José Raúl Capablanca

Scritto da:  | 18 Febbraio 2013 | 2 Commenti | Categoria: Personaggi, Stranieri

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Come Morphy, Fischer e Aljechin, anche Capablanca fu un genio precoce, un “enfant prodige” degli scacchi. A cinque anni, narra la sua biografia, entrò per caso nello studio del padre e lo trovò intento a giocare con un amico; prima di allora non aveva mai visto una scacchiera ma rimase assorto ed interessato ad osservare. Il giorno seguente torno a vederli giocare: il gioco lo attirava. Il terzo giorno notò che il padre, forse involontariamente, aveva sbagliato a muovere un cavallo, spostandolo da una casa bianca ad un’altra casa bianca, l’avversario non se n’accorse e il padre vinse. A fine partita, José accusò papà di aver imbrogliato; un solenne ceffone s’abbatté schioccando sul volto del bimbo, poi papà volle sapere il perché e José glielo spiegò. Il padre indispettito sfidò allora il figlio a giocare e questi inaspettatamente vinse. Fu così che Capablanca  iniziò la sua impressionante carriera scacchistica.

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José Raúl Capablanca y Graupera (questo il nome completo) nacque il 19 novembre 1888 all’Avana, capitale di Cuba. Suo padre era un ufficiale dell’esercito spagnolo di stanza nell’isola. Cuba era in quel tempo ancora colonia della Spagna e divenne indipendente solo nel 1901 in seguito alla guerra ispano-americana iniziatasi nel 1898.
La prima impresa scacchistica Capablanca la compì a 13 anni quando batté Juan Corzo, campione nazionale cubano. Terminate le scuole superiori all’Avana, venne  mandato a studiare ingegneria alla Columbia University, di New York dove poté frequentare il famoso Manhattan Chess Club. Fu così che ebbe occasione di conoscere il grande Emanuele Lasker, campione del mondo in carica e dove cominciò subito a distinguersi per una innata stupefacente visione di gioco e una superba padronanza dei finali.
Dopo i primi successi al Club, intraprese un giro negli Stati Uniti, divenendo ben presto famoso per la facilità con cui riusciva a battere gli avversari. Lasciò allora gli studi all’Università, gli scacchi occupavano ormai tutto il suo tempo.
A mano a mano che la sua forza di gioco cresceva, diventava sempre più difficile trovare avversari alla sua altezza cosicché nel 1909 venne fatalmente il momento di misurarsi con Marshall, campione nazionale statunitense. Lo batté sonoramente  (+8 =14 -1), davanti a lui ora si spalancava il mondo.

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Marshall, benché sconfitto, si dimostrò gran signore e avendo intuito le enormi possibilità del giovanotto, usò tutta la sua influenza affinché Capablanca venisse invitato al Torneo di San Sebastian in Spagna che si sarebbe svolto nel 1911. Si trattava di un torneo  molto impegnativo e duro al quale erano invitati i migliori giocatori dell’epoca. Solo Lasker non volle prendervi parte, non si sa se per mera supponenza o per paura. Qualcuno comunque protestò per l’invito esteso a Capablanca, il quale non poteva ancora esibire una sufficiente reputazione scacchistica internazionale. Andò a finire che Capablanca vinse il Torneo perdendo una sola partita con Rubinstein, e fu il più trionfale ingresso di un giocatore nel mondo scacchistico dai tempi di Morphy, il primo genio degli scacchi del continente americano, vissuto verso la metà del 1800.
Nel 1913 il Governo cubano gli conferì un incarico diplomatico presso il Ministero degli Esteri. Capablanca era ormai conosciuto in tutto il mondo e poteva quindi rappresentare degnamente il suo Paese all’estero. L’incarico era puramente onorario e faceva di lui un ambasciatore itinerante, che gli permetteva di spostarsi nelle varie località ove doveva giocare, cosa che, tra l’altro, lo esentava da qualsiasi preoccupazione economica. Capablanca era fisicamente un bell’uomo, dall’aspetto curato, elegante nel vestire, simpatico, sicuro di sé, con un carattere estroverso e gioviale; giocava ottimamente a tennis, a bridge e a biliardo. Nel 1914 fu invitato al grande Torneo di San Pietroburgo, sponsorizzato dallo Zar Nicola II, e qui incontrò per la prima volta in partita Emanuele Lasker, il già citato campione del mondo. Perse, ma finì 2° nella classifica finale alle spalle dello stesso Lasker, e da quel momento il suo obiettivo, il suo sogno, fu quello di detronizzarlo per diventare a sua volta campione del mondo.

