il caso Morphy, 1ª parte: “La Pista”

Scritto da:  | 19 Agosto 2012 | 6 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Mosca, estate 2001

“Baturinki? Quel Baturinski? Credevo fosse morto.”

“Non ancora” rispose con una notevole dose di cinismo il direttore mettendomi davanti una cartella contenente alcuni fogli ingialliti “anche se mi risulta che sia più di là che di qua. Andrai ad intervistarlo.”

“Io? Per…”

“Sei o non sei il nostro redattore scacchistico?”

“Sì, ma non credo che…”

“Sapevi” mi interruppe il direttore “che prima o poi, meglio prima che poi, avevo intenzione di pubblicare una serie di servizi dedicati agli scacchi nel terzo millennio. Questo, perciò” concluse “è il primo capitolo della serie”

Aprii la cartelletta. Dal primo foglio mi fissava un uomo sulla cinquantina, con l’uniforme da ufficiale della NKVD: una serie di decorazioni occupava buona parte del lato sinistro della giacca, ben distinguibile tra tutte quella di Eroe dell’Unione Sovietica.

Scorsi rapidamente il curriculum. Victor Davidovich Baturinski, nato il 27 giugno 1914, carriera nei ranghi della NKVD, la temutissima polizia del Ministero degli Interni, fino a raggiungere il grado di colonnello. Poi, dal 1974 al 1986, vicepresidente della Federazione Scacchistica dell’ Unione Sovietica, nel ’78 e nell’ ’81 capo della delegazione di Karpov al campionato mondiale e infine la pensione.

Notai che l’indirizzo era quello di una zona a pochi isolati dalla sede della rivista per la quale lavoravo. Come se avesse letto nei miei pensieri il direttore buttò là un “vacci subito” che equivaleva a un ordine. Afferrai la cartelletta borbottando un saluto e, mentre aprivo la porta, sentii la voce del direttore:

“Ah, Yuri, poi devi andare da Smyslov.”

Richiusi la porta, lanciai la cartelletta sulla mia scrivania e mi avviai giù per le scale.

Mosca in estate può essere bellissima. Mentre percorrevo le poche centinaia di metri che mi separavano dall’abitazione di Baturinski mi riempivo i polmoni dell’inebriante profumo dei tigli in piena fioritura, ma quando svoltai nella via dove viveva l’ottantasettenne Eroe dell’ Unione Sovietica l’atmosfera cambiò improvvisamente: il palazzo verso il quale ero diretto aveva una facciata sporca di fuliggine, anche se dietro quello schermo di sporcizia si scorgevano raffinate decorazione marmoree dell’epoca zarista.

Il gabbiotto del portiere era vuoto, visto che il titolare si trovava nel cortile interno intento a fumare una sigaretta con lo sguardo perso nel vuoto.

“Baturinski?” domandai.

“Primo piano” fu la risposta “Appartamento B.”

Salii una larga scala dagli scalini un po’ malandati e, giunto davanti alla porta indicatami dal portiere, suonai il campanello.

Niente. Suonai una seconda volta, e sentii che qualcuno all’interno azionava l’apertura di un paio di catenacci. La porta si socchiuse, lasciando intravedere il viso rugoso di una donna che, senza lasciarmi il tempo di aprire bocca, sbottò:

“Ilcolonnelloèindispostononricevenessuno” e si accinse a richiudere.

“Un momento! Vorrei …”

Dall’interno della casa giunse una voce rauca:

“Chi è, Ludmila? Fai entrare.”

A malincuore, Ludmila Facciarugosa dovette annunciare la mia presenza. Tolse la catenella e si fece da parte. Il corridoio era letteralmente tappezzato di fotografie nelle quali il padrone di casa, sempre sorridente, stringeva la mano a Suslov, a Krushev, a Breznev, a Cernenko, ad Andropov e a qualche dozzina di personaggi che, ai tempi dell’Unione Sovietica, erano pezzi grossi del partito. Le parti di parete non occupate dalle fotografie erano coperte da diplomi e attestati di ogni genere, a testimoniare dell’importanza che Baturinski aveva avuto in tempi passati. “Quest’uomo è la storia dell’Unione Sovietica” pensai “e della sua fine”.

Guidato da Facciarugosa entrai in quello che doveva essere il salotto dell’abitazione, e mi trovai di fronte ad un uomo il cui aspetto era ben diverso da quello che appariva nella foto contenuta nella cartelletta. Baturinski, a ottantasette anni, si era trasformato in un essere striminzito, infagottato in abiti di due misure più grandi della sua taglia attuale. Un tempo robusto, tarchiato, dal viso rotondo, ora era una specie di sacco vuoto.

