Finali di Scacchi: quando la tecnica è la chiave del successo

Scritto da:  | 12 Aprile 2025 | 48 Commenti | Categoria: Finali, Libri, Recensioni, Teoria e Studio

Cosa succede quando in una partita a scacchi Re e pedoni diventano protagonisti? Quando ogni mossa può decidere la partita? Benvenuti nel finale, la fase più tecnica e strategica degli scacchi, dove anche un piccolo vantaggio può trasformarsi in vittoria.
Non ci credete? Provate a dare scacco matto con Re, Alfiere e Cavallo contro il solo Re. Non è affatto semplice riuscirci nelle 50 mosse regolamentari prima che sia dichiarata la patta e a volte anche i giocatori più esperti fanno fatica a coordinare i movimenti dei pezzi fino alla fine.
Iniziamo a chiarire una prima questione: quando possiamo dire che siamo entrati in un finale? Ebbene, secondo il famoso maestro e teorico Ludek Pachman occorrono tre elementi chiave per varcare la fatidica soglia: 1) Ruolo attivo del Re che esce allo scoperto per essere centralizzato, 2) Promozione dei pedoni come scopo primario per la vittoria 3) Rilevanza della strategia rispetto alla tattica, nel senso che la pianificazione del gioco e la visione globale giocano un ruolo predominante.
Lo studio dei finali ha radici antiche. Nel 1497, lo spagnolo Lucena compilò uno dei primi trattati sui finali, un’opera preziosa che gettò le basi per l’analisi strategica di questa fase cruciale del gioco. Si narra che Lucena, appassionato studioso di scacchi, avesse dedicato anni alla raccolta e all’analisi di posizioni complesse, creando un manuale che divenne un punto di riferimento per i giocatori dell’epoca.
Nel 1561, lo spagnolo Rodrigo Lopez de Segura, meglio noto come Ruy Lopez, famoso soprattutto per i suoi studi sull’apertura che porta il suo nome, pubblicò un testo sugli scacchi che includeva un centinaio di posizioni sui finali. Uomo di chiesa e confessore del Re Filippo II, applicò il suo acuto ingegno scacchistico offrendo ai suoi contemporanei una guida preziosa per affrontare le complessità di questa fase del gioco.
All’italiano Gioacchino Greco, molto famoso nel ‘600, si devono importanti studi sui finali, ma fu il francese Philidor che nel 1749 pubblicò un celebre libro sul gioco degli scacchi che conteneva importanti studi su numerosi finali. Anche il sacerdote e professore di diritto Lorenzo Ponziani fu autore nella seconda metà del ‘700 di interessanti ricerche sui finali. Molti pregevoli studi sono attribuiti nel ‘600 all’opera dell’italiano Alessandro Salvio e nel ‘700 al lavoro di Philip Stamma.
Da allora è stato un continuo proliferare di raccolte di studi e composizioni scacchistiche. Ricordiamo alcune pietre miliari: il libro di Horwitz e Kling pubblicato nel 1851 a Londra, poi quello di A. Troitsky e naturalmente il contributo del grande Grigoriev nel secolo scorso, soprattutto nel campo dei finali di pedone. Di Yuri Averbakh e delle sue fondamentali opere sui finali parleremo tra non molto.
Capita spesso tra dilettanti che le partite si concludano molto prima del finale, magari già dopo qualche svarione nella fase di apertura, ma più saliamo di livello, più la conoscenza dei finali diventa determinante. Un forte giocatore sa qual è il momento di semplificare, cioè liquidare la posizione per entrare in un finale superiore da vincere con pazienza, precisione e metodo. Ciò che in gergo scacchistico si chiama tecnica.
Di immense capacità tecniche erano dotati i più forti campioni della storia, da Capablanca ad Alekine, da Botvinnik a Fischer, da Karpov a Kasparov. Ed anche oggi è stupefacente ammirare come il numero uno al mondo, il norvegese Magnus Carlsen, riesca a conquistare una vittoria nel finale partendo da un minimo vantaggio posizionale, spesso manovrando con pazienza fino a quando l’avversario, in ristrettezze di tempo oppure sfinito dopo una lunga battaglia, non commette qualche fatale imprecisione.
Prendiamo ad esempio una partita blitz di Carlsen. In apertura, gioca in modo apparentemente tranquillo, quasi dimesso, semplifica la posizione nel mediogioco per poi trasformarsi in una macchina implacabile nel finale.
Quelli che a noi sembrano finali equilibrati, per Carlsen non lo sono affatto in quanto egli riesce a cogliere intuitivamente sottili sfumature: un alfiere superiore al cavallo, una migliore struttura pedonale, una maggioranza sul lato di donna, una torre o il Re più attivi.
L’ex campione del mondo sa dove posizionare i pedoni e i pezzi nel finale, li manovra come un pianista accarezza i tasti del pianoforte, gioca come se avesse sempre in mente una posizione da raggiungere, un vantaggio da conseguire.
Il finale è la fase della partita in cui prevale l’armonia, la collaborazione tra i (pochi) pezzi rimasti, dove il calcolo concreto delle varianti vale fino a un certo punto perché occorre soprattutto saper manovrare per migliorare pian piano la posizione.
Nel finale può accadere di tutto: basta un’imprecisione o una svista per buttare all’aria il paziente lavoro di ore sulla scacchiera e si può passare facilmente dalla vittoria alla patta o finanche alla più atroce delle sconfitte. Se non ci credete, osservate questo video e fermatevi sul primo fotogramma.
Il Nero ha una donna di vantaggio e la vittoria sembra questione di poche mosse. Eppure è in zeitnot ed è costretto a muovere rapidamente. L’avversario è un ragazzino adolescente dall’aspetto bonario che però ha escogitato un piano insidioso, forse la sua ultima chance. Egli ha una donna in f4 e tre pedoni avanzati, ma l’avversario ha già promosso e ha due donne sulla scacchiera in a1 ed h1. Dopo lo scacco Df4-f6+ egli lascia in presa l’unica donna rimastagli. Un errore clamoroso o un trucco diabolico? Scopriamolo soffermandoci sulla posizione iniziale:

Va detto che il finale di partita è la parte teorica che i dilettanti studiano meno perché non solo appare piuttosto noiosa rispetto alle meraviglie degli attacchi contro il Re alla Michail Tal o alle fini manovre in apertura o in mediogioco, ma anche perché c’è tanto da studiare e non ci sono molti testi in giro in grado di spiegare con senso pratico e capacità didattiche l’ostico argomento.
Quando da ragazzo giocavo a livello agonistico, cercavo di imparare i finali seguendo le partite commentate o leggendo qualche articolo sulle riviste allora in voga. Paradossalmente, quando ho smesso di giocare a tavolino ho cercato di colmare le mie lacune in materia acquistando qualche libro. E così, ho leggiucchiato, senza troppo entusiasmo e senza ricavarne gran costrutto, la “Guida pratica ai finali” di Beliavskij e Mikhalchisin (libro interessante, ma per nulla sistematico e basato su partite storiche commentate) il “Test sui finali” di Speelman e Livshitz e la sezione sui finali del manuale di Pachman “Apertura, mediogioco e finale nel gioco degli scacchi”.
In commercio oggi esistono anche libri completi ed esaustivi sui finali come il “Manuale” di Dvoretsky, un “mattone” di oltre 500 pagine che tuttavia non ho mai avuto il coraggio di acquistare, consapevole che avrebbe fatto la fine dei precedenti volumi, in bella mostra nella mia vasta collezione di libri scacchistici.
Tuttavia, una decina di anni fa, da semplice appassionato, acquistai un manualetto scritto da Yuri Averbakh di cui conoscevo la fama di famoso giocatore, compositore di studi e grande esperto in materia. Fui attratto dal titolo interessante, “Cosa bisogna sapere sui finali. I finali essenziali per tutti i giocatori” e (lo ammetto) anche dal prezzo accessibile rispetto ai libroni ai quali ho accennato in precedenza. Stavo cercando un agile manuale (il testo supera di poco le 100 pagine) che riuscisse a spiegare, senza riportare una serie lunghissima di mosse, le manovre essenziali e le regole basilari dei principali finali.
Averbakh distingue anzitutto i finali “teorici” da tutti gli altri. I primi, conosciuti da tempo immemorabile, si concludono con il matto al Re avversario e vengono studiati dai principianti per comprendere i movimenti dei pezzi e il loro effettivo valore. Gli altri, molto più teorizzati, hanno quale scopo l’avanzamento dei pedoni e la loro promozione in modo da poter raggiungere l’obiettivo ultimo del gioco e cioè lo scacco matto.
Avendo abbandonato da tanto tempo gli scacchi agonistici, ovviamente non ho studiato a fondo questo breve manuale, ma l’ho sfogliato con interesse osservando i numerosi diagrammi e cercando di comprendere i principi generali che disciplinano la teoria dei finali. E devo dire che quest’opera, pur nella sua incompletezza e schematicità, riesce pienamente nel suo intento.


