Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
(Hazim Hikmet, 1901-1963)
Dalla finestra del mio albergo, a Cihangir, il Ponte sul Bosforo appare come una mano proiettata sul continente asiatico, inanellata di rosso e azzurro e giallo e verde, come per ricordarci che i colori del mondo sono tutti qui, a Istanbul, ieri come oggi, punto di incontro di asiatici, europei, africani, arabi, americani e ora anche cinesi, seppur pochi, al momento.
E’ notte. Il Bosforo sospira tranquillo, a riposarsi dal traffico intenso del giorno: petroliere, battelli che traghettano freneticamente dalla sponda europea a quella asiatica, barche da trasporto e gigantesche, gigantesche navi da crociera. Sì, proprio gigantesche. Non me le ricordavo tanto grandi, quando attraccavano davanti al mio piccolo appartamento che guardava il mare, di fronte a Uskudar.
All’epoca, venti anni fa, rimanevo incantata a vedere di notte queste imbarcazioni a tre o quattro piani, illuminate a giorno e rallegrate da musica italiana (proprio italiana) fino a tardi.
Mi dicevo che il mondo andava ormai guardato dall’alto, dal momento che le costruzioni moderne in tutte le grandi città erano allora valorizzate essenzialmente per la loro altezza, comprese le navi da crociera.
Ma ora, scendendo per Gunesli Sokak fino in fondo, vedo la prua di quel gigante che copre interamente la vista sul mare e raggiunge il quinto piano dell’edificio dove io ho abitato tanto tempo fa, e provo una sensazione di paura.
Mi chiedo come possano permettere che imbarcazioni di tale portata attraversino una striscia di mare così stretta come il Bosforo. Segno del progresso? Chissà..
Rileggo le parole di Orhan Pamuk, dal suo libro “Istanbul” e sento una stretta al cuore:
“…Parlo del colore dei cipressi, dei boschi bui nelle valli, delle abitazioni di legno trascurate, sgombrate e abbandonate, delle barche arrugginite e malmesse, della poesia delle navi e delle ville dello stretto che soltanto chi ha passato la vita su queste rive può capire; parlo del sapore della vita tra le rovine di una civiltà una volta grande, maestosa e originale, della voglia di un bambino, che non bada affatto alla storia e alle epoche, di essere felice, di divertirsi, di comprendere questo mondo…”
Ecco, io me la ricordo proprio così questa meravigliosa città, ma il mondo si evolve…
Istanbul mi appare oggi più occidentale che mai, con i vicoletti del quartiere Galata popolati da caffè alla parigina, ristorantini di tutti i tipi, con Giolitti che fa bella mostra di sé sull’Istiklal Caddesi.
E le bellissime casette di legno del quartiere di Beyoglu ristrutturate e ridipinte.
E la strada che costeggia le mura di Costantino e va verso l’aeroporto, piena di fiori e di parchi che hanno sostituito le vecchie industrie di pellame.
E infine, l’azzurro del cielo, interrotto dal volo delle rondini e dei gabbiani, che ha sostituito il grigiore del fumo di carbone dei camini delle case.
Mi incanta vedere la rapidità con cui i turchi si incamminano verso il futuro. Rimango tuttavia perplessa quando entro nella Sultanhamet Meydani (la Moschea Blu) e vedo che ci sono donne lasciate tranquillamente con il capo scoperto e la bellissima Cisterna abbandonata agli schiamazzi di turisti maleducati, un luogo che vorrebbe invece essere visitato in silenzio e che esige raccoglimento.
A me, ammetto, piaceva di più quando mi si obbligava a coprire i capelli e il corpo o mi si imponeva di parlare a bassa voce in segno di rispetto, solo di rispetto.
C’è ancora una cosa, tuttavia, che ritrovo, nel modo con cui la popolazione turca si rapporta con l’ambiente e la società, allora come oggi: il grande amore per i gatti. Cammino tra loro mentre dormono tranquilli sui gradini delle lunghe scalinate di Istanbul, oppure accoccolati vicino ai tavoli di un caffè in attesa di ricevere la loro giusta porzione di cibo, oppure mentre osservano curiosi il via vai dei turisti che si fermano attirati dalla loro fiera presenza. Sono bellissimi, alcuni bianchi con gli occhi azzurri e altri con la caratteristica del gatto di Van: un occhio celeste e uno grigio. Mi fermo in mezzo a loro, seduta sugli scalini, e gioco con un piccolino che si lascia accarezzare sotto il muso e un brivido mi percorre tutta: i suoi occhi sembrano leggere la mia anima, tanto il suo sguardo è intenso e profondo.
