Boris Spassky è stato uno degli idoli scacchistici della mia gioventù.
Mi sono appassionato agli scacchi e ho comprato il mio primo manuale in occasione del famosissimo “match del secolo” tra il sovietico, all’epoca campione del mondo, e l’astro americano Bobby Fischer. Avevo 14 anni. Era l’epoca della guerra fredda, dei missili atomici puntati su mezzo mondo, dei satelliti spia, dei due blocchi contrapposti, della “cortina di ferro”. Essendo nato in Occidente, avrei dovuto tifare per Fischer, considerato un genio assoluto, un eroe che si batteva da solo contro l’egemonia scacchistica sovietica con tutte le sue forze.
Eppure, nel vedere Boris Spassky seduto davanti alla scacchiera con il suo stile misurato, elegante e composto, provavo un’istintiva ammirazione verso un uomo che aveva subito con grande fair play le continue provocazioni dell’americano; prima le pressanti richieste sulla borsa in palio, poi le infinite contestazioni: le luci in sala, il ronzio delle telecamere, la sedia, il pubblico da allontanare. Spassky alla fine aveva accettato di giocare la terza partita in uno sgabuzzino, pur di non far saltare per aria il match, pagando poi un duro prezzo per la sua accondiscendenza, mentre il team sovietico lo spingeva a opporsi a tutte le richieste dell’americano per vincere il match a tavolino e farlo tornare a casa con il titolo.
Compresi che la sua compostezza non era semplice distacco emotivo, ma una forma di rispetto sia per i tanti appassionati che nel mondo seguivano l’evento, sia per l’avversario, che considerava scacchista di grandissimo talento. Spassky, uomo di grande cultura e sensibilità, vedeva gli scacchi come un’arte, un’espressione dell’intelletto umano, e non come un semplice campo di battaglia ideologico.
Alla fine, come tutti sappiamo, vinse Bobby Fischer, il campione che tutti ammiravamo, ma il mondo seppe apprezzare la signorilità del suo avversario, il suo spirito sportivo da antico gentiluomo. Ebbene, oggi posso affermare che Boris Spassky ha rappresentato per me l’emblema dello sportivo e dello scacchista autentico, dell’uomo che non ha paura di accettare le sfide pur sapendo di poterle perdere, ma che se perde sa rialzarsi e ricominciare a combattere, com’è giusto fare nello sport e nella vita.
Della storia personale di Boris Spassky i libri ricordano tanti episodi: la nascita a Leningrado nel 1937, i primi anni di vita sconvolti dalla guerra, lo sfollamento a Perm, l’abbandono della famiglia da parte del padre, il ruolo educativo svolto dalla madre la quale, intuendo ben presto il suo talento, lo iscrisse all’età di 9 anni alla sezione scacchistica del Palazzo dei Pionieri di Leningrado.
Di questo primo periodo Boris, in alcune interviste, ha ricordato la povertà e la fame che tutti pativano ma anche gli insegnamenti del primo maestro Vladimir Zak, cui seguirono quelli del grande maestro Aleksander Tolush, famoso per il suo stile aggressivo e romantico. Negli anni successivi, fu un susseguirsi di successi e trionfi fino alla conquista del titolo mondiale nel 1969, quando sconfisse l’esperto Tigran Petrosian dopo un primo scontro avvenuto tre anni prima e perso con il minimo scarto (11,05 -12,05).
A differenza di Bobby Fischer, Spassky, pur amando gli scacchi, che ben presto divennero la sua professione, non ne fu mai ossessionato al punto da trascurare ogni altro aspetto e piacere della vita. Giocava a tennis e ha praticato molti sport, tra i quali l’atletica leggera (correva a vent’anni i 100 metri in 10,4 secondi, niente male per uno scacchista di professione).
Egli fu uomo di grande cultura. La sua passione per la letteratura russa, in particolare per Dostoevskij, si rifletteva anche nel suo gioco, caratterizzato da profondità strategica e capacità di analisi psicologica dell’avversario. La musica classica, invece, gli offriva un rifugio dalla tensione agonistica e lo aiutava a mantenere la calma e la concentrazione.
