Dopo “Scacchi e Tiranni I e II” ritorno al libro “scacchistico” di un altro grande scrittore della letteratura mondiale: Vladimir Nabokov ed il suo “La difesa di Lužin” (Ed. Adelphi, anno 2001, pagg.231, € 15.49). Questo romanzo psicologico risale al 1929 e l’ambientazione è inizialmente quella della Russia imperiale (San Pietroburgo) e poi la Berlino degli anni ’30, frequentata dai ricchi russi scampati alla rivoluzione del ‘17. Una ventina d’anni che segnano il protagonista (Aleksandr Ivanovic Luzin) che gioca la sua partita con la vita; bambino difficile e autentica disperazione dei genitori. Poi la scoperta degli scacchi e l’emergere del suo genio scacchistico che gli permette comunque di venire a contatto con la vita “normale”, lui che non sarebbe mai stato in grado di sostenere una relazione umana significativa. Ancora una volta gli scacchi come monomania e unico scopo nella vita (forse la vicenda umana del grande campione Fischer è quella più vicina al protagonista di Nabokov). Proprio questa dedizione completa al gioco lo accompagna verso la follia; un rischio che la stessa moglie di Luzin intuisce e che porta con sé il germe dell’autodistruzione. Gli scacchi diventano per Luzin la vera vita, si sostituiscono alla realtà fino a farlo diventare un vero e proprio avatar[1], un alter ego onnipotente: “La vera vita, la vita degli scacchi, era ordinata, nitida, ricca d’avventura, e Luzin rilevava con orgoglio quanto fosse agevole dominarla…” . Questa doppia vita andrà in corto circuito davanti all’ultimo avversario, l’italiano Turati. Luzin ha creato la sua difesa nei confronti dell’esistenza tuffandosi nel mondo fantastico ma terribilmente reale degli scacchi e ha ideato la sua difesa nei confronti degli avverarsi scacchisti. Tutto crollerà miseramente, ma questo non è importante perché era nella logica delle cose.
Un romanzo doloroso e grottesco nel quale i veri appassionati di scacchi, più dei comuni lettori, possono comprendere la psicologia dello scacchista, forse un po’ oleografica (per noi uomini del 2000 ma non per quelli del 1929), ma senz’altro vicina ad alcuni “tipi” che frequentano ancora oggi i tornei a qualsiasi livello. Rimane poi il valore storico e di costume di questa opera di Nabokov, soprattutto l’acrimonia che l’autore dimostra nei confronti dei ricchi russi che frequentano Berlino alla fine degli anni venti.
Una meravigliosa lettura, senz’altro avvincente, da cui è stato tratto il film “La partita” (2001) di Marleen Gorris, con protagonista uno splendido John Turturro. Buona lettura!
[1] Nel senso originario del termine di origine sanscrita, cioè l’incarnazione del dio in un essere umano o comunque terrestre.
Il film è molto ben fatto! Complimenti per la recensione. 😉
Vidi il film il primo giorno di uscita a Roma insieme ad un mio amico scacchista e lo consiglio a tutti i lettori di soloscacchi.net e soprattutto ai lettori del libro di Nabokov dal quale è tratto; film drammatico, curatissimo nei particolari scacchistici :smile:, soprattutto quelli maniacali ;-), splendidi gli ambienti interni ed esterni della location (un grande albergo di Bellagio sul lago di Como) ed un John Turturro – secondo me -strepitoso!
Non ho visto il film, ma il libro, che ho letto in una traduzione inglese, è di notevole fattura, quale è lecito aspettarsi da uno scrittore raffinatissimo come Nabokov.
Alcuni dicono che il protagonista sia stato ispirato dalla figura di Kurt Von Bardeleben, morto suicida. Per certi versi il personaggio principale ricorda anche Akiba Rubinstein, che a sua volta ha ispirato “Zugzwang Mossa Obbligata” di Ronan Bennett.
Il romanzo di Nabokov è comunque da inserire ai primi posti della letteratura a tema scacchistico.