il caso Morphy (primo finale)

Scritto da:  | 19 Marzo 2013 | 8 Commenti | Categoria: Racconti
il caso Morphy - Primo finale 5
Nota per il lettore
 
            Come ho già reso noto, l’idea originale è di Enzo Minerva. Ci siamo visti qualche volta per elaborare i dati storici, ma il meccanismo narrativo è opera mia. Mostrai la stesura definitiva ad un amico, Fabrizio Zavatarelli, autentico magazzino di informazioni sull’ Ottocento scacchistico, e quest’ultimo mi fece notare alcune dissonanze “caratteriali” dei personaggi.
            Ero combattuto tra due tipi di finale: quello concordato con Enzo e quello propostomi da Fabrizio, radicalmente diverso.
Salomonicamente, ho deciso di proporveli entrambi, uno dopo l’altro, avvisandovi tuttavia del fatto che uno dei due contempla un’appendice narrativa che, in questo caso, è tutta farina del mio sacco.
 
 
Sesta parte
Il quaderno di Lasker
 
(un libero adattamento scritto da Yuri Salov sulla base della traduzione dal tedesco)
 il caso Morphy - Primo finale 2
            Il mio nome è Emanuel Lasker.
Probabilmente quanto sto per scrivere finirà nel nulla, ma non posso fare a meno di lasciare una testimonianza di quanto rivelatomi più di trent’anni fa da una persona che stimavo ma il cui destino non invidio, morto in assoluta povertà e con la mente sconvolta.
            I nazisti hanno sequestrato tutto ciò che avevamo, e sto facendo di tutto per poter lasciare la Germania. Poi, forse, Martha ed io andremo in Unione Sovietica, dove siamo stati invitati da Krylenko. Spero che, al momento ormai prossimo dell’espulsione, ci lascino portare con noi qualche effetto personale.
Nel 1894 strappai a Steinitz il titolo di campione mondiale. Qualcuno scrisse, all’epoca, che Steinitz iniziò a morire quel giorno, ma mi sembra un’esagerazione. Non mi sembra esagerato, invece, affermare che quell’uomo era un autentico genio degli scacchi il quale aveva portato, nel gioco, una rivoluzione affermando concetti fondamentali, che fino ad allora nessuno aveva formulato e dimostrato con la forza dei risultati. L’unico difetto che riscontrai in quell’uomo era un eccesso di dogmatismo che, a volte, sconfinava nella cocciutaggine.
            Steinitz, forse, iniziò a morire quando fui costretto a concedergli un incontro di rivincita. Giocammo a Mosca nell’inverno 1896-1897 e vinsi con un punteggio ancora più netto di quello del nostro primo match. Venne ricoverato in una clinica moscovita per più di un mese, dopo quella sconfitta che segnava il suo definitivo tramonto come stella di prima grandezza del firmamento scacchistico.
            Ci rivedemmo dopo un paio d’anni, in occasione del grande Torneo di Londra, io invitato come campione mondiale in carica e lui come ex campione mondiale. Erano presenti altri grandi giocatori, tutti – o quasi – in grado di impegnare avversari del massimo livello: C’era l’americano Pillsbury, che si classificò secondo a pari merito col francese Janowski e l’ungherese Maròczy, poi Blackburne (fu l’unico a battermi in tutto il torneo) ed altri validissimi giocatori: gli unici che avevano declinato l’invito erano Tarrasch, Charousek che in quel periodo era ricoverato in ospedale, e Burn, che accettò l’invito ma che il giorno stesso dell’inizio del t orneo, il 30 maggio, dovette ritirarsi. Un altro che si ritirò dopo sole quattro partite, a causa di un’infezione al bulbo oculare, fu Teichmann.
            Il 10 luglio il torneo, a doppio turno, si concluse. La mia vittoria fu nettissima: dai secondi classificati a pari merito che ho in precedenza nominato mi separavano ben 4 punti e mezzo, un abisso,  ed avevo subito una sola sconfitta da parte del non più giovane Blackburne che, prossimo alla sessantina, non aveva perso un grammo della sua abilità davanti alla scacchiera.
            Steinitz, per la prima volta in circa quarant’anni di carriera, rimase escluso dalla lista dei premiati, e la sera stessa della cerimonia di premiazione, un valletto di sir Newness, alto patrono della manifestazione, mi consegnò un biglietto scritto da Steinitz, nel quale venivo invitato a fargli visita, prima della partenza, nella sua camera d’albergo. Sulle prime pensai di ignorare l’invito, ma confesso che la cosa mi incuriosì: cosa potevo attendermi da lui se non, probabilmente, recriminazioni e rimpianti che mi avrebbero messo in serio imbarazzo? Sapevo, inoltre, come riferitomi da comuni conoscenti, che Steinitz aveva rivelato, negli ultimi m esi, alcuni preoccupanti vuoti mentali.
            Steinitz era alloggiato allo Star and Garter Hotel, un edificio vittoriano all’estrema periferia occidentale della città – una mezz’ora di carrozza da Knightsbridge – e quando la portineria annunciò il mio arrivo venni immediatamente accompagnato alla stanza dell’ex campione del mondo.
            “Buongiorno, signor Lasker, sono lieto che abbia accettato il mio invito”. Il suo tedesco era ancora perfetto, nonostante Steinitz vivesse da quasi quarant’anni in Paesi di lingua inglese.
            Wilhelm Steinitz mi invitò ad entrare. Si reggeva grazie al bastone da passeggio che, ormai da alcuni anni, faceva le funzioni di stampella. La sua zoppìa lo tormentava e, sedendosi, doveva tenere una gamba rigidamente protesa in avanti.
