Tra l’apertura e il finale gli dèi hanno creato il mediogioco. La frase è attribuita a José Raúl Capablanca, il grande campione cubano, campione del mondo dal 1921 al 1927.
C’è del vero in questa affermazione apparentemente banale. Il grande “Capa” voleva dire che si può anche riuscire, con uno sforzo immane, a imparare a memoria migliaia di posizioni di apertura e a studiare fino all’inverosimile la tecnica dei finali, ma nel mediogioco siamo in balia degli dèi, o meglio del talento che gli dèi hanno voluto elargirci.
Quando da ragazzo studiavo con passione gli scacchi, divoravo i libri e le riviste all’epoca disponibili e sperimentavo nuove aperture nelle partite amichevoli sperando così di migliorare il mio gioco. Poi mi capitava nei tornei di incontrare avversari che, pur non conoscendo le varianti migliori, vincevano sfruttando i miei errori nel centro di partita.
A volte uscivo bene dall’apertura, ma poi mi arrovellavo in posizioni complicate dove sarebbe stato necessario il colpo d’occhio tattico piuttosto che la profondità strategica. Per non parlare delle sfide lampo (oggi diremmo blitz o rapid) dove mi impantanavo nella scelta delle mosse migliori mentre il tempo scorreva inesorabile e così, alla fine, con pochi secondi sull’orologio, finivo per commettere errori banali anche in posizioni vinte.
In qualche occasione mi capitava di perdere delle partite senza nemmeno capire perché ero finito in una posizione infelice (i motori scacchistici dovevano ancora essere inventati) magari a causa di una serie di piccoli errori, di scelte dubbie o di inesattezze che, una dopo l’altra, finivano per condizionare il risultato finale.
Dopo ogni sconfitta mi convincevo che bisognava studiare meglio le partite dei campioni e le loro aperture preferite e spesso rivoluzionavo il mio repertorio, ma puntualmente incontravo nuove difficoltà e mi sembrava di non imboccare mai la strada giusta.
I libri sul mediogioco a quei tempi erano pochissimi e nell’era pre-informatica non c’era la possibilità di giocare online o di seguire canali YouTube. Studiai, ma senza approfondirli molto: “Il centro di partita” di Romanowski, “Pensa, gioca e allenati come un Grande Maestro” la trilogia di Kotov e leggiucchiai il manuale di Enrico Paoli, senza ricavarne gran costrutto.
L’unico libro che trovai appassionante e mi insegnò tante cose (lo raccomando ancora oggi a tutti coloro che vogliono migliorare il proprio gioco) è “Il mio sistema” del grande Aaron Nimzowitsch. Questo classico degli scacchi, al contrario di quanto si possa immaginare, è un testo scorrevole (adatto a principianti e ai giocatori di media forza) ricco di consigli pratici di carattere soprattutto strategico.
Una volta letto tutto lo scibile sul mediogioco, traendo un certo giovamento dall’analisi delle partite dei campioni, (indimenticabile la lettura delle “60 partite da ricordare” di Bobby Fischer) continuavo tuttavia a commettere errori al momento di scegliere le mosse cruciali.
Cominciai a pensare che il mio problema fosse la tattica. Incontravo grandi difficoltà, come capita alla maggior parte dei dilettanti, nel calcolare le varianti, mi perdevo tra i “rami” dell’albero come un uccellino che ha smarrito la strada giusta, tornavo più volte sulle stesse mosse già analizzate (ebbene sì, avevo letto gli insegnamenti di Kotov, ma era più forte di me!) e alla fine commettevo l’errore fatale. Avevo compreso i miei limiti e così cercavo in tutti i modi di evitare di infilarmi nelle posizioni troppo complesse da analizzare preferendo il gioco manovrato all’attacco alla baionetta. Ma spesso il mio avversario non era d’accordo e iniziava lui a complicare il gioco.
Leggendo l’ultima fatica letteraria di Raul Montanari, dedicata agli scacchi, ho preso atto che il metodo di calcolo suggerito dalla trilogia di Kotov (si analizza una sola volta, ramo dopo ramo senza mai ricominciare daccapo!) a lui ha giovato molto (almeno è riuscito a ritrovare la sua automobile in un megaparcheggio… ). Io non posso dire altrettanto perché ancora oggi, se non ci fosse mia moglie accanto a me, potrei girare a vuoto per ore senza vedere la mia auto nemmeno se per miracolo capitasse innanzi ai miei occhi.
Mi resi conto che non c’era nessun manuale in grado di insegnare a calcolare con la precisione di Alekhine, Fischer o Tal, campioni che possedevano una straordinaria memoria visiva e un grande intuito, doti indispensabili, assieme a una buona dose di lucidità mentale e di autocontrollo per diventare campioni. A volte poi mi accorgevo che tutta la fatica spesa per calcolare un complicato sacrificio era stata inutile. A chi non è mai capitato di perdersi in un lungo calcolo per poi scoprire nel post partita che esisteva una soluzione più semplice? Il grande campione del passato, Richard Réti a un dilettante che gli chiedeva quante mosse riuscisse a calcolare in una posizione complicata, rispose: “spesso neanche una”. E allora, come mai Réti era uno dei più forti scacchisti della sua epoca?
A volte, ripensando al passato, mi viene in mente l’insegnamento del mitico Korchnoi, soprannominato Viktor il Terribile, secondo il quale “gli scacchi non si imparano, si comprendono” (sempre tagliente il campione di Leningrado, anche quando coniava i suoi aforismi!). Si tratta di un’affermazione forse apodittica che tuttavia, ahimè, contiene una buona parte di verità. Cerchiamo di capire perché.
