Dorsi di libro

Scritto da:  | 15 Novembre 2011 | 7 Commenti | Categoria: Racconti

Il signor Beretta probabilmente non doveva far un lavoro d’intelletto o almeno questo era il sospetto il cui tarlo mi aveva iniziato a rodere i pensieri tra un prestito e l’altro… Erano infatti pochi mesi che, dopo il tanto atteso concorso e l’agognata nomina a bibliotecario comunale, avevo preso servizio presso la Civica Biblioteca di Lissone, un piccolo centro ad un tiro di schioppo da Monza, famoso nel resto del globo non brianteo più che altro per i mobilifici di cui pullula la zona che non per i pochi, e peraltro piuttosto impolverati, tomi giacenti sugli scaffali del mio nuovo posto di lavoro. E tra gli ancor più rari avventori di quel pur rispettabile luogo di cultura, colui che mi aveva incuriosito di più fin dalle mie prime settimane di servizio, era appunto quello strano ometto dalla indefinibile età, mingherlino, dalla carnagione olivastra, le orecchie un po’ a paracadute, il fare leggermente ciondolante, l’accento pressoché indefinibile e, soprattutto, lo strano modo con cui inforcava gli spessi occhiali dalla montatura di celluloide allorquando si avviava verso lo schedario dei libri mormorando fra sé e sé: “dunque, vediamo un po’… cosa posso leggere questa volta?” Scartabellava per qualche minuto, con puntigliosa attenzione, nel casellario dei libri e, dopo aver bisbigliato in modo molto convinto qualche moccolo contro il codice Dewey, alla fine con espressione trionfante esultava: “Sì, per fortuna ce ne sono…”

Dopo la prima richiesta di prestito mi avvidi in modo molto ben chiaro che si riferiva ai libri di scacchi, non tantissimi, neppure pochissimi, ma che per me, in quanto bibliotecario, rappresentavano qualcosa di molto simile alla scalata delle Petites Jorasses trovandosi essi in cima in cima al più inaccessibile degli scaffali della biblioteca.
Arriva puntualmente tutti i venerdì pomeriggio, alle quattro meno un quarto, il Signor Beretta, mezz’ora prima della chiusura, residente a Monza in via Francesco Cilea 2, questi i dati essenziali sulla sua scheda del prestito. Ma ciò che più mi incuriosiva di quel singolare personaggio era l’evidente contrasto tra i manuali specialistici che consultava, di scacchi, ovvero, per me che non so neppure cosa siano, qualcosa di evidente impegno intellettuale, e la sua figura quasi trasandata e ben poco vicina a quella che immagino essere lo stereotipo dello studioso di quella disciplina della mente patrimonio esclusivo di esperti ed iniziati.
Me ne andavo vieppiù convincendo al momento di ricollocare i volumi che prendeva a prestito al loro posto originario, lassù sugli scaffali delle Petites Jorasses. Ogni volta, sia sul dorso del libro, che nelle pagine all’interno, qualche macchia di unto, inodore all’olfatto, probabilmente grasso di qualche macchinario, chissà…
Dai primi giorni di luglio tuttavia le visite del Signor Beretta cessarono di colpo. Sul momento tuttavia non ebbi a preoccuparmene troppo, di lì a poco infatti la biblioteca avrebbe chiuso i battenti per un breve periodo estivo, mentre probabilmente quel curioso bibliofilo si sarebbe forse concesso qualche giorno di villeggiatura lontano dal suo per me ignoto e misterioso impiego. Trascorse invece l’estate, riaprì la biblioteca a inizio settembre, in tempo per l’avvio delle scuole, passarono le settimane ed ogni venerdì pomeriggio, quando si approssimavano le quattro meno un quarto e la mia trepidazione per l’abituale arrivo del mio strano personaggio cresceva sempre più, in una curiosa agitazione interiore, ma ecco, immancabile la delusione: nessuna traccia, non veniva proprio più… Alla fine ebbi a dimenticarmi di lui, fino a quando la primavera successiva per l’inventario annuale dei libri da trasferire nei fondi ebbi ad imbattermi nella risistemazione del settore dei libri da cui soleva attingere il Signor Beretta per le sue ricerche.
Codice Dewey: 794.1
Ma li riconobbi immediatamente, anche senza ricodarmi quel numerino… per via di quelle macchie di grasso sul dorso. Mentre mi accingevo a sistemarli nella nuova collocazione me ne cadde uno e dalle
pagine spuntò uno di quei foglietti che tanto di frequente i lettori adoperano a mo’ di personale segnalibro e che poi si dimenticano di togliere…
Eccolo, l’ho conservato, incuriosito da quello che vi trovai scritto.