            Entrai, ed il valletto che mi aveva guidato fino alla stanza scomparve nel corridoio. Steinitz chiuse la porta a doppia mandata e confesso che la cosa, oltre che incuriosirmi, mi allarmò. Negli ultimi anni i momenti di smarrimento mentale di Steinitz erano stati descritti da parecchie persone, ma le mie preoccupazioni svanirono quando il mio anfitrione mi indicò una comoda poltrona, sedendosi di fronte a me e fissandomi con lo sguardo penetrante che tante volte mi aveva rivolto anni prima.
            “Signor Lasker, innanzitutto mi permetta di congratularmi con lei per la splendida vittoria nel torneo. Già a metà della manifestazione si avvertiva la sua inevitabile, e meritata, vittoria”
            Aprendo la bocca per la prima volta da quando ero entrato, dissi: “Lei, signor Steinitz, non ha giocato, se me lo consente, al suo abituale livello”
            Un malinconico sorriso spuntò da dietro la folta barba: “Signor Lasker, il mio tempo è finito da quando lei mi strappò il titolo mondiale cinque anni fa, ed è inutile dire che l’incontro di rivincita che giocammo a Mosca fu un errore, un mio errore, dovuto unicamente al mio bisogno di denaro”
            Non sapevo cosa replicare a tale affermazione, che non mancò di causarmi un certo imbarazzo, ma Steinitz mi tolse d’impaccio proseguendo: “Ora le racconterò una storia che, spero, lei avrà la cortesia di ascoltare con attenzione, visto che, al termine, vorrei lasciarle un… ricordo di questo incontro”
            Mi appoggiai allo schienale della poltrona: “La prego, dica pure”
il caso Morphy - Primo finale 1
Il finale di Enzo
“Lei forse ricorderà, anche se non era ancora nato” iniziò Steinitz con un sorriso appena accennato “che io partecipai all’importante torneo del 1867 a Parigi, con un risultato decoroso ma non entusiasmante”
“Ho analizzato alcune partite di quel torneo” replicai “e devo dire che il suo stile di allora era ben lontano da quello che adottò in seguito”
“Già, è vero, ma le idee che sono alla base di quella che alcuni definirono ‘rivoluzione nella filosofia del gioco’ stavano maturando nella mia mente. Sentivo che nello stile in voga all’epoca c’era qualcosa di sbagliato, e penso di averlo ampiamente dimostrato negli anni successivi. Il mio idolo di gioventù, non lo ho mai nascosto, era Paul Morphy, giudicato un eccezionale tattico ma un ‘normale’ stratega, giudizio superficiale ed errato. Morphy fu un formidabile stratega”. Emise un lungo sospiro e proseguì: “Quando mi trasferii negli Stati Uniti ottenni un incontro con lui a New Orleans, fui suo ospite per alcune ore nella sua splendida casa, ma discorremmo di assolute banalità, mentre io avrei voluto approfondire argomenti dei quali lui non volle parlare”.
“La prego, continui, signor Steinitz”
“Sì, certo. Torniamo al ’67, a Parigi, quando, in una pausa del torneo seppi da De Rivière che Morphy era in città. Sollecitai tramite lo stesso De Rivière un incontro con Morphy, ma mi venne risposto con un categorico rifiuto da parte dell’americano, il quale non voleva nemmeno entrare nella sala dove si stava disputando la manifestazione. Seppi, tuttavia, che i due avevano giocato alcune partite sans façon e De Rivière, forse lasciandosi sfuggire una confidenza di Morphy, mi disse che una decina d’anni prima, quando Morphy stava per partire per il suo indimenticabile raid europeo, l’americano aveva analizzato diverse partite di Staunton, annotando con accuratezza tali partite”
Il racconto di Steinitz mi stava incuriosendo, ma mi chiedevo il perchè di tale narrazione. Steinitz dovette notare la mia perplessità e proseguì: “Signor Lasker, mi creda, se l’ho invitata a farmi visita ho i miei buoni motivi, come tra poco capirà”. Emise un altro profondo sospiro e proseguì: “Quando decisi di diventare cittadino degli Stati Uniti d’America non avevo dimenticato quanto dettomi da De Rivière una quindicina d’anni prima, e fu per questo motivo che feci di tutto per essere ricevuto da Morphy. Mi sarebbe piaciuto prendere visione delle analisi di Morphy, discuterne con lui, approfondire…”
Il suo sguardo si annebbiò improvvisamente, mentre le sue mani si strinsero a pugno. Temetti che fosse in preda ad uno dei suoi sempre più frequenti vuoti mentali, ma improvvisamente i suoi occhi si fissarono su di me ed il suo racconto riprese.
“Era il periodo in cui si parlava con sempre maggiore insistenza di un incontro tra me e Zukertort col titolo mondiale in palio, ma la faccenda si trascinava stancamente a causa della pretesa di Zukertort, sostenuto in ciò da Hoffer, di non voler essere definito come ‘sfidante’ e, di conseguenza, di non considerare me come campione mondiale in carica. Zukertort utilizzava quasi sempre, quando giocava con le figure bianche, aperture che ricordavano, dal punto di vista dell’impianto strategico generale, quelle adottate in passato da Staunton ed analizzate da Morphy. Fu questo il motivo che mi spinse a chiedere di essere ricevuto da Morphy ma, come le ho già detto, tale incontro risultò infruttuoso”.
Si alzò faticosamente dalla poltrona, aiutandosi col bastone da passeggio e, notando un mio sporgermi in avanti con l’intenzione di aiutarlo, mi fermò con un gesto della mano: “Mi perdoni, solo un momento…” e si diresse verso un tavolino sul quale stava una brocca con un bicchiere. Si versò l’acqua, la bevve tutta d’un fiato, e tornò a sedersi di fronte a me, senza tuttavia piantarmi gli occhi addosso come aveva fatto in un primo momento.