Anni fa lessi un bel libro, “Il perfezionamento dello scacchista”, di Jacob Aagaard, maestro internazionale danese autore di numerosi testi scacchistici di successo. In uno dei primi capitoli si parlava dell’importanza del calcolo delle varianti. Ebbene, Aagaard ridimensionava il peso di quest’abilità portando come esempio lo stile di gioco di famosi GM della sua epoca (su tutti Kasparov, Fischer e Karpov). Sostiene Aagaard che i grandi campioni posseggono una dote fondamentale: “sanno dove sistemare i pezzi” e come sfruttare le debolezze della posizione avversaria. Pertanto, vincono soprattutto grazie ad una superiore comprensione posizionale del gioco.
E la tattica? E il calcolo delle varianti? Secondo Aagaard i campioni calcolano il giusto necessario dopo aver “compreso” a fondo la posizione. Ecco spiegato, esemplifica Aagaard, perchè Kasparov riusciva a sconfiggere il funambolico Shirov ed altri fortissimi GM a lui superiori sul piano del puro calcolo.
Ma come si fa a migliorare la comprensione del gioco? Aagaard in un successivo capitolo ci spiega meglio le sue idee. Egli parte dal presupposto che gli esseri umani, quando affrontano un gioco complesso come gli scacchi, non possono calcolare tutto con precisione matematica e pertanto, dovendo raggiungere gli obiettivi prefissati, devono necessariamente rifarsi ai modelli (oggi diremmo ai “pattern”) e alle regole generali che troviamo in ogni buon manuale, frutto dell’esperienza di secoli di gioco. Naturalmente, egli scrive, le regole generali non sono dogmi, ma possono considerarsi delle “quasi verità” e vanno comunque adattate alla situazione concreta.
Nella parte finale del libro, l’autore illustra la sua concezione di “calcolo” e ci spiega la sua reale importanza. A suo avviso, l’abilità tattica è indispensabile ad evitare gravi errori nella realizzazione di idee posizionali. Oppure ci può aiutare a destreggiarsi all’interno di varianti complicate. Occorre migliorare le nostre capacità di calcolo, egli afferma, per raggiungere gli obiettivi prefissati, i quali vengono sempre prima di ogni tatticismo.
Questa teoria è una delle tante che possiamo trovare negli studi sul mediogioco, ma contiene, a mio avviso, alcuni importanti spunti di riflessione.
Se osserviamo attentamente come i grandi campioni affrontano le partite blitz o rapid ci accorgiamo che la loro abilità nel collocare i pezzi nelle case migliori, cercando di indebolire la posizione avversaria e di sfruttare ogni imprecisione, giunge ai massimi livelli.
Non a caso, giocatori posizionali come il mitico Capablanca e l’ex campione del mondo Tigran Petrosian erano imbattibili nelle partite blitz. Non potendo materialmente calcolare a fondo le varianti, i G.M. muovono i pezzi con la massima calma riflettendo pochi secondi per ogni mossa perché, nelle partite blitz, tre o cinque minuti di tempo con pochi secondi di incremento per ogni mossa, devono bastare per tutta la partita.
È evidente che a guidare la loro mano è l’abilità strategica e l’intuito posizionale. Alla fine dell’apertura essi si fermano e riflettono anche 30-40 secondi o più per elaborare il piano di gioco (nelle partite a tempo lungo questa fase può durare anche un quarto d’ora o di più, se necessario). Nelle partite blitz nessuno si azzarda a entrare in grandi complicazioni o a effettuare sacrifici rischiosi perché, non avendo tempo per calcolare bene, si rischierebbe di perdere in poche mosse la partita. E la forza tattica, e l’abilità di calcolo? Ebbene, concordiamo con Aagaard, la tattica è destinata a prevalere nelle posizioni “forzanti” per concretizzare, ad esempio, un vantaggio strategico decisivo.
Ecco un esempio tratto da una recente partita blitz tra due grandi maestri che non hanno bisogno di presentazioni: l’ex campione del mondo Magnus Carlsen e il giovane talento indiano Arjun Erigaisi. Hanno entrambi un punteggio ELO superiore ai 2800 punti (Erigasi supera addirittura il punteggio dell’attuale connazionale Gukesh, divenuto da poche settimane campione del mondo). Il livello tecnico raggiunto dai due contendenti in questa partita, con appena 3 minuti a disposizione oltre incremento, è davvero eccezionale:
In una est-indiana in contromossa Carlsen procede con l’attacco classico sull’ala di re, Erigaisi contrattacca al centro e sull’ala di donna. Carlsen consolida la posizione e prosegue l’attacco con mosse precise costringendo l’avversario a trovare le giuste manovre difensive, poi segue una complessa fase tattica durante la quale Carlsen semplifica la posizione per portarsi in un finale vinto con due pedoni in più. Erigaisi combatte colpo su colpo e, con pochi secondi a disposizione, riesce a sfruttare alcuni errori del norvegese e si riporta in parità. Adesso (dal minuto 8 fino alla fine) è un susseguirsi di emozioni e ribaltamenti di fronte. Anche Erigaisi si crea un pedone passato sulla colonna “c” e tutto si complica con grande suspense fino alla fine. La freddezza di entrambi i giocatori è ammirevole, entrambi muovono i pezzi in una manciata di secondi come se sapessero in anticipo dove meglio devono posizionarsi: non c’è tempo per calcolare, bisogna decidere subito cosa fare. Gli errori da ambo le parti si susseguono, ma è inevitabile con pochi secondi sull’orologio; la barra laterale di Stockfish sale e scende come impazzita dopo ogni mossa. L’intuito gioca un ruolo decisivo, eppure, dietro l’apparente semplicità delle manovre, si nota lo studio profondo del mediogioco e dei finali.
I principianti, invece, anche nelle posizioni più semplici, iniziano a calcolare varianti su varianti perdendo di vista la situazione generale. A tutti è capitato di immergerci in un calcolo serrato di lunghe complicazioni, ipotizzando improbabili sacrifici e controsacrifici, ma, (si chiede Aagaard) chi ci assicura che stiamo individuando le mosse giuste, comprese le migliori risposte del nostro avversario? Insomma, la domanda da porsi è: cosa stiamo calcolando? Abbiamo davvero “compreso” la posizione? Magari, mentre sprechiamo infinite risorse nell’esame di varianti complicate, perdiamo di vista una linea semplice che ci assicura un finale superiore o un vantaggio strategico decisivo.
