il caso Morphy, epilogo

Scritto da:  | 2 Febbraio 2013 | 6 Commenti | Categoria: Racconti
Vecchia Mosca 8
Mosca, estate 2001
 
            “Di notte”.
            La voce di Irina mi svegliò dal placido torpore che sorge dopo aver fatto l’amore: “Di notte cosa?”
            “Entriamo di notte e apriamo la valigia”
            Mi svegliai di colpo: “Sei impazzita?”
            Con l’abituale pragmatismo Irina ribattè: “E quando se non di notte? Il circolo chiude all’una, alle due avremo via libera. Grigori inizia a pulire verso le sei e mezza, abbiamo quattro ore buone per il… lavoro”
“E’ un reato” dichiarai con voce ferma.
“Un reato diventa tale soltanto se accertato” replicò lei.
“E’ folle” obiettai.
Teoricamente folle”. La sua cocciutaggine mi stava innervosendo, ma sentivo che ormai, per lei, il tutto era diventato un fatto personale. “In pratica” proseguì “è facilissimo”.
“Come minimo, ci rimetteresti il lavoro… o peggio”
            “Be’” ridacchiò “a te non andrebbe molto meglio” ed iniziò ad accarezzarmi in parti decisamente sensibili. Le donne hanno strumenti tutti loro per convicerti a fare qualcosa, qualsiasi cosa.
            Organizzammo accuratamente la nostra intrusione al Circolo Centrale: orari, movimenti, tutto insomma. Naturalmente fu Irina a stabilire il come , ed io acconsentii come un agnellino, anche se – lo confesso – non vedevo l’ora di aprire quella valigia.
            Avvenne un mercoledì sera, la serata di scarsa presenza di soci che preferivano le imprese calcistiche del CSKA o del Lokomotiv. Verso l’una e trenta parcheggiai l’auto davanti al portone al numero 14, dall’altra parte del viale. Tutte le finestre del circolo erano buie ed Irina estrasse dalla borsetta il mazzo di chiavi che ci avrebbe consentito l’accesso ai locali ormai vuoti.
            Il portone che dava sul viale si aprì con facilità e senza rumore, salimmo la scala che portava al primo piano ed anche la porta d’ingresso al circolo si aprì con un lieve fruscìo. Non indugiammo a scrutare in giro – l’ambiente era chiaramente vuoto – e ci dirigemmo rapidamente verso la fine del corridoio. La porta della biblioteca venne aperta ed immediatamente richiusa e soltanto allora accendemmo le torce elettriche, visto che era praticamente impossibile che qualcuno dall’esterno ne scorgesse il bagliore.
            Quando Irina aprì la seconda porta e riuscii a scorgere la valigia là, in alto, sul semiarrugginito scaffale dove giaceva da tanti anni, il cuore prese a battermi più forte. Tirai giù la valigia appoggiandola sul tavolino accanto alla porta. Irina, senza perdere tempo, si mise ad armeggiare attorno ad una delle serrature servendosi di una semplice forcina per capelli, sotto il mio sguardo un po’ scettico.
            Clac! La prima serratura scattò e la linguetta che bloccava la chiusura scattò verso l’alto. Dopo poco più di un minuto si udì il secondo clac ed Irina, con aria di trionfo, si girò verso di me dicendo a bassa voce: “A te l’onore”. Sollevai il coperchio della valigia ed apparve il contenuto: due fasci di fogli, uno dei quali ingiallito, ed un quaderno dalla copertina nera. “Tutto qui?” pensai, quasi deluso dal misero apetto del contenuto della valigia.
            Con molta attenzione mi portai agli occhi il primo dei fogli ingialliti. “Inglese” : riconobbi la lingua, ma rimasi sorpreso, esaminando altri fogli, di trovarne alcuni scritti in francese dalla medesima calligrafia. Li riposi, facendo attenzione a non lasciare tracce di sorta, ed esaminai l’altro fascio di fogli, su carta dozzinale: quelli erano in russo, ma la cosa che mi colpì era il fatto che non potevano essere una traduzione nella nostra lingua del primo fascio di fogli. Sembravano piuttosto una specie di diario, di racconto… Presi il quaderno e lo aprii: Dr. Emanuel Lasker stava scritto in bella calligrafia nella prima pagina e nella seconda iniziava un testo in tedesco che, pur  conoscendo solo superficialmente quella lingua, riuscii ad identificare come il testo tradotto in russo.
            “Allora? Che roba è?”. La voce di Irina mi riscosse dallo stato semipnotico nel quale ero sprofondato.
            “Analisi di aperture di scacchi, in inglese e francese, e la traduzione di una specie di diario in tedesco” spiegai. “Ma sembra che questo diario sia stato scritto nientemeno che da Lasker”.
            Irina rimase stupita: “Da Lasker? Emanuel Lasker?”
            “Sì, proprio da lui, ex campione mondiale…”
            “So benissimo chi era Lasker” mi interruppe spazientita. Sbirciò l’orologio da polso: “Le tre, tra un po’ dovremo andarcene. Che intenzioni hai?”
            Riflettei rapidamente, poi decisi: “Prendo i fogli con la traduzione, rimetto la valigia al suo posto e tagliamo la corda”. Irina assentì senza commentare, e dopo qualche minuto la valigia era tornata, con le serrature nuovamente chiuse, al posto dove giceva da anni. Percorremmo in senso inverso il tragitto dell’andata, stando ben attenti a non lasciare tracce del nostro passaggio, le porte vennero accuratamente richiuse e quando fummo sul portone che dava sulla strada lanciammo un’occhiata nelle due direzioni: nessun segno di vita.
            Attraversammo di corsa viale Gogol e salimmo in macchina ansimando per la corsa e per la tensione nervosa. “Visto?” disse Irina “Facile facile…” e mi baciò. Le donne…
Vecchia Mosca 10
Mosca, giugno 1959
 