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Capablanca si applicò molto per questo scopo e migliorò il proprio gioco già di natura superlativo; in breve diventò praticamente imbattibile. Si pensi che nei successivi 10 anni, dal 1915 al 1924, perse una sola partita contro Reti il famoso teorico del gioco. Freddo e lucido, era diventato una perfetta macchina per giocare a scacchi: “Capa la macchina“ fu appunto il nomignolo che gli venne affibiato. Dovette però lasciar passare la bufera della prima guerra mondiale per poter rinnovare la sfida a Lasker per il campionato del mondo (l’aveva già fatto nel 1911 subito dopo avere vinto il torneo di San Sebastian, ma Lasker non l’aveva presa in considerazione).
L’organizzazione di un Mondiale era, all’inizio del XX secolo, una faccenda privata e piuttosto laboriosa. Di solito il Campione in carica, per rimanere in sella il più a lungo possibile, dettava condizioni proibitive allo sfidante. La FIDE, Federazione Internazionale degli Scacchi, che al giorno d’oggi dirime le controversie e fissa le regole dei Tornei, non era ancora nata (fu fondata a Parigi nel 1924). Lo sfidante era tra l’altro tenuto a raccogliere la pecunia della borsa da mettere in palio; bisognava in altri termini trovare un mecenate (uno sponsor si direbbe oggi) disposto a sostenere le spese e a pagare i premi;  il campione in carica per parte sua fissava le regole e cioè il numero di partite da giocare, il tempo di riflessione per ogni partita, la località dell’incontro ecc…
Dopo varie difficoltà e tentativi andati a vuoto, finalmente nel 1921 il Circolo scacchistico dell’Avana, sua città natale, mise in palio una borsa di ben 20.000 dollari, garantendone 11.000 a Lasker, a condizione che l’incontro si giocasse all’Avana. L’offerta era molto appetibile e Lasker accettò. La vittoria era stata posta al meglio di 24 partite. Dopo averne perse 4 e pattate 10, Lasker abbandonò il torneo e con esso il titolo, adducendo come scusa che il clima dell’Avana era troppo caldo e umido e non gli si confaceva.
Capa, come ormai tutti lo chiamavano, era all’apice del successo e della fama.
Pensò che era venuto il tempo di metter su famiglia e si sposò con Gloria Simoni Beautucourt da cui ebbe due figli.
Per un paio d’anni giocò poco, fece vita famigliare.

Capablanca 5
La mancanza di allenamento si fece sentire, quando nel 1924 partecipò al torneo di New York, Lasker finalmente si prese la  rivincita, e poi ancora l’anno dopo a Mosca lo precedette nella classifica finale ma ahimè non era per il titolo mondiale .
Per amor di cronaca, va ricordato che tra il 24 e il 27 Capablanca aveva messo in palio il titolo ben 2 volte, contro Rubinstein e Nimzowitsch, ma nessuno dei due pretendenti era riuscito a racimolare la somma della borsa da lui pretesa.
Andava intanto addensandosi all’orizzonte un ciclone, una vera forza della natura, stava infatti comparendo un nuovo sfidante al titolo. Si trattava di un russo, moscovita di nascita, appartenente alla nobiltà zarista, di 4 anni più giovane di lui, si chiamava Aleksandr Aleksandrovic Aljechin. Si delineava pertanto il primo vero scontro del secolo. I contendenti infatti, seppur caratterialmente agli antipodi, erano però alla pari sul piano del genio scacchistico e soprattutto dell’età (ciò che non era stato tra Capablanca e Lasker essendo quest’ultimo  di ben vent’anni più anziano). Anche in questa occasione, solo dopo molte difficoltà, l’organizzazione del match prese consistenza, e ciò grazie al Circolo Scacchistico di Buenos Aires  che offrì una borsa di 10.000 dollari.

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Benché Aljechin avesse già fatto fuoco e fiamme e avesse dimostrato di che pasta fosse fatto, nel mondo scacchistico si dava per favorito Capablanca. Qualche mese prima che iniziasse l’incontro infatti, quest’ultimo aveva dato prova della sua ottima forma vincendo l’ennesimo  Torneo di New York senza perdere neppure una partita. E ciò era avvenuto terminando proprio davanti ad Aljechin e agli altri soliti noti dell’epoca, vale a dire Vidmar, Marshall, Spielmann e Nimzowitsch.
Il Mondiale iniziò il 17 settembre 1927. Il regolamento concordato prevedeva che campione sarebbe stato colui che per primo si fosse aggiudicato 6 partite (le patte non avrebbero contato). Il tempo di riflessione era stato fissato in 2 ore e mezza per 40 mosse a testa (da allora in poi, questo limite sarebbe diventato il tempo regolamentare adottato in tutti i Tornei dei Grandi Maestri ).
Il titanico scontro cominciò dunque avendo da una parte Capablanca, il Mozart degli scacchi, con il suo gioco limpido, lineare, piacevole; egli era il semplificatore che disdegnava l’apertura e il mediogioco per arrivare subito al finale nel quale era insuperabile, dall’altra Aljechin, l’introverso indagatore delle varianti più impervie ed impensate, il complicatore per antonomasia, che proponeva difficoltà ad ogni piè sospinto,  colui che per imponenza e genialità delle creazioni sarebbe stato paragonato a Wagner. Ecco, la musica e la personalità dei due musicisti citati, si trasfondono perfettamente nel gioco e nella personalità dei due scacchisti che stavano per affrontarsi.