In effetti, ben pochi grandi scacchisti possono vantare la visione combinativa di campioni come Alexander Alekhine, Garry Kasparov o Michail Tal. Lo stesso mitico “mago di Riga” a volte si perdeva nel labirinto che aveva ideato con un sacrificio di materiale. Egli ne era consapevole e sfidava l’avversario a venirne a capo davanti alla scacchiera con l’orologio che scandiva inesorabile i minuti trascorsi.
All’estremo opposto troviamo gli ex campioni del mondo Anatoly Karpov, Tigran Petrosian, Vassily Smislov, Michail Botvinnik e, sotto certi aspetti, il mitico Bobby Fischer, i quali badavano anzitutto a posizionare al meglio i pezzi, a farli collaborare tra di loro, ad acquisire vantaggi in vista del finale e calcolavano solo quando era davvero necessario.
Volendo trovare una sintesi tra queste (solo apparentemente) opposte visioni scacchistiche, possiamo dire che la strategia e la tattica nel gioco degli scacchi sono abilità strettamente collegate tra loro e ogni mossa deve rispettare sia i principi generali che le necessità tattiche. Ogni forte maestro gioca con il suo stile, il suo temperamento e imprime alla partita il suo marchio di fabbrica. In certi momenti pianifica, in altri calcola a fondo. Botvinnik (autentico “patriarca” della scuola sovietica) riteneva che, durante una partita, quando tocca all’avversario muovere è il momento di pianificare (ovvero migliorare la comprensione strategica) mentre occorre calcolare più analiticamente quando tocca a noi trovare la mossa più forte.
Kasparov preferiva calcolare sempre, sia nel mediogioco che nel finale, non fidandosi completamente del suo (pur straordinario) intuito, mentre Karpov, il suo eterno rivale, preferiva lavorare a fondo sulla comprensione posizionale con l’intento primario di togliere all’ avversario ogni risorsa o controgioco.
Michail Tal nei suoi anni d’oro prediligeva le posizioni taglienti e calcolava a fondo ogni mossa puntando dritto al sacrificio di materiale pur di poter sferrare un attacco sul Re. Una volta, durante il match mondiale del 1960 contro Botvinnik, aveva analizzato in profondità una posizione complessa e nella revisione post-partita provò a sciorinare le incredibili varianti che aveva visto se avesse deciso di giocare una mossa piuttosto azzardata. Tuttavia, il campione del mondo l’interruppe facendogli notare che se avesse giocato quella mossa egli avrebbe semplicemente cambiato le donne, spinto il pedone x e messo le torri sulle colonne y e z entrando in un finale patto. Tal dovette ammettere che Botvinnik aveva ragione e lui aveva sprecato solo preziose energie: ecco due metodologie diametralmente opposte di concepire il mediogioco.
Orbene, assodato che la tattica ci serve solo dopo aver compreso a fondo la posizione, come possiamo migliorare nel calcolo delle varianti? Gli esperti ritengono che gli esercizi tattici basati sulle partite giocate dai maestri vanno più che bene: ci sono molti siti web che ne propongono a iosa ed è molto utile sforzarsi di risolvere posizioni che prevedono sacrifici, manovre per scardinare l’arrocco, attacchi doppi, inchiodature, sovraccarichi, deviazioni, ecc.
Tuttavia, ricordiamoci che, come abbiamo visto in precedenza, di fronte a una posizione complessa ognuno ragiona in modo diverso. E a volte certe scelte, apparentemente strane, sfuggono alla nostra comprensione. È il caso delle cosiddette “mosse silenziose”, quelle che noi comuni mortali non riusciamo a comprendere perché spesso hanno una funzione esclusivamente profilattica, cioè mirano a “prevenire” possibili minacce. Gli specialisti in questo campo sono stati Aaron Nimzowitsch e poi il suo erede naturale, l’armeno Tigran Petrosian del quale si diceva che amava togliere dalla testa dell’avversario certe idee prima ancora che gli balenassero nella mente.
Altre volte, in una situazione di chiaro vantaggio o molto promettente, i G.M. consolidano la posizione lasciando che sia l’avversario a sbilanciarsi commettendo qualche imprecisione. Insomma, ogni grande scacchista realizza il proprio obiettivo in base al talento individuale, alla propria esperienza, alle superiori capacità posizionali o di calcolo.
Il problema di “come” migliorare è anch’esso relativo e non trova soluzioni univoche. L’ideale sarebbe valorizzare i propri punti forti e migliorare le proprie debolezze, ma non tutti ci riescono pienamente, anche dopo un lungo lavoro di perfezionamento.
Ciò che mi sento di consigliare ai principianti, sulla base della mia personale esperienza, è di non dedicare tutte le energie allo studio dei libri sulle aperture. È sufficiente inizialmente memorizzare gli schemi principali di gioco quanto basta per evitare errori clamorosi o tranelli in cui si può cadere per inesperienza. Lo studio meticoloso delle aperture è un’arma a doppio taglio: se dimentichiamo la mossa teorica (come capitava a me molto spesso) tendiamo ad avvilirci e a riflettere a lungo tentando di imbroccare la strada giusta. Se è l’avversario (anche questo capitava spesso) a portarci fuori strada, scopriamo che non sempre c’è una confutazione immediata e non serve a nulla sprecare tempo per trovarla.
La verità è che, sia in apertura che nel mediogioco, non esiste una sola linea giocabile. Il computer ci ha insegnato a considerare molte più strade di quante i libri fossero in grado di elencare e ha rivalutato varianti di apertura ingiustamente dimenticate da anni. L’importante, a mio avviso, è puntare a raggiungere un armonioso sviluppo dei pezzi, in modo da poter affrontare posizioni nel centropartita dove ci sentiamo più a nostro agio. Ciò che conta è, a mio parere, saper scegliere difese che si addicono al nostro stile di gioco e, con il Bianco, aperture solide, cercando di avere un’idea chiara di come manovrare nel mediogioco.
