Fischer, Karpov, i fratelli Brunello e l’onestà intellettuale negli scacchi

Scritto da:  | 19 Aprile 2025 | 18 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

L’onestà intellettuale è una qualità di cui si parla abbastanza poco, nei tanti libri e manuali di scacchi in circolazione. Eppure è una dote davvero fondamentale, soprattutto per i giovani giocatori che desiderino progredire rapidamente nel loro livello di gioco.

Ma cos’è esattamente l’onestà intellettuale negli scacchi?

Io la definirei come la capacità – che non molti possiedono – di sapere valutare le proprie partite e il proprio gioco in modo obiettivo e addirittura impietoso, senza alcuna indulgenza.

E’ umano e comprensibile – quando si vince una partita – cercare di “difenderla” e di provare soddisfazione per le mosse forti giocate, sorvolando invece sui propri errori.

Ed è altrettanto comprensibile – quando si perde – non analizzare la partita troppo a fondo, e non cercare tutti gli errori commessi, anche per non mettere troppo “il dito nella piaga” e rivivere l’amarezza della sconfitta.

Tuttavia, questi atteggiamenti diventano deleteri e pericolosi, per chiunque desideri migliorare il proprio livello di gioco, perché ostacolano il miglioramento delle proprie capacità di analisi rigorosa ed imparziale, durante la partita.

Una delle caratteristiche di chi non possiede eccessiva onestà intellettuale è proprio l’incapacità – o la scarsa capacità – di riconoscere i propri errori perdenti, anche quando si vince o si patta.

A questo proposito, rivelerò quello che secondo me – e non solo ovviamente – è stato il grande segreto di Bobby Fischer, ovvero l’attitudine ad analizzare onestamente le proprie partite, senza indulgenza per i propri errori.

C’è una caratteristica – nella biografia di Fischer – che non molti conoscono. Fischer imparò le mosse dalla sorella Joan a 6 anni, e questo è ben noto. Tuttavia, pur essendosi ben presto entusiasmato per il gioco, e giocando ore ed ore al giorno, partecipando a molti tornei fin da bambino, per 6 anni e fino ai 12 anni Bobby non rivelò un talento particolarmente spiccato. Infatti nel 1955, a 12 anni, quando giocò il suo primo campionato junior americano, il suo rating USCF era di soli 1826 punti, a livello di un 1N italiano.

Sappiamo che a 12 anni oggi molti giovanissimi giocatori sono già MI, e un paio (Mishra e Karjakin) erano diventati addirittura GM!

Eppure Bobby Fischer a 12 anni non sembrava avviato a diventare il super campione che avrebbe cambiato la storia del gioco, quello che nel suo “triennio magico 1970-71-72” aveva stritolato tutti gli avversari raggiungendo un rating astrale, per l’epoca, di ben 2785 punti. Non era certo un Morphy, o un Capablanca, o un Reshewsky, che già da bambini mostravano un livello di gioco straordinario.

Tuttavia, solo un anno dopo, nel 1956, Fischer era già saltato ad oltre 2450 punti, un livello da ottimo MI, e l’anno seguente nel 1957 – quando vinse il suo primo campionato USA – aveva raggiunto il livello di un forte GM, titolo che la FIDE gli riconobbe nel 1958, dopo il torneo dei candidati a Portorose, a soli 15 anni.

Come aveva fatto?

Io credo che siano state 3 le azioni decisive che Fischer aveva compiuto, per saltare così rapidamente dalla mediocrità all’eccellenza scacchistica:

1) Un approccio davvero scientifico al gioco.

Fischer aveva capito che per progredire era necessario studiare a fondo le aperture, magari in numero ridotto, ma imparandole davvero a fondo. E infatti lui divenne uno dei maggiori specialisti al mondo della Siciliana Najdorf e dell’Indiana di Re.

2) Uno stile di gioco logico, preciso, semplice (“capablanchiano”), ma al tempo stesso solido, pratico ed efficace.

Mi ha sempre colpito il commento di Alexei Suetin, a p. 115 del suo ottimo libro del 1982 “Capire ed evitare gli errori negli scacchi”: “…Anche i grandi maestri più abili spesso non riescono a restare immuni dal difetto di addentrarsi (a torto) in varianti eccessivamente complesse, ed “incontrollabili”, solo perché queste ultime scaturiscono magari da una prima mossa a prima vista strabiliante: analizzando invece le partite di Fischer (anche quelle “lampo”!) ci accorgiamo che egli preferisce rinunciare di proposito alla ricerca di tratti brillanti, i quali comportano quindi la valutazione di seguiti troppo complicati.

3) Una totale ed obiettiva onestà intellettuale, nell’analizzare le proprie partite, e correggere i propri errori.

Credo che soprattutto quest’ultima attitudine di Fischer gli sia sempre rimasta “cucita” addosso, e sia ben visibile nelle tante analisi delle sue “60 partite da ricordare”.

