Ciro quando non capiva una mossa sorrideva, con quel sorriso ingenuo e fiducioso dei fanciulli, un po’ tra il timido un po’ tra l’imbarazzato, era sempre un sorriso solare il suo, radioso, che ti commuoveva…
Per andare a giocare con lui attraversavo tutta la città, se ne andava via tutto il pomeriggio per fare appena poche mosse, non parlavamo, dopo un cenno di saluto tiravo fuori dalla borsa la scacchiera pieghevole e incominciavamo la nostra partita. Avevo portato la mia perché la scacchiera dell’istituto era troppo malridotta ed a stento si distinguevano i pezzi, di plastica, tutti sbeccati con un pedone a cui mancava la capocchia e le torri completamente smerlate e irriconoscibili. Dopo le mie prime visite decisi di lasciar lì la scacchiera, almeno ne avrebbe avuta una decente per giocare anche se forse non c’era nessun altro con cui Ciro potesse giocare. Era un ragazzo timido e introverso ma quel sorriso profondo ed i suoi modi gentili sopperivano ad ogni parola, non c’era bisogno di tanti discorsi per leggergli i pensieri nello sguardo fiducioso e sincero.
L’avevo conosciuto grazie a Chiara, un’amica che in qualità di assistente sociale si recava in quell’istituto tutti i giorni. Sapendo della mia passione per gli scacchi e delle potenzialità che il gioco può avere per stabilire un rapporto comunicativo anche con i ragazzi più problematici mi aveva chiesto se avevo voglia di accompagnarla qualche volta. Lì dentro tutti i ragazzi sembravano più grandi della loro età, anche se molte di quelle facce imberbi dei grandi, degli adulti, avevano solo gli atteggiamenti aggressivi e da protagonisti che stonavano pacchianamente su quei visi il cui aspetto nascondeva solo timore e smarrimento. Quando la prima volta che entrai in quegli androni squallidi e inospitali tirai fuori la mia scacchiera l’indifferenza dei ragazzi alla novità di quel gesto non mi sorprese, Chiara mi aveva preavvertito che era solo un sintomo di autodifesa e, anche se le smorfie di scherno un po’ mi ferirono, feci per non lasciar trapelare le mie emozioni. Ma Ciro era diverso, il suo non fu un sorriso di scherno, di sarcasmo o di autodifesa, mi attraversò nell’animo come una lama nel burro il suo stupore ingenuo di sorpresa sincera di fronte a quella tavoletta di legno che non aveva mai visto.
Mentre estraevo i pezzi dalla busta di panno marrone avvertii la sua meraviglia aumentare come un bambino di fronte a un prestigiatore. Lentamente disposi i pezzi uno ad uno sulla scacchiera e quando ebbi finito gli feci segno con lo sguardo che se voleva li poteva toccare …li doveva toccare, Cristo! Speravo solo quello… lui li sfiorò col timore di poterli sciupare e fu in quel momento, da quel gesto, che intuii che ce la potevo fare…
Per tutta l’estate seguitai a recarmi all’istituto una volta alla settimana, attraversando coi mezzi pubblici sotto un caldo cocente la città, a piedi le strade deserte che portavano dal capolinea dei pullman al promontorio ed infine il ponte di pietra che univa la terraferma all’isola su cui sorgeva l’edificio dell’istituto. Quando tornavo la sera a casa, stremato dalla stanchezza, mi sentivo frustrato e deluso da un senso di impotenza che mi attanagliava… mi sembrava irreale, impossibile, assurdo non esser riuscito a scambiare che poche parole col mio giovane avversario ma solo in seguito capii che voleva solo giocare, giocare e basta… che era quello il suo bisogno unico, primordiale da soddisfare…
Ciro aveva quindici anni, coi risparmi di garzone di panificio aveva comprato un motorino usato, un motorino vecchio e scassato, azzurro come la sua squadra del cuore. Un suo amico glielo aveva chiesto in prestito e Ciro non aveva saputo negarglielo. Gli era servito per uno scippo che andò male ma l’amico era riuscito a fuggire abbandonando il motorino per la strada ed a causa del suo colore particolare erano risaliti a Ciro. Per un infantile senso di lealtà e di amicizia non aveva voluto dire il nome dell’amico a cui lo aveva prestato e, siccome la vittima della rapina non era stata capace di riconoscere lo scippatore, Ciro era finito in istituto.