            Il bibliotecario capo dell’università Lomonosov non riusciva a credere ai propri occhi. La traduzione del testo tedesco era scorsa fluida all’inizio, ma le cose scritte da Lasker in quella specie di diario stavano rivelando fatti incredibili, assolutamente ignoti anche ai più ferrati storici degli scacchi.
            “Devo assolutamente informare Igor di questa… faccenda”, pensò Valeri. I due non si sentivano da un po’ di tempo, ma ora era giunto il momento di rendere l’altro corresponsabile delle eventuali conseguenze di quella sconvolgente scoperta.
            Sollevò la cornetta del telefono, compose il numero dell’amico al ministero, e dopo qualche minuto Bondarevski venne all’apparecchio: “Cosa c’è, Valeri? Sono in riunione…”
            “Igor, dobbiamo assolutamente vederci. Subito”.
            Il tono di Valeri non ammetteva repliche. “Va bene, domani mattina alle dieci?”
            “Alle dieci, va bene”: Il bibliotecario capo riagganciò e rimase a riflettere sul da farsi. In che ginepraio erano andati a cacciarsi? Aveva tradotto le ulime pagine del quaderno quasi senza sapere cosa stesse facendo, in modo meccanico, dopo aver scoperto il terribile segreto che quel quaderno nascondeva. Cosa avrebbe deciso di fare Igor?
Vecchia Mosca 5
Mosca, estate 2001
 