Victor Baturinski

“Il colonnello Baturinski?”

“Lei chi è?”

“Mi chiamo Yuri Salov. Lavoro per la rivista…”

Non mi lasciò finire. “Un giornalista? Cosa vuole da me?”

“La rivista per la quale lavoro vorrebbe pubblicare una serie di articoli dedicati agli scacchi nel terzo millennio e…”

Si rilassò visibilmente e mi interruppe ancora. “Ah, scacchi…” e rimase a fissarmi con due occhi acquosi.

“Ehm, già, scacchi. Il mio direttore è convinto che lei potrebbe raccontare molte cose del passato e dire che cosa pensa del futuro, sa, i computers, i nuovi grandi maestri, Karpov, Kasparov…”. Rimasi in attesa di una replica, osservato dal padrone di casa e da Facciarugosa, la quale aveva seguito la conversazione con aria di disapprovazione e che, palesemente, non vedeva l’ora di mettermi alla porta.

Baturinski mi indicò una poltrona che aveva conosciuto tempi migliori. Sedetti, in attesa degli sviluppi della situazione. Il colonnello sprofondò nella poltrona gemella. “Ludmila, porta qualcosa al nostro ospite. Cosa gradisce, giovanotto?”

“Una tazza di tè andrebbe benissimo, grazie.”

Facciarugosa scomparve mentre Baturinski, intrecciando le mani e sorridendo, si rivolse nuovamente a me. “Bene, cosa vorrebbe sapere, giovanotto?”

“Colonnello, lei è stato per oltre dieci anni una figura importante della Federazione Scacchistica Russa…”

“Dell’ Unione Sovietica” mi corresse lanciandomi uno sguardo corrucciato.

“Sì, certo, naturalmente… dell’Unione Sovietica” mi affrettai a dire ”Il suo contributo nel campo organizzativo della Federazione è stato notevole e penso che lei possa avere, oltre a ricordi di grande fascino, anche una opinione su quanto riguarda l’attualità.”

Mi fissò con un lieve sorriso, mentre Facciarugosa rientrava reggendo un colossale vassoio.

“Il suo tè” indicò Baturinski “Mi scusi se non le faccio compagnia, ma il mio medico…”

Restammo in silenzio mentre sorseggiavo la bevanda, sperando che Facciarugosa non avesse aggiunto arsenico nella tazza.

“Vede, giovanotto, sono fuori dall’ambiente da parecchi anni, anche se gli scacchi, una volta entrati nella vita di una persona, non ne escono più. Mi tengo informato, certamente, ma superficialmente. Ricevo ancora qualche rivista…” dichiarò, agitando nell’aria una mano scarna e segnata da macchie scure.

L’atmosfera aveva perduto parte del gelo iniziale, e azzardai:” Colonnello, vorremmo sapere cosa pensa dell’utilizzazione dei computer, delle nuove regole, del…”

“Io vengo” mi interruppe lui “da un’epoca degli scacchi tramontata per sempre. Medaglie, coppe, targhe, ma soldi pochi, anzi pochissimi. Questi nuovi grandi maestri pretendono decine di migliaia di dollari soltanto per dire quattro parole in conferenza stampa. Ai tempi dell’Unione Sovietica si giocava per affermare un orgoglio nazionale del quale oggi si sono persi perfino i ricordi. Anatoli, Karpov intendo, giocava perché così facendo, e vincendo, affermava una supremazia scacchistica ed intellettuale dell’Unione Sovietica sul mondo capitalistico occidentale. Quel Kasparov” disse, alzando la voce “si è inserito nel sistema occidentale, è un cacciatore di soldi, anche se, lo riconosco, è un formidabile giocatore, be’, sì, insomma…” e si azzittì.

Ritenni opportuno interrompere la sfuriata nostalgica del mio interlocutore rifugiandomi nel capitolo “ricordi”.

“Lei ho conosciuto molto bene Karpov, vero?”

“Oh, sì, bravo ragazzo, giocatore solido, un po’ fragile fisicamente, ma un vero campione mondiale. Quel Kasparov, invece… Mi piace Shirov, fantasioso, coraggioso, disposto a rischiare… Poi ci sono quei ragazzi giovanissimi che stanno venendo fuori…” e rimase a fissare il vuoto con occhi spenti.

Insistetti sui ricordi. “Ha conosciuto Fischer?”

I suoi occhi ebbero un lampo di rabbia. “No, mai conosciuto, ma me ne parlò Bondarevski quando quel pazzo americano battè Taimanov con un punteggio incredibile”

“Sei a zero” commentai.

