Volevo esser Boris Spassky

Scritto da:  | 1 Marzo 2025 | 16 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

“Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono.
Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali”

Bobby o Boris, tertium non datur.
Sì, si possono forse apprezzare entrambi ma per uno solo dei due abbiamo fatto il tifo, desiderato vederlo vincitore, solo uno. Steve Ovett o Sebastian Coe, Ordoñez o Dominguín, Borg o McEnroe, Lauda o Hunt, alla fine o l’uno o l’altro… E poi ci è arrivata la notizia che si presentiva potesse giungere ma che tutti si sperava non arrivasse mai… Boris ci ha lasciato… è andato lassù, a giocare la terza puntata di quella sfida che ha appassionato, da quell’ormai lontano 1972, ogni scacchista, giovane o vecchio, forte o debole… Fischer contro Spassky.
Bobby era Achille, dentro di te non potevi sapere che era lui il più forte, colui che gli avversari li schiaccia, come Merckx sulla bici, come Monzón sul ring. Ma Boris era Ettore, il perdente, eppure colui per cui ti batteva il cuore, come Gimondi sulla bici, come Benvenuti sul ring. Il predestinato a far grande l’altro, il campione per un soffio, il primo tra i secondi, il gentiluomo che si scosta di fronte alla fama di vittorie del mostro, quella fama inesauribile che niente può mai saziare. Ma noi facevamo il tifo per i pellerossa, in ogni film, sapevamo benissimo che l’Uomo Bianco sarebbe arrivato e avrebbe spazzato via tepee e villaggi, con la furia distruttiva del tornado che avanza e nulla si lascia dietro. Eppure è Boris il vincitore morale, perché uno di noi, il più forte di noi normali. Ettore contro Achille.

E’ stato il russo a permetter la vittoria dell’americano -ahimé come suonano tragicamente attuali queste affermazioni- è stato lui a rimetterlo in gioco dopo il forfait nella seconda partita, è stato lui a piegarsi alle richieste strampalate, in fatto di illuminazione, rumorosità della sala e fobie varie, è stato lui che ha concesso, come Barry a Lord Bullingdon, la chance di tornare in corsa. Bobby non sbaglia mai, non cede, non suda, non scricchiola mai, ha il carisma degli invincibili. E’ invece Boris che corruccia la fronte, che soffre, che patisce, che ha nello sguardo la malinconia di chi sa che andrà a perdere. Bobby no, lui no, lui può solo vincere, a Reykjavík come a Sveti Stefan, ma lassù chi lo sa… ciao Boris, sicuro è solo che qui giù hai lasciato qualcuno che ti ama…

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16 Commenti a Volevo esser Boris Spassky

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    Enrico Cecchelli 1 Marzo 2025 at 12:27

    Tanta tristezza….. riposi in pace. Gentleman anche nella vita. Ricordo che in occasione del divorzio dalla moglie disse “ormai eravamo diventati come due Alfieri di colore contrario”. Quale migliore definizione per la fine di un rapporto? R.i.p. Boris!

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    Paolo Landi 1 Marzo 2025 at 12:37

    Grazie Martin per questo bellissimo ricordo. Boris era come un antico cavaliere che combatteva epiche battaglie con lealtà e onore, da vero gentiluomo d’altri tempi.

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    DURRENMATT 1 Marzo 2025 at 15:49

    Spassky…l’idolo dei “liberal” occidentali.

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      Ugo Russo 1 Marzo 2025 at 16:36

      qual è invece l’idolo degli haters come te?

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    Giancarlo Castiglioni 1 Marzo 2025 at 16:55

    Anche io facevo il tifo per Spassky, anche se prevedevo che avrebbe perso.
    Facevo il tipo per l’uomo, non per il giocatore.
    Sotto questo aspetto con Fischer non c’era partita.
    Spassky aveva altri interessi oltre agli scacchi e poteva condurre una vita quasi normale, Fischer era monomaniaco, egocentrico e spesso insopportabile.
    Non gli facevo una colpa per essere così, era chiaramente infelice e solo molti anni dopo riuscì a trovare un certo equilibrio e pace interiore.