Imparare, attraverso lo studio delle partite dei GM, la difesa Francese o la partita Spagnola o la difesa Nimzoindiana è molto più utile, ai fini della comprensione generale del gioco, della memorizzazione delle infinite complicazioni di qualche dubbio controgambetto, al solo scopo di preparare una trappola al nostro prossimo avversario.
In generale, come in ogni arte o sport, per migliorare negli scacchi occorre impegno, allenamento e dedizione.
Lo studio approfondito delle aperture aumenterà in base al livello progressivamente raggiunto, fermo restando che studiare i manuali non basta ad elevare il nostro livello di gioco. Il grande Tigran Petrosian consigliava di studiare le aperture scorrendo in successione (anche in modo non analitico) molte partite dei GM fino alla fine, in modo da studiare i piani di gioco e le manovre tipiche dei finali.
Se siete stufi di leggere consigli e considerazioni astratte, vi mostro adesso una partita blitz spettacolare giocata al Norway Chess nel 2023 tra due “pesi massimi”, l’ex campione del mondo Magnus Carlsen e neo laureato campione del mondo, l’indiano Dommaraju Gukesh:
Ebbene, in questa partita il grande norvegese, finito in una posizione inferiore, combatte con le unghie e con i denti per strappare un pareggio contro il giovanissimo (allora diciassettenne) avversario. Muovono entrambi con sicurezza e rapidità mantenendo una straordinaria calma fino all’ultima mossa. Nulla a questi livelli è lasciato al caso o alla “fortuna”, ammesso che esista davvero nel gioco degli scacchi.
Alla fine lo sconfitto (non vi anticipo nulla al riguardo) si congratulerà con il vincitore in modo sportivo e sincero.
È impossibile, per noi comuni mortali, raggiungere un simile livello di gioco, ma nessuno ci toglierà mai il piacere di coltivare la passione scacchistica in ogni suo aspetto. Lo studio delle partite dei grandi campioni, la lettura di classici intramontabili, le battaglie a tempo rapido tra i GM, da ammirare su vari canali YouTube, restano non solo un modo insostituibile di allenarsi e migliorare, ma soprattutto un vero e proprio godimento spirituale che è alla portata di tutti, dilettanti e professionisti, schiappe e campioni, esperti e principianti.
Gli scacchi restano un gioco inesauribile che nessun software o motore informatico per fortuna è riuscito a banalizzare. E, ricordiamolo, è anche un’arte che, se coltivata, può dare soddisfazioni ad ogni età a prescindere dal livello di gioco raggiunto.
Ecco questa preziosa strenna natalizia dell’amico Paolo che ringrazio con tutto cuore per l’ennesimo monumentale lavoro che ci ha regalato (e che vorrei aver scritto io tanto è bello!).
L’appuntamento è tra qualche giorno per la presentazione di una nuova stupenda opera di un altro caro amico e sostenitore del nostro blog (Enrico Cecchelli), blog che ha compiuto da qualche settimana i suoi bravi 15 anni online… li dimostra secondo voi
?!?
Grazie a te Martin e alla tua inesauribile passione…. e lunga vita a SoloScacchi!
Che belle foto e quanta nostalgia per quei vecchi tempi ormai lontani!
BUON NATALE A TUTTI!
Riguardo alla domanda posta da Robin rispondo che questo blog non dimostra 15 anni.
A mio avviso, ne dimostra molti di più! (In senso positivo, naturalmente.)
Relativamente all’augurio porto dall’autore dell’articolo dico, secondo il mio punto di vista, che il Natale del Signore, anticipato nell’Annunciazione del Signore, costituisce l’inizio di un attraversamento dell’esistenza umana da parte di Dio a beneficio di tutti gli esseri umani (sia dei comuni mortali sia degli immortali speciali i quali, forse, ne hanno bisogno più dei primi…).
un altro capolavoro
bellissimo
buone feste a tutti
Un vero regalo di Natale…
Grazie!!!!!
Grazie a voi tutti che leggete con piacere, commentate e ci spingete a proseguire sulla strada spianata molti anni fa dal nostro Martin.
Nel rinnovarti gli auguri per il nuovo anno, ne approfitto per qualche commento, al tuo bell’articolo sull’arte del mediogioco.
perché i suoi suggerimenti sull’albero delle varianti sono solo una fregatura: macchinosi, logoranti e poco pratici nelle partite di torneo.
Ti dico subito che condivido al 100% le idee di Aagard, sull’inutilità di voler calcolare tutto il possibile in partita. E a questo proposito non posso che trovarmi invece in totale disaccordo con le teorie di Kotov nel suo “Pensa come un grande maestro”. Kotov arriva al punto di sostenere che lui sarebbe passato da 1N a GM nel giro di un anno o poco più (???) grazie al suo metodo di allenamento, in cui prendeva posizioni molto complesse di partite magistrali, nel centro partita, e cercava di calcolare con precisione quante più mosse e varianti poteva, come se stesse giocando, in non più di 20 minuti. Mi sembrano le classiche balle alla Vujovic, che per sbolognare i suoi libri ti raccontava che grazie a questo e quel libro lui era diventato subito MI
Kotov dice che all’inizio le sue analisi erano imprecise, ma poi aveva costantemente migliorato le sue capacità d’analisi, ed anche la sua forza di gioco.
Kotov nelle pagine successive passa poi ad illustrare il suo metodo dell’”albero di varianti”, con cui suggerisce di scrivere – quando ci si allena a casa analizzando una posizione – tutte le varianti e sottovarianti principali, analizzandole una sola volta per non perdere tempo.