Famoso era il suo senso dell’umorismo che gli consentiva di sdrammatizzare anche le sconfitte più amare. Racconta il giornalista moscovita Boris Dolmatovskij che Spassky aveva un modo non convenzionale di raccontare gli eventi lontani e contemporanei, di descrivere i giocatori del suo tempo e del passato e di raccontare aneddoti coloriti e antichi proverbi mentre analizzava qualche partita o parlava ai principianti dello stile dei grandi campioni.
Una delle sue frasi preferite era: “Gli scacchi possiedono molti elementi misteriosi e non tutto è stato ancora svelato”. Degli onnipresenti computer dell’era moderna soleva dire, da artista della scacchiera, che spesso non ci erano di nessun aiuto. Ecco il suo pensiero al riguardo: “E’ arrivata l’era dei computer, che esercitano la loro influenza sull’attività analitica, sulla preparazione e sull’informazione. Oggi occorre un nuovo tipo di talento: la capacità di sintetizzare le idee. Anche qui, però, l’uomo continua a rimanere superiore.”
Alcuni lo definirono “un attore nato”, amava improvvisare come a teatro, sapeva imitare i gesti, la mimica e la parlata di colleghi scacchisti e maestri (Botvinnik era tra i suoi preferiti) ma anche di uomini politici e personaggi famosi (in particolare Lenin).
Spassky amava il nostro Paese. Giocò molti tornei in Italia: a Torino nel 1982, a Reggio Emilia nel capodanno del 1984 e del 1987, a Venezia nel 1989. Diceva che “gli italiani erano più cordiali e solari dei francesi e ciò suscitava, in risposta, un senso di vicinanza e simpatia”. Eppure, nel 1976, dopo l’interzonale di Manila, decise di trasferirsi in Francia dove aveva la residenza la moglie Marina Shcherbakova. Seguì in questa scelta le orme del grande Alexander Alekhine, così come anni dopo, nel 2000, fece un altro ex campione del mondo russo, Vladimir Kramnik.
Cosa dire del suo stile di gioco che non sia stato già scritto? Spassky è stato da molti definito un giocatore universale, capace di trovarsi a suo agio nelle posizioni chiuse o aperte. La sua capacità di adattarsi a diverse posizioni e stili di gioco lo rendeva un avversario imprevedibile e temibile. In una partita, poteva difendersi con tenacia, mentre in un’altra poteva sferrare attacchi improvvisi e sacrifici spettacolari, sorprendendo l’avversario con la sua creatività.
La teoria delle aperture e la preparazione teorica non erano il suo forte. Amava soprattutto la parte creativa degli scacchi e ciò lo accomunava a Bent Larsen, a David Bronstein e a Paul Keres (il suo idolo giovanile).
Su di lui, un noto psicologo dell’epoca, Viktor Malkin, che ne studiò lo stile e il carattere, scrisse: “La memoria operativa, che determina la capacità di calcolo delle varianti, è ben sviluppata, molto meno lo è quella a lungo termine. Boris dimentica facilmente le partite, anche quelle giocate non molto tempo prima. Ciò che in lui risulta eccezionalmente sviluppata è la memoria associativa, responsabile della ricchezza delle idee nel gioco: come dire che ricorda le idee, molto meno le mosse! La velocità delle operazioni mentali è alta ma non fenomenale come in Capablanca, Tal, Fischer, o Karpov”.
Nikolaj Krogius, psicologo e scacchista di rilievo, su di lui scrisse: “A caratterizzarlo è un atteggiamento fiducioso nei confronti delle persone; è onesto, di animo buono e si attende dall’avversario analogo comportamento. Al match con Fischer si era preparato come se si trattasse di una festa, aspettandosi un confronto tra cavalieri. L’inganno e gli intrighi erano quanto di più estraneo alla sua natura di combattente che avanza a viso aperto come Don Chisciotte”.
Di Spassky, l’ex campione del mondo Vladimir Kramnik ha detto: “Siamo stati molto insieme, abbiamo giocato per lo stesso club e ho anche avuto modo di averlo ospite a casa mia. È un uomo di profonda onestà, sincero, intelligente, assolutamente privo di doppiezza. Amo e apprezzo molto tali qualità.”
