Grundfrage

Scritto da:  | 6 Gennaio 2025 | 43 Commenti | Categoria: Personaggi, Stranieri

La prima volta che ho incontrato Robert Hübner fu a giugno del 1975. Io stavo preparando l’esame di maturità, e mi presi una piccola pausa per partecipare con una squadra di ragazzi della Scacchistica Milanese a un torneo lampo a squadre che si teneva a Francoforte sul Meno. Non ricordo i dettagli. Rammento solo che pagava tutto la Hoechst e che ci accompagnava Eugenio Balduzzi. Nel torneo prendemmo un sacco di legnate (io in particolare, visto che giocavo in prima scacchiera) perché c’erano tutti i migliori giocatori tedeschi. Tra cui, appunto, Robert. Naturalmente avevo perso anche con lui (ricordo l’emozione incredibile che ho provato quando mi si è seduto davanti e mi ha stretto la mano); ma avevo portato a casa un piacevole ricordo, perché uscii dall’apertura con un pedone in più. Lo rividi dopo l’estate a Milano, non so bene in quale occasione. Probabilmente qualcuno me lo presentò alla Scacchistica Milanese. La prima cosa che gli dissi fu questa: “Tu certo non ti ricordi, ma noi abbiamo giocato una volta”. E lui, a sorpresa, rispose che se lo ricordava benissimo: mi disse quale apertura avevamo giocato, e confermò che io ero in vantaggio di un pedone. Davvero incredibile. Io mi ricordavo qualcosa solo perché lui era Hübner; ma lui come faceva a ricordarsi di me? Sia come sia, in qualche modo dobbiamo essere rimasti d’accordo che ci saremmo visti in Università. Robert era venuto a Milano per approfondire la sua preparazione di papirologo (preciso che lui non si occupava di scrittura geroglifica, ma di papiri scritti in greco, di qualunque tipo e argomento), invitato dalla mitica professoressa dell’Università Cattolica Orsolina Montevecchi. Ma veniva spesso anche in Statale, dove si conserva un fondo papirologico ricco e importante. Qui conobbe l’altrettanto mitica professoressa Mariangela Vandoni; la quale, intuito il talento del giovane tedesco, gli affidò subito la gestione di alcuni seminari di alto livello scientifico. Cosa che Robert poteva fare tranquillamente in italiano, visto che aveva imparato benissimo la nostra lingua in poche settimane (a prescindere dalla sua eccezionale predisposizione, era ancora il felice periodo in cui “paese che vai, lingua che impari”; ma oggi tutti lo considerano una inutile perdita di tempo: c’è l’inglese, no?). Primo anno di filosofia, frequentavo fra gli altri un corso sul primo libro della Metafisica di Aristotele tenuto da quella che poi sarebbe diventata la mia maestra (Fernanda Decleva Caizzi, che insegnava Storia della filosofia antica; mentre a medievale c’era Mariateresa Beonio Brocchieri: sulla presenza “rosa” in accademia le università milanesi erano all’avanguardia). Più filologa che filosofia, Caizzi prestava molta attenzione al greco, stando però ben attenta a farsi capire anche da chi non aveva “fatto il classico” (allora il fatto che alcuni studenti avessero studiato un po’ di greco era ancora considerato una risorsa, e non un problema). Più di una volta Robert, nei circa tre mesi in cui è rimasto a Milano, è venuto a cercarmi fuori dall’aula dopo la fine della lezione, e si passava un po’ di tempo insieme parlando delle cose che sembravano interessargli di più: nella fattispecie, questioni di traduzione e di interpretazione del greco antico. Io per la verità ero un po’ in imbarazzo. Allora gli scacchi erano una parte importantissima della mia vita. Avere a che fare in carne e ossa con un mostro sacro degli scacchi mondiali e parlare con lui solo o quasi di greco antico mi sembrava uno spreco davvero intollerabile. Ma avevo capito che lui preferiva così. In quel periodo (ma quando, in realtà, non fu così?) il suo rapporto con gli scacchi non era molto sereno. A un certo punto mi disse persino che non voleva fare lo scacchista di professione, ma che era costretto a farlo per mancanza di alternative. Si riferiva ovviamente alla carriera accademica. Ma quando mai, ho pensato, uno potrebbe preferire essere un professore di papirologia piuttosto che uno scacchista di quel livello? Per cui di scacchi si parlava poco o niente. Una volta lo accompagnai nella sua cameretta, che si trovava in uno dei pensionati della Cattolica, ossia la Domus Nostra di via Necchi. Sul tavolino aveva una scacchiera fissata su una certa posizione, e intorno carte e libri. Mi disse che stava lavorando a una raccolta delle sue partite, e che si era incagliato nell’analisi di quella posizione. Mi spiegò due cose che non capii, e poi subito parlammo d’altro.


Non solo imparò facilmente l’italiano, ma volle anche leggere le opere più importanti della nostra letteratura. Prima Dante, e poi Manzoni. Poiché voleva vedere i luoghi manzoniani di Lecco e dintorni, un giorno lo portai a pranzo a casa mia, dove mia madre gli preparò il suo piatto forte, ossia il risotto alla milanese. Ricordo il panico nei suoi occhi quando vide tutto quel giallo, che aveva scambiato per burro. Risolto l’equivoco, mangiò con gusto. Dopo pranzo ci siamo seduti n attimo in salotto, dove c’era sempre una scacchiera, per lo più fissata su una posizione che io o mio padre stavamo analizzando. Robert cominciò a guardarla con attenzione quasi ossessiva, poi improvvisamente con le due mani rovesciò tutti i pezzi, e mi chiese se adesso potevamo uscire. Così io facevo le mie riflessioni: su di lui; sugli scacchi; su di me (su di me tra scacchi, greco antico e filosofia). Certo che con me il problema non si poneva neppure, visto che non avevo un briciolo del suo talento.
L’ho rivisto qualche volta, molti anni dopo, in occasione dei campionati italiani a squadre (come è noto, Robert giocava per il Marostica). Di nuovo abbiamo parlato, ma come al solito non di scacchi. Mi spiegò quello che stava facendo, e quello che stava studiando, dopo aver praticamente interrotto la sua carriera di giocatore. Mi disse che si occupava ancora di greco antico e che fra l’altro aveva tradotto l’Iliade in tedesco, insoddisfatto dalle traduzioni correnti nella sua lingua madre. Sono anche sicuro che mi ha inviato almeno una parte di quella traduzione, non so se un file o il cartaceo, ma non ricordo davvero dove possa essere (però prima o poi la cerco). Così ne approfittai per fargli una proposta. Avevo in programma una visita a Colonia, la città dove lui risiedeva, in cui era programmato un incontro seminariale tra tedeschi e italiani (francamente non ricordo l’anno, ma sarà stato 15/20 anni fa). Dovevamo leggere, tradurre e commentare insieme un certo testo greco che non rammento, e ho pensato che la cosa avrebbe potuto interessargli. E infatti mi disse che sarebbe venuto. Entrato quella mattina nell’aula del seminario, trovai vecchi amici e feci qualche nuova conoscenza. Tra cui quella di un giovane dottorando tedesco appassionato di scacchi, che in qualche modo aveva saputo che ero maestro fide e ne era sinceramente ammirato. La cosa mi fece molto ridere, per cui gli dissi: “Se ti piacciono gli scacchi, guarda che forse questa mattina ci sarà per te una bella sorpresa”. Quale non fu la sua faccia quando vide affacciarsi nel riquadro della porta d’ingresso la magra figura di quella che già allora era la deutsche Schachlegende, nientemeno che il dr. Robert Hübner.