Ebbene, ti dico solo che parecchi anni fa – quando avevo comprato quel libro – ero rimasto molto colpito e avevo cercato di mettere in pratica i suggerimenti di Kotov. Ma oggi devo invece ammettere che quei suggerimenti erano DISASTROSI, proprio perché non hanno alcun valore pratico. Le idee di Kotov erano state criticate anche da un altro famoso giocatore ed esperto di psicologia scacchistica: il maestro lettone Blumenfeld (quello del gambetto), ed anche Suetin cita Blumenfeld nel suo bel libro: “Capire ed evitare gli errori negli scacchi”.
Qual è il punto?
Il punto è che è del tutto inutile e poco pratico, in una partita di torneo, cercare di applicare il metodo dell’”albero di varianti” di Kotov, perché è troppo macchinoso e stancante, oltre che dispendioso di tempo.
E su questo aveva ragione anche Euwe, nel suo “Trattato di scacchi”, dove scriveva che di solito tutti i GM si fidano del loro intuito, e nelle posizioni complicate decidono in base all’intuizione e ai principi generali, anche se magari analizzano rapidamente qualche variante, a titolo di controllo.
Ma comunque, nel suo libro di Suetin scriveva che sia Fischer che Karpov erano giocatori PRATICI, quindi si basavano su considerazioni posizionali, e non pretendevano di vedere tutto in partita. Suetin scriveva che un errore di non pochi GM e giocatori è quello di venire attratti da una mossa strabiliante e spettacolare, che però conduce a complicazioni ingestibili.
Mentre invece, osservando le partite di Fischer – anche le sue blitz, nelle quali non aveva alcuna possibilità di calcolare – si poteva notare che lui cercava di evitare le mosse che portavano a posizioni troppo intricate e complesse.
Insomma, se tornassi indietro eviterei di comprare il libro di Kotov. Tra l’altro Kotov era rimasto varie volte fregato dal suo stesso metodo, ad esempio nella famosa partita con Averbach del 1953, in cui gioca il sacrificio spettacolare di Donna: 30…Dxh3!! Il sacrificio era giusto, però alla 34a mossa Kotov sbaglia giocando 34…Tf8 + ?, anziché 34…Cg4! Che avrebbe vinto in poche mosse.
Ma ecco un altro errore di Kotov, nella posizione del diagramma che troviamo a questo link
https://www.chess.com/terms/kotov-syndrome-chess
Kotov la analizza molto dettagliatamente, e alla fine giunge alla conclusione che la mossa giusta fosse: 1. Cg4, attaccando la Donna.
E – come si può vedere nell’articolo che ne parla – Kotov applica anche qui metodicamente il suo sistema complicato dell’”albero delle varianti”, per analizzare a fondo tutte le possibili varianti e sottovarianti.
Tuttavia, alla fine i computer di oggi dimostrano che 1. Cg4 (?) di Kotov era sbagliata!
La mossa giusta era invece il sacrificio 1. Cxf7!
Ebbene, dopo avere guardato solo un paio di minuti quella posizione – e senza usare il computer – anch’io avevo concluso che l’unica mossa giusta fosse proprio 1. Cxf7!
Come avevo fatto?
Semplice, avevo solo seguito un processo logico rigoroso, che tra l’altro non richiede analisi lunghe e logoranti.
Avevo capito che 1. Cxf7! Era l’unica mossa che demoliva l’arrocco Nero. Infatti, se il Nero gioca 1…Axg3 dopo 2. hg, se poi prende di Donna e gioca 2…Dxf7 allora dopo 3. Axe6 il Bianco guadagna la Donna. Mentre invece, se prende di Re 2…Rxf7, allora dopo 3. Txe6! Il Bianco ha un attacco devastante contro la Donna e minaccia lo scacco di scoperta.
Insomma, bastava usare un po’ di logica, non c’era bisogno di farsi fumare le meningi analizzando dozzine e dozzine di varianti, come suggeriva Kotov!
In conclusione: se lo avete nella vs. libreria, usate pure il libro di Kotov per accendere il caminetto,
commento superlativo il suo !
Grazie, troppo gentile…
Più che altro volevo mettere in guardia chi magari compra un libro di scacchi pensando di trovare chissà quali insegnamenti, solo perché l’autore è un GM famoso. Non sempre è così, a volte i suggerimenti confondono il lettore, o lo portano fuori strada.
Anche io propendo per le teorie di Aagaard (se non altro perchè, ripeto, non sono mai riuscito a visualizzare neanche un alberello scheletrico…
, ma nulla esclude che i consigli di Kotov abbiano sortito effetto con altri giocatori. Ricordo di aver letto molti anni fa un’intervista in cui Fabiano Caruana spiegava che, tra i metodi di allenamento praticati da giovanissimo assieme ai suoi collaboratori, vi era la soluzione di posizioni complesse in un tempo determinato. Alla fine, penso che in ogni partita c’è il momento in cui occorre calcolare perchè non è sempre possibile basarsi sui principi generali e momenti in cui occorre sistemare bene i pezzi e pianificare. Ci sono stati campioni del mondo di cui nessuno ricorda travolgenti combinazioni ed altri famosi per i loro prodigi tattici. Forse il metodo di Kotov ha un senso di fronte a mosse forzanti in cui le ramificazioni sono relativamente poche, perchè di fronte a situazioni ingarbugliate sfido chiunque (con i minuti contati e la tensione a mille) a districarsi tra infinite risposte e controrepliche. A meno che non si scelga di affidarsi all’intuito… A tal proposito, conoscerai sicuramente l’aneddoto raccontato dal grande Michail Tal nella sua autobiografia scritta assieme a Damsky. Tal racconta che, durante una partita con Vasiukov, di fronte al possibile sacrificio di un cavallo, dopo aver analizzato a lungo, aveva perso completamente la bussola e l’albero delle varianti nella sua testa era esploso. Ebbene, il mago di Riga a quel punto, chissà perchè, si ricordò di una famosa poesia in cui si parlava di un ippopotamo intrappolato nella palude e iniziò a fantasticare su svariati metodi per tirarlo fuori. Al termine di questa strana “analisi” , tornato con la mente alla scacchiera, si rese conto che non avrebbe mai potuto calcolare fino all’ultima mossa il suo sacrificio, ma questo non era un buon motivo per non giocarlo perchè il suo intuito l’aveva battezzato come promettente. E alla fine naturalmente vinse la partita. Ecco come andarono le cose: https://www.chessgames.com/perl/chessgame?gid=1139685
P.S. Vista la tua notevole cultura scacchistica, i tuoi interessanti commenti e la passione per i grandi autori, sarebbe un piacere leggere qualche tuo articolo. Anche io pesco a volte qualche spunto tra i tanti libri che ho collezionato in questi anni e man mano che scrivo mi vengono in mente altri aneddoti e storie da raccontare.
