Nell’ambiente scacchistico, romano e non solo, una figura piuttosto nota, fra gli anni cinquanta e settanta, era quella di Agostino Agostini.
Agostini, quando io iniziai a lavorare nella Banca Nazionale del Lavoro (correva il 1977), era già prossimo ai 70 anni e ne era pensionato.
Nella saletta del dopolavoro di via Piemonte (a due passi da Via Veneto, sede della banca) le sue visite erano però sempre frequenti, come erano frequenti le sue puntate al vicino Caffè Fassi di Corso d’Italia, magnifico locale dagli interni in stile liberty e dal delizioso giardino, che in quegli anni (ma purtroppo ancora per poco) era stato uno dei punti di riferimento e di ritrovo storici degli appassionati giocatori di scacchi, e non solamente di scacchi, della città.
La presenza di Agostini non poteva passare inosservata, un po’ perché ci sovrastava tutti con la sua inusuale mole e un po’ per le allegre battute con le quali era solito accompagnare, con vocione squillante, le sue stesse partite.
L’ho veduto raramente partecipare, forse per l’età, ai tornei sociali e a quelli a squadre; la sua preferenza, una vera e propria mania, era per il “blitz”, e ne sapeva qualcosa Cesare Marsili, l’allora responsabile della sezione scacchi della banca, che finiva quasi sempre per essere “buggerato”, in qualche maniera e all’ultimo secondo, dall’altro.
Agostino Agostini, che ricordo nel 1981 anche fra i primi soci sostenitori e collaboratore del nostro bimestrale Zeitnot, era un abilissimo giocatore “lampo”, ma a tavolino poteva vantare da tempo una “prima categoria nazionale”, che in quel periodo valeva tanto e rappresentava quasi un miraggio per i più.
Se aggiungiamo che al dopolavoro, oltre alla sua categoria, poteva far pesare sui più giovani il suo passato di abile e temuto, quantunque bonario, funzionario di banca, capirete come lui fosse come un’ icona e un emblema per la sezione e per gli scacchi della città.
Ma Agostino era soprattutto uno scanzonato “poeta”, in lui sapeva rivivere lo spirito di Trilussa e del Belli e nei suoi versi riusciva a trasmettere tutta la sua colta romanità, con vitalità e simpatia.
Quasi alla fine della sua vita, e quasi riluttante, si convinse a dare alle stampe una raccolta “Poesie, romanesche e in lingua”, di cui sono in possesso di una ingiallita e incompleta copia priva della copertina.
La raccolta, ricca di una cinquantina di composizioni (fra le circa centocinquanta che scrisse), è divisa in quattro sezioni: piccolo mondo bancario, piccolo mondo scacchistico, altre poesie satiriche o scherzose, poesiole liriche.
Riporto brevi stralci dalla prefazione dell’autore:
“… Nel corso della mia non breve esistenza, strada facendo, ho scribacchiato qua e là qualche versetto a rima che, un po’ ripulito, ho riversato in questo opuscolo… Non si tratta di poesie “importanti”, ma solo di impressioni avute nei vari stadi della vita, quando in qualche circostanza mi veniva l’ùzzolo di scrivere versetti d’occasione o di fissare talune momentanee sensazioni…. Sono stato sollecitato a pubblicarli, se non altro per non disperdere subito una nota di buon umore, così rara nelle poesie moderne, che testimonia fatti e situazioni del mio tempo … Naturalmente i “modernisti” storceranno la bocca, se non vorranno comprendere il perché dello stile adottato, che si riallaccia del resto ad un’epoca ben precisa, anche in considerazione che è praticamente impossibile “scherzare” in tono più o meno ermetico…. Vi confesso che all’ultimo momento il libro non lo volevo più dare alle stampe, dato che ogni tanto, rileggendo le opere più importanti dei classici della lingua e del dialetto romanesco, mi vergognavo un poco di me stesso. Poi ha prevalso quel poco di vanità che nell’animale uomo sembra incancellabile.”
E’ con piacere che ripresento qui alcuni di questi versi, in dialetto e in lingua, tratti e non dall’opuscolo di cui si tratta.
Io sono particolarmente affezionato a quelli in dialetto, che credo rappresentino, di gran lunga meglio degli altri, l’animo arguto e pungente di Agostino, la sua ironia colta e nello stesso tempo saporita e genuina.
Scacchista pensatore
Silenzio amici, il pensator profondo
studia una mossa forte ed elegante,
una combinazione interessante,
ei, di cappelle tessitor fecondo.
Si spreme la cervice, affina il pondo
per un gioco terribile e brillante,
e intanto giace, statico e snervante,
sullo scanno fatal, meditabondo.
Ei pensa a una difesa originale
che possa trarlo dai previsti guai,
pensa a una mossa intrepida e geniale,
pensa e geme in silenzio tristi lai,
ei pensa ad un tranello micidiale,
ei pensa sempre, ma non muove mai!
L’elaborato errore
Eccolo il pensatore,
fallace ma ottimista,
che impegna il proprio onore
di uomo …. e di scacchista!