Durante il seminario Robert non fece tappezzeria, ma partecipò attivamente alla discussione di delicati problemi di costituzione e traduzione del testo. Il collega tedesco più tardi mi disse che Hübner gli aveva chiesto di essere impiegato a titolo gratuito in qualche attività accademica; ma che tuttavia non aveva potuto accontentarlo: non aveva l’età adatta, non sapeva bene che cosa fargli fare; e oltretutto – mi disse – non era sempre facile avere a che fare con lui. A pranzo io e Robert andammo da soli, e finalmente sono riuscito a parlargli un po’ di scacchi. Da tempo immemorabile, da quando lo avevo conosciuto a diciotto anni, avrei voluto chiedergli una cosa – che poi era per me la Grundfrage, la domanda fondamentale che mi assillava da quando avevo iniziato a giocare a scacchi. E finalmente lo feci. “Che cosa distingue – gli chiesi – un giocatore come te, da un giocatore non dico come me, ma anche da uno molto più forte, che però non è mai riuscito a entrare nel gruppo ristretto dei più forti giocatori del mondo? Che cosa ha in più uno come te?”. Come se gli avessi fatto la domanda sulla quale da sempre si arrovellava anche lui, Robert abbassò la faccia sul tavolo protendendosi verso di me (eravamo seduti uno di fronte all’altro), puntò i suoi occhi dritto nei miei e mi disse con grade forza e concitazione: “Ma non lo so, non lo so, non lo so; me lo sono sempre chiesto anch’io e non ho mai trovato la risposta; tutto quello che so è che io, stranamente, giocavo e vincevo; e più incontravo giocatori forti, più continuavo incredibilmente a vincere: il perché, non lo so”.
Ciao Robert.

avatar Scritto da: FM Franco Trabattoni (Qui gli altri suoi articoli)


43 Commenti a Grundfrage

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    Ugo Russo 6 Gennaio 2025 at 16:30

    Che bel ricordo. Un altro pezzo della nostra storia scacchistica che se ne va. Mitici quegli anni: Larsen, Polugaevsky, Petrosian, Tal e chi più me ha più ne metta.
    Rimangono in vita di quei nomi roboanti solo Karpov e Portisch.

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      Nagni Marco 6 Gennaio 2025 at 23:32

      Anche lui una leggenda di quel periodo….

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    Barto 6 Gennaio 2025 at 16:55

    Appunto lui, Larsen e Portisch sono stati in quegli anni gli unici occidentali, dopo il ritiro di Fischer, a riuscire a pote dir qualcosa contro sovietici e Yugoslavi.

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    Uomo delle valli 6 Gennaio 2025 at 17:41

    emozionante e intenso ;)

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    Paolo Landi 6 Gennaio 2025 at 18:22

    Bellissimo ricordo di un grande del passato. La variante Hubner della difesa nimzoindiana fu adoperata da Bobby Fischer nel match del secolo contro Spassky e gli fruttò una splendida vittoria nella 5^ partita. Di Hubner ricordo il suo gioco solido e rigoroso ed anche una tremenda svista (un elementare doppio di cavallo a Re e Torre) nel suo match di qualificazione al titolo mondiale con Korknoi del 1980. L’episodio mi fu raccontato da un amico ed io quasi non ci volevo credere che un giocatore della sua classe avesse potuto commettere un simile errore, forse a causa della stanchezza oppure di un crollo nervoso, chissà…

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    Taras 6 Gennaio 2025 at 19:33

    Franco, immagino di interpretare che Hubner fosse riluttante a conversar con te di scacchi perché riteneva invece più alto, importante e profondo l’amore che vi univa per il mondo e la cultura greca e antica in generale che non quello per un gioco che lo aveva reso celebre e famoso nell’agone scacchistico ma che, forse gli stava in un certo qual modo, stretto.
    Tant’è che tu stesso quando hai fatto la sceklta della tua vita questa è stata per la filosofia e non per gli scacchi.
    Grazie davvero per questo prezioso e accorato ricordo di una figura che ha affascinato noi tutti, da lontano, e che invece tu hai avuto la fortuna di conoscere da vicino.

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      Franco Trabattoni 7 Gennaio 2025 at 19:34

      Beh, la mia scelta era obbligata: mica ero Hübner!

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    punta arenas 7 Gennaio 2025 at 08:33

    Sono rimasto davvero rattristato, alla notizia della morte del GM Robert Huebner. Non me l’aspettavo e nemmeno sapevo che fosse seriamente malato.
    Vorrei solo, per ricordarlo, aggiungere un aneddoto dell’unica occasione in cui ebbi l’occasione di incontrarlo e giocare con lui, in una simultanea che lui tenne a Melegnano, in un freddo pomeriggio di domenica 7 marzo 1976, al Castello Mediceo.
    All’epoca avevo 15 anni, e giocavo agonisticamente da appena 6 mesi. Non pensavo che Huebner fosse stato reclutato dal nostro circolo, e lo seppi solo dai manifesti, che avevano tappezzato per tutta Melegnano, col nome “Huebner” a caratteri cubitali. Seppi poi che era in Italia da ricercatore alla Cattolica di Milano.
    Lui era già un mito, e io avevo visto più volte la sua famosa patta con Fischer al 1° turno dell’izt a Palma di Maiorca, quella Caro-Kann chiusa (variante Breyer) col commento di Capece: “ Bisogna ammettere che il giovane asso tedesco si difende come un leone!”.
    Così in quel primo pomeriggio io e mio fratello ci recammo al Castello, dove nel grande salone trovammo già le scacchiere pronte sui tavoli a ferro di cavallo, e un gruppo di persone, tra cui lo stesso Huebner, che rispondeva alle domande dei presenti.
    Qualcuno gli chiese del suo match interrotto a Siviglia, contro Petrosian nei quarti di finale dei Candidati del 1971, e lui disse che le condizioni di gioco erano state pessime, poiché si giocava in un seminterrato di un albergo, caldo e rumoroso, e dalle finestre si sentivano i rumori intensi della fermata dell’autobus lì fuori. Aggiunse che invece Petrosian non aveva avuto problemi, poiché essendo sordo staccava il cornetto acustico, e non sentiva nulla.
    In quel momento mi sembrò una motivazione convincente. Però negli anni seguenti, riesaminando l’andamento di quel match e pensando all’abitudine di Huebner di mollare i matches dopo una sconfitta cocente (come quella contro Korchnoi a Merano nel 1980), devo dire che iniziai a dubitarne. Ma come? Dici che le condizioni del gioco erano orribili, e però avevi giocato 6 partite – tutte patte – e solo quando avevi perso alla settima ti decidi a protestare? Mah!
    Un’altra domanda gli venne rivolta da uno dei giovani del circolo, il 14enne Stefano Benini, che all’epoca era 3N ed era considerato una “promessa” con un brillante futuro.
    Benini gli chiese qual era secondo lui la promozione più difficile. Huebner sorrise e disse quasi subito: “campione del mondo!”
    E’ curioso pensare che il giovane Benini fu l’unico – tra noi 25-30 giocatori di quella simultanea – a riuscire a pattare la partita nel finale. Io non l’avevo seguito, ma il giorno dopo Benini – che era anche lui al mio stesso liceo – me lo spiegò: era un finale di Cavallo e pedoni, e alla fine Huebner – che giocava solo contro di lui, dopo avere battuto tutti gli altri – aveva tentato di vincerlo, ma non ce l’aveva fatta. Benini disse che però il GM aveva sbagliato. Tuttavia in seguito la “promessa” non venne mantenuta, perché Benini giocò solo per un anno, e dopo essere passato 2N nel 1977 abbandonò del tutto il gioco. Peccato, perché in effetti il ragazzino aveva un certo talento.
    Quanto a me, impostai male l’apertura (una Siciliana Scheveningen), e Huebner non ebbe difficoltà ad ottenere posizione vinta attorno alla 25a mossa, o giù di lì, costringendomi all’abbandono. Ma all’epoca sapevo proprio pochino sulle aperture.
    Invece, mi rimasero sempre impressi i due grossi errori, di mio fratello ma anche del GM tedesco, nella loro partita a fianco della mia, che andò così (fu una Siciliana con l’attacco Velimirovic) :
    1. e4 c5 2. Cf3 d6 3. d4 cxd 4. Cxd4 Cf6 5. Cc3 a6 6. Ac4 e6 7. Ae3 Cc6 8. De2 Ae7 9. 0-0-0 0-0
    A questo punto Huebner giocò l’attacco Velimirovic, con 10. g4 e mio fratello improvvisò lì per lì – credendo di avere visto una “combinazione” – 10…Cxg4?? , contando solo sulla “semplificazione” dopo 11. Dxg4 Cxd4 12. Axd4 e5 con attacco a Donna e Alfiere. Ma il Bianco avrebbe potuto subito chiudere lì la partita con la semplice 11. Cxc6! bxc 12. Dxg4 e guadagna subito un pezzo.
    Tuttavia, vedendo quella mossa così insolita 10…Cxg4 Huebner rimase sorpreso, sorridendo forse per l’inconsueto ardire di un ragazzino sconosciuto contro un GM, e dopo averci riflettuto una quindicina di secondi, anziché l’ovvia e vincente 11. Cxc6, giocò 11. Thg1??
    Incredibile, a cappella risponde una contro-cappella!! Poi Huebner vinse ugualmente quella partita, però mi ha sempre sorpreso il fatto che un top GM come lui non fosse ben preparato sulle mosse iniziali dell’attacco Velimirovic.
    Ma evidentemente anche i top GM sono umani e possono sbagliare.
    Inoltre, vorrei anche dire – a giustificazione di Huebner – che in effetti le simultanee sono un’esibizione spettacolare, ma piuttosto rischiosa e faticosa anche per i migliori GM, e non di rado anche giocatori sconosciuti riescono a vincere nelle simultanee contro famosi GM. Infatti Bobby Fischer perse due partite in simultanea: nel 1970 a Palma di Maiorca, dopo l’izt e contro uno sconosciuto giocatore spagnolo locale, e sempre nel 1970 , il 20 agosto a La Plata, contro uno sconosciuto argentino (Rubinstein). Ad onor del vero va detto che in quella simultanea Fischer perse anche con un 17enne destinato a diventare famoso: Carlos Garcia Palermo, che lo battè col Nero in sole 15 mosse, come segue:
    1. e4 e5 2. f4 d5 3. exd e4 4. Ab5+ c6 5. dxc Cxc6 6. d3 Cf6 7. dxe Da5+ 8. Cc3 Ag4 9. Dd4 Ae7 10. Da4 Db6 11. h3 0-0-0 12. Axc6 Cxe4 13. Ad7+ Txd7 14. Dxd7+ Axd7 15. Cxe4 Ac6 0-1
    Quella vittoria di Garcia Palermo contro Fischer si può trovare commentata qui su chessgames, con la foto che mostra i due giocatori durante l’esibizione
    https://www.chessgames.com/perl/chessgame?gid=1279196
    Comunque, Fischer non amava molto le simultanee. Dopo la sua vittoria a Montecarlo, nel 1967, il Centurini di Genova provò a contattarlo per sapere se potesse venire ad esibirsi da loro, ma Diliberto disse che chiedeva troppi soldi, e poi non era molto interessato a giocare una simultanea, avrebbe preferito tenere una conferenza.
    Invece, un GM che riusciva a fare cose esplosive nelle simultanee era sicuramente Tal. Lui riusciva a giocare combinazioni da favola, veri virtuosismi, magari con 2-3 pezzi sotto attacco, ma del tutto corrette.
    Concludo con un’osservazione al bel ricordo di Trabattoni. Dove parla della domanda che rivolse ad Huebner sulla differenza tra un top GM come lui, ed altri meno dotati.
    Huebner rispose più volte: “Non lo so!”
    Ecco, posso dire che questa risposta è la dimostrazione che sia Huebner che Trabattoni erano due “umanisti” per mentalità, e non due scienziati, e sia detto senza volere in alcun modo sminuire i primi rispetto ai secondi. Solo prendo atto della diversa mentalità di chi ha una formazione “classica” rispetto ad una “scientifica”.
    In realtà la risposta all’annoso quesito di Trabattoni è tutt’altro che difficile, e non c’è bisogno di essere un top GM per darla.
    PRECISIONE!
    Questa è la sola parola che risponde a quella domanda: il top GM attorno a 2700 o 2800 punti Elo è molto più preciso nelle partite rispetto ad un GM “medio” da 2500 punti, e quest’ultimo lo è di più rispetto ad un MI o ad MF da 2300 punti.
    E’ sufficiente prendere le loro partite, e trovare il numero di errori di ogni giocatore. Un top GM come Huebner sbagliava molto meno rispetto a giocatori meno forti di lui.
    E questo è stato anche il criterio con cui un’indagine di un’università slovena o croata alcuni anni fa aveva controllato col computer la forza di gioco dei campioni del mondo. Capablanca e Fischer erano stati i campioni mondiali più precisi, nelle cui partite vi erano molti meno errori rispetto ad altri.

