i Re degli scacchi: Wilhelm Steinitz

Scritto da:  | 14 Gennaio 2013 | 3 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Il match per il titolo mondiale ha inizio il 15 marzo del 1895 a New York. Di fronte il cinquantottenne Wilhelm Steinitz, detentore del titolo, e il giovane astro ventisettenne Emanuel Lasker. Una colossale esperienza contro la brutale forza della giovinezza.

La prima fase, che si svolge a New York è equilibrata, poi avviene il tracollo del campione con quattro sconfitte consecutive. Il distacco cresce a Filadelfia e non muta di molto a Montreal. Il 26 maggio, dopo l’ultima batosta, Steinitz si alza in piedi e acclama con un “triplice hurrah!” il vincitore. Il punteggio è un secco +5-10=4 che non ammette repliche. Il suo regno è finito.

Steinitz nasce il 14 maggio 1836 in una zona modesta di Praga, in una famiglia dove poteva esserci penuria di tutto ma non di figli. Lui è il tredicesimo e chi pensa che il numero tredici porti sfortuna rifletta un po’ su questa storia. IL padre, Josef Salomon Steinitz, un piccolo commerciante di materiali ferrosi, vista la sua predisposizione per la matematica, decide di farlo studiare. Così, dopo la maturità, il Nostro si ritrova a Vienna per frequentare il Politecnico. Tutto bene se a Vienna non ci fosse il caffè “Pernice”, luogo di ritrovo di una particolare “setta” dedita al giuoco sulle sessantaquattro caselle. Egli, da buon figlio del Destino, aveva fatto conoscenza con Re e regine osservando giocare suo padre, un metodo di apprendimento che ritroveremo in seguito sfruttato da altri grandi campioni. Non la faccio lunga. Sbalordisce tutti giocando alla cieca e vincendo anche con la scacchiera bene in vista. Preso dall’entusiasmo lascia gli studi per dedicarsi completamente agli scacchi. Una decisione coraggiosa, non priva di rischi, che lo ripagherà abbondantemente. Il suo gioco è spavaldo e frizzante come esige il romanticismo del tempo. Attacchi alla baionetta, sciabolate a dritta e a manca senza guardare troppo al sottile. I miti di allora si chiamano Anderssen, Allgaier, Falkbeer, Hamppe.

Il 1862 è un anno importante per lui. A Londra viene organizzato un grande torneo e Steinitz vi partecipa in rappresentanza del suo circolo. Si piazza sesto, ottenendo il titolo di Maestro, ma quello che conta di più è che viene colpito dalla brillante vita scacchistica dei circoli londinesi. Decide di restare in questa città anche per l’aiuto di alcuni mecenati che gli preparano un match contro Serafino Dubois (le cui memorie sono state lodevolmente pubblicate su questa rivista), vinto con il punteggio di +5-3=1. Subito dopo si sbarazza dell’astro nascente Joseph Henry Blackburne con un travolgente +7-1=2 ma deve subire una secca sconfitta dal giovane Cecil De Vere (a cui accorda troppo avventatamente il vantaggio del tratto e di un pedone) vincendo solo tre partite e pareggiandone due su dodici. Un piccolo neo che non oscura la sua popolarità. Ormai è il beniamino degli inglesi e su questa terra il re degli scacchi. Continua a vincere e convincere. Non resta che opporgli un vero campione.

La scelta dei circoli scacchisti cade sul più forte di tutti: Adolf Anderssen, giocatore agguerrito e un pezzo d’uomo che, a dare retta alla fisiognomica di Cesare Lombroso, può essere benissimo un parente, non tanto alla lontana, di Jack lo Squartatore. Solo a guardarlo ti fa venire i brividi lungo la schiena. Figuriamoci averlo davanti alla scacchiera per ore ed ore. Lo scontro inizia il 2 luglio 1866 e termina il 10 agosto in favore di Steinitz per 8 a 6 dopo fasi drammatiche che vedono in testa ora l’uno ora l’altro.

La gioia del vincitore è immensa, ma di breve durata. Egli si accorge, esaminando a mente fredda le partite, che le vittorie sono spesso il frutto di madornali errori dell’avversario. Nascono così i primi dubbi sul giuoco romantico del suo tempo, dubbi che lo avrebbero portato, in seguito, a conclusioni nuove e originali. Ma ora non è tempo per gli approfondimenti. Deve battere, e batte, gli altri pretendenti che bussano alla sua porta: Henry Edward Bird e George Fraser. Una formalità. Così come una formalità è il match, giocato a Londra nel 1872, con Joannes Hermann Zukertort (nel frattempo sono trascorsi altri avvenimenti positivi) rispedito a casa con un eloquente +7-1=4. Nello stesso anno, a Vienna, occupa il primo posto insieme a Blackburne. Ora il suo gioco sta cambiando, meno aggressivo, più posizionale, per molti addirittura indecifrabile. Quasi sempre tremendamente redditizio.

Zukertort vs. Steinitz

E’ un periodo di grande attività e di spostamenti da una città all’altra dell’Inghilterra con simultanee e partite alla cieca. Lo ricopre un mare di applausi e di riconoscimenti. Il 1876 è l’anno in cui deve risolvere la questione con Morte Nera, il soprannome affibbiato a Blackburne, che ha battuto per ben due volte a Vienna. Il suo avversario è “Pallido, magro, quasi evanescente. Le sue labbra, ombreggiate da sottili baffetti, raramente emettono qualche parola o si atteggiano al sorriso. Con un rapido sguardo inquadra la posizione e sul suo viso si accende un lampo mefistofelico”. Una specie di Nosferatu che non turba il Nostro più di tanto. Il risultato finale è un agghiacciante 7 (sette!) a zero che lascia stecchito Morte Nera.