Con espressione fiera,
della vittoria ansioso,
curvo sulla scacchiera,
cògita silenzioso.
Il suo problema, in fondo,
non è un affar di stato,
talché cotanto pondo
par quasi esagerato.
Ma in mente egli ha il vigore
di un grande condottiero,
ei, l’analizzatore,
principe del pensiero!
Pensa per ore ed ore
si spreme a più non posso …
l’elaborato errore
diventerà più grosso!!
Li scacchi
Er gioco de li scacchi è come ‘na battaja,
prima vanno all’attacco li “pedoni”,
poi li cavalli irompeno a tenaja
caricanno, furiosi, in du’ squadroni.
L’ “arfieri”, pronti, su le postazzioni,
foco incrociato, spareno a mitraja;
fra li tranelli e le combinazzioni
già qualche pezzo sfonna e un antro scaja.
Le “torri” so’ fortezze e la “reggina”,
che è furba e sverta come fusse un gatto,
stuzzica, scappa via, se riavvicina.
Er “re” interviene pe’ concrude er fatto;
o vince o fa la pace o che combina
pe’ nun fasse pijà? Diventa matto!
Aperture a scacchi
Me piace assai la “slava” e la “danese”
e poi te dico che ‘na “catalana”
me la pippo de liscio e un’ “olandese”
nun me fa differenza co’ un’ “indiana”.
Più duretta de reni è l’ “italiana”
e me raffreddo un po’ con un’ “inglese”,
ma sudo e bollo co’ la “siciliana”
e lavoro de fino la “francese”.
Difficile da regge è la “scozzese”
e la “russa” la vedo sempre strana,
tosta e guardinga trovo l’ “ungherese”
ner mentre l’ “ortodossa” m’impantana;
me scompijo agguantanno la “viennese”,
ma tratto la “spagnola” da sovrana.
(n.b.: quest’ultima, in verità, mi è parsa un pochino maschilista e ne chiedo perdono alle carissime lettrici, però sappiate che l’ho inserita qui “a mia insaputa”)
Promozioni
Mani giunte ed il rosario
ostentava, imperciocché
l’hanno fatto funzionario
e promosso pria di te.
E quell’altro è un buon massone,
liberale, cosicché
forse per combinazione
l’han passato avanti a te.
Socialista è l’altro ancora
e decisero, così,
di premiare chi … lavora
per crearsi un’alibì;
quel fregnon sconsiderato
avanzato hanno perché
assai ben raccomandato
fu conciossiacosaché.
E quell’altro disgraziato
han promosso, e questa è bella;
ma non sai chi ha frequentato
per un anno la sorella!
O politica o puttana
tutto il resto è una fregnaccia,
la carriera sarà vana
se d’un asso non vai a caccia.
E non dir cretinerie,
non parlarmi più d’orario,
di lavoro e fesserie,
fra te e loro c’è un divario.
Tu piegar devi il groppone,
per te pure ci sarà,
forse, qualche promozione
se lavori in umiltà.
Se pretendi che il valore
basti ad essere avanzato,
statti attento, in poche ore
puoi trovarti licenziato!
Come bisogna essere per fare carriera
Sorridente, garbato ed ottimista,
forbito, dignitoso ed elegante,
volitivo, severo, accomodante,
prudente, scanzonato e conformista.
Affabile, simpatico, arrivista,
saccente, adulatore, commediante,
orgoglioso, mellifluo ed assillante,
calcolatore, astuto ed egoista.
Pavido, vanitoso, diffidente,
scocciatore, frenetico, spietato,
menzognero, bilioso ed invadente,
altezzoso, famelico, smodato,
pretenzioso, venale, prepotente
e, soprattutto, …. ben raccomandato.
Infine, quella che è stata, non a caso, scelta da Agostini per inaugurare il suo libello, e che è infatti una piccola gemma, da gustare lentamente come, una volta, uno specialissimo caffè al Caffè Fassi:
Er bilancio
Li bilanci so’ due: “de previsione”,
ch’è na fiarata de chiromanzia,
eppoi viè er “consuntivo de gestione”
ch’è un ghirigoro de crittografia.
E c’è chi vo’ capì sta poesia
che canta cifre farze o buggerone,
stese da un mago de raggioneria
pe’ tre diverse specie d’illusione:
La prima serve a l’amministratore
pe’ sgamà er lecco (1), ride o disperasse,
la seconna, più sciapa de sapore,
s’arifila all’aggente de le tasse
e la terza se dà ar finanziatore
pe’ fallo persuaso de fidasse !
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Vederci chiaro
Beh, ora basta. O meglio.
Vi prometto che la prossima volta parlerò di poesia (che non è davvero il mio campo) soltanto in occasione di un successivo attacco di … come si dice?, sì, “dolce distopia”, ovvero intorno all’anno 2092, quando cioè Martin Eden III raccoglierà qui su Soloscacchi altre divertenti “poesiole” tratte dalla più famosa raccolta di questo secolo (benché ancora di futura pubblicazione), quella di un altro notevole scacchista-poeta italiano, stavolta toscano: il nostro eccellente Zenone.