A distanza di tanti anni son tornato per caso a Monza solo una volta, dopo il mio trasferimento definitivo sotto la Lanterna. Dovevo solo cambiare treno verso altra destinazione diretto. La mia coincidenza non sarebbe stata a breve così mi presi briga di andare a vedere se in via Cilea, al numero 2, vivesse ancora quell’ometto o, chessò, qualcuno a cui chieder notizie…
Nessuna traccia sul citofono… deluso e dispiaciuto me ne stavo già per tornare sui miei passi, quando mi avvidi di giovanotto in canottiera bianca che, forse insospettito, mi scrutava con lo sguardo. Fu un attimo chiedergli notizie… La sua espressione interrogativo fu la risposta più chiara, aggiungendo poi distrattamente: “Son più di quindici anni che ho l’officina qui e non l’ho mai sentito nominare, mah, forse stava qui una volta…”
Mentre si girava per andarsene mi cadde l’occhio sulle sue mani, unte di grasso…

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


7 Commenti a Dorsi di libro

  1. avatar
    Fabio Lotti 15 Novembre 2011 at 09:42

    Lettura godibilissima.

  2. avatar
    Mongo 15 Novembre 2011 at 10:47

    Bravo Martin, un pezzo di alta scuola!! 😉

  3. avatar
    Alberto 15 Novembre 2011 at 23:02

    Bello! Ma Beretta?

  4. avatar
    Marino 16 Novembre 2011 at 19:58

    Avvincente ma non riesco ad afferrarne il senso. Mi sono chiesto (senza risposta): e allora?

  5. avatar
    Zenone 17 Novembre 2011 at 17:33

    …e allora? Niente.
    E’ così e basta. Non sempre ci deve essere una spiegazione.
    Mi fermo alla prima parte del commento di Marino: “Avvincente”. Se è stato trovato avvicente – e sono totalmente in sintonia con questa sensazione – anche se non si comprende il significato, non c’è bisogno di cercare un senso, che potrebbe essere legato ad esperienze personali di chi scrive o solo un pretesto per parlare di scacchi oppure di sistemi di classificazione dei libri ecc.
    Perché non guardare il foglio tovato nel libro dove c’è l’errore nell’anno di nascita del campione americano Szmul Rzeszewski (1911 e non 1921) e il secondo errore qual è, forse il vero nome di Reshevsky. E se l’omino con “l’accento indefinibile” fosse il fantasma del grande giocatore? E perché è scomparso all’impovviso? Sarebbe bello pensarlo.
    “Tutto a posto, i fantasmi non esistono li creiamo noi, siamo noi i fantasmi!” diceva Eduardo e questo racconto è pieno di fantasmi.
    A me è piaciuto, anche se non so chi sia Beretta e nemmeno so rispondere ad alcuna delle domande che mi sono fatto anch’io dopo la lettura.
    Bravo Martin Eden.

    • avatar
      Joe Dawson 17 Novembre 2011 at 20:03

      Acute come sempre le tue osservazioni, Zenone, ma a me è quell'”inequivocabilmente” che mi fa pensare…

  6. avatar
    Marramaquìs 17 Novembre 2011 at 18:43

    Beretta sono io. O meglio, credo d’esserlo un poco anch’io.
    Magistrale Martin Eden!

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