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      Landi Paolo 2 Marzo 2025 at 13:31

      Siamo proprio sicuri che contro Fischer in condizioni “normali” non ci sarebbe stata storia? Anche io lo pensavo, in fin dei conti Fischer aveva stritolato gente del calibro di Larsen, Petrosian, Tajmanov, ma se guardiamo alla seconda parte del match, mi viene qualche dubbio. Ricordo che Fischer fu sottoposto a una pressione continua e dovette sudare 7 camicie per non perdere alcune partite. Insomma, è innegabile che Spassky pagò dazio alla tensione psicologica creata da Fischer e in alcune partite iniziali commise errori madornali e fu irriconoscibile. Forse avrebbe perso lo stesso, ma il match probabilmente sarebbe stato più equilibrato, chissà, non lo sapremo mai. Certo, Fischer era un predestinato, ma Spassky, cedendo alle sue continue richieste, gli regalò un bel vantaggio psicologico.

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        punta arenas 3 Marzo 2025 at 22:58

        Probabilmente fu Fischer ad allentare la pressione nella seconda parte del match, dopo la decisiva 13a partita (la famosa e drammatica Alekhine), quando si portò in vantaggio di 3 punti. E’ evidente che Fischer aveva vinto il match nelle prime 10 partite, in cui aveva vinto ben 5 partite, ne aveva pattate 3 e persa una sola, se si esclude il forfeit della 2a, per la disputa sulle telecamere. Ora, realizzare 6 punti e mezzo su 9 partite giocate contro un campione del mondo in carica vuol dire dimostrare una superiorità schiacciante. D’altra parte anche Bill Lombardy, il suo secondo, nel suo diario scrisse che Fischer in effetti scelse deliberatamente di giocare per la patta nelle ultime 8 partite, ben sapendo che Spassky aveva tutto da perdere dovendo cercare di recuperare 3 punti di svantaggio in sole 8 partite. E infatti dopo le 7 patte dalla 14a alla 20a, alla fine Spassky venne infilzato in contropiede nella 21a, e dovette cedere la corona.
        Probabilmente dei 4 matches che lo condussero al titolo mondiale i più combattuti furono quelli con Petrosian e Taimanov, anche se i punteggi (6:0 con Taimanov, 6 e 1/2 : 2 e 1/2 con Petrosian) farebbero pensare ad una superiorità schiacciante di Fischer. Ma con Taimanov Fischer si trovò in difficoltà nella 1a e nella 3a partita. Fischer stesso ammise che in quelle 6 partite il punteggio giusto avrebbe potuto essere un 3 e 1/2: 2 e 1/2 a suo favore, vittoria di misura. Eppure Taimanov subì una débacle spaventosa, perché aveva avuto un crollo psico-fisico nei momenti decisivi: nella terza pensò ben 72 minuti, ma non riuscì a trovare la vincente 20.Dh3!, e giocò invece la perdente 20. Cf3?. Non parliamo poi dell’errore mostruoso nel finale della 2a partita 81…Re4??, in posizione stra-patta. E per finire stendiamo un velo pietoso sulla 5a partita, in cui giocò la cappella 46. Txf6?? perdendo la Torre come un principiante. Ma non si può dimenticare che anche l’aspetto psico-fisico in un match come quello fu fondamentale. Taimanov dopo le prime 3 partite perse dovette essere ricoverato in ospedale per 3 giorni, per un attacco ipertensivo. Stava male e non dormiva la notte. Ma anche il match con Petrosian a Buenos Aires fu ben più laborioso da vincere per Fischer, poiché Petrosian era in posizione molto migliore nella 1a partita, e poi vinse la 2a e stava meglio anche nella 3a. E’ vero che Fischer era un po’ indisposto, aveva un forte raffreddore, ma Petrosian lo gestì molto bene per le prime 5 partite, per poi crollare di schianto dalla 6a alla 9a. Insomma, diciamo pure che Fischer in quel periodo 1970-72 era nel pieno della sua forma psico-fisica, e non c’era partita con nessuno al mondo. La sfida con Larsen a Denver invece fu davvero a senso unico, Larsen al massimo avrebbe potuto pattare 1-2 partite, ma non fu mai in vantaggio una sola volta.
        Spassky ormai era in declino, dopo la conquista del titolo nel 1969, e lui stesso ammise che quel titolo era per lui un fardello troppo pesante da portare. Non dimentichiamo che Fischer dall’agosto 1966 (dopo la Piatigorsky Cup a Santa Monica, in cui arrivò 2°) al settembre 1972 giocò 249 partite di torneo (inclusi due tornei lampo nel 1970 e 1971) e perse solo 11 partite, cioè appena il 4,4%, vincendo TUTTI i tornei cui partecipò, realizzando la striscia impressionante delle 20 vittorie consecutive tra izt e candidati, che nessuno ha mai più eguagliato. No, in quel periodo Bobby Fischer non aveva proprio rivali al mondo. Era davvero destino che diventasse campione del mondo, perché solo lui poteva perdere quel titolo, con le sue bizzarrie. Ma quanto a gioco, Spassky aveva capito che in quel match non c’era partita.

