il caso Morphy, 2ª parte: “il maggiore Rudenko”

Scritto da:  | 3 Settembre 2012 | 3 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Mosca, Stazione di Bielorussia, luglio 1945

Il maggiore Dmitri Rudenko stava mandando al diavolo, in cuor suo, tutto lo stato maggiore dell’Armata Rossa, in testa a tutti il generale Kalinin, suo superiore costantemente assente.

Quando il convoglio si era finalmente fermato in un binario fuori mano della grande stazione ferroviaria, una specie di torta nuziale ricostruita negli ultmi anni del dominio zarista, danneggiata gravemente dai cannoni dei Panzer di Hitler, il maggiore Rudenko aveva tirato un sospiro di sollievo. Dalla sconfitta Germania nazista al grande terminal ferroviario – uno dei nove che circondavano la capitale dell’Unione Sovietica – le tre compagnie affidate al comando di Rudenko avevano esercitato una sorveglianza costante ed assoluta sulla lunga fila di vagoni.

Probabilmente nessuno dei quattrocento soldati e sottufficiali armati fino ai denti conosceva la natura del carico, ma sapeva che gli ordini erano precisi ed inequivocabili: far giungere intatto il convoglio fino a Mosca, dove il KGB avrebbe preso in consegna il contenuto delle centinaia di casse.

Rudenko stava osservando lo schieramento degli uomini al suo comando. Ognuno di loro imbracciava un Parabellum pronto ad aprire il fuoco su qualunque sconosciuto si fosse avvicinato a meno di cinquanta metri dai vagoni. “Va bene, i sergenti hanno lavorato nel modo migliore”.

“Maggiore Rudenko?”

Girandosi, l’ufficiale si trovò di fronte un gruppetto di uomini in cappotto di pelle. Colui che gli aveva rivolto la parola era senza dubbio il capo del gruppo, e Rudenko pensò: “Tutti uguali i poliziotti, Rodina o Terzo Reich hanno tutti lo stesso aspetto… e le stesse funzioni”.

“Sì, sono io. Con chi ho il piacere di…”

“Colonnello Nikitin” fu la risposta pronunciata con una certa nonchalance condita da un’aria di superiorità.

Da uno dei vagoni passeggeri sui quali avevano viaggiato i soldati scese il generale Kalinin che salutò militarmente gli uomini del KGB rassentandosi l’uniforme e presentandosi: “Generale del genio Alexei Vasilievich Kalinin”.

“Buongiorno compagno generale” rispose Nikitin, sfoderando un sorriso da squalo “Sono qui, come tu indubbiamente saprai dai telegrammi che hai ricevuto durante il viaggio, per prendere in consegna il carico del convoglio da te tanto efficacemente protetto”.

“I miei ordini…”

“Questi sono i tuoi ordini” ringhiò Nikitin a bassa voce, allungando al generale un foglio. Allungando il collo, Rudenko riuscì a sbirciare la firma: quella firma non ammetteva repliche.

“Mi permetterai di controllare…”

“Controlla pure, compagno generale, ma ti avverto che i miei uomini inizieranno a verificare e smistare il carico secondo i verbali registrati in Germania. Entro quindici minuti”.

E così fu.

Rudenko dovette assumersi il compito di organizzare la sorveglianza esterna del convoglio, mentre decine di uomini del KGB, dopo aver verificato i sigilli apposti sulle casse ed il numero in codice corrispondente al manifesto di carico, provvedevano a stivare su una serie infinita di grossi camion le centinaia di colli, alcuni pesanti diversi quintali.

L’intera operazione richiese quattro giorni, con turni di sorveglianza ininterrotti, mentre i vagoni si svuotavano lentamente. Al termine, ricomparve Nikitin, indicando a Rudenko le ultime casse, i cui coperchi erano stati negligentemente buttati sul pavimento del vagone e sulle quali spiccava l’aquila hitleriana.

“Quelle vanno al ministero della cultura”.

Rudenko rimase interdetto. Evidentemente il contenuto non interessava al KGB, ma non riusciva a capire come potesse interessare al ministero della cultura. Nikitin sorrise notando l’espressione perplessa dell’altro: “Hai capito, compagno maggiore? Al ministero della cultura”

“Sì, certo, ma… dovrò organizzare il trasporto?”

“Certamente, fai pure. Sono testi scacchistici ed altri documenti che, forse, saranno di qualche interesse storico. Comunque, noi qui abbiamo finito”

“Testi scacchistici? Cosa ci fanno sullo stesso treno che ha portato a Mosca il Tesoro di Priamo?” pensò Rudenko, che conosceva alla perfezione il contenuto delle casse già asportate da quelli del KGB. “Be’, non tocca a me giudicare”. Salutò militarmente il colonnello, girò i tacchi ed iniziò ad impartire ordini.

Mosca, dicembre 1958

Il rettore dell’università Lomonosov era perplesso. Le casse che gli stavano davanti erano state consegnate alle nove del mattino e, dopo oltre un’ora, il bibliotecario capo non si era ancora reso reperibile.