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      Uomo delle valli 7 Gennaio 2025 at 10:52

      e’ davvero un piacere leggere questi suoi commenti favolosi
      grazie

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        punta arenas 7 Gennaio 2025 at 13:41

        Troppo buono! Il mio era solo un piccolo aneddoto, anche perché quella simultanea di tanti anni fa fu l’unica occasione in cui potei conoscerlo. Io spero che altri giocatori che l’hanno conosciuto più a lungo raccontino episodi inediti e interessanti di questo grande giocatore. D’altra parte Huebner era proprio il tipico tedesco che amava l’Italia, ed era spesso qui da noi, anche per le sue ricerche papirologiche. Si sa che – a differenza di inglesi e francesi – i tedeschi hanno una passione molto più forte per l’Italia: il clima, la cucina, le località turistiche, ecc. E infatti tanti tedeschi celebri hanno sempre avuto questo legame speciale con l’Italia: il calciatore Schnellinger, le gemelle Kessler, e tanti altri.

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      Ugo Russo 7 Gennaio 2025 at 11:36

      Osservazioni eccellenti, come sempre.
      A proposito di Fischer… sono rimasto molto sorpreso, oserei dire deluso dal giudizio che ne dà Carlsen.

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    punta arenas 7 Gennaio 2025 at 14:22

    Ho paura che Carlsen sia affetto da una malattia inguaribile che si chiama ROSICONERIA. Le sue parole dimostrano una notevole dose di invidia. Ad esempio, dare solo 7 a Fischer quanto a genialità, dimostra che Carlsen non ha ben chiaro cosa sia. Un genio è – per definizione – chi raggiunge i massimi vertici di una disciplina intellettuale o artistica: letteratura, musica, pittura, scultura e ovviamente anche gli scacchi. Il miglior giudizio su Bobby Fischer lo diede Harold Schoenberg (nel suo libro: “I grandi maestri degli scacchi”;): “Bobby Fischer, da solo, aveva convinto il mondo intero che gli scacchi al massimo livello erano competitivi come il calcio, emozionanti come un duello all’ultimo sangue, esteticamente soddisfacenti come un’opera d’arte, intellettualmente impegnativi come qualsiasi forma di attività umana. Basterebbe questo a fare di Bobby Fischer il più grande campione di scacchi che sia mai vissuto”. Carlsen dimostra anche ingratitudine, perché se i giocatori di oggi ai massimi livelli possono giocare mondiali con montepremi di 1-2 milioni di dollari lo devono proprio a Bobby Fischer, altrimenti si sarebbero dovuti accontentare dei 1.500 dollari del 1969 del match Spassky – Petrosian. Quanto a sanità mentale, Fischer sarà stato talora imprevedibile, censurabile e ignorante (quanto diceva cose abominevoli, antisemite e razziste), però molte cose per cui si batteva si sono dimostrate vere: quando denunciava il gioco di squadra dei sovietici a Curacao, poi la FIDE gli diede ragione e cambiò i regolamenti. Quando si preoccupava del danno dei computer negli scacchi – e lanciò il chess random, con le 960 posizioni iniziali casuali – aveva ragione, perché i computer hanno solo distrutto il prestigio del gioco umano. Quando si preoccupava dell’ingiustizia delle troppe sconfitte in zeitnot, e brevettò il suo orologio con accumulo di tempo, aveva ragione, e infatti l’orologio di Fischer si usa ovunque. Quando si lamentava perché i russi non gli avevano mai pagato i diritti d’autore delle sue “60 partite da ricordare” aveva ragione, lo hanno defraudato per una barca di soldi. Insomma, se Carlsen si documentasse meglio su Fischer, eviterebbe di dire solo banalità e luoghi comuni. Ma purtroppo per Carlsen e la sua rosiconeria, lui non riuscirà mai ad essere conosciuto nel mondo quanto lo fu e lo è Bobby Fischer. Provate a fermare una persona qualunque e a chiedergli se sa chi è Bobby Fischer. Tutti sanno chi era. Chiedete chi è Carlsen, e NESSUNO – al di fuori degli ambienti scacchistici – vi dirà di conoscerlo. Carlsen non ha mai neppure scritto un libro paragonabile alle “60 partite da ricordare” di Fischer. Non so se i castori siano in via d’estinzione, ma almeno qualcuno dica a Carlsen di andare a rosicare i tronchi degli alberi lì in Norvegia, per farli portare dalla corrente dei fiumi. Almeno farà qualcosa di utile, anziché dire quelle 4 baggianate su YouTube.