            Irina ed io rientrammo nel mio appartamento quando l’orizzonte si stava rischiarando per le prime luci dell’alba. Mi accorsi che continuavo a voltarmi per controllare che i fogli stessero ancora sul sedile posteriore dove li avevo appoggiati. Giunti sotto casa – spesso Irina dormiva da me – salimmo in fretta le scale. Eravamo stanchi per la tensione e per la consapevolezza di aver commesso un grave reato, ma appena entrati nel mio appartamento ci sedemmo al tavolo ed iniziammo a leggere le prime pagine della traduzione, nelle quali Lasker raccontava le circostanze della sua fuga dalla Germania nel 1933, dopo aver subito il sequestro, da parte dei nazisti trionfanti, del denaro, dei beni immobili e di quanto accumulato in una vita di lavoro da lui stesso e dalla moglie Martha.
            Queste prime pagine erano tuttavia una semplice premessa, destinata a spiegare al futuro lettore il perché del racconto che seguiva. E questo racconto era talmente sconvolgente che non ci accorgemmo delle ore che passavano, fino a quando la mia voce – io leggevo il testo – divenne impastata mentre gli occhi di Irina si chiudevano con sempre maggior frequenza. Ci trascinammo fino al letto e piombammo in un sonno senza sogni.
            Ci svegliammo verso le cinque del pomeriggio ancora intontiti e, mentre Irina andava ai fornelli per mettere su un po’ di caffè, sbottai: “E adesso?”
            Irina non rispose, continuando ad armeggiare attorno alla caffettiera, ed io ripetei: “E adesso?”
            “Adesso” rispose finalmente lei “riportiamo quei fogli dove li abbiamo presi e dimentichiamo – anche se mi sembra un po’ difficile – tutto quanto. Vorresti forse raccontare una storia alla quale nessuno crederebbe? Con che cosa la dimostreresti? Con la confessione di un furto?”
            Logico. “Logico e senza vie d’uscita” pensai. Anche se la documentazione non lasciava adito a dubbi, non potevo mettere in gioco la vita di Irina – e la mia – per la soddisfazione di aver rivelato al mondo una storia alla quale nessuno avrebbe creduto. L’unica conseguenza sarebbe stata qualche anno di carcere per entrambi, prospettiva tutt’altro che piacevole, sulla base dell’accusa di aver costruito un falso o di aver commesso un furto, o tutte due le cose.
            Il mio istinto professionale mi diceva che ero di fronte ad uno scoop che, relativamente al mondo scacchistico, sarebbe stata un’autentica bomba, e la tentazione di pubblicare tutto era fortissima, ma le conseguenze sarebbero state troppo gravi per entrambi. Mi rassegnai all’idea e mi consolai con la tazza di caffè che Irina mi porse con un malinconico sorriso, commentando: “In fondo ci siamo un po’ divertiti, abbiamo recitato bene la parte di topi d’appartamento e… ci siamo conosciuti” concluse, sfiorandomi le labbra con le dita affusolate
            Posai la tazza, lei fece lo stesso, la abbracciai e facemmo l’amore.
            La collega di Irina era tornata, nel frattempo, dalle ferie sul Mar Nero, ma la cosa non ci impedì di rimettere i fogli dentro la valigia e la valigia al posto che aveva occupato per anni, facendo tutto come quando eravamo entrati la volta precedente.
Vecchia Mosca 3
Mosca, giugno 1959
 
            Igor Zakharovich Bondarevski sedeva, impietrito, davanti ai fogli che Valeri aveva tradotto dal tedesco. Ciò che era descritto pareva talmente incredibile che gli venne spontaneo chiedere: “Sei assolutamente certo che non ci siano possibilità di equivoci? Assolutamente?”
            Il bibliotecario capo della Lomonosov scosse la testa: “Igor, il mio tedesco può anche essere un po’ arrugginito, ma ti posso garantire che quella che hai davanti è la traduzione integrale di quanto contenuto nel quaderno, non c’è una parola di più o una di meno”.
            Bondarevski sospirò, passandosi una mano sugli occhi. “Un falso…?”
            “A che pro? Chiunque lo avesse architettato ne avrebbe approfittato immediatamente, a scopo di lucro o di notorietà o di entrambi. No, no, quei fogli sono stati scritti da Morphy, quel quaderno è stato scritto da Lasker e quella traduzione non contiene errori”.
            Bondarevski sollevò lo sguardo verso l’amico: “Cosa facciamo?”
            “Ti rispondo come tu hai risposto a me tempo fa: ce ne stiamo zitti e buoni fino a quando non riterremo giunto il momento di rendere nota la cosa. Non dimenticare che, per renderla nota, dovremo effettuare un notevole numero di verifiche, coincidenze di date, di viaggi, di luoghi… Credo che per parecchi mesi saremo impegnati a fare questi controlli” concluse Valeri.
            “Sì, già, hai ragione. Ora è il momento delle verifiche, che dovranno essere le più accurate e puntigliose possibili”. Si alzò lentamente, indicando il materiale: “Dove…?”
            “Tienilo tu” suggerì Valeri “Qui all’università, anche se ho sempre tenuto sotto chiave questo materiale, ci sono troppe possibilità di … ehm … incidenti. Pensa se venissi promosso o trasferito o chissà cosa, un incendio, una risistemazione degli uffici della quale si parla da tempo… no, è meglio che lo tenga tu”
            “Non credi che il ministero possa prima o poi accorgersi della mancanza di questa roba?”
            “Oh, quelli hanno ben altro da fare, comunque sulla ricevuta che abbiamo firmato per portarci via il quaderno non viene indicato un termine entro il quale restituirlo, un anno, dieci…”
            Bondarevski sogghignò: “Così vanno le cose in Unione Sovietica, vero?”
            Valeri sorrise: “Certo, così vanno le cose”
            Infilarono i fogli ed il quaderno in una borsa assolutamente anonima che il bibliotecario capo aveva nel proprio ufficio, si strinsero la mano e Bondarevski si avviò verso la vicina stazione della metropolitana. Giunto a casa appoggiò la borsa sulla scrivania, andò nello stanzino che serviva da ripostiglio e prelevò una piccola valigia marrone, al momento vuota, che aveva due serrature a scatto. Estrasse il materiale dalla borsa e lo trasferì nella valigia, chiuse con la piccola chiave entrambe le serrature e ripose la chiave in un cassetto della scrivania. Poi, con un sospiro ed una lieve scrollata di capo, rimise la valigia nel ripostiglio.
Vecchia Mosca 7 
 