Averbakh ci spiega, ad esempio, perché nei finali di torre è più importante l’attività dei pezzi rispetto al vantaggio di un pedone, illustra come valorizzare un pedone passato e lontano, come sfruttare il vantaggio dell’Alfiere “buono” o come valorizzare in certe situazioni la superiorità dell’Alfiere “dominante” sul Cavallo e così via.
Lo studio pratico dei finali dimostra che è facilissimo commettere errori anche gravi (sì, anche i G.M. sbagliano più spesso di quanto si creda) e che non esistono finali facili da vincere se chi difende ha esperienza e una buona conoscenza pratica della materia. Un forte maestro potrà anche cadere in posizione inferiore nel centro di partita o subire un attacco insidioso contro un giocatore più debole, ma se riesce a difendersi con attenzione sarà in grado nel finale di partita di pareggiare o di prevalere sull’avversario meno esperto grazie alla sua tecnica e alla superiore visione strategica.

Per comprendere l’enorme complessità dei finali di partita è sufficiente studiare con attenzione la storica sfida tra l’allora campione del Mondo Michail Botvinnik, all’epoca cinquantunenne, e l’astro nascente Bobby Fischer, appena diciannovenne, giocata alle Olimpiadi di Varna nel 1962 e minuziosamente commentata dal campione americano nelle “60 partite da ricordare”, il suo libro più famoso.
In questo video trovate l’intera partita:

Era il primo confronto negli anni della “guerra fredda” tra il “Patriarca” sovietico e il genio statunitense e i riflettori erano tutti puntati su di loro. Una sconfitta di Botvinnik avrebbe rappresentato un vero smacco per la squadra sovietica, all’epoca dominante.
Nel corso della drammatica partita, Fischer giocò meglio e aveva in mano la vittoria (lo confermano anche i motori di oggi) ma commise delle imprecisioni. Una volta aggiornata la partita alla quarantacinquesima mossa, Botvinnik, assieme al suo team stellare, riuscì nel corso delle analisi notturne a trovare, grazie a un’intuizione di Evfim Geller, la difficile strada per pattare il complicato finale di torri. Fischer cercò nel suo libro di demolire le analisi di Botvinnik per sostenere che, giocando le mosse corrette, sarebbe riuscito a vincere, ma devo dire che alla fine della sua lunghissima disamina (che termina con 64…Bb3+ e poi 67…Ra2) i motori gli danno torto (caso raro perché Fischer era molto accurato nell’analizzare le posizioni più critiche) in quanto non trovano alcun modo per forzare la vittoria, con una “serie di scacchi che devono condurre il Nero o al matto o a un decisivo guadagno di materiale”, come sosteneva Fischer.
Se ci fidiamo dei motori di oggi (fortissimi anche nei finali rispetto a una ventina di anni fa) dobbiamo ammettere che il grande Bobby si era fatto prendere dalla foga antisovietica e aveva affermato apoditticamente la sua tesi senza dimostrarla. Semplicemente, non voleva darla vinta a Botvinnik, il quale aveva affermato in pubblico che, dopo la sospensione della partita, il risultato di parità era inevitabile (“Nichia”). In conclusione, entrambi i contendenti furono d’accordo che avevano commesso troppi errori, davvero tanti per due campioni di tale classe, a dimostrazione del fatto che nei finali è facilissimo sbagliare strada.
Ricordiamoci poi che anche nei finali più critici ci sono incredibili risorse a disposizione della parte più debole se riesce a mantenere la calma e a non mollare troppo presto.
Nel caso che segue, per certi versi esilarante, che ho scovato curiosando su YouTube, vediamo il grande Magnus Carlsen, nel corso del campionato del mondo a squadre del 2024, alle prese con un ragazzino sconosciuto (Nurassyl Primbetov ELO 1900, ma tenace e per nulla intimorito dalla statura scacchistica del suo avversario) il quale cerca di farlo cadere, nel corso di un finale per lui senza speranze, in una disperata trappola che forse gli era riuscita parecchie volte giocando con i suoi coetanei.
Notate alla fine le espressioni di Carlsen e del suo compagno di squadra, Ian Nepomniachtchi, sorpresi e ammirati dalla “faccia tosta” sfoggiata dal ragazzo contro il N° 1 al mondo. Noterete che al minuto 9,50 Nurassyl offre una Torre avvelenata al campione e lo guarda di sottecchi mentre Carlsen imperturbabile non se ne cura minimamente…

Vorrei concludere con un ricordo di Yuri Averbakh, leggendario scacchista e didatta, il quale, con i suoi studi approfonditi sui finali, ci ha lasciato una preziosa eredità.
Secondo Averbakh giocare bene il finale significa rendere attive al massimo le proprie forze in campo e stabilire fra di esse la migliore collaborazione possibile. I finali sono stati studiati a fondo e la loro conoscenza è determinante. Non basta in questa fase del gioco, secondo Averbakh, avere talento e fantasia, ma occorre conoscere i piani di gioco che portano alla vittoria o alla patta. E una buona tecnica nello sfruttamento del vantaggio è il vero segno distintivo del forte giocatore.
Yuri Averbakh è stato un grande scacchista, teorico, allenatore, arbitro, scrittore e dirigente della FIDE. È morto ultracentenario nel maggio del 2022.Nel suo libro c’è una nota biografica in cui egli ci racconta gli inizi incerti come giocatore, il suo ultimo posto al campionato assoluto di Mosca del 1939 dove, appena diciassettenne, preso dall’emozione (“persi la testa”, ammette), terminò ultimo collezionando 7 sconfitte di fila. Ma egli seppe assorbire le dure batoste e non mollò.
Averbakh era preso tra due fuochi, l’amore per gli scacchi e gli studi di ingegneria. Cercò di barcamenarsi tra i due impegni fino a quando, alla fine degli anni ’40, giunto innanzi a un bivio, dopo aver raggiunto il titolo di Maestro e aver ottenuto nel contempo un importante incarico professionale, scelse, per nostra fortuna, di dedicarsi a tempo pieno agli scacchi. Conseguì nel giro di pochi anni il titolo di grande maestro, partecipò a importanti tornei internazionali con ottimi risultati e si dedicò allo studio approfondito dei finali. Allievo del grande Grigoriev (famoso per i suoi studi artistici che tutti conosciamo) mise su un team di studiosi e pubblicò delle opere che ancora oggi possono considerarsi delle pietre miliari nello studio dei finali.
Vorrei riportare alcune sue considerazioni che mi hanno molto colpito e che ci fanno capire la sua grande passione scacchistica. Scrive Averbakh: “Quando Grigoriev spiegava i suoi studi di pedone, muovendo i pezzi sulla scacchiera murale con le sue sottili e artistiche dita, io sentivo, più che capivo, la grande profondità e bellezza degli scacchi, osservando come questi piccoli pezzi di legno rispecchiassero il pensiero spirituale umano, e come, al pari di veri attori, inscenassero spettacoli meravigliosi, capaci di toccare la parte più sensibile dell’animo umano. Era la percezione degli scacchi come Arte che mi conquistò completamente.”
Infine, vorrei mostrare un esempio concreto che, meglio di ogni spiegazione, illustra la difficoltà di gestire un finale (apparentemente semplice) anche ad altissimo livello.
Sono di fronte, in un importante recente torneo rapid, il grande Magnus Carlsen (a mio avviso il più grande finalista della storia scacchistica) e Shakhriyar Mamedyarov (Super G.M. over 2700 che in passato ha raggiunto i 2820 punti ELO). Ebbene, dopo un mediogioco abbastanza tranquillo i due contendenti finiscono in un finale di torri (R, T e due pedoni contro R, T e pedone) che sembra destinato alla patta (il pedone “f”, dicono i manuali, nei finali di Torre raramente porta alla vittoria). Eppure basta un attimo di distrazione…