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    Nagni Marco 7 Gennaio 2025 at 14:57

    Senza Fischer tutti i grandi campioni camperebbero con premi miseri …….

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      Giancarlo Castiglioni 7 Gennaio 2025 at 17:42

      Non sono d’accordo, semplicemente i tempi sono cambiati. In tutti gli sport i premi e gli ingaggi sono enormemente cambiati. Pensate al tennis e ai contratti dei giocatori di calcio a fine carriera che vanno in Arabia Saudita.

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    punta arenas 7 Gennaio 2025 at 18:52

    Non si possono assolutamente paragonare gli scacchi a sport come il calcio, il tennis, il basket, la pallavolo, l’automobilismo, ecc. ecc.
    Calcio ed altri sport hanno un enorme seguito MEDIATICO, gli scacchi no. Ed hanno seguito mediatico perché in Italia il calcio, ad esempio, ha oltre 1 milione di tesserati, e in media gli sport più seguiti hanno 300.000 praticanti. Quindi interessano i media, ed in particolare le TV e gli SPONSOR pubblicitari. Gli scacchi in Italia hanno poco più di 12.000 praticanti agonisti (5.000 juniores e 7.000 seniores). Con 12.000 praticanti qualsiasi sponsor ti ride in faccia, e ti batte una mano sulla spalla (e magari ti offre pure un caffè per pietà).
    Poi sicuramente un campionato mondiale di scacchi riesce ancora ad avere finanziatori arabi o di Singapore che ci mettono un paio di milioni di dollari, così come negli USA c’è Rex Sinquefield che finanzia in campionato USA con 250.000 dollari. Però è evidente che Bobby Fischer era riuscito a portare gli scacchi per la prima volta ad un livello mediatico mai raggiunto prima, e a fare salire i premi dei campionati mondiali a cifre miliardarie, e un certo interesse si è mantenuto negli anni ’80 con Kasparov. Però non c’è dubbio che i computer hanno totalmente svalutato il gioco umano, e ormai solo pochissimi tornei riescono a trovare sponsor adeguati. Lo vede chiunque: i grandi festival di una volta (Bratto, P.to s. Giorgio, Saint Vincent, ecc.) sono scomparsi. Guardiamo in faccia la realtà: assurdo paragonare gli scacchi al calcio e al tennis. Sai quanto hanno vinto Kasparov e Karpov in una vita? Il primo 17 milioni di dollari, il secondo 14 milioni, e sono quelli che hanno vinto di più. Caruana ha vinto 2,5 milioni di dollari in tutta la vita. Tanto per fare paragoni: Jasmine Paolini e Sara Errani lo scorso anno hanno vinto 4 milioni di euro ciascuna, Sinner ha vinto nel 2024 16,6 milioni di euro, in un solo anno, di soli premi, senza metterci gli sponsor pubblicitari. In un anno ha guadagnato più lui di Kasparov in una vita…

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    punta arenas 7 Gennaio 2025 at 19:01

    Insomma, la conclusione è semplice: scacchisti, avete voluto la bicicletta, cioè le sfide uomo-computer che hanno arricchito solo Kasparov e distrutto il prestigio del gioco umano? Bene, ora pedalate, e rassegnatevi al fatto che sempre meno gente guarda un campione di scacchi che gioca, quando qualsiasi Stockfish, Fritz, ecc., può batterlo come e quando vuole.

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    Giancarlo Castiglioni 7 Gennaio 2025 at 21:59

    Ovviamente non intendevo paragonare i guadagni del calcio o del tennis con quelli degli scacchi, intendevo paragonare i guadagni di 50 anni fa con quelli attuali.
    Si devono paragonare i guadagni di allora di Sivori con quelli di oggi di Ronaldo, quelli di Panatta con quelli di Sinner.
    Ricordiamo poi che nel periodo pre Fischer c’era tutta una categoria di scacchisti che campava benissimo, in modo addirittura lussuoso comparato al resto della popolazione.
    Quelli del mondo comunista russo e dell’Europa orientale.

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    punta arenas 8 Gennaio 2025 at 08:34

    Ma allora torniamo al solito discorso, che evidentemente molti non vogliono vedere: Sivori, Rivera, Mazzola, Panatta, Coppi, Bartali, ecc. ecc. cioè gli sportivi degli anni ’50-’70 avevano guadagni alti rispetto ad operai ed impiegati, ma non certo stratosferici come quelli di Djokovic, Sinner, Mbappè, Pogacar, ecc., cioè gli atleti ai vertici di oggi, perché negli anni ’50-’70 non c’erano la pubblicità e gli sponsor televisivi di oggi, c’era solo la RAI che negli intervalli mandava le immagini delle pecore. Oggi nello sport tutto ruota attorno ai MEDIA. Media + sponsor sono imprescindibili nello sport di oggi. Bobby Fischer è stato il solo scacchista che aveva reso gli scacchi MEDIATICI. Grazie a lui il numero di giocatori del mondo occidentale era DECUPLICATO in pochi anni, e gli scacchi avevano rubriche su molti giornali. Sul Corriere c’erano gli articoli di Monticelli (e poi di Nicola Palladino dopo il 2000), sul Giornale c’era Capece, sull’Espresso c’era Porreca, su Panorama Grgona, su Epoca Tatai. Oggi non c’è più un solo quotidiano o periodico che parli di scacchi! Se nel periodo 1971-1975 gli scacchi grazie a Fischer erano considerati un gioco prestigioso, e i GM i suoi massimi esponenti, con la scomparsa di Fischer dalla scena poco alla volta gli scacchi hanno perso interesse mediatico. Nel 1975 le Filippine erano disposte a mettere in palio 5 miliardi di lire di oggi per la sfida Fischer – Karpov, una somma enorme, pari a 33 milioni di euro di oggi. Ma 3 anni dopo, per la sfida Karpov – Korchnoi, il montepremi era drasticamente sceso a “soli” 500.000 dollari, perché evidentemente Karpov e Korchnoi non erano abbastanza di richiamo mediatico quanto Fischer. E dopo le sciagurate sfide ai computer del Nostradamus Kasparov (“Nessun computer riuscirà mai a battermi!” ), il prestigio mediatico del gioco umano è CROLLATO, perchè a nessuno frega più niente di un gioco in cui l’ultimo principiante può prendere Stockfish e dire a Carlsen o a Caruana: “avete sbagliato a questa e quella mossa!”. Gli scacchi ridotti a potenza di calcolo. Quanto agli scacchisti che “campavano benissimo” all’Est rispetto alla popolazione, anche qui ci sarebbe molto da dire. Prima di tutto perché quelli davvero privilegiati, che potevano giocare nei tornei all’estero e avevano uno stipendio e un appartamento erano ben pochi, solo un ristretto gruppo di GM. Certamente Botvinnik era privilegiato perché era amico di baffone, e Karpov era privilegiato perché era amico di Breznev. Ma a Korchnoi avevano tolto i visti di espatrio, così come a Taimanov dopo la sconfitta con Fischer. Non parliamo poi di giocatori come Nezhmetdinov e tanti altri, che non venivano mai lasciati espatriare. Poi, se “campare benissimo” vuol dire guadagnare 1.500 dollari per vincere un mondiale, come Spassky nel 1969, beh, come si dice: chi si contenta gode! E comunque sarebbe ora di sfatare il luogo comune secondo cui il sistema sovietico aveva fatto così tanto per gli scacchi. Tutte balle! Guardiamo ai numeri: nel 1975 c’erano 100 GM al mondo, di cui 68 non erano sovietici. C’erano solo 32 GM sovietici. Quindi in ben 58 anni dal 1917 al 1975 il sistema dell’URSS aveva prodotto solo 32 GM, e non aveva assolutamente reso gli scacchi popolari nel resto del mondo, ripeto solo 100 GM in tutto il mondo.
    Tuttavia, nel periodo 1975 – 1992, e grazie all’esplosione di popolarità degli scacchi dopo il 1972 e grazie a Fischer, i GM nel mondo erano più che triplicati, passando a 327. E dal 1992 ad oggi, quando il comunismo all’Est non c’era più, e nessun GM russo poteva più essere mantenuto dallo stato, i GM russi sono passati a 364, e nel mondo superano i 2.000. Quindi la realtà è che gli scacchi diventano popolari in un Paese SOLO quando viene fuori qualche campione che vince mondiali o ottiene successi e fa parlare TV e giornali. Come successe in Olanda nel 1935, quando Euwe battè Alekhine e moltissimi iniziarono a giocare a scacchi. Come accadde in India, quando nel 1988 Anand divenne il primo GM della storia dell’India, e pochi anni dopo campione del mondo, e giornali e TV lo resero popolare, spingendo milioni di giovani a giocare, dai quali sono venuti fuori i vari Sasikiran, Harikrishna, Gukesh, Erigaisi, ecc. e Koneru, Dronavalli, ecc. tra le donne. Idem per la Cina: fino al 1992 gli scacchi erano del tutto ignorati, poi è venuto fuori il primo GM della storia Ye Rongguang, e hanno cominciato a dedicare spazio agli scacchi su TV e giornali, ed anche gli sponsor di Singapore Lim Kok Ann ed altri hanno cominciato ad investire per mandare i giovani più forti a giocare all’estero. Ma anche in Inghilterra: fino al 1976 non avevano uno straccio di GM, poi dopo il match Fischer – Spassky (sponsorizzato dal banchiere inglese James Slater) c’è stata l’esplosione di tornei e popolarità degli scacchi, e in pochi anni sono venuti fuori i vari GM: Miles, Keene, Stean, Short, Nunn, Chandler, Speelman, ecc.
    Insomma, il VERO potere per fare crescere gli scacchi ce l’hanno solo i MEDIA, il sistema comunista dell’Est semmai i GM e gli scacchisti più forti li faceva scappare: Alekhine, Bogoljubov, Korchnoi, Benko, Pachman, Tatai, Toth, Ivanov, Dzindzikashvili, ecc. ecc., c’è una lista lunga un km.!