Fischer non aveva problemi nell’ammettere che alcune volte i suoi avversari avrebbero potuto vincere.
E lo faceva a prescindere dal livello dell’avversario. Ad esempio, nella sua partita n.9  contro il modesto maestro svizzero 
Walther, a Zurigo nel 1959, nei suoi commenti Fischer scrive che Walther avrebbe potuto vincere il finale giocando 54 b4!, dopo avere perso diverse occasioni di vincere già in centro partita.

Idem per la sua partita (n. 3) contro Petrosian a Portorose nel 1958: Fischer stesso riporta le analisi dei sovietici, secondo cui Petrosian avrebbe potuto vincere in finale con 57. Th7!, anziché 57. Th1?, che invece condusse alla patta.


Fischer, nella partita n. 26 (Fischer – Reshewsky),  riporta anche un suo grosso errore, segnalato dal lettore A.R.B. Thomas in una lettera alla rivista “Chess”. Fischer avrebbe vinto subito giocando 28. Cd2!, che avrebbe guadagnato la Donna, che difendeva la casa h7 dal matto. E invece Fischer giocò la più debole 28. Txg7, che permise al Nero di resistere un’altra decina di mosse.


E ancora, nella partita Fischer – Reshewsky (1962-1963 Campionato USA), la n. 43, Fischer stesso fa notare un suo grosso errore, quando gioca 41. Rd3?, mentre con 41. Rf1! avrebbe subito guadagnato un pezzo, e gli spettatori se ne erano subito accorti, mormorando dopo il suo errore!


Ma anche nel commento alla sua partita contro Ivkov, a Vinkovci nel 1968, Fischer sull’Informatore l’analizza e scrive che Ivkov sarebbe andato in netto vantaggio con 11. Cb4!

Ma non basta!
Dopo la sua clamorosa vittoria contro Taimanov, nel maggio 1971, alla cerimonia di premiazione Fischer dichiarò sorprendentemente,  con enorme onestà intellettuale, che era stato un match molto duro per lui, ed il punteggio più giusto sarebbe stato 3 e ½ a 2 e ½ a suo favore!
In sostanza disse che Taimanov avrebbe potuto vincere la prima partita, e pattare la 2a, la 3a e la 5a (in cui lasciò in presa la Torre in posizione del tutto patta in finale), mentre lui avrebbe vinto nettamente solo 2 partite: la 4a e la 6a.
Ecco, credo che solo un giocatore incredibilmente onesto come Fischer avrebbe ammesso una cosa simile, mentre il 99,99999% dei giocatori avrebbe cercato in tutti i modi di sostenere di essere stato nettamente superiore al proprio avversario, e di meritare pienamente il 6-0!

Nelle analisi delle sue 60 partite, credo che vi sia qualche imprecisione solo in quella contro Botvinnik del 1962, nello studio del difficile finale di Torre, e nella complicatissima partita del 1967 contro Geller a Skopje, che per anni venne poi studiata e ristudiata, con esiti alterni, da legioni di analisti.

Fischer scrisse che avrebbe potuto vincere con 20. Df4!!, ed in effetti quella era sicuramente la mossa migliore. Però poi Fischer sbaglia, poiché dopo 20…cxb2 21. Th5 il Nero può giocare la forte mossa difensiva 21…Cf6! (cfr. diagramma) – che Fischer non analizza del tutto, concentrandosi solo su 21…Af6, che porta alla vittoria del Bianco in poche mosse – e dopo 22. Th6! Txf7! 23. Axf7 Ae4! Il Nero può resistere a lungo, pur con la qualità in meno, e infatti Stockfish prosegue ad analizzare quella posizione per oltre 30 mosse.

Ma sicuramente non fu per mancanza di onestà intellettuale, da parte di Fischer, bensì per l’estrema complessità di quelle posizioni.

L’approccio di Karpov

Credo invece che l’approccio di Karpov, nell’analisi delle proprie partite, si collochi quasi “agli antipodi” rispetto alla straordinaria imparzialità di Fischer.

Personalmente non ho mai gradito lo stile d’analisi di Karpov, l’ho sempre trovato quasi irritante, per dirla in tutta franchezza.

Di solito Karpov quando analizza una sua vittoria – e basta prendere un Informatore qualsiasi per trovare molte sue analisi, in particolare negli anni ’80 e ’90, quando era ai massimi livelli – comincia col trovare una sua mossa incisiva e brillante, alla quale Karpov mette il punto esclamativo, seguito dalla notazione “piccolo vantaggio”. Dopo di che, con il prosieguo della partita, ecco che Karpov indica un’altra sua mossa brillante, che lo porta in chiaro vantaggio, che dopo altre mosse diventa decisivo +- e lo porta alla vittoria.

Ora, questo stile d’analisi è palesemente poco onesto ed imparziale. Infatti la domanda che qualsiasi lettore si porrebbe è: “OK, ma dove sono gli errori perdenti dell’avversario di Karpov?” Normalmente Karpov non li indica affatto – a meno che non siano sviste evidenti da uno o due punti di domanda – sembra quasi che lui possieda una sorta di “illuminazione divina” che poco alla volta lo conduce alla vittoria, in modo ineluttabile per il povero avversario.