Il finale vero e proprio inizia attorno al minuto 8 e diventa palpitante nell’ultima fase di gioco. Chissà quante volte Mamedyarov avrà studiato questo finale di Torre eppure, invece di tenere la Torre Nera in modo da poter dare gli scacchi laterali al Re Bianco e così pattare facilmente, la porta sulla colonna “h” consentendo alla Torre avversaria e al Re di agire in sincrono e attuare la manovra finale che porta alla promozione.
L’espressione del viso di Mamedyarov quando si rende conto che i conti non tornano è molto significativa.
Per chi fosse interessato alle curiosità scacchistiche dei finali, ricordo anche questo interessante articolo sulla soluzione del cosiddetto enigma di Duchamp scritto da Fabio Andrea Tomba.
A proposito di Duchamp, genio dell’arte moderna e degli scacchi, per chi volesse approfondire la storia e le vicende di questo straordinario personaggio, ho scritto anch’io tempo fa un articoletto che trovate qui.
Sempre sul nostro blog.

avatar Scritto da: Paolo Landi (Qui gli altri suoi articoli)


48 Commenti a Finali di Scacchi: quando la tecnica è la chiave del successo

  1. avatar
    Martin 12 Aprile 2025 at 09:33

    Grazie, Paolo, per questo ennesimo lavoro superlativo che arricchisce ulteriormente di qualità il nostro amato blog. ;)

    • avatar
      Paolo Landi 12 Aprile 2025 at 11:17

      Grazie a te per il lavoro di impaginazione e la ricerca (come al solito) della migliore veste grafica!

  2. avatar
    Martin 12 Aprile 2025 at 10:54

    A proposito di quello scontro memorabile tra Botvinnik e Fischer vorrei anche segnalare questo interessantissimo articolo apparso su un altro bel blog.

    Mi piace 1
  3. avatar
    Uomo delle valli 12 Aprile 2025 at 11:26

    un altro capolavoro del signor landi
    grazie

  4. avatar
    Luca Monti 12 Aprile 2025 at 13:15

    Complimenti all’autore sempre presente. Segnalo come questo lavoro ha un suo quasi primato. Infatti è raro che il primo commento non sia di Uomo delle valli.

    Mi piace 1
    • avatar
      Paolo Landi 12 Aprile 2025 at 13:20

      Valli e Monti, ma internet arriva nelle zone di mare? =)) :p

      Mi piace 2
  5. avatar
    DURRENMATT 12 Aprile 2025 at 16:34

    Averbach aveva capito tutto sui finali.

  6. avatar
    Filologo 12 Aprile 2025 at 19:07

    Alla collezione di libri sui finali andrebbero aggiunti almeno ancora il classico Basic Chess Endings di Fine e il Manuale di Silman, che ha la particolarità per cui la conoscenza dei finali viene raggruppata non per temi simili, ma per competenze acquisite per punteggio Elo.
    Sul gioiellino di Averbakh aggiungo che, quando Boris Zlotnik prese Fabiano Caruana come allievo in Spagna, gli diede questo libro da studiare. Caruana però non doveva apprendere i procedimenti insegnati da Averbakh, ma, a partire dai diagrammi del libro, doveva riscoprire la teoria, analizzando le posizioni senza alcun aiuto.

    Mi piace 1
  7. avatar
    Martin 12 Aprile 2025 at 19:55

    Se mi è permesso aggiungere un modestissimo parere, e poi mi taccio per tema di esser asccusato di saccenza nonché di invadenza, vorrei solo aggiungere alcune considerazioni a quelle, preziosissime di Paolo, in primis, e anche degli altri Lettori.
    I testi citati sono tutti decisamente validi, quale più quale meno (li posseggo immeritatamente tutti). La differenza spesso sta tutta nell’impegno che chi li studia vi applica, come anche il caro amico Filologo, nel suo illuminato commento, lascia intendere.
    Se tuttavia fossi costretto a sceglierne uno e non più di uno non avrei dubbi, si tratta del Batsford Chess Endings scritto ormai quasi una trentina di anni orsono da Jon Tisdall, Bob Wade e Jon Speelman ed edito in Italia da Prismascacchi. E’ un volume ponderoso, la cui semplice lettura richiede mesi, se non anni, di indefessa dedizione ma l’assorbimento di tecniche, nozioni, manovre e idee e principii da applicare è illustrato con metodo eccellente. A mio modo di vedere meglio di tutti gli altri manuali.
    Di passaggio, per quanti hanno un seppur minima conoscenza dell’inglese suggerisco l’edizione originale per il semplice motivo di una più chiara impaginazione editoriale che ne facilita la lettura. Questo detto senza sminuire la veste editoriale dell’edizione italiana.

    Sul secondo gradino di questo podio ideale dei testi dedicati sui finali citerei lo stupendo Understanding Chess Endgames di John Nunn che ha dalla sua il dono rarissimo della sintesi (in questo pari a lui il solo trattato di Averbakh citato da Paolo), ecco direi che il Nunn è un Averbakh arricchito e più completo.

    Menzione d’onore al celeberrimo Practical Chess Endings di Paul Keres di cui già abbiamo in passato tessuto le lodi sul nostro sito. L’impronta del grande campione traspare tutta in quest’opera, unici possibili difetti alcuni lievi refusi analitici dovuti probabilmente al fatto che si tratta di un lavoro ricavato da una serie di seminari e lezioni monografiche e solo in seguito accorpate insieme, inevitabile quindi una certa discontinuità di profondità. Ma per esempio l’analisi e la spiegazione di alcune celebri posizioni sui finali di Alfiere composte da Centurini non l’ho trovate così magistralmente esposte in nessun altro trattato.
    Purtroppo non all’altezza, e per traduzione e per maneggevolezza di lettura, l’edizione italiana curata da Mursia.

    Mi piace 2
    • avatar
      Paolo Landi 12 Aprile 2025 at 20:07

      Magnifico! Mi sembra giusto arricchire il contributo bibliografico a beneficio di chi desidera approfondire l’argomento. Io ho tanti libri scacchistici di carattere generalista e monografici sulle aperture, ma pochissimi sui finali poichè ho sempre trovato l’argomento per me molto ostico.

      Mi piace 1
  8. avatar
    Paolo Landi 12 Aprile 2025 at 20:02

    Chissà come avrà fatto Carlsen a diventare così bravo nei finali… :)
    Quanto a Silman è un autore davvero molto originale. Non ho il suo libro sui finali, ma penso che sia molto istruttivo.

    Mi piace 1
    • avatar
      Massimiliano Orsi 15 Aprile 2025 at 11:56

      Su Youtube c’è questo filmato di una decina di anni con Carlsen e Fressinet che giocano lampo durante una sessione di allenamento preparatorio per qualche match mondiale (non ricordo quale). Accanto a Carlsen fa bella vista il libro “Fundamental Chess Endings” di Karsten Müller

  9. avatar
    punta arenas 13 Aprile 2025 at 07:34

    Mi spiace dovere rilevare in questo articolo una grossa omissione: non c’è il minimo accenno al bellissimo manuale di Enrico Paoli, “Il finale negli scacchi, Studio sistematico.” L’omissione è ancor più grave, se si considera che il testo di Paoli è stato – e credo sia ancora – L’UNICO libro davvero completo sui finali di un autore italiano, e la prima edizione era del 1974, e venne poi riveduta ed integrata da ulteriori analisi, negli anni successivi. Il libro di Paoli è di 503 pagine, e non ha davvero nulla da invidiare ai manuali stranieri qui citati. Particolarmente notevoli, nel libro, sono i capitoli dedicati ai finali di Torre, Torre e pedoni, Torre contro forze varie. Si tratta dei finali più comuni e frequenti in partita, e Paoli li ha trattati davvero egregiamente.
    Paoli è sempre stato uno dei massimi esperti di finali a livello mondiale, quindi mi è sembrato del tutto ingeneroso non averlo citato, e non avere ricordato il suo grande contributo di decenni allo studio dei finali. A quanto vedo la Mursia continua a pubblicare nuove edizioni del libro di Paoli, ed è la dimostrazione che è ancora un testo molto venduto ed apprezzato da tanti giocatori.