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      Ugo Russo 8 Gennaio 2025 at 09:15

      Punta, ti rispondo solo su un punto ;)
      Su tutto il resto sono sostanzialmente d’accordo con te…
      Il punto è questo: e devo dare ragione a Castiglioni su quello che voleva dire; prima del crollo del muro un GM dell’est non lo vedevi manco col binocolo ai nostri festival. Sì, quei pochissimi erano rare eccezioni, giusto qualche sporadico invito. E i premi erano assai più alti che di lì a poco. Com’è che invece dopo poco hanno iniziato a scendere come cavallette??

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        punta arenas 8 Gennaio 2025 at 10:06

        Ma tu hai letto quello che ho scritto? Non mi pare. Io ho scritto che il sistema sovietico impediva a quasi tutti i GM di espatriare, tranne pochissimi graditi al regime. E tanti giocatori di alto livello erano scappati dal “paradiso sovietico”, (Alekhine, Bogoljubov, Korchnoi, ecc. ecc.) che evidentemente tanto paradiso non doveva essere. E infatti, dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989 e la fine del comunismo all’Est tanti GM russi e di altri Paesi hanno potuto liberamente viaggiare e venire in occidente. Quindi non capisco perché mi fai questo appunto.

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          Ugo Russo 8 Gennaio 2025 at 11:01

          Non voleva essere assolutamente un appunto ma una semplice constatazione, scusami.
          Non son stato chiaro nel mio commento, mi scuso nuovamente: infatti non mi riferivo ai “sovietici” che appunto non venivano né prima né dopo, ma essenzialmente agli Yugoslavi.

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          Giancarlo Castiglioni 8 Gennaio 2025 at 12:43

          Non mischiamo con la politica il giudizio sugli scacchi in URSS.
          Quello che volevo far notare è che c’era una base di giocatori larghissima, che gli scacchi erano molto popolari, molto seguiti sui mezzi di informazione e che anche giocatori di non primissimo livello potevano campare con un tenore di vita discreto rispetto al resto della popolazione.
          Tutte cose che in Occidente non c’erano.
          Che certi GM non potessero andare all’estero e che Korchnoi abbia preferito emigrare è un altro discorso. Se vogliamo fare polemica ricordiamo che anche Fischer ha dovuto emigrare, anzi è anche finito in prigione.
          L’effetto Fischer c’é stato, ma si è esaurito nel giro di qualche anno, come quello Euwe in Olanda e quello Anad in India.
          Io penso che la situazione attuale degli scacchi in Italia, molto migliore di quella di 50 anni fa, sarebbe la stessa anche se Fischer non ci fosse stato.

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            Caligiuri 8 Gennaio 2025 at 13:43

            In sostanza, come anche Pier Luigi Basso da tempo dice piuttosto chiaramente, il movimento scacchistico in Italia è decisamente indietro rispetto a quello di tutti gli altri paesi europei.
            Quali secondo voi le cause, e quali, soprattutto, i possibili rimedi?

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              Nagni Marco 8 Gennaio 2025 at 18:13

              Non bastano solo i giocatori, buoni dirigenti, ci vogliono risorse…..se pensiamo che alle olimpiadi scacchstiche del 1978 in Argentina, per mancanza di fondi l’Italia non pote’ partecipare, abbiamo fatto passi da gigante……

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            punta arenas 8 Gennaio 2025 at 18:22

