Fantasie veneziane

Scritto da:  | 10 Ottobre 2012 | 5 Commenti | Categoria: Zibaldone

 

Oggi è il 10 di ottobre del 2092, oggi finalmente agli amici di SoloScacchi posso scrivere (ma ve ne importerà ben poco) che mi sento una persona abbastanza felice e uno scacchista abbastanza fortunato.

La prima parte di questa affermazione non c’entra nulla con gli scacchi, ma è legata alla certezza che si può essere felici con poco, senz’alcun bisogno di ricchezze o di potere, perché è già una grande ricchezza poter osservare l’alba e il tramonto, o passeggiare lungo un torrente di montagna seguiti dal rumore del vento, o fare una carezza ad un gattino randagio o malato, o leggere una bella poesia d’amore, oppure semplicemente fermarsi a parlare con i ragazzi, perfino (e perché no?) delle tremende, ma istruttive e ammonitrici, storie della “terza guerra mondiale”.

La seconda parte non è legata ai miei risultati, invero insignificanti, bensì al mio incontro stesso con gli scacchi e poi al mio incredibile incontro, avvenuto vent’anni fa, con un ex campione del mondo, un italiano, l’unico giocatore italiano che sia mai riuscito, dai tempi di Steinitz fino ai giorni nostri, cioè fino al 2092, a raggiungere il titolo mondiale: un giocatore eccezionale, un mito, ma un mistero irrisolto, svanito (un po’ come avvenne, mezzo secolo prima, con Bobby Fischer) all’indomani della conquista del massimo titolo.

Conservo ancora, gelosamente, le pagine di alcuni quotidiani del 10 ottobre del 2022, quando io avevo appena dieci anni ed avevo da poco imparato le regole del gioco: “Mondiale scacchi: un campione tricolore”, era il titolo de “Il Corriere della Sera” (in ventesima pagina), “The new world champion is italian” era quello del “Times” (ma in prima pagina).

E’ stato un campione grande, quasi come Fischer e Kasparov, in questo secolo forse inferiore soltanto all’inarrivabile lèttone Rihards Plesnieks (quest’ultimo detenne ininterrottamente il titolo dal 2046 al 2066 ed entrò nella storia per l’eclatante risultato, senza precedenti, del campionato mondiale di Baku del 2050: 10 a 0 nella finalissima individuale contro il cinese Mai Peo).

Il nostro campione sparì la sera stessa del trionfo e divenne una leggenda. Alcuni cronisti addirittura si spinsero a dire che in realtà lui non sarebbe mai esistito, o meglio che sarebbe stato un extraterrestre, oppure il frutto di un esperimento genetico di un pazzo scienziato russo.

Altri, al contrario, insinuarono il dubbio che proprio dagli extraterrestri, intenzionati a studiare i migliori ingegni umani, sarebbe stato rapito. Quella sera nel suo albergo di San Paolo del Brasile sarebbero stati visti strani personaggi dalla pelle bluastra e poi, intorno alla mezzanotte, brillare una vivissima luce azzurra che schiarì il cielo per qualche momento.

Ma io vi posso assicurare che le cose non andarono così. Ecco perché…

Era il 10 di ottobre del 2072, una giornata caldissima, ancor più calda del solito. Non mi sono mai abituato a queste così alte temperature in autunno, che, dagli anni della terza guerra mondiale, hanno disgraziatamente trasformato e devastato la vita del pianeta e la sua natura.

Francesca ed io avevamo da qualche tempo dimezzato le ore del nostro lavoro alla “NIHCE ”(Nickel Idrogeno-CleanEnergy), com’è facoltà di tutti coloro che nella S.E.U.(Stati d’Europa Uniti) raggiungono i 60 anni e 6 mesi di età, ed avevamo deciso di concederci una breve vacanza in occasione del suo compleanno.

Tornammo a Venezia, dove eravamo stati, più di trent’anni prima, in viaggio di nozze.

