Staggia subito dopo la guerra. Diciotto chilometri da Siena, sette da Poggibonsi, cinquanta da Firenze. Un bel castello medioevale in ricordo di antiche battaglie, un migliaio di anime ad essere generosi. Passatempi per noi ragazzi il calcio, le corse in bicicletta (per chi ce l’aveva), il bagno al fiume, le carte, il biliardo. Normali giuochi di tutti i tempi.
Centro di ritrovo il bar del prete o il bar “Italia”, due antagonismi come nei film di Camillo e Peppone. Nel secondo, tra il fumo denso come la caligine, gli scoppi di risa e qualche moccolo che volava basso, si poteva trovare un giuoco completamente diverso dagli altri, dove erano necessari concentrazione e sangue freddo: la dama.
Protagonisti assoluti il Toselli e il Martini che se la vedevano ogni giorno e attiravano la curiosità di certe facce grifagne che facevano tifo ora per l’uno, ora per l’altro. Il primo era un vecchietto rinseccolito simpatico che biascicava in continuazione una caramella di menta; il secondo, un po’ più giovane e rubicondo, sorseggiava, sempre in continuazione, un allegro boccale di birra.
Tra le facce grifagne c’era pure il sottoscritto che cercava di carpire i segreti del giuoco (avrò avuto quindici anni) e sorrideva ai frizzi e lazzi che si scambiavano i contendenti. Il Toselli quando doveva “mangiare” qualcosa all’avversario, dama o pedina che fosse, la portava in alto e poi faceva finta di infilarla in bocca “gnam gnam” strabuzzando gli occhi di piacere; il Martini, invece, più compito (fratello del sindaco di Poggibonsi) era solito commentare le sue performance con un “Guarda, guarda questa damina tutta sola piccinina, vieni via con me…”, la prendeva in mano, la tirava in aria, la riprendeva al volo mettendola da una parte sul tavolo. Gli astanti dalle facce grifagne (scherzo un po’ sui miei paesani) a questo punto ridevano e commentavano.
Dopo qualche tempo che mi parve di averci capito qualcosa, incominciai a sfidare i vecchietti con l’animo in tumulto, il cuoricino che batteva a mille e la faccia rossa come un papavero. Molte sconfitte, qualche vittoria, diverse sconfitte, qualche vittoria in più. Me la cavavo. Il ragazzetto veniva rispettato “Bravo, Fabio!” e mi sentivo orgoglioso di appartenere quasi ad un gruppo privilegiato.
Toselli e Martini. A venti anni venni via dal mio paese per stabilirmi a Siena. Quando seppi della loro morte mi si strinse il cuore. Ancora oggi, in certi momenti di senile malinconia, li rivedo a giocare con la menta in bocca e con il bicchiere di birra tra le labbra. Ed io sono lì che li ammiro affascinato mentre spostano dame e pedine.
Solo più tardi vennero gli scacchi.
Chi l’avrebbe mai detto, Fabio Lotti ha un passato di damista all’italiana. Se Lotti si fosse dedicato alla dama sarebbe stato il degno erede dell’Abate Lanci e del Francesco Lavizzari.
😉
Ti sei mai chiesto per quale ragione poi abbandonasti la dama,
privilegiando gli scacchi ? Ciao.
Dunque lasciai la dama perché a Siena incontrai gli scacchi. Ma questo sarà l’argomento di un prossimo, breve, articolo.
@Jazztrain
Ero bravino al mio paese… 🙂
Reminiscenze… Alcuni anni fa, dal Sudafrica, un carissimo amico dei miei anni giovanili mi ha spedito un libretto intitolato “Noi del Byron”, dedicato ai personaggi che, negli anni ’50 e ’60, costituivano la fauna che popolava, ad ogni ora del giorno e della notte ravennate, il Bar Byron, situato (come oggi) nel centro storico della città.
Un personaggio non ricordato nel lungo elenco era quello che chiamavamo “il professore”, un ometto sui sessanta, infagottato estate ed inverno in un cappotto fantozziano, terribilmente miope, che arrivava al bar, prelevava dal retro una scacchiera (quelle di legno e cartone, con pezzi di foggia obsoleta, cassettini laterali, insomma, avete capito) e si metteva alla ricerca della vittima di turno, che, in genere, era il titolare di una drogheria vicina al bar.
Di tanto in tanto seguivo le strane evoluzioni dei pezzi, distratto molto spesso dal transito di fanciulle avvenenti (dove siete, miei amori di gioventù?), ma quel gioco, chiamato “scacchi” mi restava totalmente estraneo.
Anni dopo, sposato e stabilito a Bologna, ebbi spesso l’occasione – motivi di lavoro – di tornare a Ravenna, e scoprii, dopo un paio d’anni di tirocinio presso il Circolo Scacchistico Bolognese, che “il professore” non era altro che una terrificante schiappa.
Ne rimasi deluso, credetemi.
Il bello dei ricordi, soprattutto quelli giovanili, è dato dal fatto che non sono contaminati dall’esperienza. Ciò che si è vissuto in quel momento è quello che ci porteremo dietro per il resto dell’esistenza e poco importa se non corrisponde alla realtà assoluta.Credo che ognuno di noi, soprattutto coloro che, come me,non hanno imparato a giocare in un circolo ma osservando i “grandi” nelle sfide da bar, ha davanti agli occhi la figura di un adulto o di un vecchio, magari con cappello in testa e sigaretta in bocca, indice e medio ingialliti dalla nicotina, che ci guarda severi perché ci siamo avvicinati troppo alla scacchiera.
Coime amo i ricordi…
Grazie per gli interventi (li sottoscrivo) e un plauso a chi ha inserito l’icona.
L’articolo di Fabio Lotti dedicato alla dama è stato apprezzato anche dai damisti italiani.
Onorato… 🙂
Per i miei amici giallisti (e non) qui http://theblogaroundthecorner.it/2012/07/circondati/
Sempre gradito un commento o anche un semplice saluto.
In pratica: dalla Dama bianca del Coppi alla Dama gialla del Lotti. E un saluto.