            Mi spiace dirtelo Giancarlo, ma le tue conoscenze storiche mostrano preoccupanti lacune:
            1) Non è affatto vero che fu il “sistema sovietico” a favorire lo sviluppo degli scacchi. E il motivo è semplice: gli scacchi sono un gioco profondamente radicato nella cultura russa, e fin dai primi decenni dell’’800. Giorgio Porreca, che fu anche un valido storico degli scacchi, nel suo “Manuale teorico-pratico delle aperture” ricostruisce lo sviluppo degli scacchi in Russia. Già nel 1821 Butrimov scrisse un ottimo manuale, in base alle analisi di Philidor. Poi nel 1824 Petrov diede alle stampe il primo vero manuale russo, e nel 1842 Janisch scrisse un notevole manuale sulle aperture (la variante della Spagnola 3…f5 prende il nome da lui).
            Già nell’’800 in Russia si organizzavano molti tornei di scacchi, e c’erano maestri di scacchi che giravano di città in città a tenere esibizioni, corsi, simultanee, ecc.
            E ciò già ben prima della rivoluzione di ottobre del 1917, e i più forti giocatori russi erano rinomati fin dalla seconda metà dell’’800. Chigorin, Alapin, Levitzky, Ashkarin, Iljn Zhenevsky (che fu un fiero oppositore di Stalin e vittima di una delle sue “purghe”), Duz Chotimirsky, Bogoljubov (che fuggì anche lui dall’URSS, e visse nella Germania Ovest), Znovsko Borovsky (anche lui scappato dall’URSS dopo la rivoluzione e rifugiato a Parigi), Kieseritsky, Grigorjev (il grande finalista, che venne picchiato dalla polizia staliniana, e morì poco tempo dopo), e molti altri maestri russi a livello di GM, primo tra tutti il grande Alekhine, non avevano nulla a che fare con il sistema sovietico, che detestavano di tutto cuore. Alekhine scappò quasi subito anche lui dal “paradiso sovietico” e si rifugiò in Francia.
            A parte il fatto che l’URSS cominciò ad avere il suo primo campione del mondo solo nel 1948, più di 30 anni dopo la rivoluzione russa. E se vediamo come Botvinnik ottenne quel titolo, e gli intrallazzi che fece anche in seguito per mantenerlo, ci sarebbe molto da dire al riguardo.
            Quindi il sistema sovietico non dimostrò proprio alcuna “superiorità” didattica od organizzativa! L’unica “superiorità” fu negli imbrogli e negli intrallazzi, vedi Curacao 1962.
            Per i russi gli scacchi erano già uno sport nazionale fin dai primi dell’’800, così come per l’Italia e il Brasile il calcio è lo sport nazionale da più di un secolo, per gli americani e i cubani lo sono il baseball, per i cinesi lo è il ping-pong.
            2) Anche dal punto di vista culturale, se andiamo a vedere quali sarebbero stati a grandi contributi teorici della c.d. “scuola sovietica”, non ne troviamo di rilevanti.
            C’è un manuale che conosco benissimo, perché fu il primo libro di scacchi che comprai, a 13 anni: “Il centro di partita” di Piotr Romanovskij.
            Quel libro – tradotto in Italia da Porreca nel 1968 – era considerato “l’abecedario strategico su cui ha studiato la generazione scacchistica di Botvinnik,.” (Porreca)
            Ebbene, in quel libro in realtà furono pubblicate tutte partite di giocatori occidentali (Capablanca, Euwe, Marshall, Steinitz, Lasker, Reti, Tarrasch, Nimzowitsch, Andersen, Blackburne, ecc.) e di giocatori russi del periodo “pre-sovietico”: Alekhine, Duz Chotimirskij, Bogoljubov, Levitzky, Chigorin, Znosko Borovsky, Verlinsky, ecc. ecc.
            Perciò anche Botvinnik e Smyslov avevano imparato da maestri occidentali e non sovietici.
            Quindi in realtà la “scuola sovietica” non aveva insegnato proprio nulla di nuovo e di importante!
            Anche nei finali: si dice degli studi di Averbach, ma i migliori testi sui finali furono quelli di Grigorjev (anti-sovietico) e Cheron, franco-svizzero.
            Ho già detto di quella ciofeca di Kotov, e del suo inutile albero delle varianti, la sua trilogia è carta da caminetto!
            Notare che i maggiori GM realmente sovietici: Botvinnik, Smyslov e Karpov, non pubblicarono mai alcun lavoro teorico o manuale. Si limitarono a pubblicare raccolte delle loro partite, ma come detto i contributi migliori e realmente importanti vennero da giocatori anti-sovietici, come i lettoni Blumenfeld e Koblentz.
            A parte il fatto che non ha alcun senso parlare di “scuola scacchistica sovietica”, perché ha senso parlare di una scuola là dove vi sono principi uniformi condivisi dagli aderenti, ad esempio la scuola stilnovista in letteratura, o la scuola di Francoforte in sociologia, dove c’erano Horkheimer, Marcuse, Adorno, Habermas ed altri che condividevano gli stessi valori di critica della società occidentale e allo stesso tempo del totalitarismo sovietico.
            Ma se guardi ai campioni del mondo sovietici, trovi giocatori diversissimi: Petrosian era armeno e si era formato con “Il mio sistema “ di Nimzowitsch (anche Nimzowitsch era fieramente anti-sovietico), Tal era maturato ispirato dai giocatori d’attacco lettoni, Spassky era anti-sovietico fino al midollo (ammise di essere per ragioni familiari cosacco, e quindi zarista), Kasparov era azero – e quindi alla periferia dell’URSS – e anche lui anti-sovietico.
            Bronstejn – che meritava il titolo mondiale e venne boicottato da Stalin e Botvinnik perché non potevano permettere che uno ebreo e con lo stesso cognome di Trotskij diventasse campione del mondo – era anti-sovietico, e dopo che rifiutò di firmare la lettera contro Korchnoi, quando scappò in occidente nel 1976, gli tolsero il passaporto per 13 anni!
            Poi c’erano altri top GM come Keres, che era estone e odiava i sovietici che gli avevano invaso la patria. Dicono che abbia perduto apposta le 4 partite contro Botvinnik al pentagonale del 1948 – regalandogli la certezza di diventare campione del mondo evitando che Reshevsky potesse vincerlo – perché Botvinnik lo aveva salvato dalla deportazione quando l’Estonia era diventata sovietica, intercedendo col suo amicone Stalin, e lui “ricambiò” il favore.
            Insomma, leggiti cosa dicono di quel periodo proprio i russi che l’hanno conosciuto, e vedrai che le cose sono ben diverse da quelle che raccontava la propaganda sovietica.
            Quindi non ci fu alcuna “scuola sovietica”, ci furono molti GM che erano campioni per talento naturale e per il fatto che in Russia gli scacchi sono sempre stati diffusissimi, fin dall’’800. Così come in Italia non c’è mai stata una “scuola calcistica italiana”, ma c’è un ambiente culturale che fin da inizi del ‘900 ha fatto sì che a calcio si giocasse ovunque, negli oratori, nei campetti, ecc.
            4) Sul comunismo, riporto quello che ti ha scritto Massimiliano Orsi, condividendolo al 100%:
            “Hai detto tante di quelle stupidaggini che è impossibile risponderti.
            Dico solo che: sì, se escludiamo la guerra alla Finlandia, l’invasione dei paesi baltici, la spartizione della Polonia nel 1939, l’installazione forzata di governi fantoccio amici in tutti i paesi dell’europa orientale nel dopoguerra, l’invasione di Ungheria e Cecoslovacchia, i milioni di morti nelle purghe degli anni ’30 e decine di altre sciocchezzuole, ecco se per un attimo trascuriamo tutto questo, allora sì, l’Unione Sovietica e Giuseppe Baffone erano potenze di pace.
            Mi raccomando comunque, eh, resta sempre dalla parte delle dittature; che a te quelle piacciono, siano di destra o di sinistra.”
            E nella tua risposta scrivi:
            “Non ho simpatia per le dittature, ma bisogna ammettere che in certi casi funzionano meglio delle democrazie.”
            Quindi in sostanza HAI SIMPATIA per le dittature, la tua seconda affermazione smentisce ed elide la prima.
            E a me hai scritto:
            “anche giocatori di non primissimo livello potevano campare con un tenore di vita discreto rispetto al resto della popolazione. Tutte cose che in Occidente non c’erano.”
            Beh, in effetti le dittature funzionano molto meglio delle democrazie: basta dare il potere agli Himmler e ai Berija e loro sono bravissimi ad organizzarti tanti bei lager e gulag, dove fare crepare qualche milione di persone.
            Sul tenore di vita dei giocatori non di primissimo piano, prendo atto che per te una minoranza di servi di regime sono da privilegiare solo perché spostano 16 pezzetti di legno su una scacchiera. Una singolare opinione…Io penso invece alla fatica dei tanti poveracci che vivevano privati della libertà, nella miseria e soggetti all’arbitrio dei burocrati di partito.
            Vedo che hai tirato in ballo il Corriere della sega. Come puoi immaginare non lo leggo da anni, perché è proprio il giornale dei poteri forti e del politicamente corretto e corrotto.
            E infatti forse l’unica cosa giusta che hai scritto riguarda Putin e l’Ukraina. Perfino Kissinger aveva deplorato l’espansionismo della NATO nel Donbass, e la proclamazione di un fantoccio filo-nazista come Zelensky. Ma purtroppo quello che ti sfugge è che sia Putin che Zelensky sono due dittatori della stessa risma, e anche loro – come te – pensano che le dittature funzionino meglio delle democrazie. E infatti loro le elezioni le truccano, e gli oppositori li eliminano.
            Invece la mia cultura liberal-democratica mi porta a credere che anche la più imperfetta delle democrazie sia meglio della più perfetta delle dittature.
            Mio nonno venne perseguitato dal fascismo e dovette scappare in Svizzera perché gli avevano tolto il lavoro. Poi però i fascisti che glielo avevano tolto si erano riciclati – alla fine della guerra – nel PCI! Oh che strano!! Come Ingrao, Dario Fo, Scalfari, Napolitano, e tanti altri campioni di voltagabbanismo: “con la Spagna o con la Franza, purché se magna!” =))

            5) Non è per nulla vero che l’effetto Euwe si è esaurito in pochi anni come quello di Anand in India, e di Fischer nel mondo occidentale. L’Olanda dopo Euwe ha sempre avuto moltissimi forti giocatori e GM, nei decenni successivi: Donner, Timman, Sosonko, Enklaar, Ree, Kuijpers, Van der Wiel, ecc. ecc. e ha potuto organizzare moltissimi grandi tornei: Tata Steel, Amsterdam, Scheveningen, Leiden, ecc. ecc.
            Idem per Anand: per favore almeno non negare l’EVIDENZA: prima del 1988 e di Anand l’India non aveva un solo GM, oggi l’India è la seconda più forte nazione al mondo, dopo gli USA, con oltre 50 GM, e col campione del mondo in carica.
            Quanto a Fischer, anche qui se vuoi negare l’evidenza fai pure: prima del 1972 c’erano solo 100 GM al mondo. Dopo Fischer in 17 anni sono triplicati, e i giocatori in occidente sono DECUPLICATI. Mi spiace dirtelo, ma evidentemente non riesci a capire l’importanza dei MEDIA e dei CAMPIONI nella diffusione di qualsiasi sport.