Per entrarvi occorre oggi uno speciale documento, perché Venezia e le limitrofe isole lagunari costituiscono un enclave indipendente (ed è l’unica regione, fra tutti i vecchi paesi europei, a non far parte della S.E.U.) come “Territorio Autonomo della Seconda Repubblica di Venezia”.

La storica città era miracolosamente scampata al flagello dell’ultima guerra, ma non sarebbe mai scampata alla sua fine naturale, incalzata dalle maree e dallo scioglimento dei ghiacciai del globo, se due imprese (una giapponese, l’altra argentina) non fossero intervenute con una stupefacente opera d’ingegneria, riuscendo ad alzare di un metro e ottanta centimetri il suo sottosuolo e ciò che al di sopra c’era e viveva.

Fu salvato così anche il celebre “Caffè Florian”, il più antico caffè del mondo (ha compiuto i 372 anni), aperto in Piazza San Marco nel 1720 da un tal Floriano Francesconi con l’insegna della “Venezia Trionfante”, “ove concorreva, anche per lo passato, quanto aveavi di più eletto fra nostrali edestranei” (G.Tassini, 1863).

Ebbene, eravamo lì, seduti a gustarci lentamente un tè nella cosiddetta “Sala degli Uomini Illustri”, che un tempo doveva essere veramente splendida e che fu restaurata, per l’ultima volta, nel 2012, in anni molto difficili per l’Italia e l’Europa, duramente provate dalla prima crisi dell’euro, dalla disoccupazione e dalla dilagante e spregiudicata corruzione.

Ma di nuovo, trascorsi altri sessant’anni, i tavoli, gli specchi, i mirabili dipinti e le cornici in foglia d’oro avevano ripreso a soffrire l’ingiuria del tempo e il peso dell’umidità della laguna, e a malapena si potevano riconoscere, fra gli affreschi della sala, le figure e i volti dei Grandi Maestri della Serenissima: Marco Polo e Tiziano, Benedetto Marcello e Palladio, Francesco Morosini, Enrico Dandolo, Goldoni e altri ancora.

L’atmosfera, tuttavia, era rimasta quella incantevole di un tempo, incredibilmente intatta.

Chiusi gli occhi e mi parve di sentire ancora il riboccare di gente e di maschere sotto le arcate delle Procuratie Vecchie, le loro risa e le beffe, le danze moresche di Castellani e Nicolotti, i giochi di marionette e funamboli, quando si festeggiava il Carnevale e la folla festante si radunava in Piazzetta San Marco ad applaudire “lo svolodel Turco”, mentre intorno a noi aleggiava ancora la presenza di personaggi famosi come Marcel Proust, Charles Dickens, Lord Byron o Giacomo Casanova.

Riaprii gli occhi e lo sguardo cadde su una pregevole e antica scacchiera di legno, dai quattro angoli intarsiati e rialzati. Una mano, chiaramente nobile, stava sistemando i pezzi, con delicatezza e familiarità, ed un suo cenno mi convinse ad avvicinarmi.

Ma non era la mano di Lodovico Manin, ultimo doge dell’antica e gloriosa Repubblica. Era quella di un signore magro, molto magro e calvo, all’incirca di ottant’ anni, il viso scavato ma l’aspetto sano, un vestito lucido grigio piuttosto fuori moda e poco intonato a dei curiosi sandali di cuoio. Lo sguardo era vivace ma sicuro, dietro a dei minuti occhialini privi di montatura.

Lei conosce questo gioco?” Mi chiese quasi bisbigliando.

Non ricordo cosa (e nemmeno se) risposi, ricordo soltanto che, affascinato dall’ambiente e catturato dalla situazione, come in un sogno presi a giocare a scacchi con lo sconosciuto.

Mi sentivo confuso, mentre Francesca era più che altro ammirata dal vasellame d’argento utilizzato dal personale del Florian per servire ai tavoli il caffè o il tè.