    Mi piace 1
    • avatar
      Martin 13 Aprile 2025 at 10:23

      ciao Alberto, per prima cosa ti volevo ringraziare per esser tornato ad arricchire il nostro amato sito coi tuoi interessanti e dotti commenti. E’ sempre un piacere leggerti, lo sai.
      Per quanto riguarda il buon Paoli, non di discute, né come giocatore né come autore. Lui e Porreca hanno rappresentato in Italia, per più decenni l’editoria in ambito scacchistico, lo sappiamo tutti.
      Come finalista era, come giustamente ricordi, davvero un giocatore di prim’ordine. Gli ho visto una volta analizzare un finale di Cavalli e Pedone contro Re a Genova col CM Domenico Torrielli e sono rimasto sbalordito dalla lucidità, precisione e anche velocità con cui lui, già attempato novantenne, zittì sulla scacchiera uno stuolo di giovani rampanti professorini.
      Per quanto riguarda il trattato che citi è vero, si tratta di un’opera notevole, il cui studio, attento e diligente, indubbiamente accresce la cultura di ogni appassionato di finali eppure non l’ho volutamente citato tra i libri d’élite per un semplice motivo: tanto è fantastica la prima parte, quella sui finali di Pedoni (e, sinceramente, lo sai, si tratta di un piccolo capolavoro, una autentica gemma, nessun altro testo per esempio regge il confronto con l’analisi e la spiegazione delle case critiche che espone il compianto Maestro reggiano d’adozione) quanto è frammentario e deludente il resto dell’opera. Non che manchi di qualcosa nella copertura dei temi trattati, anzi, ve ne sono alcuni, di puro interesse teorico, non trattati in nessun altro testo simile, appunto di scarsissimo interesse pratico, ma è difforme, rispetto alla prima -eccezionale- parte, la metodologia di spiegazione. Più che un trattato sistematico appare una collezione di esempi senza un collante didattico veramente utile al giocatore medio.
      Citi i finali di Torre… ecco, io appunto ho trovato particolarmente deludente quella sezione, nel senso che se già li hai studiati altrove, su qualche altro testo, allora tutto per così dire torna, ma se li affronti per la prima volta, del tutto a digiuno, ne esci pressoché confuso e deluso.
      Si tratta del finale più comune che capita nella pratica ma anche uno dei più difficili e complicati da assimilare, nelle sue variegate sfumature e differenze. Né lo stesso Keres, e forse neanche il sommo Smyslov, credo assolvano appieno questo difficile compito: quello di fornire a chi parte da zero un percorso didattico agevole e lineare nell’apprendimento di questi complicati finali. Un po’ meglio il Pachman, citato da Paolo in questo suo ecccellente articolo, il quale riesce abbastanza bene nell’arduo compito di sintetizzare in un numero ristretto di posizioni pratiche quelle su cui apprendere i concetti più rilevanti per non smarrirsi. Meglio poco ma bene piuttosto che tanto però superficialmente, giusto?
      Per i finali di Torre considero, come detto, il Batsford Chess Endings il testo migliore dal punto di vista didattico. Nunn a ruota e, ovviamente qualcuna tra le innumerovoli monografie pubblicate soprattutto in anni recenti, in particolare per esempio l’ottimo Essential Chess Endings di James Howell.
      Il riferimento per antonomasia rimane in ogni caso il relativo volume di Averbakh della sua serie in cinque tomi pubblicata in Unione Sovietica dalla fantastica casa editrice Fizkultura i Sport all’inizio degli anni ’80 e riproposta successivamente dalla Basford in un’ottima veste tipografica con tanto di copertina rigida.

      Mi piace 1
      • avatar
        punta arenas 13 Aprile 2025 at 11:27

        Martin, non voglio certo contestare le tue valutazioni personali sui capitoli del libro di Paoli dedicati ai finali di Torre. Credo che qualsiasi libro – come qualsiasi film – possa piacere o meno, ed è appunto una questione di gusti. Ad esempio, tra i romanzi che ho letto e riletto più volte, e che non mi annoia mai rileggendolo, c’è quello di Andrea De Carlo: “Due di due”, che secondo me è davvero un capolavoro, perché spiega come nessun altro cosa era stato il ’68, nei suoi aspetti migliori, ma anche nei suoi limiti e negli aspetti peggiori. Però mi rendo anche conto che magari ad un lettore molto giovane, diciamo un ventenne di oggi, magari quel romanzo può non piacere, perché è difficile capire la mentalità e l’epoca degli anni ’60, per chi non è stato giovane in quell’epoca (o almeno ragazzino come me).
        Ma per tornare al libro di Paoli, io credo invece che quella parte sui finali di Torre sia stata trattata molto bene da Paoli, il oltre 100 pagine. Ci sono molti finali celebri, ad esempio il finale Ivkov-Fischer a Vinkovci 1968, o quello Botvinnik – Smyslov del match 1958, o Zaitzev – Huebner 1969, ecc. ecc., in cui Paoli, con grande capacità didattica, illustra quali sono gli errori più comuni. Inoltre, Paoli spiega quali sono i canoni fondamentali di difesa (con attacco laterale, dorsale, frontale, con sbarramento, con cambio di Torri) nei finali di Torre, e questo è un punto fondamentale che qualsiasi giocatore – anche principiante – deve apprendere.
        Visto che nell’articolo si cita il finale perso da Mamedyarov contro Carlsen, ebbene, se Mamedyarov avesse letto a fondo il libro di Paoli avrebbe imparato bene le tecniche di difesa laterale nei finali di Torre! Paoli riporta anche esempi tratti dai lavori di Cheron, di Grigorjev, di Averbakh. Poi, tu mi dici che le spiegazioni di Paoli sui finali di Torre non sembrano molto utili al “giocatore medio”, ma io ricordo giocatori di categoria sociale, o 3N e 2N che avevano apprezzato quel libro! Certo, è un libro che va studiato con pazienza, e occorre dedicare parecchie ore ad assimilarlo. Ma di sicuro è un ottimo testo, scritto da una vera autorità nel campo dei finali, ed è valido ancora oggi. Se poi uno non ha tempo, e vuole imparare in modo “pratico” le tecniche migliori, io gli consiglio di prendersi il libro di Gelfer: “Manuale del gioco posizionale”, dove trova il capitolo 7 interamente dedicato ai finali di Torre, con 25 finali famosi, di noti campioni (Alekhine, Capablanca, Rubinstein, Karpov, Korchnoi, Fischer, Tal, Bronstein, Smyslov, ecc.). Però non si può chiedere ad un libro la perfezione, cioè di esaurire da solo un argomento vastissimo come i finali di Torre.

        Mi piace 1
  10. avatar
    Paolo Landi 13 Aprile 2025 at 08:37

    Hai fatto bene a ricordare anche il libro di Enrico Paoli, “Il finale negli scacchi” che purtroppo mi manca. Non era certo mia intenzione fare un completo excursus sui manuali e i trattati scacchistici sul finale. Ho soltanto ripercorso brevemente la mia esperienza di modesto giocatore e ho parlato delle mie esperienze personali, delle letture che ho fatto in questi anni e dei libri che ho comprato. Per questo ho apprezzato molto l’intervento del nostro Martin che ha colmato questa lacuna e ringrazio anche te per aver citato l’importante libro sui finali di Paoli.