Poco ci mancava che Karpov non scrivesse: “non giocate con me. Perdereste sempre!”

Tutto ciò è irritante, e proprio per chi è abituato allo stile trasparente e onesto di Fischer, che invece indicava SEMPRE la mossa perdente (o eventualmente vincente) dell’avversario.

Notevole, a questo riguardo, è la partita n. 38, Fischer – Keres del 1962 a Curaçao, nel cui commento Fischer si preoccupa di scovare la mossa perdente del Nero (13…Dc7?), benché non sembri affatto un errore evidente.

Chi fosse interessato a verificare quanto sto dicendo, può consultare l’Informatore n. 41: partita 365, Karpov – Seirawan – Bruxelles (SWIFT) 1986, e Informatore n. 60: partite n. 59 Adams – Karpov – Las Palmas 1994 e n. 475 Karpov – Beljavskij, Linares 1994.

Ma sono solo alcuni dei tanti esempi dello stile d’analisi deludente ed intellettualmente poco onesto di Karpov.

Ma il destino ha giustamente punito Karpov, che non soltanto non ha più avuto la possibilità di giocare, e PERDERE, con Bobby Fischer nel 1975, ma che non è nemmeno riuscito a raggiungere il punteggio del suo illustre rivale, poiché Karpov in carriera era arrivato a 2780 punti, mentre Fischer aveva raggiunto i 2785 punti.

E – si badi bene! – Fischer aveva raggiunto quei 2785 punti in un’epoca in cui era difficilissimo arrivarci, poiché i suoi più forti avversari (Spassky, Larsen, Petrosian, Korchnoi, Portisch, Geller, Smyslov), nel periodo 1970-72, superavano di poco i 2600 punti, mentre Karpov, negli anni ’90 e seguenti, poteva giocare con parecchi giocatori con Elo sopra i 2700 punti (Kasparov, Kamsky, Shirov, Kramnik, Anand, Ivanchuk, Bareev, Gelfand, Salov) o vicino ai 2700 punti ( Piket, Yusupov, ecc.).

Quindi il 2780 punti di Karpov erano inflazionati, a causa del maggior numero di giocatori con Elo alto negli anni ’90 e successivi. E che quei punteggi fossero inflazionati è indubitabile, poiché nel 1989 Anand aveva appena 2535 punti, e Ivanchuk era a 2635 punti. Poi, con l’inflazione degli Elo degli anni seguenti, nel 2011 Anand era salito a ben 2820 punti, e Ivanchuk a 2791 punti nel 2008.

Mentre invece Fischer riuscì a scavare un gap impressionante, mai più eguagliato, di ben 120 punti, col suo più vicino inseguitore, Boris Spassky.

E concludiamo con un episodio curioso – ma interessante – che riguarda lo scrivente e il tema dell’onestà intellettuale negli scacchi.

Nel giugno 2007 avevo partecipato al 3° campionato EU Union, di Arvier, in Val d’Aosta, un grande open con 113 giocatori da tutta Europa.

Al 4° turno avevo affrontato Marina Brunello, che all’epoca era una 13enne 1N, ma già molto forte.

Questa era stata la nostra partita:

Marina vinse la partita in finale, e al termine la analizzammo nel tradizionale post mortem.

Nessuno di noi se ne accorse, ma alla 26a il Nero poteva vincere subito con la mossa spettacolare da problema: 26…Tf1+!!

E dopo 27. Txf1 Cg3+ 28. Rg1 Cxf1 29. Cc1 (unica per impedire la promozione del pedone a3) Ce3 30. c4 Rf7 31. Rf2 Cc2 32. Re2 Cb4! il Bianco perde forzatamente il Cavallo e la partita dopo la spinta 33…a2.

Io ricordo bene che al termine della partita anche Sabino aveva raggiunto il nostro tavolo, mentre analizzavamo, ma non aveva guardato le nostre analisi, e se ne era andato quasi subito.

Ora, io scoprii quella variante molto tempo dopo, solo perché me lo dissero, e non avevo più fatto attenzione a quel finale, mi interessava di più la variante d’apertura.

Il dubbio che mi era rimasto è che i due fratelli – quella sera – rivedendo le rispettive partite, si fossero accorti della mia possibilità di vittoria.

D’altra parte a quell’epoca Sabino aveva 18 anni, ed era già MI con 2454 di Elo.

Quella combinazione non era poi così difficile da trovare, dal momento che il Nero aveva il pedone a3 libero e in promozione.

E’ vero che a volte anche ai più forti GM talvolta sfuggono combinazioni semplici di poche mosse, però mi sembra strano che rivedendo le loro partite in due, i Brunello non l’avessero vista già quella sera.

Di sicuro non mi dissero più nulla nei 6 turni successivi, lì ad Arvier.

Allora nei giorni scorsi ho voluto chiarire la questione direttamente con la mia avversaria del 2007.

