Il giocatore di scacchi che non impiccarono

Scritto da:  | 5 Maggio 2012 | Un commento | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Edgar Marcus Lustgarten pubblicò, nel 1949, il suo Verdict in Dispute, nel quale, a proposito del caso Wallace, scriveva: “… come esercizio mentale, come sfida ai poteri deduttivi ed analitici di una persona, l’assassinio Wallace costituisce una categoria a sé stante. Esso ha tutto il frustrante ed irritante fascino di un problema di scacchi che termina in scacco perpetuo”. Winifred Duke, nel suo Six Trials, scritto tre anni dopo gli avvenimenti che portarono al processo, diceva: “Chiunque abbia ucc iso la signora Wallace merita una distinzione accordata a pochi assassini. Il suo fu il crimine perfetto, irrisolto, inspiegato, senza movente, impunito”. Il celebre critico teatrale James Agate, nel sesto volume della sua serie Ego (1944), si espresse in questi termini: “Il caso Wallace fu una faccenda altamente professionale. Fu pianificato con grande cura e straordinaria immaginazione, sia che Wallace fosse l’assassino sia che non lo fosse. Se non lo fu, ecco l’assassinio perfetto. Se lo fu, ecco un assassinio tanto vicino alla perfezione da far sì che la Corte d’Appello , dopo l’esame dei fatti, decise di annullare la detenzione di Wallace”. Nel 1936, nel suo The Anatomy of Murder, la celebre scrittrice Dorothy Sayers affermava: “Il problema dell’assassinio Wallace non aveva una mossa-chiave e si concluse, in realtà, in uno stallo”.

Un autorevole giudizio venne espresso da Gerald Abrahams, il quale, oltre ad essere giocatore di scacchi di alto livello, fu avvocato e giurista di vaglia. Nel suo The Legal Mind, pubblicato nel 1954, Abrahams esaminò il caso, traendo le seguenti conclusioni: “I  giornalisti hanno coinvolto per anni i lettori con la domanda:  Wallace era  colpevole? Esistono tre modi di rispondere a questa domanda. Primo: legalmente, essa è accademica. Non c’era evidenza di prove contro di lui. Secondo: sul piano personale. I suoi conoscenti apparvero convinti della sua innocenza. (…) Giudicare Wallace colpevole significa accreditarlo di una forza mentale, un’abilità, un’astuzia, un sangue freddo ed una solidità di nervi dei quali egli pareva assolutamente incapace. Terzo: scientificamente, è molto più facile ritenere come assassina un’altra persona, il cui compito sarebbe stato molto semplice (…) Secondo il principio delle interpretazioni semplici, Wallace era innocente”.

Altrettanto interessante, tuttavia, è il giudizio che il giudice Wright – divenuto nel frattempo lord Wright of Durley – pronunciò una trentina d’anni dopo il processo. Nonostante nel corso del dibattimento avesse fatto intendere alle parti la sua propensione per una assoluzione in primo grado, in una intervista da lui rilasciata al Liverpool Echo dichiarò: “Non dimenticate che Wallace era un giocatore di scacchi (…) Direi, generalizzando, che ogni persona dotata di buon senso avrebbe detto che l’alibi di Wallace era troppo valido per essere vero, ma questo non è un motivo per il quale si possa impiccare un uomo&rd quo;. Nel suo Legal Essays and Addresses , pubblicato a Cambridge otto anni dopo il processo, Wright scrisse: “In ogni fase del dibattimento si verificarono spiegazioni tra loro contrastanti, cosicché, come pensai io e come pensò la Corte d’Appello, il verdetto finale di colpevolezza non poté essere dedotto dalla complessità dei dati, ed il prigioniero venne infine messo in libertà dalla Corte d’Appello, che annullò il verdetto della giuria”.

Su Wallace furono scritti fiumi di parole, una decina di libri più o meno validi, un paio di film, ed una serie di articoli pubblicati nel 1932 sul John Bull , un periodico britannico molto diffuso. Come riferisce Jonathan Goodman (The Killing of Julia Wallace, 1990) uno dei tanti che analizzarono il caso, questi articoli vennero scritti da un collaboratore della rivista dopo che a Wallace venne versato un compenso in cambio dell’uso del suo nome e del racconto di alcuni dettagli dei suoi anni giovanili.

In effetti, questi articoli vennero scritti in prima persona e nel suo Two Studies in Crimes (1970) Yseult Bridges li analizzò, convincendosi del fatto che Wallace fosse un “bugiardo patologico” sulla base di alcune affermazioni come quelle immediatamente successive alla definitiva assoluzione: “Gli scacchi erano una delle passioni della mia vita. Liverpool era un grande centro scacchistico, ed io ero ben noto all’interno del Circolo. Ora non ho nessuno con cui giocare, ma certe sere prendo la scacchiera, sistemo i pezzi sulle case e mi accingo a risolvere difficili problemi. Passano un minuto o due. Poi io, che in passato ho misurato la mia mente contro alcuni dei maggiori giocatori del mondo , capisco che non mi sto concentrando sulla scacchiera, ma che sto seduto a fissarla. Alcune ombre sembrano sorgere tra me ed il mio gioco preferito. Improvvisamente mi blocco. So di cosa si tratta. Gli scacchi ora si mescolano al terribile dramma della mia vita. Anche la mia abilità nel mio hobby è stata usata come un’arma contro di me (…), perciò potete immaginare che quando siedo da solo davanti alla scacchiera, l’ombra del banco degli imputati, l’ombra del giudice col berretto nero – sì, anche la stessa ombra della forca – sorgono davanti ai miei occhi. Allontano da me la scacchiera…”.

Negli anni Venti, in effetti, Wallace aveva giocato in alcune simultanee contro fortissimi giocatori in visita a Liverpool (Goodman cita Capablanca), venendone regolarmente battuto, ma di tali impari scontri non rimangono tracce. L’espressione “ho misurato la mia mente contro alcuni dei maggiori giocatori del mondo” appartiene alla mentalità di un profano di scacchi, come ogni scacchista che abbia preso parte ad una simultanea sa molto bene, ma la Bridges sostiene la tesi della “patologica” mendacità di Wallace proprio sulla base di tali affermazioni scritte da un’altra persona..

William Herbert Wallace morì il 26 febbraio 1933 a causa di una gravissima crisi renale. 

avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


Un Commento a Il giocatore di scacchi che non impiccarono

  1. avatar
    Fabio Lotti 5 Maggio 2012 at 09:19

    La mi nonna!… 🙂
    Espressione personale di grande soddisfazione.

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