“Brambillo mangeria, dietro no stare”

Scritto da:  | 20 Febbraio 2012 | 6 Commenti | Categoria: Racconti

Dipinta con vernice nera su una lurida stecca di legno questa la prima insegna, scritta in un italiano crudo e rozzo, che Pasquale Russo vide al suo arrivo a Tripoli sul finire degli anni trenta allorquando fu inviato nel capoluogo libico, per incarico dell’Istituto Geografico Militare, nel vacuo compito di italianizzare la cultura araba.
Il benvenuto la diceva lunga sulla cultura con cui sostituire quella plurimillenaria esistente, e questo Pasquale lo intuì immediatamente. Se l’arte del sillogismo non è un’opinione i connazionali venivano chiamati tutti Brambilli e lo stesso nome, storpiato alla bell’e meglio, era anche diventato sinonimo di quel qualcosa che la nostra (sotto)cultura ha esportato con indiscutibile successo in tutti i paesi che abbiamo visitato.
Tuttavia Pasquale estrasse dalla tasca con la massima obiettività possibile il proprio taccuino di pelle nera consunta e sgualcita e vi annotò col lapis la singola scritta appesa agli stipiti del portone di uno dei palazzi non distanti da Corso Vittorio Emanuele III nei cui pressi alloggiava. In effetti più che un alloggio vero e proprio si trattava di un piccolo appartamento che l’Istituto metteva a disposizione, in quegli anni, per i propri impiegati e che il Dottor Pasquale divideva con un giovane sottufficiale di stanza già da alcuni mesi in Tripolitania, tal Orfeo Piovesan, un simpatico giovanotto mestrino che aveva intrapreso l’avventura militare, e quella africana in particolare, soprattutto mosso dalla brama di eventuali avventure muliebri che non dalla vocazione di paladino e difensore della patria.
Di poco più giovane di Pasquale il Piovesan si era prontamente fatto benvolere dal coinquilino sebbene fossero i due piuttosto distanti in quanto ad abitudini, modo di fare, educazione e cultura.
Orfeo scanzonato, alquanto irrispettoso del regime militare, disordinato e caciarone, l’altro, Pasquale, meticoloso, riservato, piuttosto taciturno e spesso incline alla meditazione ed al silenzio, e chi non li avesse mai incontrati prima avrebbe probabilmente detto che era l’impiegato il soldato e viceversa.
La sera, rientrando dalla mensa ove entrambi si recavano a desinare, lo studioso soleva preferiva ritirarsi nel proprio alloggio a compilare le ultime note delle proprie osservazioni, mentre il giocane Maresciallo Aiutante, spesso in compagnia di qualche Sciumbascì con cui aveva fraternizzato, faceva una sosta in quello che anch’egli chiamava, non senza una punta di sfacciata ironia, il proprio ufficio, a cui si accedeva attraverso l’androne del portone fatiscente ove campeggiava la scritta inneggiante al passatempo preferito dei Brambilli. Orfeo all’atto di accomiatarsi dal suo distinto compagno di pigione non si lasciava mai sfuggire l’occasione di una scusa per esser accompagnato ma il Pasquale, con un sorriso timido immancabilmente si ritraeva sempre. Fino a che una sera il pretesto singolare per caso accampato dal giovane veneto fu: “Dai, intanto che aspetto il mio turno ci facciamo una partita a scacchi…” A Pasqualino immediatamente brillarono gli occhi in un guizzo causato dal riaffacciarsi alla sua mente le emozioni del gioco appreso da fanciullo.
Con la voracità dell’affamato atavico, divorato nell’ansia che giungesse ogni giorno quel momento dopo la passeggiata della sera, presero a trascorrere le giornate di Pasquale Russo, il Dottor Russo, per salire i gradini bui e trascorrere le due ore prima che l’ufficio chiudesse a giocare con l’amico. Uno si trovava felice in un luogo in cui mai immaginava vi si sarebbe recato, l’altro di lì in avanti si sarebbe dimenticato innumerevoli volte del proprio turno…

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


6 Commenti a “Brambillo mangeria, dietro no stare”

  1. avatar
    Zenone 20 Febbraio 2012 at 13:43

    Nord e Sud, colti e meno colti, civili e militari… “Gens una sumus”

  2. avatar
    Mongo 20 Febbraio 2012 at 14:23

    Gran bel racconto: c’è tutto qui dentro!!! 🙄

  3. avatar
    Fabio Lotti 20 Febbraio 2012 at 15:39

    Idem come Mongo.

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    Topalov 29 Febbraio 2012 at 16:30

    Ma solo a me non è piaciuto quest’articolo?? lo trovo noioso ed inutile!

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    Zenone 29 Febbraio 2012 at 17:15

    Il fatto che questo racconto (non articolo) possa non piacere è nella logica delle cose. Avrei forse da dire qualcosa sulla sua inutilità visto che ogni scritto, compreso questo, provoca un pensiero, una meditazione e una discussione. Credo che la chiave di lettura iniziale sia quella emotiva, cioè quella che utilizziamo quando ci avviciniamo ad una poesia. Poi, razionalizzando, con grande sforzo di onestà intellettuale, dobbiamo porci le domande relative alla nostra conoscenza dell’argomento: cosa sappiamo del periodo della colonizzazione africana, quali reparti militari sono stati coinvolti e da dove provenivano, chi tra i “civili” è andato o è stato costretto a recarsi in quelle terre lontane, cosa hanno trovato sul posto e come si sono adattati a quella vita. Infine, bisogna sempre tenere a mente che, come per altri racconti di questo blog, anche in questo caso gli scacchi sono solo un pretesto per descrivere uno spaccato della nostra vita o della nostra storia. Comunque non c’è da preoccuparsi perché come ci ricorda Saul Bellow: “L’uomo che si annoia fa strada più in fretta degli altri. Se ti annoi ti rispettano.” 😉
    Grazie

  6. avatar
    Yanez 29 Febbraio 2012 at 18:24

    Ma no, siamo in tanti, sai? Solo che probabilmente, per timidezza, la maggior parte non si azzarda a dirglielo…
    Tranquilli che Martin non si offende. Intanto stasera, quando gli rimbocco le copertine, provo a farglielo capire che è meglio se si trova qualche altro inutile passatempo 😉

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