del segretario di stato statunitense Henry Kissinger prima della terza partita il quale “ordinò” a Fischer di non abbandonare l’incontro perché la sfida riguardava ormai non soltanto i 2 campioni in lotta per la corona mondiale, ma due blocchi politici contrapposti, per cui gli Stati Uniti dovevano a tutti i costi strappare il titolo scacchistico più ambito ai sovietici i quali spadroneggiavano incontrastati ormai da decenni.
Tanti libri sono stati scritti sull’argomento e tante circostanze e innumerevoli episodi sono stati minuziosamente ricostruiti, al punto che molti alla fine ricordano più le polemiche extra scacchistiche che la qualità del gioco espresso nel corso del match.
Eppure, Bobby Fischer giocò in questo incontro alcune delle più belle partite della sua carriera travolgendo il suo avversario in ogni fase del gioco. E dire che nei loro precedenti incontri lo sfidante non era mai riuscito a battere il campione di San Pietroburgo ed in un paio di occasioni era stato sconfitto.
A chi gli chiedeva quanto avrebbero pesato tali precedenti nell’imminente incontro per il titolo mondiale, Fischer rispondeva che quello che era successo in passato non contava nulla.
Dopo un inizio incerto (l’americano perse la prima partita banalmente e non si presentò a giocare la seconda, partendo quindi con un handicap di 0-2) Fischer inanellò una serie di prestazioni sfolgoranti e già dopo 6 partite egli conduceva per 3 e mezzo a 2 e mezzo. E dopo la decima partita il punteggio era 6 e mezzo a 3 e mezzo; l’esito dell’incontro era già segnato.
Ci si domanda: come fu possibile un tale strapotere da parte dello sfidante nonostante la classe del suo avversario, il team di esperti che lo assistevano, i dossier, gli studi e le analisi preparati dalla federazione sovietica e messi a disposizione del campione del mondo per scoprire i punti deboli dello sfidante?
A mio avviso, l’aspetto fondamentale della preparazione di Fischer, che costituiti il segreto del suo successo, fu la capacità di sorprendere l’avversario uscendo dagli schemi di apertura fino ad allora utilizzati, al fine di portare Spasskij su di un terreno imprevedibile o addirittura inesplorato. Verrebbe da dire, adoperando un paragone calcistico, che Fischer riuscì ad imporre all’avversario il proprio gioco, il proprio ritmo, le proprie qualità.