E come scacchista? Sentiamo ancora cosa ne pensa Kramnik: “Mi piace molto il suo gioco di vasto respiro. Nella sua classicità egli è simile a Smislov, ma mentre questi è uno scacchista tranquillo, Spassky ama ed è pronto allo scontro. Egli raggruppa in sé qualità di più giocatori; ricorda ad esempio Alekhine perché attribuisce grande valore al tempo, ed è anche un eccellente stratega. Osservare il suo gioco è piacevole: è di ampio respiro ed è esteso a tutta scacchiera. S’impone dappertutto, conquista spazio, preme qui e là…”
Ecco l’opinione di Garry Kasparov sull’uomo e il campione: “Boris Spassky, campione del mondo tra il 1969 e il 1972, il “dandy” sovietico, è stato uno dei più grandi talenti naturali della storia degli scacchi. Il suo comportamento indipendente ha messo in evidenza la crescente, reciproca inimicizia tra un regime in putrefazione e la nuova generazione cresciuta nell’era post-staliniana. Tuttavia, a differenza di tanti celebri connazionali, Spassky non sfruttò mai la possibilità di accumulare per sé un capitale politico, utilizzando la grande popolarità personale. Vinse semplicemente la lotta per la sua libertà, andandosene in Francia grazie al suo matrimonio.”
Per concludere, vogliamo ricordare una storica vittoria di Boris Spassky nei confronti del suo acerrimo rivale, Bobby Fischer, durante il loro confronto sulla scacchiera al torneo di Santa Monica del 1966. All’epoca, il grande Boris era all’apice della propria forza e tre anni più tardi avrebbe conquistato il titolo di campione del mondo sconfiggendo Tigran Petrosian:
Spassky riuscì ancora a prevalere sull’americano nel confronto diretto durante le olimpiadi di Siegen del 1970, prima della epica sfida in Islanda nel 1972 per il campionato del mondo:
Spassky ha sempre serbato stima ed affetto verso Bobby Fischer. Dopo la “rivincita” del match del secolo, svoltasi nell’anno 1992 nella ex Yugoslavia, Paese messo al bando dalla comunità internazionale, Fischer fu perseguito dalla giustizia americana che emise un mandato di arresto nei suoi confronti. Successivamente, nel 2004 Fischer fu arrestato all’aeroporto di Narita in Giappone e corse il rischio di scontare una lunga pena in carcere. Ebbene, in tale occasione Spassky scrisse una lettera commovente indirizzata al presidente americano George W Bush, in difesa del suo antico rivale, di cui riportiamo l’ultima parte: “Bobby ha una personalità tormentata, me ne accorsi subito: è onesto e altruista, ma assolutamente asociale. Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo. È una persona che agisce quasi sempre a proprio svantaggio. Non voglio difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è fatto così. Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non è possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l’errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby e io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera”.
Boris Spassky riteneva che la preparazione teorica, grazie anche all’apporto dei computer, avesse assunto un ruolo spropositato e che a volte, esaminando le partite dei giovani campioni, gli sembrava di assistere allo scontro non tra due menti, ma tra due biblioteche scacchistiche. Una volta disse, nel corso di un’intervista alla rivista francese Europe Echeques nel 1988: “Gli scacchisti hanno smesso di essere artisti; i tempi sono cambiati… Karpov e Kasparov, che emergono distintamente sugli altri grandi maestri internazionali, non considerano più gli scacchi un’arte! Chi è stato l’ultimo artista? Forse Bent Larsen”.
Lasciaci dissentire per una volta da un tuo giudizio, Boris. L’ultimo grande artista della scacchiera sei stato proprio tu! Un artista che sapeva trasformare le più belle partite in opere d’arte, espressione di genio creativo e profonda comprensione del gioco. Un’epoca che, con te, sembra essersi definitivamente conclusa.
Semplicemente bellissimo…
Bellissimo ricordo di uno dei miei eroi di gioventù.
L’ennesima chicca di questo sito che è da tanti anni un riferimento di storia e di cultura nel panorama scacchistico italiano. Davvero bravi.