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              Giancarlo Castiglioni 9 Gennaio 2025 at 20:40

              Sono stato tentato di risponderti solo, va bene, abbiamo opinioni diverse, ma meriti qualcosa di più.
              Sapevo benissimo che gli scacchi erano popolari in Russia anche prima della rivoluzione, ma non si può negare che dagli anni ’30 c’è stato un salto di qualità. Dubito che nella Russia zarista si insegnassero gli scacchi nelle scuole. Io intendo organizzazione e finanziamenti statali.
              Per valutare i risultati guarda le classifiche delle olimpiadi dal dopoguerra al crollo dell’URSS. Un dominio assoluto dei paesi comunisti.
              Naturalmente anche in Occidente c’erano forti giocatori, ma come numero ad alto livello non c’era paragone.
              La posizione politica dei giocatori, che fossero comunisti o anticomunisti, non mi sembra rilevante in questo ambito.
              Su democrazie e dittature sarebbe un discorso lungo che cercherò di sintetizzare.
              Io vedo il problema in una dimensione storica.
              Una democrazia è impossibile sotto ad un certo livello di sviluppo civile.
              Tutte le democrazie hanno nel loro passato una dittatura o al massimo una democrazia elitaria non rappresentativa. Noi abbiamo superato questo stadio di sviluppo, altri Stati lo stanno attraversando, diventeranno democrazie in un futuro più o meno lontano.
              Quindi non ha molto senso criticare dittature in paesi ad uno stadio di sviluppo ancora arretrato.
              Per ora non hanno alternative.
              Di solito i tentativi di impiantare una democrazia prima che i tempi siano maturi finiscono in un disastro.

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                punta arenas 10 Gennaio 2025 at 09:56

                @ Giancarlo
                Sono d’accordo con te: inutile discutere di politica in questa sede, diventerebbe un discorso lungo e noioso. Vorrei solo concentrarmi sull’altro argomento, della presunta validità della “scuola sovietica”, e degli insegnamenti degli scacchi nell’URSS, per produrre un’eccellenza scacchistica sportiva, e le vittorie ai mondiali, alle olimpiadi, nei grandi tornei internazionali. No, mi spiace, ma NESSUNA scuola o insegnamento capillare del gioco aveva prodotto quei campioni dell’URSS che dominavano la scena. E la ragione è semplice: nessuna scuola riesce a trasformare un brocco in GM e campione di scacchi!
                Poche cifre te lo possono dimostrare oltre ogni dubbio. L’URSS 60 anni dopo la rivoluzione d’ottobre (1917) aveva circa 30 GM, su una popolazione di oltre 200 milioni di persone, quindi un GM ogni 6-7 milioni di abitanti, e nonostante gli insegnamenti degli scacchi nelle scuole dei pionieri, alle elementari, ecc.
                Quindi è evidente che solo pochissimi, tra tanti milioni, diventavano campioni e GM, perché per diventarlo devi VINCERE MOLTE PARTITE. Quindi è chiaro che più si sale nei valori sportivi più è necessario AVERE TALENTO. E’ una piramide, alla base trovi milioni di semplici dilettanti , al vertice solo POCHISSIMI GM E CAMPIONI. Perché se uno non ha talento può seguire tutti i corsi che vuole, leggere tutti i manuali, prendersi istruttori, giocare un’infinità di tornei, ma arriverà ad un certo punto e poi non progredirà più. Le partite non le vinci se non hai talento.
                Chi ha talento invece vince i tornei, e già da adolescente sale rapidamente nelle graduatorie e raggiunge livelli d’eccellenza.
                Le scuole e le università servono per fornire una formazione professionale in varie discipline: medicina, ingegneria, diritto, economia, ecc. Ma lì si tratta di studiare, imparare dei concetti, superare degli esami, e ottenere la padronanza di una disciplina per poi potere esercitare una professione.
                Ma negli scacchi DEVI BATTERE ALTRI AVVERSARI, e solo pochissimi riescono a vincere molto ad alti livelli.
                Nella Russia prima del 1917, e nell’URSS dopo, la differenza rispetto all’Occidente era che gli scacchi sono sempre stati un gioco diffusissimo, per ragioni culturali. Quindi se milioni di persone giocavano a scacchi, poi era più facile che tra loro emergessero i pochissimi talenti. Ma nessuna scuola riesce a produrre un grande TALENTO SPORTIVO.
                Come mai la Cina vince sempre nel ping-pong? Perché per ragioni culturali ai cinesi piace giocare a ping-pong, c’è un tavolo da ping-pong ogni 7 abitanti. Quindi tra i tantissimi che giocano è più facile selezionare i pochi campioni che vincono mondiali e olimpiadi.
                Come mai l’Italia ha vinto 4 mondiali di calcio, e la Russia o gli USA nessuno, anche se sono molto più grandi?
                Perché in Italia per ragioni culturali tutti giocano a pallone: negli oratori, nei campetti, nei cortili,, e tra i milioni che giocano è più facile trovare i pochissimi grandi talenti naturali: Piola, Meazza, Mazzola, Rivera, Totti, Del Piero, ecc.
                Idem il Brasile: i ragazzini brasiliani giocano tutti a pallone, e tra milioni poi selezionano i Pelé, i Ronaldo, i Garrincha, ecc. , i talenti naturali.
                Nessuna scuola produce il TALENTO NATURALE.
                Capablanca era venuto fuori da qualche scuola cubana? No, era un talento naturale.
                Alekhine era venuto fuori da qualche scuola russa? No, era un talento naturale
                Fischer è venuto fuori da qualche scuola americana? No, era un talento naturale
                Lasker era venuto fuori da qualche scuola tedesca? No, era un talento naturale.
                Quindi in effetti il problema non è politico: comunismo o non comunismo, il fatto è che in Russia avrebbero avuto ugualmente molti fortissimi giocatori, perché gli scacchi sono lo sport nazionale, e i campioni là vengono fuori sia che governi lo zar, o Stalin, o Putin, o chi vuoi tu. Dopo che il comunismo è finito nel 1991, la Russia ha continuato a sfornare GM e campioni.

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                  Giancarlo Castiglioni 10 Gennaio 2025 at 10:19

                  Non capisco perché per te quel che vale per il ping pong in Cina non vale per gli scacchi in Russia. Certo che per diventare GM ci vogliono talenti, ma se tutti cominciano a giocare i talenti li trovi.
                  Io non ho mai parlato di scuola sovietica, ho parlato di finanziamenti statali e organizzazione.

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                    punta arenas 10 Gennaio 2025 at 10:59

                    Ma nè il ping-pong in Cina, né gli scacchi in Russia vengono più finanziati dallo stato. Dopo il 1992 e la fine dell’assistenza di stato agli scacchi, in Russia sono venuti fuori 364 GM. Fino al 1975 erano solo 30. Oggi in Russia ci sono 10 volte più GM che non ai tempi del comunismo e dell’assistenzialismo statale allo sport. Quindi i finanziamenti statali non servono proprio a nulla! Tutti cominciano a giocare se uno sport piace alla popolazione. In Italia piace il calcio e tutti lo giocano. Ma lo stato non ha mai aiutato Piola, Meazza, Mazzola, Rivera, ecc. a giocare a pallone e a diventare campioni.

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                    punta arenas 10 Gennaio 2025 at 16:25

                    “Non chiedetevi ciò che lo stato può fare per gli scacchisti. Chiedetevi cosa possono fare gli scacchisti per lo stato pietoso degli scacchi in Italia” (John F. Kennedy). ;)

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    Ugo Russo 8 Gennaio 2025 at 11:49

    Comunque il “rosicone” è sicuramente più largo di manica in questo caso :o

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    Martin 8 Gennaio 2025 at 21:07

    Scusate se intervengo nell’interessante dibattito, ma solo per due semplici comunicazioni di servizio.
    La prima è perché sono già arrivate alcune mail in redazione reclamando a gran voce un nuovo articolo di Punta Arenas. :p
    La seconda per chiedere a Marco Magni di mandare una foto o un’icona da associare, anche lui, ai suoi commenti come fanno i lettori più affezionati.
    Grazie a entrambi! :)

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    Giorgio Della Rocca 12 Gennaio 2025 at 18:40

    Tra i numerosi aforismi dedicati al nostro gioco, ne ho trovato uno dovuto a Robert Hübner: «Coloro che dicono di capire gli Scacchi, non capiscono nulla».