Marina mi ha risposto proprio in questi giorni, e mi ha scritto nella sua e-mail che purtroppo, dopo tanti anni, non si ricorda se poi avesse visto la 26…Tf1+!! o meno col fratello. L’altro suo stringato commento alla mossa è stato: “Carina. Bravo!”

La sua risposta mi fa pensare che fratello e sorella l’avessero vista già ad Arvier nel 2007, ma se la siano tenuta per loro.

D’altra parte, se mi avesse risposto: “Ah no, non l’avevamo proprio vista!” allora l’avrei escluso.

Ma lei mi ha dato una classica risposta evasiva: “non so… non ricordo”.

Inoltre, anche il commento alla mossa: “Carina. Bravo!” è un po’ nello stile di Fonzie, il personaggio di Happy Days degli anni ’70.

Tutti ricordiamo che Fonzie non brillava per onestà intellettuale, lui non riusciva mai a dire: “ho sbagliato”, diceva: “Ho sb…sb…sb…”

Anche Marina proprio non ce la fa ad ammettere: “Sì, il Nero vinceva dopo 26…Tf1+!!” , si limita a scrivermi: “Carina. Bravo!” che finisce per sminuire quella mossa, e possibilità di vittoria, perché “carina” la puoi dire anche per una mossa interessante, o per una novità teorica, che non necessariamente vince.

Non è per polemica che dico questo.

Anch’io ricordo un’occasione in cui mi comportai con scarsa onestà intellettuale. In una partita in un week end a Corsico il mio avversario (Angelo Papa) a un certo punto aveva a disposizione una mossa che portava ad una vittoria forzata.

Rimase a pensarci mezz’ora, ed io pensai che l’avesse vista e volesse controllarla per bene.

Invece, con mia grande sorpresa, non la vide e giocò una mossa inferiore, che mi permise di vincere.

Alla fine si alzò deluso, firmò il formulario e se ne andò.

Avrei potuto fermarlo e dirgli: “Ma tu avevi una vittoria forzata, ma non l’hai vista!”

Ma non gli dissi nulla, quindi anch’io non posso certo scagliare la prima pietra e lapidare Marina Brunello e suo fratello Sabino, per ciò che era avvenuto ad Arvier, ed anche se avevano visto la mia possibilità di vittoria ed erano stati zitti.

D’altra parte l’onestà intellettuale non è imposta da nessun regolamento, un giocatore può benissimo firmare il formulario e andarsene senza analizzare, anche sapendo di avere vinto fortunosamente una partita perché all’avversario era sfuggita una mossa vincente.

Però, ripensandoci, se il fratello di Marina fosse stato Bobby Fischer, e fosse stato lì ad Arvier, sono certo che il giorno dopo mi avrebbe fermato dicendomi: “Guarda che tu ieri avresti potuto vincere con Marina alla 26a mossa!”

Ma Sabino Brunello non era Bobby Fischer…

 

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18 Commenti a Fischer, Karpov, i fratelli Brunello e l’onestà intellettuale negli scacchi

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    Giorgio Della Rocca 19 Aprile 2025 at 20:20

    Ho trovato il nuovo articolo di “Punta Arenas” piuttosto interessante.
    Riguardo alla onestà intellettuale negli scacchi di cui vi si parla, mi sento molto più in sintonia con Bobby Fischer – del quale ho studiato la celebre opera 60 partite da ricordare – che con Anatoly Karpov (fatte le debite proporzioni, gli articoli di questo blog nei quali ho presentato partite da me giocate ne rappresentano, penso, una prova).

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      punta arenas 20 Aprile 2025 at 09:09

      Grazie Giorgio! D’altra parte il libro di Fischer è stato probabilmente il più letto al mondo, tra i testi scacchistici, quindi qualche ragione ci sarà! Mentre invece non mi pare che Karpov abbia mai scritto libri che hanno riscosso un particolare successo. Di sicuro anche riguardo ai risultati editoriali, non c’è partita tra Karpov e Fischer…

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        Martin 20 Aprile 2025 at 12:57

        ciao Alberto, grazie per l’ottimo articolo per il quale ti rovolgo anch’io i miei complimenti. Circa la veste grafica si cerca sempre di predisporre delle cornici degne delle opere che i nostri affezionati Autori ci regalano…

        Sì, sono sostanzialmente d’accordo con te circa la produzione di testi scacchistici di Fischer e Karpov. Nessuno dei due è stato un autore particolarmente prolifico. Le 60 partite da ricordare di Fischer sono sicuramente un capolavoro. L’unico altro l’altro testo che mi sembra abbia mai scritto (eccetto il pamhplet sulla triste esperienza carceraria a Pasadena) è un manuale per principianti (anch’esso tuttavia un best-seller).
        Su Karpov scrittore cosa possiamo dire invece? Tanti sostengono che la maggior parte di quello che ha pubblicato sia opera di ghost-writers, ma lo stesso si dice anche per Kasparov. Io salverei sicuramente la serie in quattro volumi “Le partite … in azione” che, ancorché datato per quanto riguarda la collezione di partite, è sicuramente un testo molto interessante. Direi, come livello, da CM in su. Poco utile a chi si avvicina per imparare da zero.
        Invece molto bella è la collezione delle sue migliori 100 partite, pubblicato nel 1984 da Fizkultura i Sport. E’ in russo ma davvero un ottimo libro.
        Se qualcuno ha piacere ne possiamo parlare meglio in un altro articolo.
        Nuovamente grazie e complimenti per l’ottimo articolo!