Anche io ho saputo del commento di Kotov e lo ho subito ritenuto inapplicabile. In fondo si contraddice perché alla fine per confrontare le posizioni finali delle diverse varianti è giocoforza ripercorrerle.
Non credo che neanche Kotov fosse in grado di stamparsi in testa le posizioni finali senza ripercorrere le varianti.
Certo bisogna rassegnarsi al fatto che in certe varianti sono troppo complicate per una analisi esaustiva e affidarsi all’intuito.
Ho letto di studi comparando le analisi di un GM e di giocatori di vari livelli in una data posizione. Pare non ci sia una differenza di rilievo come profondità di analisi. La differenza è che il GM vede le mosse migliori e scarta rapidamente quelle deboli.
Proprio così, il GM vede le mosse migliori e scarta rapidamente quelle deboli. E’ ciò che si può definire intuito scacchistico, così come la capacità di visualizzare la scacchiera chiudendo gli occhi e ricordare con esattezza la posizione (finanche molte scacchiere in una simultanea alla cieca) o di memorizzare migliaia di schemi in apertura e nei finali oppure ricordare un’infinità di partite dopo averle esaminate una sola volta.
Io considero queste abilità come l’equivalente dell’orecchio assoluto in musica o la capacità di disegnare a mano libera ritratti perfetti (non me ne vogliano musicisti e disegnatori se ho detto una corbelleria, ma cercavo di rendere l’idea alla meno peggio…
Certo, con l’esercizio si può senz’altro migliorare, ma fino a che punto?
Grazie per il tuo apprezzamento, Paolo, e grazie anche a Giancarlo per il tuo commento!
Sicuramente vorrei scrivere qualche articolo, anche su argomenti inediti, e appena ho un po’ di tempo lo farò.
Quanto alla mia cultura scacchistica, direi che ormai nella mia biblioteca ho quasi un centinaio di libri, comprati dal 1975 in poi, comprese enciclopedie delle aperture, Informatori, e tutti i libri più noti ed importanti, dal “centro di partita” di Romanovsky, alle “60 partite” di Fischer, ai libri di Bagnoli, ai manuali del gioco posizionale di Gelfer e quello combinativo di Nejstadt, ecc. ecc. Inoltre avrò almeno 200 fascicoli delle varie riviste, da Italia Scacchistica a Scacco, ma anche del British Chess Magazine (ne ero stato abbonato un paio d’anni a fine anni ’80).
Piccolo – ma importante – chiarimento sull’albero delle varianti di Kotov. Ovviamente tutti sappiamo bene che in certe posizioni è necessario un calcolo preciso, ad esempio prima di giocare una combinazione decisiva, con sacrificio di materiale. E lì non ci si può affidare al solo intuito, o ai “principi generali”, e magari devi calcolare 8-10 mosse, o più, e cercare di vedere in là il più possibile.
Però questo può capitarti solo 1-2 volte in partita, una combinazione decisiva non capita 5-6 volte, tranne rarissimi casi.
Quello che invece mi lascia del tutto in disaccordo è il METODO che Kotov suggerisce, che pretenderebbe di applicare la sua regola dell’albero delle varianti sistematicamente. A p. 31 del suo libro “Pensa come un grande maestro”, ad esempio c’è proprio uno schema grafico (fig. 2) che occupa un’intera pagina, con un albero di varianti complicatissimo, ben 5 varianti principali, ciascuna delle quali poi origina almeno 2-3 sottovarianti.
Ora, è evidente che una roba simile è del tutto impraticabile, in una partita a tempo standard.
A parte il fatto che basta fare due conti, per capire che il metodo non può funzionare. In una partita di 40 mosse, in media, usciti dall’apertura – diciamo dopo la 15a mossa – il tuo avversario ti pone davanti a circa 25 nuove posizioni diverse. Se dovessi usare l’albero delle varianti per 10 minuti per ogni posizione, alla fine dovresti pensare 250 minuti, più di 4 ore!
Ma credo proprio che nessun top GM lo abbia mai applicato realmente, se non nelle posizioni decisive, come quella volta che tu riferivi a proposito di Caruana.
Ma io una volta avevo raccolto una quarantina di analisi di Tal alle sue partite sugli Informatori. Nota bene che Tal si definiva un “calcolatore scacchistico”. Eppure nelle sue analisi Tal raramente si metteva a calcolare troppe mosse e varianti. Di solito lui indicava solo poche mosse, e poche varianti, anche nelle posizioni più complesse. Normalmente Tal scriveva le IDEE principali, e poche mosse per illustrarle. Mentre invece, se davvero dovessimo trovare un GM che seguiva quel metodo, dovrei dire Huebner, che pubblicava sugli Informatori analisi lunghissime e noiosissime, proprio tipiche di un tedesco pedante. Ma – guarda caso! – anche Huebner era stato tradito da quel metodo, e non di rado cappellava di brutto, analizzava bene una lunga variante, e però magari gli sfuggiva una sola mossa banale che lo fregava.
Ma io suggerisco a tutti di guardare le partite lampo di Fischer ad Herceg Novi nel 1970, e al Manhattan Chess Club, tornei che vinse con un punteggio impressionante.