E’ il momento di rendere convincenti i suoi principi posizionali. Steinitz ce la mette tutta sulla rivista “Field” ma non viene capito. O, almeno, in minima parte da alcuni. La maggioranza storce il naso e recalcitra come i ragazzi di fronte all’olio di ricino. Il 1882 lo vede vincitore, assieme a Winawer, del grande torneo di Vienna. Poi il grande balzo verso l’America per una tournee estiva di quattro mesi durante la quale ha modo di visitare anche L’Avana. Un notevole dispendio di energie per uno come lui costretto a muoversi con una stampella per i dolori lancinanti che gli procura una gamba. Ritornato a Londra partecipa al torneo del 1883. E’ secondo dietro Zukertort. Un ottimo risultato per chiunque ma non per lui. Lo ha già battuto nel 1872 ma ora deve vincerlo nuovamente per ristabilire la sua superiorità. Prima, però, dato che a Londra trova difficoltà per fare una rivista, torna in America e lì si stabilisce definitivamente. Fonda l’”International Chess Magazine” ma i suoi rapporti con i redattori delle rubriche scacchistiche sono sempre più difficili, gli amici che lo sostengono diminuiscono.

Se guardate qualche sua fotografia non lasciatevi ingannare dall’aspetto socratico della persona e del suo volto. Steinitz aveva un carattere forte, spigoloso e polemico. Soprattutto quando si trattava di difendere le sue idee e la sua verità. Ora è in arrivo il match con Zukertort da effettuarsi in tre città degli Stati Uniti: New York, St. Luis e New Orleans. L’11 maggio 1886 ha inizio il tanto sospirato incontro, valido questa volta come campionato del mondo. Zukertort ce la mette tutta, è migliorato, e non di poco dal loro primo match. Ma non c’è nulla da fare. Il nuovo gioco dell’avversario lo paralizza, non gli permette di esprimere il suo notevole stile combinativo. Steinitz viene coronato ufficialmente Campione del mondo con un eloquente +10-5=5.

La critica, per la verità, è un po’ freddina nei suoi riguardi. Ma lui non si lascia abbattere. La corona è in mano sua e non si vede in giro chi può togliergliela. Anzi, è venuto il momento di farla pagare a qualcuno che si era permesso di criticare le sue idee e il match appena concluso. Si tratta di Mikhail Chigorin, maestro russo di tosta corporatura, una specie di Mangiafuoco che ce l’ha fina con tutti quelli che intendono dare una qualsiasi forma di sistemazione al nobile giuoco attraverso leggi “di valore universale”. A suo avviso esse non fanno altro che imbrigliare la fantasia e la creatività. La scelta del campione del mondo non può cadere su un avversario più temibile e la sfida, iniziata a L’Avana nel 1889, assume il carattere di uno scontro ideologico. Chigorin si comporta bene nella prima parte, ma poi crolla nella seconda e Steinitz si conferma Re della scacchiera con un eloquente +10-6=1. L’anno successivo mette a tacere a New York anche il coriaceo Isidor Gunsberg (+6-4=9) e due anni dopo si ritrova di fronte ancora una volta il possente Chigorin, sempre a L’Avana. E’ un match durissimo che termina in maniera tragica alla ventitreesima partita. Siamo 9 a 8 per il detentore del titolo. Chigorin è riuscito a piazzare un Gambetto di Re, arma temibilissima nelle sue mani. Alla trentaduesima mossa, in una posizione molto complicata (vincente secondo lo sfidante) toglie l’Alfiere camposcuro dalla grande diagonale h2-b8 e…e si prende matto con le due torri nemiche appostate sulla seconda traversa! Una conclusione incredibile vissuta da Chigorin come una terribile tragedia personale.

Steinitz è felice ma con l’occhio in trasferta. Dichiara che non ci saranno altri incontri in futuro. Quelli fatti bastano e avanzano. Però, come si sa, i desideri sono una cosa e la realtà un’altra, e il 15 marzo 1895, come ho accennato all’inizio, si trova di fronte a Baffetto-Lasker. Il suo regno è finito ma non la sua attività che continua decorosamente fino al secondo incontro con Lasker a Mosca il 7 novembre 1896. Anche questa volta non c’è storia. Il Campione mantiene il titolo con un abissale +10-2=5.

La fine scacchistica e umana di Wilhelm Steinitz, tormentato dai fantasmi dell’inconscio, è nota a tutti. Triste e penosa. Non vale la pena di ricordarla. La grande ninfa Caissa lo prende amorevolmente con sé il 12 agosto 1900.

Il solito sentito e doveroso ringraziamento alla prestigiosa rivista L’Italia Scacchistica!

avatar Scritto da: Fabio Lotti (Qui gli altri suoi articoli)


3 Commenti a i Re degli scacchi: Wilhelm Steinitz

  1. avatar
    Zenone 14 Gennaio 2013 at 22:00

    Ottimo, come sempre!

  2. avatar
    Luca Monti 14 Gennaio 2013 at 22:11

    Le eccellenze massime della collana – I Re degli Scacchi-,presentate da Fabio Lotti,
    colme di gratitudine ringraziano.

  3. avatar
    Gambetto Fromm 15 Gennaio 2013 at 00:22

    SuperLotti colpisce ancora! Complimenti per il sito
    Diego

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