E tale tattica riuscì perfettamente. Occorre ricordare che Fischer, fino alla sfida di Reijkiavik, era sempre stato devotamente fedele alle sue aperture ed alle sue difese preferite, al punto che il suo repertorio poteva considerarsi, in un certo senso, alquanto limitato. Egli aveva aperto fin da giovanissimo quasi sempre con il pedone di Re; con il Nero su d2-d4 giocava la difesa est-indiana, mentre su e2-e4 aveva sempre preferito la difesa siciliana scegliendo la variante del c.d. “pedone avvelenato” del sistema Naidorf, nella quale il Nero cattura con la Donna il pedone b2 ed entra in enormi complicazioni tattiche ancora oggi alquanto inesplorate.
Ebbene, una sola volta Fischer osò giocare tale controversa difesa nel corso del match e fu duramente punito da Spasskij grazie ad una variante accuratamente preparata dal team di studio sovietico, al punto che già dopo poche mosse la posizione del nero era compromessa.
Da quel momento, l’americano non concesse più al campione in carica un simile vantaggio e deviò completamente dalle linee di gioco seguite in passato fino al punto di giocare con il Bianco la partita ortodossa o l’apertura inglese. E dire che Fischer aveva più volte dichiarato che considerava 1. e2-e4 di gran lunga la migliore mossa di apertura.
Con il nero, poi, adottò linee difensive quasi mai scelte in precedenza ed alcune delle sue più belle vittorie furono conseguite giocando difese quali la Benoni Moderna, la Alekhine (in 2 occasioni) la Pirc.
Tutti sanno quanto è difficile addentrarsi su terreni sconosciuti, soprattutto con il Nero, scegliendo difese considerate dai teorici non del tutto soddisfacenti o addirittura dubbie (come all’epoca era ritenuta la Pirc). Figurarsi poi se tale strategia viene utilizzata per la prima volta in un incontro per il titolo mondiale contro un avversario espertissimo per di più coadiuvato da un team stellare!
Eppure, Spasskij non seppe mai trovare la linea più efficace per contrastare tali “novità”, egli si smarrì proprio nelle fasi iniziali del gioco opponendo in diverse occasioni una difesa poco lucida ed approssimativa, finendo in posizioni strategicamente inferiori.
Il campione in carica cercò di recuperare nella seconda parte del match, ma ormai era troppo tardi e, nonostante la forte pressione che riuscì ad imporre allo sfidante, non andò mai oltre la patta fino a cedere definitivamente nella parte finale del match.
Fischer espresse, nel corso dell’incontro del secolo, un gioco di altissimo livello mantenendo sempre al massimo la concentrazione e la tensione agonistica sulla scacchiera fino a raggiungere l’obiettivo della sua vita divenendo meritatamente il nuovo campione del mondo di scacchi.
Ciò che accadde nel corso degli anni successivi: il suo ritiro dalle scene scacchistiche, l’acuirsi delle sue paranoie, l’adesione a sette religiose e poi a ideologie estremistiche ed antisemite, il suo anti-americanismo viscerale, l’arresto in territorio giapponese per ragioni politiche, il ritiro solitario negli ultimi anni in terra islandese laddove era divenuto campione del mondo, ecc., fanno parte di una triste vicenda umana che non ha avuto più nulla a che vedere con gli scacchi.
Fa eccezione la breve parentesi del match “di rivincita” contro Boris Spasskij, giocato 20 anni dopo in territorio iugoslavo, nonostante le dure sanzioni internazionali che colpivano il regime al potere in quel Paese (e dove contò molto di più la borsa sostanziosa messa in palio che la qualità del gioco espresso dai contendenti).
Si parla anche di qualche leggendaria (e mai comprovata in verità) apparizione del campione americano in alcuni incontri su internet nei primi anni 2000. Lessi anni fa sul web un’intervista a Nigel Short in cui il forte G.M. inglese giurò di aver in quel periodo incontrato Bobby Fischer su di una famosa piattaforma online, uscendone sonoramente sconfitto. Egli disse di aver compreso l’identità dell’avversario dal suo stile di gioco e dalle risposte ad alcune specifiche domande su eventi passati; ma nessuna conferma ufficiale arrivò mai.
Di certo si può affermare che, grazie al gioco espresso nel periodo di massima forza, Fischer, come afferma anche Garry Kasparov, ha segnato nel mondo degli scacchi una vera e propria rivoluzione.


E forse proprio Garry Kasparov è stato colui che ha raccolto la sua eredità scacchistica.
Anche il campione di Baku ha sempre curato in modo meticoloso la preparazione in apertura introducendo numerose novità e adottando un repertorio sempre più vasto. Anche Kasparov ha sempre cercato, proprio come Fischer, di strappare l’iniziativa ai suoi avversari sacrificando anche materiale nelle prime fasi del gioco (in questo differenziandosi dall’ americano notoriamente molto più “sparagnino”).
Così come Fischer, anche il campione azero amava anzitutto ottenere una superiorità strategica per poi sferrare attacchi micidiali. Ed infine entrambi erano in grado di giocare i finali in modo pressoché perfetto.
La volontà di affermarsi, la determinazione agonistica, l’ego smisurato, la convinzione assoluta nei propri mezzi, sono state poi caratteristiche comune di entrambi i campioni del mondo.
Mi piace ricordare in conclusione la descrizione che del campione americano fornì, molti anni dopo il primo match, lo stesso Spasskij: “Fischer è un giocatore estremamente dotato e ricco di interessanti idee scacchistiche. Il suo modo di giocare ricorda quello di Capablanca. Bobby ha sempre prodotto su di me una particolare impressione per l’integrità della sua natura. Tanto negli scacchi come nella vita non ammette compromessi. Scacchisticamente, la sua forza stava anche nel fatto che, terminata l’apertura, sapeva affrontare con meticolosità il piano di gioco. Rimasi stupito che in occasione del nostro secondo match impiegasse più tempo di riflessione di me. Il punto è che aveva bisogno di elaborare il piano di gioco. Allo stesso tempo è un giocatore che ha qualcosa del computer, nel senso che ricorda la precisione di tale strumento” (1997).
La descrizione è assolutamente calzante: Fischer cercava sempre in ogni posizione la mossa più forte dal punto di vista puramente pragmatico, affidandosi al suo grande intuito strategico ed alla sua formidabile capacità di calcolo.
Il prematuro ritiro dalle scene scacchistiche del grande Bobby, ha indubbiamente negato al mondo degli appassionati tante altre imprese e chissà quanti altri contributi in campo teorico, ma Fischer, una volta ottenuto il massimo titolo, non aveva più motivazioni e decise di ritirarsi imbattuto, circondato da un alone di leggenda. Purtroppo, privato della sua unica grande e totalizzante passione della vita, non seppe più dare un senso alla sua esistenza rifugiandosi anno dopo anno nelle tante manie e nelle più infernali paranoie.
Nulla più mi ha emozionato dal punto di vista scacchistico come lo studio delle partite di Bobby Fischer; ricordo che all’epoca del match del secolo del 1972 (ero a quei tempi un adolescente che da poco aveva imparato a giocare) attendevamo con ansia il risultato di ogni incontro e ricostruivamo affascinati le partite che venivano trascritte sui giornali il giorno successivo.
Inserisco, poi, tra le mie più belle letture scacchistiche le famose “60 Partite Da Ricordare” in cui brillano i commenti di Bobby Fischer taglienti come il suo gioco, l’analisi spietata e senza compromessi di ogni fase della partita e dei momenti psicologici più coinvolgenti, le mille idee che scaturivano dalla descrizione dei piani di gioco.