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          DURRENMATT 20 Aprile 2025 at 17:17

          “Bobby Fischer insegna gli scacchi” è unico nel suo genere.

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    Uomo delle valli 19 Aprile 2025 at 22:05

    i fratelli brunello sono delle mie parti e mi sento di escludere ogni mala fede da parte loro
    comunque ottimo articolo

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      punta arenas 20 Aprile 2025 at 09:04

      Uomo delle valli, non ho parlato di “malafede”! Onestà intellettuale è sinonimo di imparzialità, cioè di mentalità portata a cercare con scrupolo nelle analisi delle partite gli errori non solo dell’avversario, ma anche i propri. E solo pochissimi giocatori possiedono – come Fischer – questa qualità. Ma non essere imparziali non significa essere in malafede. Infine sul fatto che i Brunello siano delle tue parti, non mi sembra una ragione valida. Tutto il mondo è paese, quindi c’è il buono e il gramo in ogni luogo, non è che a Bergamo siano tutti perfetti…

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    punta arenas 20 Aprile 2025 at 09:14

    @Martin

    Mille grazie Martin, per la consueta accuratezza e qualità del tuo lavoro di editing, e per le scelte iconografiche. Quando ti sottopongo i miei testi, poi rimango sempre piacevolmente colpito da come riesci sempre a trovare la migliore veste grafica per pubblicarli.
    Un caro saluto
    Alberto

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    Giancarlo Castiglioni 20 Aprile 2025 at 22:34

    Bell’articolo, forse sarebbe stato da pubblicare a puntate, ci vuole almeno un pomeriggio per guardare tutte le partite!
    Io ho sempre riguardato le mie partite, cosa che ritengo essenziale per migliorare e sono sempre stato molto severo nei miei confronti, anche troppo. Riguardando col PC mie vecchie partite ho scoperto che mie mosse ritenute deboli nei miei commenti originali, erano invece perfettamente giocabili o magari solo lievemente inferiori alla mossa migliore.
    Ero troppo dogmatico.
    Per la mia esperienza l’onestà intellettuale è comune alla gran maggioranza dei giocatori di categoria magistrale.
    Di regola ho sempre proposto all’avversario di rivedere la partita, qualsiasi fosse il risultato, e quando non lo abbiamo fatto è stato per ragioni oggettive, perché era tardi o perché cacciati dalla sala torneo e mancava una sala analisi.
    Ho fatto eccezione in qualche caso in cui avevo vinto con un avversario più forte particolarmente arrabbiato per la sconfitta e rivedere la partita mi sembrava peggiorasse la situazione.
    Nel caso dell’autore contro Papa io ci avrei pensato due volte prima di fargli vedere la mossa vincente, e forse avrei giudicato più delicato non farlo.

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      punta arenas 21 Aprile 2025 at 10:23

      Grazie per l’apprezzamento, Giancarlo!
      Permettimi però di dissentire dal tuo giudizio, secondo cui “l’onestà intellettuale è comune alla maggioranza dei giocatori di categoria magistrale”.
      Al contrario, forse si potrebbe pubblicare un’enciclopedia, con episodi e affermazioni del tutto prive di obiettività, di moltissimi giocatori di alto livello.
      Mi limiterò ad alcuni episodi, anche perché non c’è solo Karpov che non trova gli errori, propri e altrui.
      Ad esempio, nelle 60 partite di Fischer lui cita i commenti alla sua sconfitta contro Tal, nel 1959 a Portorose (partita 17).
      Panov – per i russi – commenta (con la tipica “obiettività” d’oltrecortina, osserva sarcastico Fischer) scrivendo nel bollettino sovietico che Tal aveva “subito trovato l’unica via di scampo”, in apertura.
      Falso, perché invece Kevitz (uno dei più forti giocatori americani degli anni ’30 e ’40, dietro a Reshewsky e Fine) aveva trovato la mossa vincente per Fischer alla 14a mossa: 14. Ae3!

      Prendiamo l’altra famosa vittoria di Fischer contro Portisch – a s. Monica alla Piatigorsky Cup del 1966 – in cui distrusse Portisch già in apertura, e avrebbe potuto chiudere ben prima con 17…Da4!