    • avatar
      punta arenas 13 Aprile 2025 at 16:18

      Paolo, non sapevo che quel libro ti mancasse, credevo che l’avessi letto anche tu negli anni ’70-’80, quando era in pratica l’unico testo italiano completo sui finali. Ma potresti comprarlo oggi, la Mursia continua a ristamparlo, e credo costi sui 23 euro. Secondo me è uno dei libri che non può mancare nella biblioteca di un cultore del gioco.

      • avatar
        Paolo Landi 13 Aprile 2025 at 16:41

        Mah, non credo che lo comprerò, farebbe la fine degli altri manuali sui finali, appena sfogliati e poi accantonati. Eppure molti maestri sostengono che bisognerebbe partire proprio da lì…

  11. avatar
    Enrico Cecchelli 14 Aprile 2025 at 00:05

    Complimenti vivissimi allo stupendo articolo. Voglio solo aggiungere che personalmente ho tratto alcuni utilissimi insegnamenti pratici anche dal libro della Mursia di M. Shereshevskij : “ la strategia nel finale” anche se non e’ un manuale completo .

    Mi piace 1
  12. avatar
    Paolo Landi 14 Aprile 2025 at 11:30

    Grazie Enrico anche per il tuo suggerimento. Per quanto mi riguarda, ho cercato di scrivere qualcosa di leggero e inserire dei video che mi sembravano buffi e anche istruttivi.

    Mi piace 1
  13. avatar
    Fabio Andrea Tomba 14 Aprile 2025 at 11:53

    Complimenti, altro ottimo articolo Paolo.
    Il titolo ben si addice, secondo me, allo stile di gioco di uno dei più forti finalisti di tutti i tempi, vale a dire all’ahimè purtroppo poco ricordato GM svedese Ulf Andersson, che negli anni d’oro della sua carriera riuscì persino a raggiungere il numero 4 nella lista di rating FIDE. Arrivato al finale si esaltava e riusciva spesso a vincere finali considerati da tutti patti. Sul suo conto girava un aneddoto secondo il quale gli organizzatori dei tornei erano sempre piuttosto restii ad invitarlo, perchè le sue partite erano lunghissime (spesso superavano le 100 mosse), il che creava non pochi problemi organizzativi tra un turno e l’altro. Ebbi modo di conoscerlo personalmente ad un torneo ad Arco di Trento. In quell’occasione gli chiesi come mai odiasse così tanto i tatticismi e mi rispose che non era vero, li vedeva ma a tavolino preferiva evitarli visto che la partita aveva un tempo di riflessione ben definito. In effetti le sue partite per corrispondenza, dove il tempo di riflessione era più lungo, erano tendenzialmente molto tattiche.

    Mi piace 1
  14. avatar
    Paolo Landi 14 Aprile 2025 at 16:07

    Grazie Fabio. Ricordo benissimo Ulf Andersson, mi pare che fu il primo a sconfiggere Karpov, neo campione del mondo, dopo una lunga imbattibilità adoperando la sua specialità: il “riccio”. Era un giocatore rognosissimo per tutti, manovrava con incredibile tenacia fino allo sfinimento degli avversari.

    Mi piace 1
  15. avatar
    Massimiliano Orsi 15 Aprile 2025 at 12:08

    Aggiungo alcuni libri che non sono stati citati ma che secondo me sono validi, istruttivi e persino divertenti:
    – Questions & Answers on Practical Endgame Play di Edmar Mednis (una raccolta delle risposte con argomento i finali date dall’autore a lettori di una sua rubrica)
    – Practical Rook Endings di Edmar Mednis (dello stesso autore ma solo sui finali di Torre; spiegato molto bene)
    – Van Perlo’s Endgame Tactics (una raccolta di finali allo stesso tempo insoliti ma standard, con espedienti tattici spesso sorprendenti; il finale, del resto, è tattica pura)

    • avatar
      Paolo Landi 15 Aprile 2025 at 19:37

      Grazie anche a te per questi utili suggerimenti bibliografici.
      Pur essendo bravi a calcolare, ricordo che i primi motori scacchistici e le scacchiere elettroniche di tanti anni fa hanno avuto sempre grandi difficoltà a giocare correttamente i finali. Oggi immagazzinano in enormi database le posizioni chiave e hanno imparato anche a gestire meglio le strategie di base di tutti i finali diventando imbattibili anche in questa fase di gioco.

      Mi piace 2
  16. avatar
    lordste 17 Aprile 2025 at 11:59

    Ottimo articolo. Dovrebbero leggerlo in molti “ragazzini dell’online” che studiano aperture a nastro, se la cavano magari in mediogioco ma una volta arrivati in finale non hanno idea di cosa fare…
    Un paio di considerazioni: la prima è sul “freestyle”, da alcuni tanto vituperato, da altri visto come ancora di salvezza per gli scacchi; ebbene: sappiate che lo studio dei finali è lo stesso, nel “mitico” finale T+P vs T ci si arriva sia partendo dalla posizione classica che da una delle altre 959 :)

    Seconda. Mi spiace per chi ancora lo idolatra, ma il manuale sui finali del Paoli è ahimè interessante solo dal punto di vista storico. Tra analisi “demolite”, svarioni e struttura caotica, c’è di MOLTO MOLTO meglio sia per principianti che per semi-esperti.

    • avatar
      Paolo Landi 17 Aprile 2025 at 16:45

      Ti ringrazio. Si comprende l’importanza del finale man mano che si sale di livello. I più giovani sono maggiormente attratti dalle aperture che vedono come marchio di fabbrica dei campioni: un tempo la Najdorf di Fischer o la Scheveningen di Kasparov oggi la Berlinese di Carlsen (per quanto il n°1 al mondo ormai giochi di tutto con assoluta disinvoltura).

    • avatar
      punta arenas 17 Aprile 2025 at 18:05

      Nessuna “idolatria”. Può darsi che il libro di Paoli (scritto nel 1974, e poi riveduto e corretto diverse volte) contenga analisi “demolite” oggi dai motori più potenti, ma ciò vale anche per il libro di Dvoretskij e per altri. Ma sicuramente il libro di Paoli fornisce gli insegnamenti basilari per chiunque voglia studiare bene i finali.
      Mi limito ad un ricordo personale: nel 2001 ero a Salsomaggiore e chiesi a Scalcione (che di sicuro aveva letto il Dvoretskij) di darmi il matto con Alfiere e Cavallo contro il solo Re. Non ce la fece nelle 50 mosse regolamentari. Tatai diceva che non pochi giovani maestri non lo conoscevano.
      Sicuramente Paoli avrebbe saputo mattarmi con Alfiere e Cavallo ben prima di 50 mosse!

      • avatar
        lordste 22 Aprile 2025 at 14:08

        no, mi spiace, è idolatria. Il libro di Paoli , ammettiamolo, è OBSOLETO. Dogmatico, con un sacco di analisi errate o imprecise; e anche sulle basi ci sono libri migliori, più moderni nel linguaggio e organizzati meglio

        Sul matto A+C: quante volte nella tua INTERA VIA SCACCHISTICA hai dovuto darlo ? io in trenta e passa anni sono stato parecchio sfortunato e mi è capitato ben due volte (in un semilampo giovanile e in una simultanea), entrambe vinte. Ma conosco giocatori con esperienza pluridecennale a cui non è MAI capitato. Quindi, non saperlo, è una lacuna molto molto molto molto meno grave che non sapere ad esempio la manovra di Lucena (assai più fregquente nella pratica di gioco).