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          Paolo Landi 4 Marzo 2025 at 10:26

          Sono convinto anch’io che Fischer fosse il più forte di tutti nel triennio ’70-’72 e Spassky, dopo la conquista del titolo, aveva iniziato lentamente una parabola discendente. Dopo tutto nel 1972 aveva 35 anni, 6 in più di Fischer, se non erro. Pensa che i campioni oggi (Carlsen incluso) a trent’anni già iniziano a mostrare segni di stanchezza psicofisica. Tuttavia, sono convinto che nella prima parte del match Spassky abbia giocato molto al di sotto delle sue possibilità. Ricordo una svista clamorosa nella quinta partita che lo costrinse all’immediato abbandono e in genere mostrò un gioco passivo e remissivo in altre partite. Fischer giocò in rimonta, era stato accontentato oltre ogni decenza, aveva il morale alle stelle. Uno Spassky più sereno gli avrebbe dato più filo da torcere, ma forse non sarebbe comunque bastato. Fischer in ogni caso ha strameritato il titolo mondiale.

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            punta arenas 5 Marzo 2025 at 07:33

            Sì, in effetti oggi l’età media dei giocatori al top delle classifiche mondiali si è molto abbassata. Oggi abbiamo un campione mondiale 18enne come Gukesh, e negli anni ’70 sarebbe stato impensabile. Negli anni ’50-’60-’70 i campioni mondiali erano quasi tutti ultra-trentenni. Fischer, Tal e Karpov erano considerati delle eccezioni. Il fenomeno dei GM di 12-13 anni era del tutto sconosciuto, poi è diventato una cosa normale. Fischer GM a 15 anni all’epoca era considerato un fatto unico. Ma anche in Italia, negli anni ’60 molti maestri lo erano diventati tra i 30-40 anni. Aggiungo una nota di colore: l’immagine del maestro di scacchi nell’immaginario collettivo era quella di un uomo maturo, magari fumatore di pipa, più sui 40-50 anni che non sui 20-30. Ricordo che nel 1975, quando avevo 14 anni, andai con mio fratello di 12 anni in una libreria per comprare un libro di scacchi, e mentre sfogliavamo il libro di Capece sulle partite di Fischer dall’izt di Palma di Maiorca alla vittoria su Spassky, la commessa – vedendo due ragazzini come noi – disse: “quello è un libro che va bene per qualche signore già esperto!” :D Anche lei aveva in mente lo stereotipo del forte giocatore di scacchi come persona matura e di mezza età. Stesso stereotipo di una signora turista nel nostro albergo al torneo di Marina Romea. Quando seppe che io e mio fratello giocavamo nel festival, si mise a ridacchiare e ad ironizzare: “Ah, ma giocate anche voi? E cosa giocate, scacchi junior?” E giù una risata alquanto stupida e scortese. :D Nella sua ignoranza anche per lei gli scacchi erano un gioco per persone “mature” e si stupiva che dei giovanissimi partecipassero a tornei. Ma quella era un po’ la mentalità di quegli anni…

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    The dark side of the moon 3 Marzo 2025 at 19:33

    Dispiace sinceramente quando se ne va una persona per bene. Spassky è stato un grande scacchista ma soprattutto un uomo che si è schermato nella sua modestia, troppo intelligente e saggio per sacrificarsi ad un mito che avrebbe spersonalizzato il suo modo speciale d’essere. Ciao campione, ora puoi giocare tranquillamente senza dover tener conto che nessuno possa costruire su di te fantasie ipocrite, evitando tutto il frutto della miseria umana colla quale gli uomini cercano di costruire “eroi” appositamente fragili per distruggerli quando occorre. Ciò che è esattamente accaduto a Fischer.