Grazie Paolo per questo bell’articolo, e ricordo di un grande giocatore e uomo. E grazie anche a Martin per l’altro articolo. Credo però che Spassky non si ritenesse realmente un “artista”, perché ricordo che quando gli chiesero cos’erano per lui gli scacchi, disse semplicemente: “uno sport”. Piuttosto, personalmente ritengo che l’ultimo vero artista della scacchiera (e anche lui si definiva tale!) sia stato Mikhail Tal, l’unico grande campione che cercava sempre di vincere con mosse e combinazioni da “premio di bellezza”. Invece sicuramente condivido al 100% la tua riflessione sulla signorilità e sul fair play di Spassky. In effetti lui era un vero sportivo, e non avrebbe mai accettato di approfittare del regolamento, rifiutando di giocare quella 3a partita nello sgabuzzino, e facendo saltare il match, vincendolo a forfeit. Spassky voleva giocare, e generosamente accettò quella richiesta di Fischer, pur di tenere in piedi il match. Se avesse rifiutato avrebbe vinto il match, e nessuno avrebbe potuto dire che Fischer era il più forte, dopo le due ulteriori sconfitte nelle prime due partite, e dopo che Bobby non aveva mai battuto Spassky in 12 anni. Spassky venne poi criticato in patria, per essere stato troppo “debole” nei confronti di Fischer. Purtroppo non è la prima volta che un gesto generoso e signorile come quello di Spassky poi non ottiene nulla. Anch’io, nel mio piccolo, posso raccontare quello che mi accadde a Biel nel 2009. Al 2° turno giocavo nel torneo MTO contro un giocatore albanese. Dopo le prime 10 mosse, ad un certo punto gli squilla il cellulare. Lui fa una faccia sconsolata, aspettandosi che io chiamassi l’arbitro e lo facessi perdere per lo squillo del cellulare. Ma io non feci nulla, anch’io ero lì per giocare la partita, non per vincerla attaccandomi al regolamento. La partita andò aventi a lungo, ma alla fine mi era rimasto poco tempo, sbagliai e persi. A quel punto gli dissi: “amico, avrei potuto farti perdere chiamando l’arbitro ma non l’ho fatto. E’ vero, poi hai vinto tu, ma mi pare giusto che la partita FINISCA PATTA, nè tu nè io meritavamo di vincerla.” Invece il carognesco e poco sportivo avversario non volle concedere proprio nulla, e si prese il punto intero. Quello che poi mi amareggiò oltre modo fu l’odioso e burocratico commento di Mascheroni (non era lui che arbitrava a Biel), che anziché stare zitto prese anche lui le difese dell’albanese, e disse che era giusto che quella partita venisse assegnata a lui, anche se gli era squillato il cellulare, e avrebbe dovuto perdere. Ripeto, la SPORTIVITA’ e l’EQUITA’ – che evidentemente Mascheroni non considerava per nulla – avrebbe dovuto fare considerare PATTA quella partita. E per me comunque il sig. Mascheroni ha cessato di esistere come arbitro, e dopo quell’episodio non giocherei mai più in un torneo in cui arbitrasse lui.
Ti ringrazio Alberto per il tuo apprezzamento. Spassky a mio parere può essere definito artista non tanto da un punto di vista estetico, perchè, come osservi giustamente tu, non cercava colpi ad effetto o attacchi alla baionetta, ma piuttosto per il suo atteggiamento creativo davanti alla scacchiera. Era un ttaccante nato, allievo di Tolush, giocava spesso il gambetto di re (lo utilizzò anche contro Fischer a Mar del Plata nel 1960) e l’attacco Marshall della Ruy Lopez (lo adoperò anche contro Michail Tal nella finale dei Candidati del 1965), ma al tempo stesso fu uno specialista della Siciliana chiusa, della partita Spagnola, della nimzoindiana e in genere amava impostare sistemi complessi in apertura. Insomma, c’era in lui un certo spirito “romantico”, le sue partite non erano mai noiose, gli piaceva attaccare, avanzare al centro, all’occorrenza sacrificare e prediligeva nettamente il mediogioco alle aperture e ai finali.
Per quanto riguarda il tuo torneo a Biel, certo il tuo avversario non fu molto generoso, ma forse ritenne l’incidente (chiamiamolo così) definitivamente chiuso con la tua accondiscendenza. Con il senno di poi, forse avresti fatto bene a chiamare l’arbitro e chiedere il punto. Se lo sarebbe meritato.