“Già, sei a zero. Incredibile. Un grande maestro sovietico battuto in quel modo… bah, fece bene la Federazione a sospenderlo” e mi fulminò con un’occhiata che significava “prova a dire di no”.

“Be’, sì, certamente” Decisi di cambiare argomento. “Cosa ne pensa dell’attuale organizzazione internazionale, mi riferisco a campionati mondiali, grandi tornei… molte cose sono cambiate negli ultimi tempi.”

“Da quello che ho capito, quel filippino… come si chiama?”

“Campomanes”

“Già, Campomanes. Quel filippino a quanto pare è riuscito a trovare un sacco di quattrini in giro per il mondo” Sogghignò. “Chissa quanti finiscono… lasciamo perdere.”

Era ora di tentare qualcosa di nuovo. “Colonnello, posso chiederle di mostrarmi qualcosa relativo al periodo in cui lei era vicepresidente della Federazione?”

Mi fissò nuovamente con quello sguardo un po’ spento. “Qualcosa? Io non ho più niente, consegnai tutta la documentazione, compresa quella valigia di Bondarevski, al Circolo Centrale, quando ci fu la riunione che sanciva il passaggio delle consegne al mio successore.”

“Al Circolo Centrale?”

“Sì, ci riunimmo lì perché stavano sistemando gli uffici della Federazione.”

In quel momento, Facciarugosa apparve sulla soglia. “Orailcolonnellodeveriposare”. Era un ordine. Mi alzai, imitato da Baturinski che mi allungò una mano rinsecchita, e venni letteralmente spinto verso la porta d’ingresso dall’inflessibile governante.

Mi avviai giù per le scale, ricordando quanto aveva detto l’ex colonnello della NKVD : “Quella valigia di Bondarevski? Quale valigia?”

New Orleans, luglio 1884

La signora Thelcide Carpentier, vedova Morphy, stava passeggiando lungo Canal Street.

Il caldo era soffocante fin dalle prime luci del sole, e l’ombrellino retto dalla signora Thelcide forniva un modesto sollievo alla proprietaria la quale, svolto l’abituale rito degli acquisti, non vedeva l’ora di rientrare a casa e di rinfrescarsi con una limonata ghiacciata.

Il pensiero del rientro a casa coincise con quello di Paul.

Paul Morphy, il più grande giocatore di scacchi del mondo. La signora Thelcide scacciò con un lieve gesto di fastidio quell’idea; suo figlio era un avvocato, non un giocatore di scacchi.

Il principale difetto di Paul era l’indolenza, la pigrizia e fin da ragazzo era stato timido, riservato. Fortunatamente, pensò la signora Thelcide, Paul aveva ricevuto un’educazione superiore, era bilingue, il francese era per lui come l’inglese. I gesuiti, poi, gli avevano fornito una cultura molto vasta, coronata dalla laurea in giurisprudenza a vent’anni.

La legge! La legge della Louisiana non consentiva ad un ventenne di esercitare la professione legale, e la morte del padre aveva aggravato la situazione di Paul, che si era appoggiato interamente allo zio Ernest, quel fanatico! Scacchi!

Paul era andato a New York, a giocare in quel maledetto torneo, e l’aveva vinto, ed Ernest aveva sfidato – a nome di Paul! – ogni giocatore americano. Poi Ernest aveva convinto Paul ad andare in Europa a sfidare quell’inglese, Staunton.

Il grand tour faceva parte dell’educazione di ogni giovane di buona famiglia, e la signora Thelcide aveva approvato la cosa. Paul doveva visitare Londra e Parigi, ma non per giocare a scacchi!

Mentre Paul era in Europa i giornali non mancavano di pubblicare le sue “imprese”. Vinceva sempre e con chiunque, giocando anche alla cieca contro i migliori giocatori inglesi e francesi, e quel reporter, Edge, mandava negli Stati Uniti articoli pieni di entusiasmo. Avevano addirittura inventato i sigari Morphy, i cappelli Morphy, i guanti Morphy – imitazioni dei suoi adorati guanti di capretto grigio – e quando era sbarcato di ritorno dall’ Europa, pareva il ritorno in patria di un eroe nazionale.

La signora Thelcide svoltò in direzione della grande casa fatta costruire anni prima dal marito, pregustando la limonata fredda che le avrebbe dato ristoro dal caldo opprimente. A quell’ora Paul stava sicuramente facendo il bagno, poi sarebbe uscito di casa per vagare su e giù per Canal Street, sbirciando le ragazze.