      Fischer fa notare che invece la rivista russa “Sovietski Sport” aveva scritto una solenne fesseria, dicendo che Portisch aveva gettato via un finale “perfettamente patto” (????).
      Cito poi un episodio che riguarda l’ottimo Enrico Paoli. Nella sua partita del 1973 contro Uhlmann, a Cienfuegos, a Cuba (memorial Capablanca), Paoli vinse col Nero una bella partita, nella quale Uhlmann fece un suo tipico cappellone, perdendo un pezzo, in una posizione lievemente superiore per il Bianco. Tuttavia, Paoli aveva avuto altre occasioni per andare nettamente in vantaggio (Stockfish gli da punteggi anche sopra – 2).

      Ebbene, dopo quella partita molte riviste dell’Est scrissero che Paoli aveva vinto una partita “completamente perduta” (????).
      Per non parlare dell’”obiettività” degli jugoslavi, nei tornei in Italia.
      Passerotti scriveva che Ljubisavljevic era solito analizzare dicendo che stava sempre meglio lui, tanto che ironicamente Passerotti scrisse che lo avrebbe detto anche “se gli avessero girato la scacchiera!”.
      Una volta vidi Mrdja, che analizzava una partita dopo aver battuto un giocatore italiano, e aveva avuto il coraggio di dirgli che nella sua apertura col Nero, dopo 1. e4 c5 2. Cf3 e6 3. d4 cxd4 4. Cxd4 Cc6 5. Cc3 a6 la mossa 5…a6 era debole, ed era meglio giocare 5…Dc7 (????????????).
      Ora 5…a6 è una normalissima Paulsen, e ci sono oltre 50.000 partite d’alto livello giocate con quella variante su oldchesstempo, anche da giocatori come Carlsen, Caruana, Andreikin, Firouzja, Safarli, Sarana, ecc. ecc., che il buon Mrdja se lo pappano a colazione.
      Quindi, se Mrdja aveva voglia di dire una castroneria qualsiasi, perché voleva andarsene in fretta senza analizzare la partita, poteva sceglierne una migliore.
      Per non parlare della assoluta disonestà di Vujovic, che quando analizzava le sue partite con gli “italianucci” voleva sempre dimostrare che stava meglio lui, sia quando vinceva che quando perdeva.
      Stendiamo un velo pietoso anche sulle partite taroccate tra loro dagli jugoslavi, per prendersi i premi di bellezza.
      Quella non era nemmeno “disonestà intellettuale” era vera e propria FRODE SPORTIVA.
      Ma anche tu – del resto – lo avevi fatto notare: sicuramente gli jugoslavi nei tornei in Italia non erano certo dei modelli di onestà e correttezza.
      Quindi lo ribadisco: pochi giocatori sono stati onesti quanto Fischer nel far notare anche i propri errori.
      Infine, solo un’osservazione a proposito della mia partita con Papa, credo nel 1997 o 1998. Non capisco perché mi dici che sarebbe stato “delicato” non fargli vedere – come feci io – la mossa vincente.
      Lui non era arrabbiato dopo la sconfitta, era solo deluso, come comprensibile. Quindi feci male a non mostrargli la mossa che lo avrebbe fatto vincere.

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        Giancarlo Castiglioni 21 Aprile 2025 at 21:27

        Perfettamente d’accordo sugli Jugoslavi che hai nominato, volevo aggiungere una postilla, mi hai preceduto.
        Devo aggiungere che non tutti gli Jugoslavi erano così, ricordo in particolare Janosevic che analizzò con me dopo la partita con grande impegno e cortesia, ma anche Joksic, Gjantar e altri maestri e candidati che si vedevano più raramente sui tornei italiani.
        Sugli errori nelle analisi che hai citato, li attribuirei solo in parte a disonestà intellettuale.
        Analizzare a fondo una partita è faticoso e porta via molto tempo, specialmente quando non si poteva avere l’aiuto di un programma. Non tutti hanno tempo e voglia di farlo e si limitano a indicare gli errori più evidenti.

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          punta arenas 22 Aprile 2025 at 11:51

          Sì, certo, io mi riferivo ai soliti jugoslavi intrallazzoni che si incontravano nei festival nostrani. So bene che – per citare i primi due che mi vengono in mente – GM jugoslavi come Cebalo e Gligoric erano giocatori molto corretti, e intellettualmente onesti. Gligoric nel 1975 fu uno dei pochi che difese apertamente Fischer, scrivendo che la regola dei 2 punti di vantaggio per lo sfidante, che Fischer aveva cercato inutilmente di introdurre per il mondiale con Karpov, era stata accettata in molte altre sfide mondiali del passato. Ecco, Gligoric era senz’altro un vero signore, e le sue analisi delle aperture nelle prime pagine dell’Italia Scacchistica sono davvero un bel ricordo dei bei tempi passati, che non torneranno più. Invece, uno davvero famigerato, tra gli jugoslavi, era Milan Matulovic. Finì anche in galera per omicidio stradale, avendo travolto una donna in auto, mentre era mezzo ubriaco. Rilasciò anche una dichiarazione ripugnante, dicendo che dopo tutto quella donna era una “solo una bosniaca” (????). Inoltre, il libro di Fox “Scaccomania” del 1987, riferisce che Matulovic vendette la sua partita all’izt di Palma del 1970 contro Taimanov, e giocò quella partita lampo, rimanendo anche assente dalla scacchiera per quasi tutto il tempo. Insomma, davvero un bel tipo non c’è che dire!