“Signor Steinitz, se desidera interrompere…” azzardai, ma lui, sventolando una mano nell’aria, ribattè bruscamente: “Quando si inizia una cosa non la si può lasciare a metà. Per cortesia, mi conceda ancora qualche minuto”
Mi riadagiai contro lo schienale della poltrona: “La prego, continui”.
“All’inizio dell’estate del 1884, dopo aver tenuto alcune sedute simultanee ed in attesa che le trattative con Hoffer e Zukertort facessero progressi, dichiarai pubblicamente che stavo per prendermi alcune settimane di riposo, ma avevo una ben diversa intenzione. Volevo tornare a New Orleans per fare un nuovo tentativo di analizzare con Morphy gli impianti di apertura da lui analizzati anni prima”
Mi sporsi verso di lui: “Lei è tornato a New Orleans?”
Come se non avessi parlato, Steinitz proseguì: “Nei due giorni di viaggio in treno scartai una dopo l’altra alcune linee di comportamento che avrebbero potuto ammorbidire la rigidità di Morphy. In più, sapevo che la madre faceva di tutto per tenerlo lontano da qualunque cosa che potesse ricordargli gli scacchi. Quando arrivai in città, tuttavia, non sapevo ancora come comportarmi”
Steinitz, a questo punto, si interruppe ed abbassò lo sguardo; sospirò profondamente ancora una volta. Per quanto mi riguarda, ero profondamente incuriosito dalla piega che il racconto aveva preso, ma passarono alcuni minuti di assoluto silenzio prima che la narrazione riprendesse.
il caso Morphy - Primo finale 3
“Il mattino seguente mi diressi senza indugio verso casa Morphy, e giunsi davanti al grande cancello d’ingresso, ma le mie scampanellate non sortirono alcun effetto. Fu allora che notai che il piccolo cancelletto laterale era socchiuso e lo varcai, trovandomi così all’interno del grande patio. Si udivano alcune voci in lontananza, ma, non sapendo che fare, salii la scala che, come sapevo dalla mia visita precedente, portava alle stanze di Paul Morphy. Bussai, ma anche stavolta non ebbi alcuna risposta e, vincendo ogni esitazione, spinsi il battente ed entrai nel primo locale, lo studio-biblioteca”.
Ero sconcertato dal fatto che il mio interlocutore avesse violato in modo tanto grossolano le normali regole di comportamento, e Steinitz, quasi mi avesse letto nel pensiero, continuò: “Signor Lasker, io dovevo parlare con Paul Morphy! Non capisce? Io dovevo conoscere le analisi che…”
Si ricompose e, abbassando la voce, proseguì: “Volsi lo sguardo lungo gli scaffali della biblioteca; parecchi testi legali, romanzi in inglese e francese, ma anche molti libri di scacchi. Mi avvicinai e riconobbi il testo di Staunton, dal quale spuntavano parecchi fogli. Lo afferrai, esaminai frettolosamente i fogli, scritti sia in inglese che in francese, e constatai che quelle erano le analisi cui aveva accennato anni prima De Rivière! Senza sapere ciò che stavo facendo le cacciai nella tasca della giacca e fu in quel momento che sentii alcuni rumori provenire dalla stanza da letto attigua allo studio. Aprii la porta che metteva in comunicazione i due ambienti, con l’intenzione di scusarmi con Morphy per essermi comportato in modo tanto sconveniente, ma anche la stanza da letto risultò vuota. Il rumore si ripetè e scoprii che esso proveniva dalla stanza da bagno, la cui porta era socchiusa. Spinsi leggermente il battente e vi di… vidi…”
“Signor Steinitz! Cosa mi sta raccontando? Si sente bene?” Ero convinto che il racconto fosse il risultato di uno dei tanti vuoti mentali che da tempo lo affliggevano, ma egli, lanciandomi uno sguardo obliquo quasi a supplicare la mia comprensione ed ignorando quanto avevo detto, continuò: “Morphy era immerso nella vasca da bagno. Vedendomi, scattò in piedi, ma il brusco movimento gli fece perdere l’equilibrio e scivolò, battendo violentemente la nuca sul bordo della vasca. Poi, il suo corpo scivolò parzialmente sott’acqua, lasciando in superficie soltanto gli occhi. Dall’assenza di bolle d’aria capii immediatamente che Morphy era morto, ucciso dal violento colpo alla testa. Io ho ucciso Paul Morphy”.
Impiegai qualche secondo per assimilare l’enormità di quanto avevo ascoltato e, non potendo più trattenermi, sbottai: “Lei vaneggia! Tutti sanno che Morphy è morto per una crisi cardiaca! Le chiamo un medico, signor Steinitz?”
Crollò il grosso capo e, senza guardarmi, replicò: “Crisi cardiaca? Così sta scritto sul certificato di morte, certo, ma…”
Si interruppe, si alzò faticosamente dalla poltrona, andò verso la borsa da viaggio e ne estrasse una grossa busta. Tornò verso di me e me la porse: “Questi sono gli appunti di Morphy e sono la testimonianza di quanto le ho raccontato. Ne faccia ciò che vuole. Le chiedo soltanto di rendere pubblica l’intera faccenda, se lo riterrà opportuno, dopo la mia morte. Ed ora, se vuole scusarmi…”
Steinitz si diresse verso la porta, girò la chiave ed aprì, indicandomi il corridoio con uno stanco gesto della mano. Non ci salutammo.
Non rivelai mai ad alcuno il possesso di questi fogli e spero di poterli portare con me quando saremo costretti a lasciare la Germania.
Emanuel Lasker.
il caso Morphy - Primo finale 4
avatar Scritto da: Paolo Bagnoli (Qui gli altri suoi articoli)