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Improvvisamente, subito dopo la prima partita, Capablanca si rese conto della statura scacchistica dell’avversario che gli stava di fronte, forse l’aveva sottovalutato e si trovò subito a lottare per la sua reputazione e la sua sopravvivenza come giocatore. Era come se un macigno enorme gli fosse stato posto in mezzo alla strada ed egli non riusciva a trovare il perno su cui fare leva per smuoverlo. La lotta si rivelò subito lunga ed estenuante. Dopo le prime 20 partite il punteggio arrideva ad Aljechin per 3 a 2 con 15 patte; i due colossi si neutralizzavano a vicenda. Alla lunga però fu Capablanca a cedere sotto sforzo. Alechin vinse la 21a partita portandosi sul 4 a 2. Capa reagì e fino alla 28a furono pareggi poi vinse la 29a riducendo il distacco: 4 a 3. La 30a e 31a partita finirono in parità.  Nella 32a si ebbe un’altra vittoria di Aljechin: 5 a 3, la vittoria sembrava a portata di mano.  La 33a fu di nuovo pari. Nella 34a il gioco venne sospeso con Aljechin in vantaggio di un pedone. Il 28 novembre si continuò a giocare fino all’ottantunesima mossa e la partita subì un secondo rinvio, ma la posizione del Campione in carica era ormai disperata. Il 29 novembre Capablanca abbandonò senza riprendere il gioco. Punteggio finale 6 a 3 per Aljechin con 25 patte. Da gentiluomo qual era, Capablanca inviò un biglietto ad Aljechin in francese (in quello stesso anno infatti Aljechin aveva preso la cittadinanza francese diventando Alekhine) così formulato:

 “Cher Monsieur Alekhine, j’abandonne la partie. Vous êtes donc le Champion du Monde et je Vous félicite pour votre succès. Mes compliments a Madame Alekhine. Sincèrement votre J.R.Capablanca”.

Capablanca 2

Aljechin rimase sbalordito, per un po’ non credette di essere riuscito a sconfiggere il grande Capa;  ancora anni dopo non sapeva spiegarsi come avesse fatto a batterlo. Ma l’ex campione, lui sì che l’aveva capito! Come ebbe a dire in seguito, dopo avere  analizzato le partite, si era lasciato sfuggire almeno dieci occasioni di vittoria, mentre Alechin dal canto suo ne aveva perse al massimo due o tre.
Dopo il match Capablanca passò momenti difficili, tanto che persino il suo matrimonio andò in rovina. Si ritirò a Parigi e ogniqualvolta parlava del mondiale e del titolo perduto, vi si riferiva sempre chiamandolo “il mio titolo” come se fosse qualcosa di proprio momentaneamente alienato. Inseguì vanamente la rivincita, che Alechin non gli concesse mai, come d’altra parte egli stesso aveva fatto con Lasker. Malgrado tutto però, la sua natura aperta e il suo ottimismo lo aiutarono a risollevarsi. Partecipò ancora a molti Tornei internazionali dimostrando sempre una classe eccelsa; vinse a Berlino e Budapest nel ‘28, a New York nel ‘31, a Mosca nel ‘36 e infine a Parigi nel ‘38. In quell’anno ritentò anche il matrimonio impalmando Olga Chagodaiev un’emigrata russa, una connazionale dell’avversario che l’aveva sconfitto!

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Nel complesso però, la grande sfida l’aveva scosso e minato, incominciò a soffrire d’ipertensione. Nel 1939 la sua ultima uscita: partecipò come prima scacchiera della squadra cubana alle Olimpiadi di Buenos Aires.
Morì il 7 marzo 1942 stroncato da un attacco di cuore al Circolo di  New York  mentre assisteva ad una partita… di scacchi!
Capablanca ha lasciato una traccia indelebile nella storia del gioco. La facilità con cui giocava è rimasta proverbiale come la sua abilità nel trattare i finali. Il suo giocò fu sempre coerente nel tempo, sempre continuo ad alto livello. Non ebbe mai bruschi cali ed impennate: scacchisticamente Capablanca era nato adulto, maturo, completo. Scrisse vari libri di argomento scacchistico tra i quali “La mia carriera scacchistica” e “I Fondamenti degli scacchi” il libro in cui spiega la sua tecnica di gioco basata sullo sfrondamento delle fasi di apertura e mediogioco per passare subito al finale .
Il suo genio giganteggia nella storia degli scacchi unitamente a quello di pochi altri: Morphy, Lasker, Alechin, Fischer e Kasparov.

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avatar Scritto da: Nazario Menato (Qui gli altri suoi articoli)


2 Commenti a José Raúl Capablanca

  1. avatar
    Mongo 18 Febbraio 2013 at 11:26

    Grazie. 😎

  2. avatar
    paolo bagnoli 19 Febbraio 2013 at 14:22

    Grazie per la rivisitazione del grandissimo Capa. Una precisazione: le cosiddette “Regole di Londra”, sottoscritte nel ’22, prevedevano una stake di 10.000 dollari USA ed il versamento di 500 dollari USA di cauzione, somma, quest’ultima, che nè Rubinstein nè Nimzovitch riuscirono a raggranellare.

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