  5. avatar
    Martin 21 Aprile 2025 at 15:54

    Solo un’informazione di servizio per chi, tra i nostri Lettori, ha piacere di inserire il visore della partita, nei proprio commenti.

    E’ semplicissimo! :)

    Bisogna semplicemente fare un copia e incolla delle mosse, in formato pgn, tra questi tag (senza spazi in mezzo tra le parentesi quadre e la parolina magica pgn o /pgn):

    [ pgn ]

    inserire qui il pgn della partita

    [ /pgn ]

    e per inserire un diagramma basta mettere queste caratteri ove si vuole che esso appaia: {[#]}

    Fate pure tutte le prove che desiderate senza timore di sbagliare

  6. avatar
    Paolo Landi 21 Aprile 2025 at 17:33

    Ottimo articolo Alberto, trovo molto interessante l’analisi del gioco di Bobby Fischer e il suo approccio allo studio. Le 60 partite restano per me ancora uno dei libri scacchistici fondamentali per migliorare il proprio gioco. Ciò che tu chiami “onestà intellettuale” è in verità (oltre che una qualità morale) soprattutto un metodo di approcio imprescindibile per ogni giocatore che intenda fare seriamente dei progressi. Dopo tutto, molti grandi campioni hanno espressamente riconosciuto che l’obiettività, sia nello studio delle proprie partite che nell’analisi della posizione durante il gioco, costituisce una delle doti più importanti che deve possedere uno scacchista. Altri grandi del passato hanno condotto analisi spietate sulle proprie partite sottolineando errori propri o altrui, basti pensare a campioni del calibro di Keres, Alekhine, Bronstein o Botvinnik, per citarne solo alcuni.
    Quanto a Karpov, mi trovo d’accordo con Martin nel sottolineare come nei volumi sulle partite aperte, semiaperte, ecc. Karpov si rivela un approfondito analizzatore. Si tratta di testi molto particolari che non hanno il respiro e la passione de “I miei grandi predecessori” del rivale Kasparov, ma possono risultare utili a chi intenda studiare a fondo alcune linee teoriche in voga una trentina di anni fa. A Karpov, a mio avviso, manca una vera capacità didattica, egli preferisce sviscerare una sequenza arida di mosse prive di pathos, ma i suoi commenti e i riferimenti ad altre partite sono molto accurati. Se confrontiamo questi volumi abbastanza brevi con un importante testo teorico successivo di Kasparov: “La rivoluzione teorica degli anni settanta”, devo dire che a mio avviso Karpov ne esce sonoramente sconfitto. Per ogni linea analizzata, Kasparov opera continui riferimenti storici, spiega l’evoluzione delle varianti e il tutto risulta non solo istruttivo ma anche appassionante da leggere e studiare.

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      punta arenas 21 Aprile 2025 at 20:08

      Grazie per l’apprezzamento Paolo!
      Sì, condivido le tue riflessioni, e su Karpov mi pare di ricordare che lui stesso una volta avesse ammesso di non essere un grande insegnante, perché diceva che il suo gioco era molto istintivo, nel senso che non si basava su analisi troppo approfondite, ma su una grande sensibilità nel valutare il dinamismo dei pezzi sulla scacchiera. E questo l’aveva scritto anche l’ottimo Porreca: Karpov era un ragazzino magro e smunto, e molti dicevano che non avesse il fisico per affrontare i grandi tornei, e la fatica psico-fisica degli scontri ad altissimo livello. Ma lui aveva sempre saputo risparmiare energie, anche per la sua freddezza caratteriale. Condivido anche quel che scrivi a proposito di Kasparov: le sue capacità didattiche sono state di gran lunga superiori a quelle di Karpov. E d’altra parte direi che non è un caso se gli unici campioni del mondo della Storia che hanno superato lo score del 70% siano stati solo 4: Capablanca, Alekhine, Fischer e Kasparov, e tutti e 4 possedevano eccellenti capacità didattiche.

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        Paolo Landi 22 Aprile 2025 at 16:35