Quarta parte
Secondo intermezzo storico
            Pochi mesi dopo, nell’autunno del 1960, Valeri fu colto da un infarto che lo fulminò seduto alla sua scrivania della Lomonosov.
Igor Zakharovic Bondarevski morì il 14 giugno 1979, dopo aver affidato la “valigia di Morphy” a Baturinski, senza parlargli del contenuto.
            Victor Davidovich Baturinski morì il 21 dicembre 2002, poco tempo dopo aver incontrato Yuri Salov.
 
 Vecchia Mosca 11
Quinta parte
La decisione

Mosca, 29 marzo 2010
 
            Quando tentai di raggiungere in auto la redazione venni bloccato da alcuni agenti della polizia locale che mi costrinsero a deviare su un percorso alternativo. Si procedeva a passo d’uomo, perciò parcheggiai nel primo posto libero, e mi diressi a piedi verso la sede del giornale. Capannelli di persone erano fermi agli angoli delle strade.
            “Cosa sta succedendo?”
            La donna che stava chiacchierando a bassa voce con altri passanti si girò verso di me: “Un’incidente, nella metropolitana, anzi pare che gli incidenti siano due, uno alla stazione Lubianka e l’altro non so dove”.
            “Incidente? O forse terroristi?”. Ceceni ed integralisti islamici erano sempre più aggressivi, ed il governo non poteva fare altro che contare le vittime. Ebbi la conferma del fatto che si trattasse di terrorismo quando giunsi in redazione e seppi, da un collega, che qualche minuto prima delle otto, in piena ora di punta, si era verificata un’esplosione alla stazione Lubianka, e circa mezz’ora dopo un’altra esplosione era avvenuta alcune stazioni più in là.
            Nei nove anni trascorsi da quando avevo incontrato Irina erano accadute tante cose: la morte di sua madre, divorata da un male incurabile, e in conseguenza di ciò la decisione di andare a vivere insieme, lasciando le rispettive abitazioni per sistemarci in un appartamento a poche centinaia di metri dal nuovo luogo di lavoro di Irina, un’agenzia di viaggi tedesca. A trentatre anni, Irina era splendida, e il tempo per lei pareva non essere passato, mentre qualche filo bianco cominciava a spuntare tra i miei capelli.
            Oltre che per la rivista diretta da Arkadi, ora scrivevo anche per alcune riviste estere. Quel giorno dovevo buttare giù qualcosa sull’imminente campionato mondiale: c’erano, a quanto pareva, problemi di fondo spese e di monte premi.
            Irina doveva accompagnare un gruppo di turisti tedeschi a visitare musei e non so cos’altro, ed eravamo d’accordo di vederci verso le sette di sera. Arkadi comparve dal nulla accanto alla mia scrivania e mi disse di seguirlo nel suo ufficio. Una volta entrati sbottò: “Allora, questo pezzo su Topalov e Anand?”
            “Arkadi, sto ancora cercando di capire quando, dove e se giocheranno. Ci sono grossi problemi di quattrini, a quanto pare; per il momento l’unica cosa certa è che giocheranno al meglio di dodici partite”.
            Sbuffò: “Be’, vedi di fare in fretta e continua quella serie sui Grandi Maestri minorenni”. Squillò il telefono: “Sì?” Ascoltò per qualche momento, poi, rivolgendosi a me, disse: “Ti vuole la polizia”.
            “La polizia?”
            “Sì, sono di là che ti aspettano”
            Erano due, dall’aria anonima. Il più anziano chiese: “Yuri Salov?”
            “Sono io”.
            “Ha saputo degli attentati di questa mattina?”
            “Sì, se ne parlava prima qui in redazione. Ma cosa…”
            Il poliziotto prese dalle mani del collega una piccolo sacchetto di plastica e ne estrasse un oggetto che sul momento non riconobbi; pareva uno straccio o un brandello di stoffa.
            “E’ stato trovato dai nostri uomini tra i corpi delle vittime. Lo ha mai visto prima?”
            Una delle borsette di Irina! Mentre afferravo l’oggetto sentii la voce del poliziotto che diceva: “L’unico reperto utilizzabile dell’interno era una piccola agenda sulla quale era riportato il suo nome e un numero di telefono tramite il quale siamo risaliti a questo indirizzo. Parecchie vittime sono assolutamente irriconoscibili e sarà impossibile identificarle. Conosce questa borsetta?”
            Dovetti sedermi. Un collega mi venne vicino: “Cosa succede, Yuri?”
            “L’attentato… Irina” balbettai, rigirando tra le mani ciò che restava di lei. Nel frattempo, anche Arkadi si era avvicinato: “Yuri, cosa…?”
            “IRINA!” Il grido uscì mentre la vista mi si annebbiava ed iniziai a piangere.
            Passai qualche settimana nell’assurda speranza che ci fosse uno sbaglio, che da un momento all’altro Irina potesse farsi viva. Tutti i giorni andavo in redazione senza fare altro che stare seduto in silenzio alla scrivania. A casa troppe cose mi facevano pensare a lei, a noi due, al nostro amore finito per sempre.
            Ho ricominciato a scrivere.
            Se ho deciso di rivelare il segreto contenuto in quella valigia, è anche perché voglio in questo modo lasciare, a chi leggerà, il ricordo della persona che mi cambiò la vita. Non temo le eventuali conseguenze di questa rivelazione, non importa cosa accadrà di me: quello che state per leggere lo narro in prima persona, come se io stesso fossi Emanuel Lasker, in un racconto che riguarda due persone le cui vite si intrecciarono più di un secolo fa