Soltanto molti anni dopo, nei libri di Kasparov dedicati ai suoi grandi predecessori campioni del mondo, ho provato analoghe emozioni nel seguire gli epici scontri sulle 64 caselle descritti con tanta competenza e passione. Chissà cosa sarebbe venuto fuori dallo scontro tra questi 2 giganti della scacchiera se si fossero incontrati al massimo della loro forza! Ma si sa che in ogni sport questi confronti tra campioni di epoche diverse sono improponibili.
Vorremmo ora fornire un piccolo saggio delle grandi qualità del grande campione statunitense mostrando la 6^ partita del celebre match del 1972 nella quale (sorpresa assoluta) Fischer giocherà (per la prima volta in assoluto nella sua carriera) con il bianco…il gambetto di donna (di cui il sovietico era uno dei massimi esperti mondiali).
E’ interessante come Fischer ottenga il dominio sulle case bianche adoperando magistralmente il suo pezzo preferito: l’alfiere di re, con il quale costruiva spesso posizioni vincenti nell’apertura spagnola e nella difesa siciliana giocata con il bianco.
La partita si concluse con il celebre applauso del pubblico presente in sala in onore di Bobby cui si unì, con grande sportività, lo sconsolato Spasskij.

avatar Scritto da: Paolo Landi (Qui gli altri suoi articoli)


17 Commenti a Lo stile di gioco dei grandi campioni (I)

  1. avatar
    Uomo delle valli 7 Febbraio 2023 at 12:49

    strepitoso

    Mi piace 1
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    Fabio Lotti 7 Febbraio 2023 at 13:47

    Grazie Paolo!

    Mi piace 1
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    Gino Colombo 7 Febbraio 2023 at 16:10

    Davvero approfondito e interessante.
    Complimenti anche da parte mia.

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    luca monti 7 Febbraio 2023 at 16:23

    Buongiorno signor Landi. In un suo precedente pezzo titolato – L’Accademia Scacchistica Napoletana – lei cita del suo incontro con Giorgio Porreca. Quest’ultimo giocò svariate volte con Esteban Canal – dal 1966 al 1971 se ricordo bene – , ma di tutte queste partite ne è rimasta una e forse null’altro – vado a braccio però-.Un tempo qualcuno mi disse che il Porreca Giorgio ebbe dei figli. Se così fosse , le chiederei se lei li conoscesse. Potrebbe rivelarsi utile per la mia indagine su Esteban Canal. Ogni bene e complimenti per i suoi contributi. Luca Monti Vallio Terme BS .