Giocammo in fretta la prima partita, dopo aver impostato i nostri orologi da polso. Lo sconosciuto impiantò la difesa Philidor (in verità un nome adatto alle circostanze) e io persi rapidamente, senza riuscire ad imbastire alcun piano. E persi anche la seconda, una Ponziani: quasi non me ne avvidi, mi trovai presto avviluppato in una rete di matto.

Ero sorpreso, sapevo che ero piuttosto scarso, ma non mi ero mai sentito così impotente e incapace. Avrei dato la colpa all’età, se non fosse che mi trovavo davanti un signore con una ventina d’anni più di me. Nella terza ed ultima partita, un Gambetto di Re, il mio antagonista sacrificò la Regina prima di darmi uno scacco perpetuo. Ebbi chiara la sensazione che mi volesse facilitare un pareggio.

Aveva giocato con mirabile sicurezza e lucidità, e molto velocemente. Le sue movenze erano decise, ma nello stesso tempo semplici e garbate.

Giovanotto, sa che lei ha potuto pattare con un ex campione del mondo?” Rimasi stupito e lo fissai per qualche attimo, in silenzio. Ma sì, sì, la sua fisionomia mi ricordava qualcuno, perbacco!

Non so cosa mi siaaccaduto”, continuò l’anziano e ancora sconosciuto signore, “forse è stato il fascino unico di questa città, dove il tempo si ferma, ritorna indietro e riparte, in una sorta di nemesi perpetua, ad avermi convinto, esattamente mezzo secolo dopo, ad intrecciare i pezzi con un’altra persona. E mi ha fatto piacere. Ma domani tornerò di nuovo e per sempre nel mio mondo.

Le dirò di questo mio segreto, con qualcuno sentivo di dovermi confidare un giorno. Ma lei deve promettermi di non parlare a nessuno di questa storia, di mantenere per altri venti anni il segreto e il silenzio, ecco… sì … vent’anni, cioè fino all’inizio di ottobre del 2092. Poi potrà rivelarlo, ma ad una condizione ancora: non vi dovrà speculare e dovrà lasciare i suoi ricordi a persone che a loro volta non vi speculeranno. Questo perché io non posso ancora dimenticare quel disgustoso livello di malcostume e corruttela che portò al degrado morale e civile, poi alla grande crisi economica degli anni trenta e da lì alla terza guerra mondiale del 2038-2039”.

Ora avevo capito. Emozionato e sorpreso, strinsi la sua mano e glielo promisi. Lui mi mostrò un vecchio documento consumato e poi cominciò a raccontare ……

Sì, sono io, Fabio Laruana, l’italiano campione del mondo nel lontano ottobre del 2022 a San Paolo del Brasile. Ricorda il nome dei miei avversari? No?

La finale fu un torneo a sei giocatori, drammatico e durissimo, con partite di andata e ritorno. C’era l’asso caucasico Herronian, c’era il numero uno delle classifiche Elo, lo scandinavo Cagerlsen, c’era l’ucraino Kazzjakin, c’era l’asiatico Annazpand campione in carica e c’era il temutissimo apolide Nakabuka. Io mi sentivo ben preparato, anche psicologicamente, e pieno di speranza. I programmi di scacchi avevano in quegli anni stravolto il nostro gioco e stressato le nostre menti, non era facile mantenere i nervi a posto.

Ricordo che, sorprendentemente, il primo a non reggere la pressione fu Nakabuka, lo ricordo provare di tutto, ma invano, per confondere gli avversari, lo vedo ancora agitarsi, seduto di traverso sulla sedia, e scuotere la testa e i folti capelli neri prima di una serie di sconfitte che non aveva mai provato prima: seppi che si ritirò a vivere su una montagna dell’Alaska, con due husky, pochi mesi più tardi.