    In un’intervista rilasciata nel 1997 allo scrittore e organizzatore scacchistico Dirk Jan ten Geuzendam, il Grande Maestro tedesco sottolineava che gli Scacchi sono molto complicati, un mondo a sé, un’attività creativa del cervello la quale, tuttavia, ha pochi punti di contatto con qualsiasi altra cosa, e dichiarava di non comprendere lui stesso gran parte del gioco.
    Presumo dunque che, con la precedente affermazione “paradossale”, egli abbia voluto rimarcare il livello estremamente elevato della complessità del nostro gioco, al limite della incomprensibilità

    Nel racconto I delitti della Rue Morgue (pubblicato nel 1841), Edgar Allan Poe ha sostenuto che l’abnorme complessità del gioco degli Scacchi sarebbe comunemente scambiata per profondità, laddove la capacità riflessiva si manifesterebbe più adeguatamente nel gioco della Dama.
    Su questo punto io dissento (ma, evidentemente, sono di parte).

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    Giorgio Della Rocca 19 Gennaio 2025 at 15:40

    Un altro aforisma che fa riferimento all’estrema complessità del nostro gioco è dovuto a Garry Kasparov: «Al livello più alto, gli Scacchi sono un talento per controllare cose prive di relazione.
    È come controllare il caos
    ».

    A questo punto voglio proporre un mio aforisma, quale sintesi della mia visione del gioco.
    GLI SCACCHI: nonostante l’abnorme complessità, che comporta un’eventuale imprevedibilità,
    se ne può parlare con una certa razionalità, senza pretendere la perfetta esaustività.

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    Paolo Landi 19 Gennaio 2025 at 18:38

    Ed io provo a fornire una sintesi del tuo aforisma ancora più stringata =)) : Gli scacchi sono un gioco razionale, di una complessità inesauribile, che nessuno ha ancora spiegato fino in fondo… Che te ne pare?

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      Giorgio Della Rocca 19 Gennaio 2025 at 20:32

      Io ho posto in primo piano la complessità degli Scacchi, tu la loro razionalità.
      Ma siamo sostanzialmente d’accordo.

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        punta arenas 20 Gennaio 2025 at 07:36

        Ma la complessità degli scacchi, dal punto di vista matematico, e della teoria della computabilità, è del tutto limitata. Il problema non è quello dell’apparente enormità di partite diverse che si possono giocare (10^123), perché gran parte di quelle partite e di quelle mosse sono sbagliate.
        Il problema è che qualsiasi posizione di una partita di scacchi, su una scacchiera di 64 caselle, può essere calcolata e risolta da un computer in tempi sempre più brevi, perché la potenza di calcolo dei motori cresce, ma la scacchiera è sempre quella. E infatti nessun umano può riuscire a sconfiggere un computer di oggi, mentre negli anni fino ai ’90 l’umano ci riusciva. E tuttavia, anche la potenza di calcolo dei computer si esprime con una funzione logaritmica, quindi ormai tende ad un asintoto verso i 4000 di Elo, mentre negli anni ’60 c’era una crescita esponenziale della forza di gioco dei computer. Questo significa che anche i computers più forti – giocando tra di loro – fanno sempre più fatica a vincere, e le patte aumentano sempre più. Si arriverà al momento in cui i 5 computers più forti patteranno TUTTE le partite che giocano tra loro. E questo appunto dimostra matematicamente che la complessità degli scacchi è limitata, anche se per l’umano è molto alta.

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        punta arenas 20 Gennaio 2025 at 07:48

        I problemi di scacchi, di qualsiasi posizione su una scacchiera, fanno parte dei problemi computazionali a complessità NL, cioè fanno parte dei problemi che possono essere accettati da una macchina di Turing in uno spazio logaritmico. Quindi in realtà gli scacchi appartengono alla categoria più bassa di complessità computazionale, inferiore rispetto alle classi P, NP, Pspace, ExpSpace ed ExpSpace. La più complessa è l’ExpSpace, che nessun computer può risolvere in un tempo finito.

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          Paolo Landi 20 Gennaio 2025 at 09:08

          Fino a quando non arriveranno i computer quantistici… Si parla di 100 milioni di volte più veloci di quelli al silicio. A quel punto smetteremo tutti di giocare a scacchi? Io dico che giocare tra di noi non ci annoierá mai. Se anche quei mostri riuscissero a giocare la partita perfetta (sarà forse una patta?) quale umano potrebbe mai ricordare a memoria tutte le mosse giuste fino alla milionesima? :(

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            punta arenas 20 Gennaio 2025 at 10:45

            Come detto, anche i computer più avanzati non potranno mai superare un livello di forza attorno a 4000 punti Elo, perché pur aumentando la capacità di calcolo, la complessità del gioco è sempre la stessa: 32 pezzi su 64 caselle. Quindi a un certo punto i computers non riusciranno più a battersi tra loro, e le patteranno TUTTE. E’ un po’ come usare un supercomputer per risolvere un’operazione come 2+2. Puoi usare un supercomputer da 100 trilioni di operazioni al secondo, o una modesta calcolatrice degli anni ’60, ma la soluzione corretta te la daranno entrambi, perché la complessità del problema è bassissima. Ed anche gli scacchi sono molto complessi per un computer anni ’60, che arrivava al massimo a 1400-1500 di Elo, ma lo sono molto meno per i computer attuali, che superano i 3.000 punti Elo di forza. E infatti oggi i motori più potenti pattano tra loro oltre l’80% delle partite, mentre per i livelli inferiori a 3.000 punti le patte erano solo il 30-40%. Sicuramente per noi umani il problema si pone molto meno, perché avendo tempo limitato anche i più forti giocatori umani prima o poi sbagliano, anche se sicuramente un top-GM riesce ad evitare di perdere (vincere o pattare) molto più spesso di 40 o 50 anni fa.

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    Giorgio Della Rocca 20 Gennaio 2025 at 20:20

    Ho letto le considerazioni fatte sulle differenti classi di complessità computazionale.
    Diciamo che il mio aforisma vuol riferirsi agli Scacchi dal punto di vista del giocatore umano,
    al momento attuale
    .

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  19. avatar
    punta arenas 21 Gennaio 2025 at 07:25

    Ma anche a livello umano, gli scacchi non hanno una complessità così elevata. Oggi moltissime partite tra top GM finiscono patte, a tempo regolare, perché la teoria delle aperture ormai arriva alla 25a-30a mossa. Ma anche nel passato, c’erano giocatori come Capablanca e Fischer, che sbagliavano pochissimo. Uno studio del computer di un’università slovena o croata, alcuni anni fa, aveva stabilito che tra tutti i campioni del mondo Capablanca e Fischer erano stati i più precisi. E senza prendere proprio i campioni più forti, anche moltissimi altri giocatori spesso avevano giocato partite del tutto corrette e senza errori, e avevano trovato mosse ingegnose e brillanti. Insomma, gli scacchi – e lo dicevano proprio Capablanca e Fischer! – non sono poi così complicati. Sicuramente i computer vincono perché gli umani sbagliano per stanchezza, emotività, mancanza di tempo. Però gli scacchi fondamentalmente non sono un gioco così complicato…

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      Giorgio Della Rocca 25 Gennaio 2025 at 12:36

      Occorre osservare, però, che i concetti di complessità e complicatezza non sono proprio equivalenti, in quanto il primo riguarda l’articolazione strutturale di una cosa mentre il secondo riguarda la comprensibilità mentale di una cosa (sebbene, per estensione, complessità possa significare anche complicatezza).

      Secondo il mio aforisma, tuttavia, l’elevata complessità computazionale degli Scacchi non preclude la possibilità di affrontarli razionalmente con successo, non solamente ai livelli più alti di competenza scacchistica ma anche a livelli più bassi di tale competenza.

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