        Mi piace 1
        • avatar
          punta arenas 22 Aprile 2025 at 16:27

          Sarebbe idolatria se scrivessi: “leggete SOLO il libro di Paoli”. Ma io ho scritto di leggere ANCHE il libro di Paoli, ANCHE OK? non certo solo quello. Personalmente – e ho scritto anche questo – credo che chi non ha molto tempo da dedicare ai finali, può prendere ad esempio il Gelfer: “Manuale del gioco posizionale”, che è del 1991 e riporta molti finali di ogni genere: Torri, Cavalli, Alfiere buono contro cavallo cattivo, Cavallo buono contro Alfiere cattivo, Alfieri dello stesso colore, Alfieri di colore contrario, Torre contro due pezzi minori, ecc. Io il libro di Paoli l’ho consultato per chiarirmi a proposito di talune posizioni, non l’ho certo letto tutto. Invece il Gelfer l’ho usato per studiare tutte le posizioni che propone.
          E invece non sapere risolvere il matto di A+C contro Re solo è una lacuna molto, molto, molto grave, inutile fare paragoni con altre lacune. Io avrò visto almeno 6-7 finali A+C, l’ultima volta lo vidi al torneo di Lodi 2006, ed anche Efimov diceva che un giocatore di livello magistrale deve saperlo. Anche Mariotti lo risolve in uno dei suoi libri, ed anche Tatai diceva che è grave non conoscerlo. E se permetti, preferisco condividere le opinioni di Mariotti, Tatai ed Efimov, piuttosto che le tue.
          Caro “lordste” che mi vieni sempre contro solo perchè ti avevo battuto di brutto, nel torneo week end di Bergamo 2002, 6° turno, era il 10 marzo 2002, e questa fu la partita, Francese variante advance, att. Paulsen.
          Credevi l’avessi dimenticata? E invece me la ricordo benissimo, e ho ancora il formulario. Facciamola vedere al gentile pubblico, per chi fosse interessato alle Francesi.

          Non certo il massimo della sportività, visto che avevi continuato in posizione del tutto persa già dopo 20 mosse, e alla fine perdevi anche la camicia.

          Mi piace 3
          • avatar
            lordste 29 Aprile 2025 at 10:36

            Miatello, credo che con questo tuo post tu abbia scoperto tutta la tua bassezza umana. Sinceramente, non ricordavo manco chi si celasse dietro il nickname “punta arenas”. E rispondere ad alcune mie critiche su particolari argomenti ritirando fuori (senza alcuna attinenza con il discorso) una vecchia partita di 23 (!) anni fa, che non ricordavo per nulla, in cui non avevo giocato particolarmente bene, ma ero comunque un ragazzetto 1N davanti a uno scafato candidato maestro, fa di te quello che sei: un meschino.
            Rimane la domanda che ho già fatto : quante volte nella tua (lunga) carriera scacchistica ti sei trovato nella necessità di dare il famigerato matto A+C ?

            Mi piace 2
            • avatar
              DURRENMATT 29 Aprile 2025 at 15:11

              Ignoralo. Tenta maldestramente di camuffarsi ma si è capito da tempo il livello INFIMO del “soggetto”. Si evince.

              • avatar
                punta arenas 29 Aprile 2025 at 20:28

                Io invece non ti ignoro, ti schiaccio come schiaccio una noiosa zanzarina in estate. E come vedi non ho bisogno di camuffarmi come te, che usi il nick di un ottimo scrittore svizzero, quando nemmeno sai mettere in fila 4 parole correttamente.

              • avatar
                punta arenas 29 Aprile 2025 at 22:43

                =)) =)) Invece di perdere tempo, potresti davvero leggere un grande romanzo di Durrenmatt: “Il sospetto”, che parla proprio di un personaggio, il criminale nazista Nehle, che aveva provato a camuffarsi da primario di una clinica svizzera di Zurigo, il dr. Emmenberger, per eludere le ricerche della polizia. Ma il commissario Baerlach era sulle sue tracce e alla fine riesce a prenderlo, o meglio, Emmenberger ormai scoperto si uccide inghiottendo una capsula di cianuro. Io comunque non mi camuffo, e non tengo capsule di cianuro nei denti. Tu non so =))

            • avatar
              punta arenas 29 Aprile 2025 at 20:24

              Il problema è tuo caro Ranfagni che scrivi una panzana dopo l’altra, perché non hai argomenti validi. A parte il fatto che non eri affatto “un ragazzetto 1N”, ma nel 2002 avevi già 22-23 anni, quindi se avevi giocato male con me almeno non tirare in ballo la scusa dell’età. E se non ricordi le partite giocate non stupirti se non sarai mai nè un Fischer, ma nemmeno un Vujovic (che mi sbalordì ricostruendomi mossa per mossa la sua partita con Mariotti a Marina Romea 1976, dopo quasi 20 anni) E sapevi benissimo chi è “punta arenas”, perché ho pubblicato altri articoli, dove indico il mio nome e cognome, e inserisco mie partite. Infine, continui a dimostrare la tua mediocrità con la domanda che a nessun forte maestro – e tanto meno GM! – verrebbe in mente di considerare: quante volte nella carriera scacchistica un giocatore si è trovato nella necessità di dare il famigerato matto A+C. Domanda priva di senso, come lo sarebbe la domanda: quante volte ti sei trovato a dover praticare la manovra di Heimlich, per salvare una persona che sta soffocando per un boccone di traverso? il 99,99% direbbe MAI! Ma questo non è un buon motivo per non imparare a praticarla, qualora capitasse di averne bisogno avendo davanti qualcuno che sta soffocando.
              A proposito, a Lodi nel 2006 Efimov all’8° turno giocava con il giamaicano Russel Porter.
              Ti allego la partita, guardala bene

              Come vedi alla 75a mossa Efimov promosse Donna, ma all’avversario NON venne neppure in mente di scambiare la sua ultima Torre con la Donna, entrando in un finale A+C, e abbandonò subito.
              Perché sapeva che un GM lo sa vincere!!
              E infatti poi rimasi una decina di minuti a parlare col buon Efimov, e lui mi disse che non concepiva che ci fosse qualcuno di livello magistrale che non sa come vincere quel finale A+C.
              Quindi il problema è solo tuo: sei solo un arrogante e un presuntuoso, ed anche pigro perché non vuoi studiare. Ed anziché venire qui ad insultare chi ne sa più di te, dovresti UMILMENTE ammettere di non sapere un sacco di cose, ed essere grato a chi te le insegna. E mi spiace dovere difendere Paoli, che non ha certo bisogno della mia difesa: ma se tu avessi imparato 1/10 di quel che ha scritto Paoli in quel libro, ti garantisco che conosceresti i finali BENE!

              Mi piace 2
              • avatar
                lordste 30 Aprile 2025 at 10:22

                Miatello, datti una calmata e finiscila di insultare.
                Io se discuto con qualcuno su un determinato argomento non vado a rivangare cose di 23 anni prima che non c’entrano un tubo per mancanza di altri argomenti. Inoltre, avevo risposto in primis a Paolo Landi, e solo dopo ho visto che era intervenuto “puntaarenas” (a cui ho in effetti risposto altre volte, senza troppo chiedermi chi ci fosse dietro al nick). Io la chiudo qui, seguo il consiglio datomi e ti ignoro lasciandoti nel brodo del tuo ingiustificato livore (forse perchè non giocando partite ufficiali ormai da più di 15 anni non sei più in grado di confrontarti dal vivo con altre persone? )

                Mi piace 1
                • avatar
                  punta arenas 30 Aprile 2025 at 13:59

                  Ranfagni, Se c’è qualcuno che insulta e provoca questo sei tu, e non perdi occasione per mostrare la tua ignoranza. Tu hai voluto cominciare a tirare in ballo il libro di Paoli, che magari nemmeno sei capace di leggere. Forse cercavi le figure e non avendole trovate hai detto che è un brutto libro. Puoi prendere un qualsiasi Topolino, e lì effettivamente trovi tante figure, quasi più di quelle che fai tu di solito! =)) Quanto al fatto di non giocare da 15 anni, avendo fatto nel frattempo molte più cose utili, semmai sono io che ti compiango, perché tu in questi 15 anni hai solo dimostrato di essere un mediocre spingilegno, che tra l’altro – a quanto vedo – in 10 anni nemmeno riesce a risalire sopra i 2000, pur avendo giocato oltre 450 partite, e pur avendo avuto l'”aiutino” della FIDE lo scorso anno a marzo per tutti gli under 2000. Lascia perdere Paoli, che a 60 anni riusciva a vincere il campionato italiano. Scacchisticamente non avresti potuto nemmeno lustrargli le scarpe. Pensa alla tua mediocrità, non all’eccellenza di altri giocatori che tantissimi ricordano con gratitudine.