Ah, quella stupida ragazza! Aveva respinto la proposta di matrimonio di Paul – erano passati più di vent’anni – dicendo in città che non avrebbe mai e poi mai sposato un semplice giocatore di scacchi! Stupida! Da quel momento in poi Paul era sprofondato in uno stato di malinconia alleviato di tanto in tanto da Maurian, il suo amico d’infanzia, di college e di università. Paul non aveva mai esercitato la professione legale, vivendo grazie alla rendita del patrimonio lasciatogli dal padre, e quando era scoppiata la guerra di secessione era partito nuovamente per l’Europa, questa volta fortunatamente! – non per giocare a scacchi, anche se, pensava la signora Thelcide, si trovava a Parigi durante lo svolgimento di un importante torneo.

Gli scacchi! Erano stati la dannazione di suo figlio, quel ragazzo adorato che…

La vedova Morphy ebbe un’esitazione nel passo. Paul ha quarantasette anni! Il pensiero la folgorò con intensità quasi fisica; nella sua mente quel figlio era ancora il giovane minuto, compìto, timido, educato, che un quarto di secolo prima aveva sbalordito il mondo intero con le sue imprese scacchistiche.

Il cancello d’ingresso della grande casa era di fronte a lei. Con un sospiro spinse il battente e, invece di salire la breve scaletta che conduceva all’interno, si affacciò nel grande patio che ospitava il giardino interno di casa Morphy. Una giovane creola che prestava servizio in cucina le corse incontro e, con un lieve inchino, le chiese istruzioni per il pranzo.

“Il signorino Paul?”

La ragazza abbassò lo sguardo. “Non… non saprei, signora, non l’ho visto.”

Thelcide congedò la ragazza con un brusco gesto della mano ed imboccò la scala che portava al piano superiore. Notò che la passatoia color amaranto che ricopriva gli scalini era spostata in alcuni punti, e si ripromise di rimbrottare il personale di servizio. Raggiunse la propria stanza, si liberò del cappello a larga tesa e, dopo essersi deterso il viso imperlato di sudore, si diresse lungo il ballatoio verso l’appartamento di Paul.

La porta che conduceva al salotto usato da Paul era socchiusa, una cosa insolita che lasciò perplessa la signora Thelcide.

Spinse leggermente il battente. “Paul?”

Silenzio.

“Paul?” ripetè la madre entrando nel salotto le cui pareti erano interamente occupate da scaffali zeppi di volumi. Aprì la porta che dava sulla camera del figlio. Gli indumenti di Paul erano ordinatamente stesi sul letto, e le scarpe allineate perfettamente.

“Paul?” chiamò per la terza volta Thelcide, con un lieve tremore nella voce. Dalla vicina stanza da bagno non giunse alcun rumore. Vincendo le convenienze, bussò alla porta della stanza da bagno e, non avendo risposta, posò la mano sulla maniglia, che cedette alla pressione.

Suo figlio era disteso nella vasca da bagno, il viso parzialmente immerso nell’acqua e gli occhi socchiusi.

“PAUL!!” Il grido risuonò per tutta la grande casa, e dopo qualche secondo irruppero nella stanza due ragazze di servizio, seguite dal cocchiere che, incurante delle altre persone, si avvicinò alla vasca da bagno sollevando la testa di Paul dall’acqua.

“E’…? E’ …?” Thelcide non riusciva a dire quella parola. Il cocchiere si girò verso di lei, e crollò il capo, abbassando lo sguardo. “Il signor Paul è morto.”

(continua)

avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


6 Commenti a il caso Morphy, 1ª parte: “La Pista”

  1. avatar
    Luca Monti 19 Agosto 2012 at 18:39

    Immobile,nel caldo africano,aspetto la seconda parte.Che l’autore
    non tergiversi.Imminente lo scioglimento del lettore 😎 .

  2. avatar
    Marramaquis 19 Agosto 2012 at 18:49

    Bravissimo, Paolo, e indipendentemente da quello che sarà “il finale”: è per questo genere di lavori che amo “SoloScacchi”.
    Vedrai, Luca, che anche l’attesa seconda parte saprà ristorarci abbastanza dalla calura luciferina.

  3. avatar
    paolo bagnoli 19 Agosto 2012 at 22:06

    Poi arriveranno la terza, la quarta….

  4. avatar
    Tino 19 Agosto 2012 at 22:15

    Non conoscevo la storia, complimenti anche da parte mia all’autore!
    Tino

  5. avatar
    Mongo 20 Agosto 2012 at 10:46

    Mhm… Sento odore di giallo!!! La cosa mi piace assai, ma l’attesa delle prossime uscite si fa gìa insostenibile. 😎

  6. avatar
    Fabio Lotti 21 Agosto 2012 at 08:28

    Interessante. Molto interessante… 🙂

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