Kazzjakin fu il secondo a saltare; sembrava di ghiaccio, con quel viso da bambino, ed invece era troppo insicuro e timido, prese matto da me e da Herronian; per sua fortuna, pare che la bella moglie Oksana Bastchuk sia intervenuta a salvarlo per tempo, convincendolo ad abbandonare il gioco attivo.

Annazpand era il più anziano ed esperto di noi, ma anche il meno motivato: non riusciva più a trovare vantaggi, a inventarsi cose nuove, con lui il pareggio era un risultato sempre accessibile; infatti le pattò tutte quante, le partite, e parve contento così. Lui non fu travolto dalla competizione, ma dai giornali e dagli sponsor, che lo avrebbero poi quasi crocifisso per questo suo atteggiamento tanto passivo. A quel tempo lo sponsor non perdonava, ti poteva comprare anche l’anima.

Cagerlsen era il grande favorito, un lottatore quasi infallibile e instancabile; con lui giocai una memorabile partita di sette ore, difendendomi strenuamente finché, nel tentativo di forzare e in crisi di tempo, egli si ritrovò con un pugno di mosche e troppo tardi si accorse di un mio pedone che promuoveva a Donna prima del suo. Questa sconfitta lo condizionò pesantemente, e alla fine riuscì soltanto a recuperare un misero secondo posto, che in un campionato del mondo vale più o meno come l’ultimo. Non volle partecipare più al ciclo mondiale.

Herronian era un ottimo giocatore, una persona corretta e simpatica, forse non abbastanza cattivo; buttò via una partita vinta con Cagerlsen, per causa di quello che fu definito “l’errore del secolo”, e il turno dopo, contro di me, mancò una lunga serie di piccole occasioni. Fu appena terzo, non resse alla delusione e il mese successivo fu un’operaia basca a convincerlo, all’ultimo momento, a recedere dal suo proposito di gettarsi suicida nelle profonde acque del fiume Nerviòn, nei dintorni di Bilbao. Si riprese (era forse l’unico ad averne le possibilità) e conquistò il mondiale due anni più tardi.

Io a San Paolo scoprii di essere al mio massimo, la preparazione era ideale, partii con tre vittorie consecutive, in alcune partite sorpresi i miei avversari con improvvisi sacrifici di qualità, ebbi in ogni circostanza il giusto intuito e nel girone di ritorno mi difesi sempre al meglio, terminando imbattuto. Furono dieci partite validissime, ma anche battaglie terribilmente dure e logoranti.

Avevo raggiunto quasi la perfezione nel gioco e agguantato il titolo mondiale, primo a farlo per l’Italia. E rimasi l’unico. Cosa potevo volere, ancora, di più? Quello, per me, era tutto, era l’apice, oltre non sarei potuto andare.

Riuscii a dileguarmi per sempre, ed in un piccolo villaggio nel Nord amazzonico del Brasile ho vissuto nascostamente finora, cercando d’insegnare qualcosa ai più giovani e d’imparare dai meno giovani. Mi sento, oggi, una persona felice e uno scacchista fortunato”.

Sì, ho impresse queste sue ultime parole: ”una persona felice e uno scacchista fortunato”. Lo abbracciai e lo ringraziai, anche per le tre partite che mi era stato consentito di giocare con lui.


Era arrivato nel frattempo il conto del Caffè Florian, inevitabilmente salato: 815,00 N.E. (Nuovi Euro), ma ne era valsa davvero la pena.

Le ombre della sera iniziavano ormai a distendersi sulla laguna e sui canali. Alla stazione ferroviaria di Santa Lucia ci aspettava Tito, il nuovo super-treno che ci avrebbe riportato a Roma in meno di due ore.

Era presto e c’incamminammo quindi verso la fermata del vaporetto all’Accademia, immergendoci da lì in una mezz’ora di percorso magico, attraverso le calli minori del sestiere di Dorsoduro, fra il Rio di San Trovaso e Fondamenta Zattere, un percorso fatto di altre, più umane e familiari, “fantasie veneziane”.