                  • avatar
                    lordste 30 Aprile 2025 at 16:31

                    a questo punto chiedo alla redazione che “punta arenas” alias Alberto Miatello venga bloccato e/o bannato in quanto non in grado di sostenere un civile confronto senza scadere nel banale insulto. Spiace che finisca così ma evidentemente l’assenza di argomentazioni valide lo porta a attaccare la parte opposta sul livello personale.

                    Mi piace 1
                    • avatar
                      punta arenas 1 Maggio 2025 at 08:02

                      A questo punto chiedo che il provocatore Stefano Ranfagni venga BANNATO, non solo per avere manifestato opinioni offensive verso il compianto Enrico Paoli, che tra l’altro non può replicare, ma anche per la sua totale incapacità di portare argomenti validi, e arrivando anche al punto di delirare e chiedere di censurare chi gli risponde e gli dimostra che sta sbagliando. Signor Ranfagni, se non è capace di argomentare non può mettersi a frignare in modo infantile perché gli altri le dimostrano che sbaglia. Ma di quale “livello personale” blatera? Io ho parlato di scacchi, di lei che vuole attaccare Enrico Paoli sui finali, quando con me nemmeno ci era arrivato in finale. Veda di non raccontare palle, io non la conosco nemmeno, ho parlato di lei come scacchista, non c’era nulla di personale.

  17. avatar
    Paolo Landi 24 Aprile 2025 at 17:53

    Se qualcuno dovesse ancora avere dei dubbi sulla straordinaria maestria di Carlsen nel trattamento dei finali, è pregato di osservare questo video che riproduce una recentissima partita al Grenke Chess Festival nel torneo Frestyle (scacchi 960). L’incredulo telecronista, il M.I. Sagar Shah commenta le fasi finali della partita tra il N° 1 al mondo (indubbiamente anche in questa specialità, pur non essendoci ancora un ELO ufficiale) e il forte G.M Mamedov. Carlsen ha vinto questo torneo con uno strabiliante 9 su 9 e in questa sfida, all’ottavo turno, concretizza un vantaggio inizialmente minimo con manovre eleganti, precise e implacabili. Alla fine il suo avversario si congratula con il Campione con grande sportività.

    Mi piace 1
  18. avatar
    Martin 24 Aprile 2025 at 21:21

    Scusate se immodestamente mi permetto di intromettermi ancora, ma semplicemente perché ritengo di non essermi espresso con precisione nei miei interventi precedenti.

    Trovo il testo sui finali di Paoli un gran bel libro.

    Si tratta, certo, di un’opera scritta ormai mezzo secolo fa e ovviamente la didattica, in tutti i campi, non solo quello scacchistico, ha fatto passi da gigante in questi cinque decenni.

    Ma i pregi di un libro come quello di Paoli sono indiscussi: quello di esser stato essenzialmente il primo testo sistematico sui finali scritto e apparso nell’editoria italiana del nostro settore.
    Di essere pressoché completo e soprattutto di presentare materiale in gran parte originale.

    Sarebbe sufficiente già solo questo per giustificare il perdurare della sua meritata fama.

    Tutto il resto è secondario, e spesso è anche questione di gusti e propensione del lettore per un approccio piuttosto che per un altro.

    Inoltre l’errore più comune che si commette è quello di non applicarsi con sufficiente impegno nello studio e di continuare a saltare da un libro all’altro nell’illusione di trovare quello perfetto che sovente, purtroppo, neppure esiste.

    Nulla di più dannoso dal punto di vista didattico. Personalmente ritengo che se si inizia da uno, qualunque esso sia, bisogna pensare di aver solo quello a disposizione e di andare avanti fino a che si riesce senza lasciarsi distrarre da rischiose divagazioni. Provare per credere.

    Ovvio che posso sbagliarmi, ma mi premeva chiarire meglio almeno il mio pensiero. Grazie.

    Mi piace 1
    • avatar
      punta arenas 25 Aprile 2025 at 10:00

      Sono totalmente d’accordo con te, Martin! Non esiste il “libro perfetto” sulle aperture, così come non esiste il libro perfetto sul centro partita, e lo stesso vale per i finali. Alla premiazione del torneo di Montecarlo del 1967, vinto da Fischer, il principe Ranieri di Monaco, mentre premiava Bobby, gli chiese come avesse imparato a giocare così bene. E Fischer rispose dicendo di avere letto, nel corso degli anni, circa un migliaio di libri, e “di avere tratto il meglio da essi”.
      Non disse: “ho trovato il libro perfetto sulle aperture, sul centro partita e sui finali”. Infatti, molti altri giocatori di livello magistrale hanno dichiarato di avere studiato molti testi scacchistici, c’è chi dice di avere tratto grandi benefici dalle lezioni di Capablanca, Petrosian era affezionatissimo a “Il mio sistema” di Nimzowitsch, e lo teneva sotto il cuscino, molti GM russi si erano formati su “Il centro partita” di Romanovskij, in Italia molti maestri avevano tratto grandi benefici dalla “Strategia di avamposti” di Canal, e così via. Ora, è evidente che tutti quei testi – scritti ormai un secolo fa – si possono considerare “obsoleti”, quanto a partite ed aperture che riportano. E però non c’è dubbio che i concetti che espongono sono ancora validi.
      Io ricordo bene che – da ragazzino – avevo comprato il famoso “Manuale teorico-pratico delle aperture” del Porreca, che è del 1971. Era un grosso volume, di 767 pagine, e alla metà degli anni ’70 era l’UNICO testo completo sulle aperture in italiano. A quei tempi sembrava un’opera imprescindibile per qualunque giocatore, anche perché riportava quasi 400 partite illustrative delle varie aperture.
      Eppure aveva delle lacune enormi. Tanto per dirne una, non c’era la minima traccia – nemmeno nelle note – dell’attacco Velimirovic, nella Siciliana, eppure nel 1971 era molto giocato, e già da diversi anni.
      Incredibile, nessuna traccia della Alapin: 2. c3, Porreca esamina solo la sic. Chiusa, 2. Cc3 e 2.f4 e 2.De2.
      Nell’Est Indiana il Porreca aveva dedicato solo una noticina alla variante Makagonov 5.h3, definendola “variante minore”.
      E così via, è evidente che quel manuale poteva andare bene – e lo stesso Porreca lo ammetteva – per i giocatori di livello medio-basso, che cercavano prima di tutto di ottenere una discreta “infarinatura” sulle aperture più giocate.
      Ma non dubito che quel manuale sia stato molto utile per tanti giocatori di quegli anni.
      Poi era uscita l’enciclopedia delle aperture jugoslava, e quasi tutti si informavano lì.
      E lo stesso vale per il Paoli, che restò a lungo l’unico testo ITALIANO completo sui finali. In effetti il suggerimento che dai tu, Martin, sembra del tutto valido anche per me: studiare un libro di scacchi vuol dire anche entrare nella testa dell’autore, con tutti i pro e contro che ciò può significare, perché nessuno è perfetto, nemmeno il più forte campione del mondo. Di sicuro la cosa migliore da fare, come suggerisci tu, è studiarlo bene e assimilarlo a dovere. Però è chiaro che se un libro non piace, per mille motivi, è inutile sforzarsi di farselo piacere. Ma bisogna prima di tutto averlo capito bene, se non piace solo perché si è letto qualche pagina, allora è inutile.