Paolo, in quella partita a Biel io avevo fatto un ENORME FAVORE al mio avversario, evitando di chiamare l’arbitro e fargli perdere la partita già dopo un quarto d’ora, per lo squillo del suo cellulare. Se qualcuno mi fa un favore, negli scacchi o nella vita di ogni giorno, io lo RINGRAZIO e cerco di fare qualcosa per sdebitarmi. Se fosse capitato a me, e il mio avversario fosse stato indulgente, sicuramente alla fine sarei stato il primo a dirgli che non meritavo il punto pieno, ma sarebbe stato giusto dividere il punto: uno dei due meritava di perdere per lo squillo del cellulare, e l’altro meritava di perdere perché aveva perso la partita. Questa è la GIUSTIZIA vera e la SPORTIVITA’. Se invece uno è un burocrate carogna, che vuole vincere ad ogni modo, per me smette di esistere, io con certa gente non voglio avere proprio nulla a che spartire. Quando quel calciatore della Fiorentina ha avuto un malore, durante la partita con l’Inter, hanno subito sospeso la partita, e l’hanno rigiocata, non hanno detto: “chissenefrega, continuiamo a giocare!” Se un calciatore si infortuna, normalmente la squadra che ha la palla la butta fuori, e quando si riprende l’altra restituisce il favore ributtando fuori la palla. Molti anni fa un giocatore per corrispondenza gravemente malato aveva chiesto un rinvio della sua partita, e l’avversario gliel’aveva accordata, non era andato dall’arbitro a dirgli: ” il regolamento non lo prevede, e allora voglio la partita vinta!” Insomma, se io do una mano ad un avversario, non mi aspetto che poi faccia il furbo e mi prenda il braccio. Quella partita doveva finire PATTA, perché nessuno dei due giocatori aveva dimostrato di meritare la vittoria. E non è vero – come scrivi tu – che quell’albanese riteneva che l’incidente fosse definitivamente chiuso con la mia accondiscendenza. PERCHE’ SAPEVA BENISSIMO CHE MERITAVA DI PERDERE, MA IO AVEVO CHIUSO UN OCCHIO. Quindi la grave violazione del regolamento c’era stata e non era stata affatto cancellata, e se quello era talmente carogna da ripagare un grosso favore con una carognata, allora io con gente così non voglio più avere nulla a che fare. I burocrati, i furbastri e le carogne mi stanno sulle palle! E se fossi stato io l’arbitro – a differenza di Mascheroni, persona che non sopporto – avrei salomonicamente dato la patta.
Scusami, Alberto, ma perchè non hai protestato quando la partita è terminata e lui ti ha rifiutato la patta? Non potevi chiamare l’arbitro se, come tu dici, la violazione del regolamento non era stata cancellata? Non capisco… E poi una bella figura davanti a tutti se la meritava…
Paolo, la questione è tutt’altro che chiara, perché poi mi hanno detto che – secondo il regolamento – l’avversario dovrebbe segnalare subito, e non al termine della partita, che il cellulare dell’avversario aveva squillato. E tuttavia, ad essere precisi il regolamento vieta anche di tenere in tasca un cellulare spento. Quando uno entra in sala torneo, o non ha il cellulare (o lo smartphone), oppure se ce l’ha lo deve consegnare agli arbitri, ma NON PUO’ TENERSELO IN TASCA SPENTO. Quindi il mio avversario comunque si era tenuto in tasca il cellulare spento (dopo che aveva squillato), e alla fine avrei potuto chiedere addirittura che gli fosse data PARTITA PERSA, visto che lui aveva rifiutato la mia proposta bonaria di patta, ma era ancora in situazione irregolare. Però non sono stato lì a cavillare su una cosa o l’altra, ero troppo arrabbiato per il comportamento anti-sportivo e carognesco di quel tizio. E mi aveva dato enormemente fastidio, qualche giorno dopo, il fatto che Mascheroni avesse detto che era assurdo che non avessi protestato subito, e avevano fatto bene a dare la vittoria a quello là. Mascheroni avrebbe fatto bene a stare zitto, proprio perché non aveva considerato che quell’albanese comunque si era tenuto in tasca il cellulare per tutta la partita, e NON POTEVA FARLO. Ma questo è uno dei motivi per cui a me Mascheroni come arbitro non è mai piaciuto, a differenza del compianto Bombelli, che era preparato, riservato, imparziale.