Nell’ampio spazio sotterraneo destinato al ricevimento dei materiali che quotidianamente servivano al buon funzionamento dell’istituzione, che al momento ospitava circa ventiduemila studenti, faceva un freddo tremendo. Gli operai che avevano scaricato le casse battevano i piedi sul cemento grezzo del pavimento, in attesa di istruzioni.

“Eccomi, compagno rettore. Ero…”

“Valeri Alexandrovich, non mi interessa dov’eri e cosa stavi facendo”. Il rettore fulminò con uno sguardo il bibliotecario capo “Ora devi risolvere questo problema, e alla svelta. Dentro quelle casse c’è carta, materiale deperibile, e questo materiale è senza dubbio di tua competenza”.

“Libri?”

“Dalla lista di consegna che il ministero della cultura ci ha inviato pare si tratti di testi scacchistici rinvenuti in Germania da reparti dell’Armata Rossa alla fine della Grande Guerra Patriottica. Il ministero della cultura, nella lettera che ci ha cortesemente inviato unitamente a queste due casse, ci prega di ospitare i suddetti testi nella nostra biblioteca interna, dopo una verifica accurata dello stato di conservazione e successiva catalogazione”. Dopo questa burocratica spiegazione il rettore piantò gli occhi in quelli dell’interlocutore.

“Bene, compagno rettore. Provvedo immediatamente!”. Il bibliotecario capo latrò alcuni ordini agli operai in attesa e dopo quindici minuti le due casse venivano depositate nell’anticamera del suo ufficio suscitando un gridolino di disappunto da parte della segretaria.

“Olga, questo è lavoro per te. Chiama Chernin e Gromov e fai portare queste casse in laboratorio. Subito!”

Mentre la segretaria alzava il ricevitore del telefono il bibliotecario capo iniziò a scorrere il fascicolo che il rettore gli aveva consegnato. Stando a quanto il ministero della cultura riferiva, le due casse facevano parte di un gruppo di quattro casse molto più grandi sequestrate in Germania più di dieci anni prima, il cui contenuto era stato in massima parte trattenuto dal ministero che si stava sbarazzando infine del materiale evidentemente giudicato poco interessante.

Il giorno seguente le casse vennero aperte ed i libri vennero sistemati ordinatamente su due lunghi tavoli del laboratorio, sotto lo sguardo vigile del bibliotecario capo.

“Scacchi! Tutta roba che ammuffirà sugli scaffali, quando troveremo il modo di sistemarla” In gioventù aveva giocato a scacchi – come tutti, d’altronde – ed era anche arrivato al livello di prima categoria; niente, in confronto ai risultati ottenuti da alcuni compagni della facoltà di economia, primo tra tutti Igor Zakharovich, divenuto Grande Maestro.

“Raggruppate i volumi per lingua” ordinò ai due assistenti “e sistemate in una zona a parte quaderni e fogli sparsi. Anzi, per prima cosa separate fogli e quaderni dal resto”. Seguì le operazioni per qualche minuto e, distrattamente, afferrò uno dei fogli, ingiallito, arricciato ai bordi e di insolita consistenza, scorrendolo rapidamente.

C’era qualcosa di strano… Una sigla – L-452 – era stata tracciata sul retro di quello che pareva il foglio finale di quella serie di pagine manoscritte. La calligrafia era molto diversa ed il carattere L era in cirillico.

Rientrò nel suo ufficio e, passando davanti alla scrivania della segretaria, domandò: “Olga, possiamo rintracciare il compagno Bondarevski?”

“Bondarevski?”

“Igor Zakharovich Bondarevski. Si è laureato in economia proprio qui, alla Lomonosov, era nel mio corso, poi ci siamo persi di vista…”

“Possiamo provare in archivio, nelle schede degli ex studenti”

“Ottima idea compagna, prova, e se riesci a metterti in contatto telefonico passamelo. Dovrebbe vivere qui a Mosca, ma ormai sono passati tanti anni…”. Oltre ad essere Grande Maestro, Bondarevski era noto anche per la sua conoscenza della storia del gioco; un suo intervento poteva risultare molto utile.

Quando il telefono sulla scrivania iniziò a gracchiare il bibliotecario capo lo sollevò distrattamente, ma la voce dall’altra parte del filo lo sorprese.

“Valeri Alexandrovich? Valeri Alexandrovich ‘lo spilungone’?”

“Chi…? Ma… sei tu, Igor Zakharovich?”

“Certo che sono io! Quando la tua segretaria mi ha annunciato la tua chiamata mi è sembrato di ringiovanire di vent’anni! A cosa devo…?”

“Scacchi” rispose il bibliotecario capo.

“Scacchi? Cosa significa?”

“Be’, mi sembra che sia un argomento che ti ha sempre interessato, o sbaglio?”

Una risata gli rispose dall’altro capo del filo: “Direi di sì, Valeri”.

“Senti, Igor, non conosco i tuoi impegni, ma sarei veramente felice di abbracciarti se tu facessi un salto qui alla Lomonosov per aiutarmi a risolvere un piccolo problema”.