L’ultima volta che lo rividi fu in un caldo pomeriggio di fine settembre. Giocammo un’altra delle nostre silenziose partite, la prima che vinse Ciro, l’ultima che giocammo… quando tornai, la settimana successiva, non lo trovai, mi dissero che la sera prima al termine di un permesso non aveva fatto ritorno in istituto… lo avevano trovato riverso sull’asfalto, a poche centinaie di metri dallo stesso capolinea dei pullman ove passavo sempre, con la testa maciullata sotto il paraurti di un furgone uscito di strada… nello zaino aveva la mia scacchiera…
c’è ancora chi sa creare emozioni
grazie
…mi mancavano questi tuoi articoli. Ora ti riconosco!!
Sei un grandissimo… e questo sito è speciale anche grazie a questi tuoi interventi stupendi… Martin Eden IL GRANDE!!!
Grandissimo!!
Toccante. Forse Ciro era diverso dai ragazzi che vivevano intorno a lui e non meritava nulla di quanto gli è accaduto. Spero che per gli altri la cartarsi, prima, e il riscatto, dopo, possano passare anche per gli scacchi e mai per la morte.
Sei davvero bravissimo, Martin. Grandi complimenti.
Da oggi non ti sarà facile superare te stesso, dopo questa prestazione da 2800 !
Da un lato ci hai saputo spiegare con delicatezza quanto e come l’universo scacchistico può spalmarsi sulla vita di tutti i giorni, anche la più sfortunata.
Dall’altro ci hai saputo dimostrare come per creare un pezzo tanto avvincente ed emozionante non servano varianti slave e sistemi svizzero-olandesi, basta la giusta dose di eleganza e di sentimento.
Grazie !
Quale forza arcana è insita nel nostro gioco, quale magia trasforma un semplice quadrato di 64 caselle in un linguaggio universale? Un semplice capolavoro, come questo pezzo di Martin Eden.
….Martin Eden ha tutte le risposte…per tutti!!
che dire?
un pezzo che deve fare assolutamente parte della futura antologia di Soloscacchi .
Martin Eden non delude mai !
non è pertinente ma questa la dedico a Mongo http://www.repubblica.it/rubriche/la-storia/2013/08/18/news/rivera_compie_70_anni-64930184/?ref=HREC1-2 buon compleanno al grande alessandrino come il nostro Mongo e n ricordo per faccia d’angelo Roberto Rosato che avrebbe compiuto anche lui oggi 70 anni Se Rivera fu il calcio ( uno dei dieci piu’ grandi di sempre secondo me) Rosato fu uno dei difensori italiani piu’ forti di sempre PS e Gianni Mura scrive sempre da dio
Martin, io non sono un esperto di musica leggera. Puoi dirmi chi è che canta (e chi è l’autore di) quel magnifico brano che hai allegato? Grazie.
Neppure io sono un esperto di musica ma la canzone è di Claudio Mattone, una delle tante tratte dal bellissimo film Scugnizzi di Nanny Loy. Chi sia il cantante tuttavia non lo so… attendo pure io lumi da qualcuno più illuminato, grazie 😉
Scorrendo i titoli di coda della pellicola, si legge la canzone essere interpretata da Tiziana Donati. Ma la versione della Donati che ho ascoltato è diversa da quella in articolo. Donati si o no, la canzone è splendida, ben accompagna il pezzo.
Andrea Sannino forse?
Che dire? E’ vero che sembra piaggeria , banale e ridondante manifestare sempre il proprio consenso con parole di plauso e approvazione, ma quando articoli come questo (e tanti altri di “SoloScacchi”, riescono a suscitare emozioni, a smuovere qualcosa dentro di noi, è bene che queste emozioni sgorghino spontanee per manifestare la nostra vicinanza e per incoraggiare l’autore ad emozionarci ancora, vuoi insegnandoci qualcosa con un racconto di storia scacchistica o di tecnica di gioco, vuoi con qualcosa che nutre e risveglia i nostri sentimenti.
…chi era Ciro? Semplicemente un ragazzo che si sentiva responsabile della bellezza del mondo, tormentato dall’accanita ricerca di un accordo tra felicità e logica, tra intelligenza e fato.Ciro era uno di noi.
Bello!!
Mi ha emozionato…