incontri straordinari

Scritto da:  | 2 Gennaio 2013 | 4 Commenti | Categoria: C'era una volta, Italiani, Personaggi, Profili

“Ve lo mando giù subito…”
Fu la risposta concisa ma cortese, pronunziata da voce femminile, che avemmo modo di udire al secondo, forse al terzo, squillo di citofono di una fredda e tersa domenica mattina di inizio marzo, di fronte al portone di un caseggiato signorile del quartiere genovese della Foce.
Era già un po’ che si prolungava l’attesa nel luogo dell’appuntamento ma uno sguardo, mezzo sconsolato, d’intesa ci fece definitivamente convincere che la persona che aspettavamo impazientemente non s’era ricordata che, nel corso della notte, le lancette dell’orologio avrebbero dovuto correre un’ora più rapide del solito per motivi …legali.
Dopo ancora qualche altro minuto il pesante portone di legno massiccio finalmente si dischiuse ed apparve, ancora mezzo scompigliato e trafelato, il simpatico vecchietto che con ansia attendevamo.
Vestiva con sobrietà una giacca che forse aveva conosciuto tempi migliori, la camicia era di un bianco immacolato, il colletto lungo e appuntito, di quelli che si usavano una volta, e la cravatta scura gli spuntava dalla tasca del cappotto…
“Scusate, non ho fatto tempo a mettermela…. Mia figlia mi ha spedito giù proprio di corsa”

L’operazione fu prontamente completata lungo il percorso che ci separava dalla sede del torneo: quel Centro Civico “Giacomo Buranello” dalle curve e variopinte pareti che vagamente ricordano le suggestive facciate del quartiere bonaerense de La Boca.
Quella mattina l’aria frizzante di fine inverno, l’ora inusuale per l’inizio di una partita a scacchi e, soprattutto il disguido del brusco risveglio, non avevano tuttavia minimamente intaccato la parlantina sciolta del Dottor Paoli che ebbe subito modo di affascinare i compagni di viaggio con i suoi gradevoli aneddoti di mille e mille battaglie scacchistiche.

L’abbrivio alla conversazione fu la sconfitta, patita solo la sera precedente, da “tal Flavio-non-mi-ricordo-il nome-di-battesimo”, il quale in realtà si rivelò esser Flavio solo di nome e Guido di cognome, per approdare in un baleno ad un torneo disputato anni addietro in cui il nostro protagonista ebbe a perdere una partita con il “terribile” Viktor Korchnoi che, in analisi “post-mortem”, gli illustrò prontamente la variante vincente sfuggita a Paoli durante l’incontro.
Enrico Paoli, maestro elementare per scelta scacchistica, profugo istriano felicemente impiantato da Fiume in quel di Reggio Emilia aveva girato il mondo per via di quel suo grande, inestinguibile, eterno amore: gli scacchi e di quel torneo, disputato almeno un paio di decenni addietro, ricordava chiaramente, come la cosa che più lo aveva colpito, il fatto che tutti i partecipanti aderirono entusiasticamente all’invito degli organizzatori per una gita in un’amena località turistica nelle vicinanze, con mogli, allenatori e secondi, nell’unica giornata di riposo del torneo. Il solo Korchnoi si astenne dalla partecipazione, “per rimanere in albergo ad analizzare una partita sospesa”.
Il Grande Maestro di Leningrado vinse facilmente il torneo a mani basse.
Meno ammirativo era invece il ricordo che serbava Paoli relativamente alle vicende politiche ed extra-scacchistica che hanno in seguito contraddistinto l’esule sovietico.
Da me interrogato su quale invece ritenesse fosse stato il più grande scacchista della storia, corrucciò alcuni istanti i sopraccigli, e pronunziò secco un nome: “Alekhine! Forse non il più grande in assoluto, ma sicuramente il più forte…” Mentre colui che lo aveva colpito per la grande sicurezza di gioco, soprattutto in fase di attacco, era Paul Keres, col quale giocò solo una volta “confuso ed emozionato come un bambino di fronte al suo idolo, perdendo troppi pedoni in apertura per cercare di escogitare una soluzione di inizio partita magari poco conosciuta al grande Estone….”.

Le lancette dell’orologio erano state già messe in modo da diversi minuti, quando giungemmo alla sala di gioco, ma con nostra somma sorpresa l’orologio in moto non era quello di Paoli: il suo avversario aveva infatti il Bianco ed era in ritardo anche lui.
Si trattava del Gran Maestro croato Milorad Knezevic.
Paoli nonostante l’età, nonostante l’esperienza, appariva nervoso “perché un Grande Maestro è sempre un Grande Maestro”, finché, ormai in piena zona Cesarini, sbucò finalmente fuori lo sparuto drappello dei giocatori slavi comprendente anche Knezevic.
Il Maestro Croato giocò molto rapidamente l’apertura e quando, al termine della mia partita, tornai nella sala principale, quella del Magistrale, a veder la posizione Paoli sembrava appena essersi seduto al tavolino tanto fermo e deciso appariva lo sguardo con cui avvolgeva i pezzi sulla scacchiera.
La sua bandierina, nonostante il cospicuo vantaggio iniziale di tempo, era ormai caduta da alcuni minuti ma egli stava ancora analizzando mentalmente la posizione, concentratissimo.
Knezevic con rispetto, quasi con deferenza, attendeva con lo sguardo basso.
Finalmente Paoli gli tese la mano abbandonando.
Quando in seguito qualcuno degli astanti timidamente gli domandò il motivo per cui, con così grande vantaggio di tempo, non avesse pensato di proporre la patta rispose fermo: “Stavo meglio”.