Una signora che parla inglese si siede accanto a me. Le chiedo informazioni sulle regole di vita sociale e lei mi racconta dell’intervento severo delle autorità statali musulmane nell’ambito scolastico: si vorrebbero equiparare le scuole laiche a quelle koraniche, sia nella disciplina scolastica che in quella organizzativa e funzionale. Allora mi domando se le riforme laiche volute da Ataturk non verranno prima o poi oscurate.
Queste riflessioni, però, mi abbandonano subito quando mi siedo in un piccolo ristorantino del centro storico e richiamo l’attenzione del cameriere a mezzo di un piccolo pulsante sul tavolo. I pulsanti sono due: uno se si vuole il conto, un altro per il servizio, e sul quadrante, in alto, nel centro della piccola sala che ospita appena una decina di commensali, si illumina il numero del mio tavolo e immediatamente il cameriere si avvicina con un grande sorriso.
Ricambio il sorriso. Lui mi chiede ”Are you here for the chess match?” “Chess? No, what match? I can not play chess, I’m here because I lived right here some years ago”.
Vorrei terminare con un omaggio a questa città del cuore con uno stralcio della poesia che Hazim Hikmet ha scritto dal carcere a Munever nel 1944, una poesia d’amore ovviamente…
“…come sei bella, Dio mio, come sei bella
l’aria e l’acqua d’Istanbul nel tuo sorriso
la voluttà della mia città nel tuo sguardo
o mia sultana, o mia signora, se tu lo permettessi
e se il tuo schiavo Nazim Hikmet l’osasse
sarebbe come se respirasse e baciasse Istanbul sulla tua guancia
ma sta attenta
sta attenta a non dirmi “avvicinati”
mi sembra che se la tua mano toccasse la mia
cadrei morto sul pavimento…”
Cara Liviana, nel tuo scritto traspare quello che i brasiliani chiamano ‘saudade’, o sbaglio?
Per Martin.
La prima foto è bellissima, ma non è un ponte sul Bosforo, bensì Galata kpr ;-).
Vero, è solo saltato il nome sotto la foto, dove c’era appunto scritto “Ponte di Galata”. Grazie per la corretta osservazione.
“saudade”, proprio così…là dove c’è un sentimento di amore…
Avevo intenzionalmente, seppur erroneamente, rimosso la didascalia corretta della foto perché appare nel preview dell’articolo nella pagina principale del sito. Mi scuso del disguido con l’Autrice di questo stupendo ed emozionante ritratto di Istanbul ed ovviamente con i nostri Lettori.
Liviana ci ha vissuto (non so per quanto tempo), io ci sono stato solo per 4 giorni (nel 2010), ma sono bastati per innamorarmene.
ti credo….
Liviana sei stata grande nel trasmettere i sentimenti( che come sai sono anche i miei) nei confronti di questa città che mi è rimasta nel cuore più di tutte quelle in cui ho lavorato.
grazie, mimma
Liviana, grazie per il bellissmo articolo su Istanbul e se l’avesse letto Mino Reitano lo avrebbe accompagnato con la canzone… “Un amore così grande…”
Ciao
at
Grazie a lei. Mi fa piacere che abbia trasmesso un sentimento ….di amore.
Molto bello, trasmette veramente l’atmosfera della città anche a chi, come me, non l’ha ancora vista. Una sola curiosità: il nome del poeta Hikmet non è “Nazim” (come d’altra parte si legge negli ultimi versi) anziché “Hazim”?
Grazie, sono contenta che il mio articolo abbia trasmesso delle emozioni, le mie emozioni. Il poeta si chiama proprio Nazim Hikmet, come viene indicato in tutti i suoi libri a mia disposizone.
Grazie, Liviana.
E’ bello rivivere nelle tue parole le emozioni che ho vissuto con te, Mimma e Laura.
Per me è stata la prima volta di Istanbul: un amore a prima vista.
E mi porto negli occhi l’immagine notturna di Istanbul dalla terrazza del Cihangir Hotel (camera con vista; non sarei mai andata a dormire…: un Re-drago dalle squame gonfie, lucenti, dal sonno vigile, dal respiro profondo e regolare. Sicuro della sua forza, tiene insieme la sua collana di stelle luminose, diverse tra loro, che a turno si accendono, si chiamano, si parlano…
un grazie anche per aver omaggiato i gatti , amatissimi e tutti pasciutissimi a Istambul.
una delle piu’ belle città del mondo
da non perdere anche se ancora incompleto il museo dell’innocenza voluto e descritto da Pamuk . Si ispira al Museo Bagatti Valsecchi a Milano
Ma tanti sono i luoghi magici di Istambul 🙂
e un omaggio anche al grande Hikmet
quest’anno ricorre il cinquantesimo della sua morte ( mori’ il 3 giugno 63)