Mi candido fin d’ora per la sua recensione, ma preciso che mi candido, come dicon tutti, …. “solo se sarò io a chiedermelo” e vi assicuro che sarò sempre disponibile a fare “un passo indietro”, ma “solo se io me lo chiederò”. Sarò stato chiaro? O è già sopraggiunta la distopia?
Scusate, ma adesso il dottor Agostino Agostini mi sta aspettando per l’ennesima appassionante sfida “blitz” con i colleghi ….
Vedo già gli amici Andreozzi, Di Rienzo, Lecci, Marsili, Moneta, Nazzaro e Placchetta pronti sull’orologio, rombanti le Torri, scalpitanti i cavalli, affilati gli alfieri, trepidanti i pedoni, per esser veloci come un Bolt ….
astuti come un Hort ….
geniali come un Flohr.
Buon divertimento!
Belle, ironiche, intelligenti. Grazie, Marramaquis. E ora la vedo dura per Zenone ma ho una incommensurabile fiducia in lui… 🙂
Sono diventato un lettore di “soloscacchi” grazie alla tua segnalazione, caro amico
e collega Marramaquis! Hai raccontato con sensibile dolcezza e puntigliosa precisazione il bravo “lampista” e poeta Agostini Agostino. Era solito stupire per
la sua tecnica e per i movimenti dei suoi pedoni, risultavano più di otto.
Ciao Marramaquis, scrivi, torna a giocare e rimani come sei. A presto!
Omero Placchetta
Bellissimo il pezzo del gatto Marramaquis che ci ha fatto scoprire questo vero poeta.
E ora tocca a me visto che sono stato pungolato. E con il massimo rispetto voglio provare a scherzare un po’.
“In sta serata che nun me vie’ da ride, in sta serata che nun me sa de niente, er pungolo de Mastro Lotti m’invita a trova’ ristoro a st’angoscia”:
La notte dei giudizio
Nun riesco a pija sonno questa sera,
dopo aver letto er pezzo der gattone,
m’arzo da ‘sto letto de mattone
e affronto ‘sta prova assai severa.
Me ritorna in mente er pungolo de Lotti
so’ ar tavolo seduto con stanchezza
a scrive ‘sto sonetto, ‘sta sciocchezza,
e da due ore ‘sto qui a fa’ li botti!
Me sto fissando scettico la panza,
pensando a quarche cosa, ad una rima,
me dico: nun potevo arzarme prima?
perchè mò nun riesco a tirà giù ‘sta stanza.
Nun so’ capace de scrive li stornelli,
figuramose poi poesie dar core,
m’arrendo, nun abbiatene rancore,
nun so’ Trilussa e nemmeno er Belli.
C’ho provato, ve giuro, nun so’ sbronzo,
me vie’ da piagne pensanno ar mio domani,
perciò me copro il viso co’ ste mani,
ma nun ce riesco, forse so’ solo…gonzo!
Ormai sta notte fonna se fa severa,
na sonajera d’agnoli già sento
e comese s’annasse a letto
smorzeranno li lumi e…bbona sera!
Zenone
P.S.
Chiedo scusa a tutti i romani.
Simpaticamente originale e delicata: è la prova che avevo còlto nel segno, ma era facile.
Martin Eden Terzo (o Secondo), stai pronto … un’altra vera “raccolta” è in arrivo.
E nimmanco ciai bbisogno de’ scusatte, Zenò! Li romani te ringrazzieno! Io pe’ primo.
La poesia di Zenone
mi fa riappacificare con la letteratura,
lui si che è un leone
ed io sarò suo discepolo per vostra iattura!!!
Sapevo che Zenone sarebbe venuto facendoci un altro regalo.
Ho avuto una specie d’illuminazione tra i ricordi e col pensiero sono andato a circa trent’anni or sono, quando una sera riaccompagnai il “grande” Agostino Agostini sotto casa sua, insieme ai miei due figli Marcello e Mauro (Marcello a quel tempo teneva già testa all’ormai anziano giocatore, il quale era arcicontento di farcisi una partitella … Di quella sera ho il rammarico di averlo salutato declinando il suo invito a salire su da lui “pe farsi quarche partitella” e “du’ spaghetti ajo e ojo” … Fu l’ultima volta che lo vidi … Scomparve dopo pochi giorni … Grazie, avevo letto qualche sua poesia, che trovai simpatica e oggi sono veramente lieto di poterle rileggere, anche se da qualche parte dovrei avere ancora le copie di “Zeitnot”
dove ce n’è pubblicata qualcuna …
Leggo solo oggi questo bel ricordo di Agostini; mi fa tornare indietro a tanti anni fa quando Lui, col suo faccione beffardo, con la sua mole e con le sue battute ironiche era uno dei protagonisti dei circoli romani, dal Branca, al Cyrano, ad altri ancora.
Bello leggere di mio Nonno tante belle parole,tanti bei ricordi. Ero piccolo ma ricordo ancora quella manciata di minuti che gli servivano, senza alcun indugio per il nipotino, per vincere una partita nella sua consumata ma meravigliosa tavola .