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    Paolo Landi 7 Febbraio 2023 at 18:34

    Grazie a tutti per i complimenti, sto preparando qualcosa anche su Carlsen e il suo stile di gioco tipico del XXI secolo, compito molto impegnativo…
    Quanto a @Luca Monti, mi dispiace, ma non conoscevo i figli del maestro Porreca. Ricordo la sua richiesta già quando apparve il mio articolo sull’Accademia scacchistica, purtroppo ricordo che da una ricerca su google non trovai altre partite oltre quelle da lei citate, nè una raccolta più completa delle partite del Maestro.

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      luca monti 8 Febbraio 2023 at 09:18

      Grazie comunque

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    Nagni Marco 7 Febbraio 2023 at 18:42

    Ogni volta che si parla di Fisher ritorno ragazzino, avevo imparato a giocare poco tempo prima in parrocchia, un giorno di pioggia, tutti i giochi erano occupati e un ragazzino mi invitò a giocare a scacchi, mi insegnò le mosse e mi diede classico scacco matto del barbiere…poi scoppiò il finimondo russi contro americani e Fischer che arrivava tardi, la sera mi sembra Mario Pastore muoveva i pezzi sulla scacchiera gigante, nel giro di pochi giorni tutti giocavano a scacchi, poi più nulla, in compenso a novembre il mio compleanno e una mia cara zia mi regalo` il fantastico “60 partite da ricordare” purtroppo ho dovuto farlo rilegare la copertina si autodistrusse, la ringrazio dottor Landi per il suo “servizio” complimenti

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      Niobe 8 Febbraio 2023 at 12:03

      Alzi la mano chi tra noi non si è appassionato agli scacchi per merito del grande Bobby.

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        Giancarlo Castiglioni 8 Febbraio 2023 at 12:49

        Io. Giocavo a scacchi da una decina di anni.

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          Niobe 8 Febbraio 2023 at 14:58

          Giancarlo allora ci puoi raccontare qualcosa di come hai vissuto “l’arrivo” di Fischer?

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    Filologo 8 Febbraio 2023 at 00:02

    Efim Geller aveva score positivo con Fischer (5 a 3, più due patte). Per questo motivo fu imposto come secondo a Spasskij per il match di Reykjavik, nonostante il Campione provasse scarsissima simpatia per l’asso di Odessa.

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      Duilio 8 Febbraio 2023 at 08:04

      Da qualche parte lessi che Geller fu arruolato nel team di Boris in quanto grande esperto di aperture, tuttavia il risultato fu che in quanto ad aperture collaborarono ben poco.
      Spassky si trovava invece molto meglio a lavorare con Ivo Nej.
      Articolo bellissimo, complimenti.

      • avatar
        Filologo 8 Febbraio 2023 at 11:21

        In realtà Nej fu voluto da Spasskij perché giocava bene a tennis, che era lo sport a cui il campione si affidava per coltivare la sua forma fisica. Quando le cose cominciarono a mettersi male, sul maestro estone cominciarono ad accumularsi sospetti di tradimento, e accuse di voler passare all’Occidente, sicché il povero Nej passò brutti quarti d’ora

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    Nagni Marco 8 Febbraio 2023 at 11:31

    Oltretutto in Islanda poco tennis……

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    The dark side of the moon 8 Febbraio 2023 at 15:21

    Bellissimo articolo come tutti quelli scritti da Paolo Landi che come ha ben ricordato, nessuno dei tanti grandi campioni dell’epoca riuscì ad imporre la propria superiorità su Fischer negli scontri diretti dopo gli anni ’60.
    Sono andato a controllare gli scontri diretti tra Fischer e Tal perché mi sembrava di ricordare che il mago di Riga avesse uno score favorevole; il bilancio però è pari con 4 vittorie a testa e 5 pareggi ma le 4 vittorie di Tal sono tutte antecedenti agli anni ’60.
    Mi è venuta questa curiosità perché ricordo bene un aneddoto dello stesso Tal che citando se stesso diceva che durante i tornei poteva firmare gli autografi anche per Bobby avendolo battuto parecchie volte..

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      Nagni Marco 8 Febbraio 2023 at 20:40

      Forse pari con il torneo lampo doppio turno in jugoslavia, un secco 2 a 0…..

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    Paolo Landi 8 Febbraio 2023 at 16:28

    Grazie a tutti per i lusinghieri apprezzamenti; diamoci pure del tu, se ritenete. Alla fine siamo tutti uniti, ognuno a suo modo, dalla passione per questo meraviglioso gioco.

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