Ci lasciammo con la promessa di rivederci presto. Rammento ancora con piacere la sorpresa che mi procurò l’arrivo di due libri di due edizioni del Reggio Emilia, che Paoli mi spedì in seguito.
Ci teneva particolarmente a che fossero chiamati “libri del torneo” e non già semplicemente “bollettini”, forse memore delle tante notti insonni trascorse a compilarli con lo scrupolo, l’impegno e la precisione delle persone di una volta.
Ma ciò che soprattutto non dimenticherò mai di quell’anziano gentiluomo dei tempi andati è la fermezza che emanava nei concetti che sapeva esporre, la forza di volontà e la tenacia che permeavano ancora i suoi gesti, sia sulla scacchiera, ove analizzava “sempre e soltanto senza muovere i pezzi”, che in ogni altra cosa in cui era chiamato ad esprimersi.
Nell’accomiatarsi da noi l’anziano Maestro ci illustrò brevemente il suo prossimo progetto: “un altro libro per Mursia: spingono perché scriva un trattato sulla Difesa Slava…” e col suo solito umorismo, col suo solito sorriso schivo da distinto gentiluomo di una volta, si rammaricò di una cosa soltanto: “della guida da corridore di carreras messicane” di mio padre.

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


4 Commenti a incontri straordinari

  1. avatar
    Luca Monti 2 Gennaio 2013 at 00:57

    Certo per Martin Eden proprio un grande onore avere trascorso una mattinata con Enrico Paoli. Un poco lo invidio.

  2. avatar
    paolo bagnoli 2 Gennaio 2013 at 11:59

    Paoli fu colui che raccomandò alla Mursia il mio primo “Scacchi matti”. Ci si vedeva un paio di volte l’anno presso il Circolo Scacchistico Bolognese in occasione di incontri a squadre (Targa Cussini, ecc.). Di lui ricordo il tratto affabile che a volte, tuttavia, si rivestiva di una leggera ruvidezza, ma ricordo soprattutto una frase che mi rivolse durante uno di quegli incontri. Quel giorno notai che si alzava spesso per osservare la partita che stavo giocando, e la cosa mi inorgoglì non poco, visto che stavo affrontando uno decisamente più forte di me. Dopo un’oretta di gioco mi alzai per sgranchirmi le gambe, me lo trovai di fianco e rimasi di sasso quando mi sparò addosso un commento che non dimentico: “Bagnoli, lei ha le idee di un Maestro ma la tecnica di un principiante” e ciò detto se ne tornò alla sua partita contro Palmiotto.

  3. avatar
    Roberto Messa 2 Gennaio 2013 at 16:59

    Bella storia. C’è dentro tutto Paoli.
    Come ben ricorda Bagnoli, quando voleva farti un complimento trovava sempre il modo di non apparire complimentoso, così capivi che era un complimento sincero!
    La foto di Paoli con la figlia ha l’aria di essere stata scattata in una delle sue ultime partecipazioni al festival di Bratto. Qualcuno può confermare? Magari anche l’anno?

  4. avatar
    alfredo 5 Gennaio 2013 at 18:45

    Grazie per il ricordo di un vecchio caro amico. Mi ricordo la gioia che mi dava andare a trovarlo nella casa di Reggio che lui definiva “parva sed apta nobis”. Ho molte “cartoline” da lui speditemi che in realtà erano foto di quadri figurativi dipinti della moglie. La malattia della moglie fu un grosso colpo per lui. Ho tantissimi bei ricordi. Quello che mi viene in mente ora è la risposta che mi diede quando gli chiesi di Fischer. Mi rispose semplicemente “el xera un rustego”. Un signore che concludeva ogni conversazione con “Riguardi e saluti alla Signora”. Ah, altro ricordo: una memorabile lavata di capo per aver trascritto in maniera errata il nome di un giocatore slavo. E non ha mai perdonato alla Mursia di non aver scritto Petrossian, secondo il nostro “paoliglotta” la maniera giusta.
    grazie Martin
    PS: non fosse stato per quel maledetto incidente (fu investito e riportò un trauma cranico da cui non si riprese mai del tutto) sono sicuro che ne avremmo festeggiato il secolo di vita.

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