 

avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


6 Commenti a il caso Morphy, epilogo

  1. avatar
    Beniamino 2 Febbraio 2013 at 09:56

    Un grande autore per un grande sito.
    Mi dispiace solo che la serie sia arrivata alla conclusione, davvero bello, anccora complimenti Signor Bagnoli.

  2. avatar
    Luca Monti 2 Febbraio 2013 at 11:20

    Davvero bravo l’Autore. Come per ogni racconto ben costruito, a mio parere, possiede l’innegabile pregio di mantenere la cuoriosità del Lettore desta sino alla fine.

  3. avatar
    paolo bagnoli 2 Febbraio 2013 at 14:56

    Ma… ci sarà una “fine”?

  4. avatar
    Settima Traversa 5 Febbraio 2013 at 07:38

    Per me è sempre Bagnoli il maestro!

  5. avatar
    Mongo 5 Febbraio 2013 at 14:21

    Magnifico, ricco di suspense sin dalla prima virgola.
    A proposito di valige dal contenuto misterioso, sul primo numero di SPQeR ‘Scacchi, Pugilato, Qualcos’altro e Rugby’, c’è un bel racconto a fumetti sulla storia del nobil gioco che finisce con due ragazzi che aprono una valigia di un loro vecchio zio, morto da poco, e trovano…

  6. avatar
    Stefano del Bianco 10 Dicembre 2014 at 16:13

    Buongiorno Sig. Paolo.

    che dire… le devo fare i complimenti anche io?!
    Sarei banale visto la quantità che ne riceve ma a volte la banalità…
    quindi COMPLIMENTI!!!

    Il suo racconto è stupendo e a proposito di banalità,
    non lo è per nulla!!
    Anzi, la esorterei a sfornarne un altro… di pari qualità.
    Sarebbe un bellissmo regalo.

    tanta ammirazione.

    Stefano.

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