Concordo sul fatto che avesse un obbligo morale (obbligazione naturale diremmo noi giuristi
) non coercibile. Anche io non avrei protestato al termine della partita per il cellulare spento portato nell’area di gioco, meglio lanciargli uno sguardo sdegnato a quel punto e andare via.
Ciao Paolo ,
apprendo adesso che sei un giurista . Vorrei discutere con te
del diritto . Possiamo scriverci in privato ?
La mia mail e’ karersee2000@yahoo.it
Posso capire benissimo come tu ti sia sentito. A me è successo un paio di volte di aver atteso il mio avversario prima di fare partire il tempo, in tornei rapidi, nonostante l’arbitro avesse già dato il via al turno e poi di esser stato ignobilmente ‘flaggato’ quando invece la mia bandierina è caduta.
Ma la cosa più squallida mi è capitata quando una volta, tanti anni fa, all’epoca dei primi telefonini, lo stavo spegnendo, senza aver ancora giocato una mossa e il telefono ha fatto un beep. Il mio avversario si è alzato come morso da una tarantola velenosissima per andare a cercare l’arbitro e darmi partita persa.
In effetti all’epoca dei primi telefonini gli arbitri avrebbero dovuto essere più elastici, perché a differenza degli smartphone non potevano essere usati per analizzare le partite, e vincere col cheating. Quindi si sarebbe potuto dare all’arbitro il potere di valutare caso per caso, ed eventualmente dare partita persa solo al giocatore che lo faceva squillare più volte, senza spegnerlo mai durante la partita. Il caso che hai esposto tu dimostra anche quanto il tuo avversario fosse antisportivo e squallido, e non era il solo. Attaccarsi al trillo di un cellulare per cercare di vincere una partita dimostra che quel giocatore non era venuto lì per giocare a scacchi, era lì solo per avere un punto, in qualsiasi modo. Uno così era e sarà sempre un cane della scacchiera, absit iniuria verbis verso il miglior amico dell’uomo.
Scusate l’intrusione, solo per dire a tutti gli amici che ci hanno mandato un articolo da pubblicare che li stiamo finendo di impaginare. Un po’ di pazienza e pubblichiamo tutto!
Se tuttavia qualcuno ne ha uno che è in forte ritardo e che ci è sfuggito (in primis l’amico Fabio Andrea Tomba) per favore ci mandi due righe di sollecito al solito indirizzo della redazione: soloscacchi@gmail.com 

Grazie per la pazienza e scusate il ritardo
Salve a tutti , premetto che dopo aver letto “La psicologia del giocatore di scacchi” di Fine ero arrivato sd apprezzare molto Spassky . Fine chiama Spassky l antieroe,
a vantaggio di Spassky c e’ che Boris era una persona equilibrata , colta . A me poi,
sembra che anche come giocatore Spassky fosse piu’ forte di Fischer . Sara’ che il gioco di Fischer mi riesce incomprensibile . Anche il gesto di soliderieta’ verso Fischer quando Bobby era in cella , in Giappone … Mi ha colpito la descrizione del carattere di Fischer che ne da’ il suo antico avversario mi da molto da pensare . Cosa ne dite di discutere queste parole ? ” Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo.?
Forse Spassky aveva compreso il carattere di Fischer meglio di Fine avendo giocato due lunghi match contro di lui. Visto che hai letto il libro di Reuben Fine, conoscerai di sicuro la sua opinione su Fischer. In ogni caso ti rimando ad un mio articolo precedente che trovi sul nostro blog:
Non saprei cos’altro aggiungere perchè non sono uno psicologo, ma devo dire che, per quanto mi riguarda, ciò che ha fatto Bobby Fischer dal 1972 in poi, interessa fino a un certo punto. Per me rimane uno degli scacchisti più grandi di sempre, per il resto a volte è meglio dimenticare le vicende umane dei campioni dello sport.
articolo bellissimo
come tutti quelli del signor landi
Ti ringrazio molto. Diamoci pure del tu, se sei d’accordo, visto che siamo una comunità che condivide la stessa passione.