Ebbene, si può notare che Fischer in quelle partite – in cui non c’era tempo per analizzare – giocava attenendosi alla sua regola: evitare complicazioni inutili. Ovviamente Fischer giocava combinazioni e tatticismi quando era necessario, a tempo standard, ma non giocava mai varianti “incontrollabili”.
Ma c’è un altro grosso difetto nel libro di Kotov: lui non dedica quasi nessuna considerazione alla preparazione nelle APERTURE. Eppure è la base dei giocatori di oggi, per raggiungere livelli elevati. Se un giocatore è ben preparato su un’apertura, per le prime 15-20-25 mosse, allora otterrà un’impostazione solida anche nel centro e nel finale.
Anche qui, sovviene l’esempio di Fischer: lui si preparava scientificamente. Giocava poche aperture ma le studiava e conosceva meglio di chiunque altro. Ma anche Alekhine e Kasparov erano preparatissimi nelle aperture.
Insomma, ammettiamolo: il libro di Kotov è superato, e ce ne sono in giro di migliori.
Piuttosto, un suggerimento che sicuramente posso dare, è quello di risolvere i puzzles scacchistici e i tatticismi di partite famose.
Quello aiuta sicuramente, e riesce a migliorare anche l’intuito e le capacità combinative di ciascuno, divertendosi.
Ad esempio, c’è il sito https://www.wtharvey.com/
che ha ben 32.000 tatticismi, tratti dalle partite dei giocatori più famosi, del presente e del passato.
Sostanzialmente concordo con le tue considerazioni. Oggi ci sono in giro diversi libri che affrontano i problemi del centro partita partendo dai c.d. “pattern” tipici, ovvero strutture pedonali che possono derivare da una serie di aperture. Ne ho letto un paio anni fa a titolo di pura curiosità, come appassionato teorico, e devo dire che li ho trovati molto interessanti anche se credo si rivolgano a giocatori di medio livello con una discreta preparazione teorica in apertura.
Una curiosità: il Vujovic al quale ti riferivi un paio di post più sopra è per caso quel maestro giramondo che, oltre a vendere libri durante i tornei, giocava a soldi concedendo (se non sbaglio) 5 minuti contro uno?
Proprio lui: “Mic-ko” l’immancabile presenza di ogni festival che si rispettava, con l’immancabile banchetto di libri, scacchiere e orologi. Quanto al suo di “orologio”, quello che usava per le blitz, era talmente taroccato che se lo usavi potevi trovarti nel passato o nel futuro, peggio della DeLorean di “Ritorno al futuro”
Quindi Vujovic poteva anche concederti un’ora contro un minuto, ma avrebbe sempre vinto lui!
Articolo eccellente come del resto tutti gli altri del signor Landi.
Sono davvero rimasto impressionato dalla velocità di Carlsen e dalla sua precisione nel gioco lampo. Il primo video soprattutto ne dà una dimostrazione chiarissima.
Grazie. Anche io rimango sempre affascinato quando ammiro questi campioni che giocano blitz o rapid. Nelle partite 3+2 c’è pochissimo tempo per ragionare, eppure questi GM riescono con una mossa al secondo a creare dei veri capolavori!
Mah! Io mi ero rivolto a te, Paolo, come ex magistrato, commentando il tuo articolo su scacchi e diritto, ma non hai fatto alcun commento. Eppure mi sembra che l’argomento meriti un adeguato approfondimento, poiché io posso anche credere che per analizzare un caso giudiziario si debbano usare i metodi degli scacchi, ma nella realtà un caso giudiziario è enormemente più complesso di una partita a scacchi, perché la sua soluzione dipende da una quantità di fattori che il giudice può controllare solo in parte. E se poi, in realtà, il sistema giudiziario italiano non funziona, e gira a vuoto, e l’Italia è agli ultimi posti delle classifiche mondiali, per efficienza e tempi della giustizia, e per numero di errori giudiziari gravi, allora davvero è il caso di essere molto meno ottimisti. Questo è un articolo del network forense “legal Solution”:
“Nell’UE la media di un processo civile di primo grado è di 287 giorni, contro i 493 dell’Italia. Un abisso! Secondo “Doing Business 2013” della Banca Mondiale, l’Italia si colloca al 160° posto, sui 185 paesi analizzati, per la durata di una normale controversia di natura commerciale. Ci superano abbondantemente Paesi come l’Iraq, il Togo e il Gabon, mentre riusciamo a stento a battere in classifica l’Afghanistan.” Ah be’. Però riuscire a battere in classifica l’Afghanistan è davvero una grande soddisfazione!
Scusa se rispondo io per Paolo ma è probabile che gli sia sfuggito il tuo commento.
Nella lista degli Ultimi commenti rimangono solo i 9 più recenti e quindi poi non è facile andare a recuperarlo.
Comunque l’articolo è questo.
Grazie e mi scuso con tutti per l’equivoco.
Mi dispiace per la mancata risposta al tuo commento, ma, credimi, non si è trattato di incuria, ma di una sorta di involontaria “prescrizione”, nel senso che quell’articolo è dell’agosto 2023 ed io, dopo qualche mese, non vado più a rileggere articoli dove penso che i commenti si siano da tempo esauriti. In ogni caso ho letto il tuo scritto e ho provato a risponderti, come cerco sempre di fare con tutti i nostri lettori.Perdonami per il ritardo, spero che mi riconoscerai almeno le “attenuanti generiche”
Un cordiale saluto!
Non c’è problema Paolo! Ma io pensavo che facessi come faccio io, che per prima cosa vado in fondo alla pagina, e guardo l’elenco degli “ultimi commenti”. Così riesco a vedere se c’è qualcosa di nuovo che riguarda ciò che ho scritto, da parte di altri lettori.
Sempre cordialmente
Alberto
A volte sì a volte no, come capita…,
di solito vedo se ci sono commenti nuovi agli articoli recenti in prima pagina.