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      Paolo Landi 4 Marzo 2025 at 10:58

      Sì, Spassky ha sempre rifiutato facili etichette e detestava essere manipolato. Aveva grande stima del Fischer scacchista. Nella sesta partita, magistralmente vinta dall’americano, alla fine si unì all’applauso del pubblico, in barba al team sovietico. Era fatto così, sincero e nobile proprio come un antico cavaliere

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    Fabio Andrea Tomba 4 Marzo 2025 at 12:40

    Spassky è stato un grandissimo giocatore, sicuramente il più forte nella seconda metà degli anni ’60: non a caso, prima del match, era l’unico ancora imbattuto contro lo stesso Fischer. Ma una volta diventato Campione del Mondo la sua carica agonistica pian piano si esaurì e nel 1972, a 35 anni, senz’altro aveva già dato il meglio di sé, mentre Fischer si trovava all’apice della forma fisica e mentale. Nel 1972 si ritrovò inoltre in una situazione nella quale non avrebbe mai voluto trovarsi: mentalmente già scarico, dovette fronteggiare il giocatore più talentuoso della storia, subendo la pressione di un apparato ideologico disumano di cui mai si era sentito parte in tutta la sua carriera.
    Boris Spassky cedette a Bobby Fischer, ma solo scacchisticamente: umanamente stravinse e psicologicamente ne uscì molto meglio, anche se questo poté essere valutato solo dopo parecchio tempo. La grandezza di Spassky fu nel non avere ceduto alla pressione psicologica dei dirigenti e dei molti “commissari politici” al suo seguito, che avrebbero voluto fargli interrompere il match reclamandone la vittoria a tavolino prendendo a pretesto le grottesche provocazioni e scorrettezze di Fischer: cosa che per lui avrebbe rappresentato la scelta più facile e comoda, data l’estrema situazione di difficoltà e disagio in cui gli toccò vivere nel corso di quei due disgraziati mesi. Spassky in pratica “decise” di perdere al tavolo di gioco anziché vincere a forfait; dichiarò sempre che aveva perso perché dall’altra parte della scacchiera c’era un tizio in quel momento più forte di lui, e non per chissà quale motivo esterno. Nella circostanza diede al mondo, che pure sul momento non se ne accorse, la dimostrazione di come si potesse essere grandi anche da perdenti.
    Spassky tornò in patria caduto in disgrazia: fu progressivamente emarginato dalla sua Federazione, che mai gli perdonò l’affronto di avere ceduto il titolo mondiale degli scacchi a un americano tanto che, negli anni ’80, si vide costretto all’esilio, stabilendosi a Parigi e acquisendo passaporto francese. Nonostante questo, come persona era un grand’uomo, pratico, concreto, disincantato oltre che colto, cordiale e sportivissimo. Parlava correttamente 4 lingue ed era conteso dai circoli scacchistici di tutto il mondo, dove deliziava il pubblico con la ricchezza dei suoi aneddoti, con il suo charme (tanto che un commentatore lo definì “il Cary Grant delle 64 caselle” ) e il suo prezioso senso dell’umorismo: ricordo che durante un’intervista, alla sfacciata domanda di un giornalista: “come preferisce la donna, sulla scacchiera o a letto?”, prontamente rispose: “beh, dipende dalla posizione!”. Mitico Boris.

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      punta arenas 5 Marzo 2025 at 09:35

      Quella battuta di Spassky sulla posizione della Donna mi mancava, ed è davvero esilarante. Scommetto che se l’avesse detta oggi, subito ci sarebbero stati commenti indignati del “politically correct”: “sessista…maschilista!”. Purtroppo in questi anni è cambiato tutto, rispetto a quegli anni ’60 – ’70 e ’80, ed anche nella comunicazione in rete prevale il delirio censorio: non si può più dire questo o quello, per il rischio di dovere essere accusati o censurati. Ma anche i comici di ieri, ammettono che oggi non saprebbero cosa dire, perché qualsiasi battuta viene passata al setaccio, e non ci si può più esprimere liberamente. Oggi hanno rivalutato i b-movie di Lino Banfi e Alvaro Vitali, però loro stessi dicono che oggi quei film allegramente volgarotti non si potrebbero più girare. :(

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    Martin 4 Marzo 2025 at 13:35

    Gran bello commento, Fabio, grazie.
    Posso semplicemente aggiungere che Boris è stato uno dei nostri più fedeli lettori almeno fin quando era ancora residente a Meudon, vicino a Parigi?

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    Luca monti 4 Marzo 2025 at 18:44

    Ugo Russo ,porti il giusto rispetto verso chi la pensa diversamente da lei

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    Meinas 9 Marzo 2025 at 22:22

    Interesting documentary with Boris Spassky about 1967 Winnipeg chess tournament

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