Non mi ero mai sentito così bene dopo una sconfitta a scacchi, e tutto mi sembrava incantevole, quella sera del 10 di ottobre 2072. Avrei voluto correre e “scorazzare”, libero come una volta erano i maiali, per calli e per campi.

Ma mi fermai, ricordando un’altra sera del 10 di ottobre, quella del 1409, quando la Repubblica emanò un decreto contro la libertà dei maiali. “ilSenato, considerati i gravi danni provocati dai pòrci, che sotto spezia di animali di Sant’Antonio vagano liberamente nelle vie cittadine, intima ai proprietari di tenerli rinchiusi, vietando nel modo più assoluto di lasciarli scorazzare per calli e campi” (G.Marangoni, “Giorno per giorno, tanti anni fa”, 1971).

Era intanto d’improvviso scesa la temperatura e salita la nebbia, all’inizio come un sottile pulviscolo d’argento, poi con un grigiore più umido, ad avvolgere i canali e lambire le caorline e i colorati sandoli attraccati alle mura corrose delle case. Sulla pallida luce della luna piena parevano giocare e scivolare, come l’acqua sottostante, le fila dei caratteristici comignoli troncoconici delle case nobiliari.

In giro c’era poca gente, anche nelle case c’era poca gente, e nel silenzio sentivamo i nostri passi rimbombare sulle vecchie pietre bagnate delle calli, sorvegliate dai radi lampioni che illuminavano appena rii e ponti, salizzade e fondamenta, fra imprevedibili goldoniani campielli ed eleganti “vere da pozzo”, inquieti improvvisi scenari e minimi spazi d’irremovibile e impenetrabile, suggestiva bellezza.


I venti anni che avevo promesso al grande e misterioso campione del mondo Fabio Laruana sono finalmente scaduti, in questi giorni di ottobre del 2092.

Naturalmente non l’ho più rivisto e non so (nessuno lo sa) se sia ancora vivo, però oggi avrebbe circa cento anni. Io sono in tempo per trasmettere questa testimonianza e questa strana storia a Martin Eden III° e ai tanti amici di SoloScacchi, che è indiscutibilmente il sito più bello, e ormai tra i più seguiti e antichi, degli Stati d’Europa Uniti.

Ma ora devo lasciarvi, sono in partenza per Venezia. Abbiamo prenotato, per questo pomeriggio del 10 di ottobre, un tavolo al “CaffèFlorian”, lo stesso di allora.

E porterò con me una scacchiera.

avatar Scritto da: Marramaquís (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a Fantasie veneziane

  1. avatar
    Mongo 10 Ottobre 2012 at 00:27

    Bellissimo!!

  2. avatar
    Ramon 10 Ottobre 2012 at 07:36

    Che dire?!? …che un giorno quando forse SoloScacchi non esisterà più gemme come questa rimarranno ancora? Sì, proprio questo! 😉

  3. avatar
    Zenone 10 Ottobre 2012 at 09:49

    La dolce distopia di Marramaquis!
    Se parti oggi per allora per la magica Venezia, in questa sera futura che vivrai fra alcuni anni e fra poche ore, guarda tra le calli e cerca tra la nebbia la luce di quel campione del Mondo che dovrà diventarlo tra breve o tra molto. Lo riconoscerai dai suoi occhiali e perché sarà giovane allora come oggi grazie al nostro meraviglioso gioco. Sì, Marramaquis, ti prego, fallo per noi, perché oggi, fra vent’anni o fra sessanta, non è così lontano come sembra grazie ai ricordi.
    Bravo!

  4. avatar
    Fabio Lotti 10 Ottobre 2012 at 11:26

    Connubio stupendo fra testo e icone.

  5. avatar
    gino 10 Ottobre 2012 at 19:34

    l’animo gioisce, la mente fantastica, i ricordi riaffiorano, la nostalgia monta…. è ora di rivedere questa città unica e godere ancora una volta di quanto hai magistralmente saputo descrivere

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