Cari amici di Soloscacchi, vorrei condividere con voi questo video a tratti commovente:
che illustra più di mille parole la dura legge del nostro amato gioco. Una leggenda degli scacchi che frana emotivamente di fronte alla sconfitta e all’inesorabile trascorrere degli anni. Questo gioco può dare soddisfazioni immense a chi gli dedica la propria vita, ma anche crudeli dispiaceri. E forse, come insegna la storia di tanti campioni, a volte l’impresa più ardua è riuscire a mantenere un solido equilibrio mentale e sapersi ritirare al momento giusto.
Paolo, con la sensibilità che gli è propria ci ha mostrato un momento della vita di un grande campione che anche a me ha colpito moltissimo…
Ma qual è il momento giusto? Reshevsky nel 1984 – a 73 anni! – vinceva l’open di Reykjavik con 8/11 davanti a una fila giovani anche avrebbero potuto essere i suoi nipoti (Hjartarson, Arnason, Christiansen, De Firmian, ecc.) Korchnoi era ancora fortissimo dopo i 70 anni. Ivanchuk perde con onore, e dopo tutto ha solo 55 anni…
Buon anno nuovo a tutti.luca Monti.
Grazie! Anche io mi unisco all’augurio di un sereno anno nuovo
A proposito di arte del mediogioco, vorrei condividere con voi una splendida partita giocata ieri sera al mondiale blitz di New York tra Magnus Carlsen e Ian Nepomniachtchi. Una premessa: quest’anno il mondiale blitz aveva una fase preliminare e poi una fase di match di quattro partite a eliminazione diretta. La partita è stata giocata nella finalissima quando il punteggio era di 2 a 1 per Carlsen. Nepo era partito malissimo, sotto di 2 a 0 aveva recuperato un punto e adesso doveva vincere per sperare negli spareggi. Ecco il link alla partita:
Noterete come Carlsen parta bene acquisendo un buon vantaggio, Nepo si difende con grinta nella variante classica della difesa Francese e, dopo l’arrocco lungo, tenta l’attacco sul lato di Re del B., mentre Carlsen, nel tentativo di chiudere definitivamente il conto, gioca delle mosse imprecise e alla mossa 29 commette un grave errore di calcolo (Af4?) sfruttato magistralmente da Nepo il quale (mentre Carlsen cerca di dare matto dall’altra parte) gioca una combinazione di attacco bellissima con pochi secondi sull’orologio e costringe l’avversario all’abbandono. Ho trovato questa partita magnifica, si potrebbe intitolare: “La Vendetta dell’Alfiere Cattivo” perchè è l’alfiere campochiaro della difesa francese che, appostato nell’ombra, sbuca all’improvviso e, se Carlsen non avesse abbandonato, avrebbe dato (…d4+) il colpo di grazia.
, Carlsen ha proposto all’avversario di condividere il titolo di campione del mondo ed il premio. Nepo ha accettato ed è iniziata l’attesa della decisione degli organizzatori. Alla fine via libera e tutti contenti a festeggiare. Per Nepo si tratta di un successo importante dopo tanti deludenti secondi posti, per Carlsen un gesto di sportività nei confronti di un avversario sempre combattivo e mai domo.
Vi incollo il link per per rivederla con calma con l’ausilio del motore, se avete tempo e pazienza:
https://lichess.org/broadcast/fide-world-rapid–blitz-championships-2024–blitz-open-knockout/final-game-4/nO8RQtYi/Rtau2eSb
Sul 2-2 è iniziato lo spareggio che, secondo il bizzarro regolamento del torneo, doveva procedere a tempo indefinito fino alla prima vittoria di uno dei contendenti. Ed è qui che c’è stato un colpo di scena: dopo 3 combattuti pareggi, quando ormai il cenone di fine anno si stava avvicinando
Ecco il link alla scena finale con la proposta di Carlsen, l’attesa della decisione e le interviste finali:
Buona visione e ancora auguri a tutti voi!
Davvero impressionante il ritorno di Nepo:
L’aforisma scacchistico-religioso «Tra l’apertura e il finale gli dèi hanno messo il centro-partita» non è dovuto a José Raúl Capablanca, com’è scritto all’inizio dell’articolo, bensì a Siegbert Tarrasch.
Da un articolo di Salvatore Tramacere presente nel blog “UnoScacchista” si apprende infatti che, nel corso di un’analisi, lo scacchista tedesco osservò che non ha molto senso, in apertura, optare per una semimossa in vista di un ipotetico finale, perché fra l’apertura e il finale gli dèi avrebbero posto il centro-partita!
Riguardo a questo punto, Capablanca la pensava diversamente da Tarrasch.
Basta leggere la seguente citazione dallo scacchista cubano: «Sarebbe un grave errore studiare l’apertura senza avere in mente i successivi mediogioco e finale. Allo stesso modo sarebbe sbagliato studiare il mediogioco senza considerare il finale. Questo ragionamento prova chiaramente che, per migliorare il vostro gioco, dovrete innanzitutto studiare il finale; inoltre, mentre i finali vanno studiati e padroneggiati di per se stessi, il mediogioco e l’apertura vanno studiati in relazione al finale».
Personalmente, condivido di più il pensiero del tedesco (mi riferisco alla parte propriamente scacchistica…).
Credo proprio che hai ragione. A pensarci bene, Capablanca avrebbe detto: “Dopo l’apertura e il mediogioco gli dei hanno messo il finale!”
Non ricordavo la paternità dell’aforisma e ricordo di aver fatto una rapida ricerca su google-gemini. Questa è la risposta (credo proprio errata) che anora oggi fornisce: “L’attribuzione di questa frase a Capablanca è ampiamente diffusa nel mondo degli scacchi e si trova in diverse fonti, sia online che cartacee. Tuttavia, non esiste una fonte primaria che documenti in modo definitivo che Capablanca abbia effettivamente pronunciato o scritto questa frase”. Grazie comunque per la precisazione.