      Mi piace 1
      • avatar
        Paolo Landi 25 Aprile 2025 at 12:45

        All’epoca non comprai il manuale di Porreca preferendo i volumi di Pachman in spagnolo. Effettivamente c’era ben poco da scegliere in quegli anni. Conoscevo il Porreca perchè diversi miei amici scacchisti lo avevano comprato lamentandosi poi per le troppe lacune che lo rendevano inadatto soprattutto nel gioco per corrispondenza all’epoca molto in voga. A me non piaceva la veste grafica dell’opera, la trovavo troppo schematica e poco divulgativa, al contrario dei volumi di Pachman (chissà che fine hanno fatto dopo i miei vari traslochi… ) anch’essi incompleti, ma che trovavo più piacevoli da leggere. Ricordo di aver acquistato dei libri scrivendo a Enrico Paoli che era molto prodigo di consigli. E poi dalle mie parti, alla Riviera di Chiaia, c’era una fornitissima libreria dove si trovavano molti volumi della Batsford in inglese. In fondo eravamo quasi tutti autodidatti, quasi nessuno si poteva permettere un coach come avviene in altri sport, e ci si arrangiava facendosi prestare qualche libro o rivista e poi circolavano i mitici informatori dai quali cercavamo di carpire le ultime novità della Naidorf o del dragone anche se poi in torneo nessuno giocava ciò che avevamo studiato con tanta fatica… :D

        Mi piace 1
        • avatar
          Paolo Landi 30 Aprile 2025 at 11:28

          Giusto per la cronaca, devo prendere atto che Topalov sa dare matto in meno di trenta mosse con Alfiere e Cavallo contro Re! :D =))

          Mi ha sorpreso molto che il suo avversario, un GM indiano molto forte, potesse dubitare delle capacità di un ex campione del mondo di giocare un simile finale e arrivare fino a un passo dal matto…

        • avatar
          Fabio Andrea Tomba 30 Aprile 2025 at 19:32

          Paolo, se io potessi tornare indietro ai tempi in cui ho imparato a giocare a scacchi, oggi seguirei sicuramente la seguente citazione di Capablanca: “sarebbe un grave errore studiare l’apertura senza avere in mente i successivi mediogioco e finale. Allo stesso modo sarebbe sbagliato studiare il mediogioco senza considerare il finale. Questo ragionamento prova chiaramente che, per migliorare il vostro gioco, dovrete innanzitutto studiare il finale; inoltre, mentre i finali vanno studiati e padroneggiati di per se stessi, il mediogioco e l’apertura vanno studiati in relazione al finale”. Niente di più vero. Non si può quindi studiare un’apertura senza conoscere le strutture pedonali e i piani a cui dà origine nel mediogioco, così come non si può assimilare il mediogioco senza considerare le debolezze pedonali e i possibili finali che ne possono derivare.
          In fin dei conti si parla giustamente di “tecnica” del finale e la tecnica, in qualsiasi sport o attività praticabile, non per niente la prima cosa che è necessario imparare per poterla svolgere nel modo più efficiente possibile.
          Da principianti si era soliti dire: “ma se non conosco come si giocano le aperture, al finale non ci arriverò mai”. Inoltre, ai nostri tempi, i finali, anche quelli più elementari, potevano essere appresi solo dai libri, spesso dei veri e propri mattoni piuttosto noiosi da studiare. Oggi, tuttavia, le cose sono alquanto diverse da un tempo. Per esempio, dopo aver studiato un finale vinto è possibile giocarlo più e più volte contro un motore, fino a quando non si è assimilata la tecnica perfetta che, una volta appresa, si spera non verrà più dimenticata.
          E poi vuoi mettere …. riuscire a dare matto con Alfiere e Cavallo nelle fatidiche cinquanta mosse è l’unico momento della partita in cui possiamo veramente essere in grado di giocare come un GM. Scusa se è poco! 😁😉

          Mi piace 1
          • avatar
            Paolo Landi 1 Maggio 2025 at 12:23

            Concordo con te Fabio (e con Capablanca ovviamente); il fatto è che a livello pratico molti principianti o giocatori di basso livello puntano a vincere sperando di far cadere in qualche trappola i propri avversari in apertura. Se fai un giro su youtube troverai decine di video che illustrano il tal gambetto vincente, la difesa imbattibile, il sistema più facile da imparare (quello di Londra spopola) e via discorrendo. Tutto cambia a livello magistrale ovviamente. L’idea di studiare le aperture comprendendo bene le srutture pedonali e i possibili finali è basilare se non altro perchè sapere chi e perchè è avvantaggiato o meno in un possibile finale aiuta a districarsi anche nel mediogioco. Purtroppo studiare i finali è faticoso e spesso poco gratificante ed inoltre, a mio avviso, mentre con le aperture tanta applicazione e una buona memoria aiutano tantissimo, temo che per il mediogioco e i finali, un buon coach sia davvero insostituibile per ottenere importanti miglioramenti. I manuali sono certamente utili, ma poi le cose si dimenticano se non c’è un metodo di apprendimento alla base.

            Mi piace 1
        • avatar
          Martin 4 Maggio 2025 at 18:29

          Paolo, che belli quei quattro volumi di Pachman in spagnolo da te ricordati. Ce li avevo anch’io: i primi due li acquistai da Feltrinelli a Genova, quello sulle aperture aperte e quello sulle aperture semi-aperte. All’epoca, col Nero, giocavo la Francese e quelle linee indicate da Pachman furono per me una autentica folgorazione. Mi ero poi innamorato della notazione descrittiva che, nella letteratura anglosassone, non trovavo tuttavia altrettanto affascinante come quella in lingua spagnola, mah… de gustibus.
          Successivamente, non ricordo neppure come, entrai in possesso del terzo volume, quello sull’apertura di Donna, ma, confesso, a stento fu da me sfogliato, dominato, com’ero, ancora dall’influenza del mitico trattato di Porreca sulla Partita Ortodossa che all’epoca era un altro tomo che andava per la maggiore tra gli scacchisti del nostro paese.
          Trovare infine il quarto volume, quello arancione, quello che mi mancava, sulle aperture Cerradas fu davvero un’impresa improba. Finalmente lo recuperai in una stupenda libreria di Gerona, in Catalogna, tanti anni più tardi. Ma magari annoierò i lettori più pazienti con questi miei nostalgici ricordi un’altra volta… nostalgici soprattutto perché anch’io purtroppo, quei quattro stupendi volumi, non ce li ho più.
          Invece, a proposito di Porreca, ti volevo chiedere se magari ci puoi raccontare qualcosa di quel progetto di casa editrice in cui ebbe occasione di collaborare. Se non ricordo male si chiamava Edizioni Internazionali Srl.

          In ultimo, a proposito del matto di Alfiere e Cavallo contro Re solo volevo citare un volumetto ove ho trovato l’esposizione più chiara e precisa della manovra in cui si articolano le fasi di questo così discusso matto (più o meno) elementare. E’ il prezioso Concise Chess Endings di Neil McDonald, un libretto tascabile ma che vale davvero tanto oro quanto pesa. Direi l’equivalente, in chiave moderna, dell’Averbakh da te giustamente ricordato: pochissime pagine ma c’è davvero tutto quello che serve per sopravvivere in questa tanto importante fase della partita. Ecco, forse se davvero dovessi consigliare, uno, soltanto uno dei mille e più libri scritti sul finale, al lettore più pigro e svogliato, mi azzarderei a suggerire proprio questo.

          • avatar
            Paolo Landi 5 Maggio 2025 at 09:38

            Di Pachman mi mancava quello sulle aperturas abiertas. Non lo comprai perchè all’epoca aprivo con il pedone di donna e su e4 rispondevo con la Caro Kann; comunque era fantastico, che peccato non trovarlo più… Su Porreca mi dispiace, ho scritto tutto quello che ricordo nel mio articolo sull’Accademia Scacchistica Napoletana di qualche anno fa:

            L’Accademia Scacchistica Napoletana


            Neil McDonald è un grande divulgatore, ma temo che il libro sui finali che consigli sia difficile da reperire (forse qualche copia si trova ancora su Ebay) mentre su Amazon ho cercato ma al momento risulta purtroppo non disponibile.

            Mi piace 1
  19. avatar
    Martin 1 Maggio 2025 at 11:56

    SoloScacchi avrà tutti i difetti che volete ma in quasi 16 anni di vita online non ha mai bannato nessuno perché è formato e sostenuto da una comunità di amici e lettori, tutte persone perbene e civili, che non trascendono mai nei termini e nei toni delle loro discussioni e confronti, che ancorché accorati, rimangono sempre costruttivi, rispettosi e, io lo auspico, un modello da imitare per tutti.
    Non mi smentite, vi prego.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


CLICCA QUI PER MOSTRARE LE FACCINE DA INSERIRE NEL COMMENTO Locco.Ro

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Chess Lessons from a Champion Coach

Torre & Cavallo - Scacco!

Strategia di avamposti

I racconti del Grifo

2700chess.com for more details and full list

Problema di oggi