“Attualmente abbiamo parecchio da fare qui al ministero, sai, le riforme del nuovo governo, la produzione industriale che non riesce a…”

“Non volevo disturbarti, credimi, ma mi trovo alle prese con qualche centinaio di documenti arrivati dal ministero della cultura, soprattutto testi scacchistici, e vorrei un tuo parere su…”

“Mmmmm… D’accordo. Ti va bene martedì prossimo. Alle dieci?”

“Certamente! Martedì prossimo, alle dieci! Sarò felice di rivederti e di abbracciarti! E… grazie”.

“Ciao, ‘spilungone’. Ci vediamo martedì”.

Bondarevski fu puntualissimo. Alle dieci meno cinque Olga bussò alla porta del superiore: “Il compagno Bondarevski è arivato”.

Valeri Alexandrovich scattò in piedi dalla poltrona e si precipitò in anticamera, dove la segretaria stava aiutando l’ospite a liberarsi dal pesante cappotto. I due vecchi compagni di corso si abbracciarono calorosamente squadrandosi a vicenda.

“Sei ingrassato, spilungone”

“Eh, la vita sedentaria… e tu? Sempre in forma, vedo”. Si rivolse alla segretaria. “Olga, ti presento il dottor Igor Zakharovich Bondarevski, Grande Maestro di scacchi e campione dell’Unione Sovietica!”

“Sono onorata, compagno”

“Lasciamo perdere il ‘campione’, sono passati diciotto anni da quando… oggi sono un semplice funzionario del ministero dell’economia”

“Ma a quanto pare” notò il bibliotecario capo “non hai abbandonato gli scacchi. Ho trovato il tuo nome citato in diverse occasioni, tornei, campionati, olimpiadi… e sei anche un pezzo grosso della Federazione, non è vero?”

“Pezzo grosso? Non esageriamo. Collaboro con gli organi federali come quasi tutti gli altri Grandi Maestri”

“Vieni, andiamo nel mio ufficio”

Sedettero uno di fronte all’altro, sorridendo, e fu Bondarevski a rompere il silenzio: “A parte il piacere di rivederti, confesso che sono venuto perché la tua chiamata mi ha veramente incuriosito. Che cosa hanno di tanto speciale questi libri scacchistici?”

“Speciale? Ora te li mostrerò e sarai tu a dirmi se trovi qualcosa di speciale in quella montagna di carta . A quanto ne so, si tratta di materiale sequestrato dai nazisti in diverse abitazioni di ebrei fuggiti dalla Germania. Erano ammucchiati disordinatamente in alcune casse che l’Armata Rossa ha trovato, assieme a parecchio materiale di altra natura, da qualche parte in Germania subito dopo la fine della Grande Guerra Patriottica. Erano finiti al ministero della cultura assieme a documenti, lettere, diari… La scorsa settimana il ministero li ha mandati a noi per sistemarli nella nostra biblioteca, ma credo che la persona incaricata sia stata un po’… come dire?, distratta”.

“Distratta? Perché?”

“Lo capirai da solo. Vieni”

Percorsero il lungo corridoio che portava al laboratorio e, una volta entrati, si diressero verso uno dei due tavoli sui quali gli assistenti del bibliotecario capo avevano disposto il materiale. Nei pochi giorni trascorsi i documenti erano stati separati in base alle lingue impiegate nello scriverli; la maggioranza era in tedesco, poi seguivano le “zone” del polacco, dell’ungherese, del fiammingo, e pochissimi erano quelli in inglese o in francese.

Il bibliotecario capo si diresse verso il fondo del lungo tavolo, mentre Bondarevski, passando, lanciava uno sguardo intorno. Giunsero davanti ad alcune centinaia di quaderni e fogli sparsi; isolati da questi, il bibliotecario aveva ordinatamente impilato diversi fogli di formato e di colore insoliti. Li indicò a Bondarevski il quale si avvicinò ai fogli chiedendo:

“Posso…?”

“Certo, Igor, ma stai attento, sono delicatissimi. Non so come abbiano fatto ad arrivare fino a qui in uno stato decente, comunque sono leggibili”.

Bondarevski sollevò il primo foglio della pila avvicinandolo agli occhi: “Hmmm… inglese”.

“Se vai avanti, ne trovi anche in francese, con la stessa calligrafia”

“In francese? Stessa calligrafia?” Bondarevski era perplesso. “Abbiamo a che fare con una specie di poliglotta” Bondarevski esaminò il secondo foglio “Ma … queste sono analisi scacchistiche sulle aperture ! Interessante, veramente interessante”

“Già, analisi di schemi di apertura, da quello che ho capito. Se no, perché avrei chiamato proprio te?”


(continua)

avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


3 Commenti a il caso Morphy, 2ª parte: “il maggiore Rudenko”

  1. avatar
    Luca Monti 3 Settembre 2012 at 11:49

    Un racconto scritto davvero bene.Ma era già stato pubblicato, od è
    una primizia?

  2. avatar
    Mongo 3 Settembre 2012 at 12:08

    Superlativo!!
    Anche le immagini di contorno non sono da meno. 😉

  3. avatar
    paolo bagnoli 3 Settembre 2012 at 14:08

    Mai pubblicato.

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