        Mi ha fatto riflettere la valutazione di Karpov sul proprio stile di gioco: la capacità quasi “istintiva” di saper valutare il dinamismo dei pezzi sulla scacchiera. E’ una dote che mi ha sempre affascinato e che contraddistingue tanti grandi campioni del passato come Capablanca, Smislov, Petrosian, Fischer, Botvinnik, ed oggi Magnus Carlsen o il Ding Liren di qualche anno fa. In un certo senso è più facile comprendere la profondità di certi calcoli tattici o il fascino di una combinazione vincente, ma sapere dove posizionare i pezzi, immaginare un vantaggio che si concretizzerà dopo tante mosse, sapere quando entrare in un finale superiore e così via è qualcosa effettivamente di “istintivo”, qualcosa che, ahimè, si può affinare con il tempo e l’applicazione, ma che in fin dei conti costituisce una dote innata. Ho letto recenti dichiarazioni di Carlsen secondo il quale per diventare campioni di scacchi non occorre una mente eccezionale; a suo avviso è sufficiente saper riconoscere e memorizzare una lunga serie di schemi o pattern che si ripresentano sulla scacchiera e trovare la chiave per giocare le mosse più forti o il piano giusto. Facile a dirsi! Carlsen di sicuro è in grado di farlo, ma un comune mortale, ammesso che ricordi centinaia di pattern, dovrà comunque districarsi tra mille problemi tattici e inattese risorse difensive dell’avversario. Per me resta un mistero come la mente umana riesca a trovare intuitivamente la mossa giusta in una posizione complessa tant’è che spesso la prima idea si rivela quella giusta e nelle partite blitz i campioni riescono a creare a volte dei veri e propri capolavori.

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          punta arenas 22 Aprile 2025 at 17:56

          Ma infatti un suggerimento di molti GM a genitori, allenatori, dirigenti di federazioni che sperano che il proprio figlio abbastanza portato per gli scacchi diventi un campione, è vedere se il ragazzino ottiene risultati notevoli già tra i 12-15 anni. Una volta davano come limite d’età e 21 anni. Se uno non diventava GM entro quell’età sarebbe stato quasi impossibile diventare un campione internazionale. E’ vero che un tempo – parlo degli anni tra il 1950 e il 1970 – gli scacchi erano ancora un gioco per persone “mature”, e c’erano anche campioni del mondo come Botvinnik, Smyslov, Petrosian, ecc., che erano diventati campioni dopo i 30 anni. Ma oggi non è più così. Anche studiare molto da ragazzini serve a poco, se non c’è il talento. Se c’è il talento e la capacità di trovare d’istinto le mosse migliori (come Karpov, appunto), allora ha senso – come fece Fischer da ragazzino – studiare 8-10 ore al giorno aperture e partite. Ma se non c’è il talento, allora uno può imbottirsi di schemi, ma non gli basterà.

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    Fabio Andrea Tomba 26 Aprile 2025 at 10:07

    Verissimo il discorso sul metodo d’analisi di Karpov.
    Ricordo che, in uno dei suoi libri, nel commentare una sua partita spese una pagina e mezza per spiegare nei dettagli e senza varianti perchè, in una data posizione del dopo apertura, fosse meglio giocare Tae1 (corredata dall’immancabile punto esclamativo!) anzichè la più naturale Tfe1 (mossa che avrei giocato io). Molti anni dopo, analizzando la medesima posizione, il motore invece considerava le due mosse come del tutto equivalenti e nessuna delle due sicuramente meritevole di un punto esclamativo (visto che la valutazione finale rimaneva costante).
    Era proprio questo suo modo di analizzare credo, come se lui fosse dotato di quel qualcosa in più rispetto agli altri giocatori nel vedere ogni piccola sfumatura della posizione (anche se l’analisi con i motori dimostrava il contrario) senza calcolare, che portò i commentatori del tempo a considerare il gioco di Karpov, basato sull’accumulazione di piccoli vantaggi fino alla “consequenziale” vittoria finale, come l’unico corretto.
    Io mi sono formato scacchisticamente negli anni ’80 e lo studio accurato delle partite di Karpov era ovviamente inevitabile. Il suo modo di commentare però mi allontanò via via sempre più dagli scacchi competitivi. Se lui era in grado di “intuire” quel qualcosa che io non avrei mai potuto vedere nemmeno con tantissime ore di studio, come avrei potuto mai migliorare? Per farla breve, nel mio caso, lo studio delle partite di Karpov fu deleterio.

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    punta arenas 26 Aprile 2025 at 11:18

    Grazie Fabio!
    Mi fa piacere sentire qualcuno che ha avuto le mie stesse perplessità, leggendo le analisi di Karpov delle proprie partite.
    Mi spiace invece leggere che lo stile d’analisi di Karpov ti aveva allontanato poco alla volta dal gioco agonistico.
    Dopo tutto non c’era solo Karpov! Ad esempio, io mi sono formato sulle analisi di Fischer, e sulle 60 partite, e mi bastò raffrontare i due stili, per lasciare perdere Karpov e studiare bene lo stile di Fischer.
    Ma direi che altri grandi giocatori dei decenni passati, come Tal e Kasparov, avevano uno stile d’analisi del tutto gradevole. Forse Kasparov era un po’ troppo dettagliato, con analisi piuttosto lunghe nei commenti sull’Informatore, ma invece Tal era del tutto gradevole, lui nei commenti indicava solo poche mosse essenziali, a parte poche eccezioni di varianti molto complesse, e spesso si limitava a spiegare l’idea e il piano di gioco.
    Insomma, sicuramente Fischer, Tal e Kasparov avevano degli stili d’analisi molto migliori e più onesti di quello di Karpov.

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