8 Commenti a il caso Morphy (primo finale)

  1. avatar
    Luca Monti 20 Marzo 2013 at 11:22

    Inatteso coup de théâtre in questo sorprendente finale di Minerva.Cosa attenderci
    dall’altro made in Zavatarelli?
    Un solo benevolo appunto.Bagnoli non lasciare trascorrere un’altra Quaresima per
    leggere il finale alternativo.Ciao.

  2. avatar
    Mongo 20 Marzo 2013 at 12:32

    Cavolacci. Che gran finale! 😎

  3. avatar
    Marramaquis 20 Marzo 2013 at 12:51

    Luca, ciao. Più che a casa Bagnoli, il responsabile dell’attesa quaresimale lo dovresti cercare a casa Martin Eden, che ama mantenere a lungo la suspense.
    Ma qualcosa mi dice che stavolta l’ottimo Martin non sarà tanto attendista.

  4. avatar
    paolo bagnoli 20 Marzo 2013 at 16:11

    Il ritardo è colpa mia, visto che ho limato il testo per non renderlo troppo prolisso. Il secondo finale è in arrivo, ma… ci sarà un seguito (stavolta “made in Bagnoli”;)?

    • avatar
      Joe Dawson 20 Marzo 2013 at 20:50

      Paolo, apprezziamo il gesto ma sappiamo tutti che la colpa è di Martin: gli mandano articoli stupendi come il tuo e lui li tiene lì in cassaforte… mica gli maturano gli interessi, no? 😎

  5. avatar
    ricardo soares 20 Marzo 2013 at 21:39

    Interessi no, ma lui li reserva per occasioni especiali, como intronazione di papi.

    • avatar
      alfredo 21 Marzo 2013 at 10:32

      o ” rintronazione ” degli stessi 😉

  6. avatar
    Brambati Felice 21 Marzo 2013 at 07:34

    Ottima penna, complimenti!
    Sarebbe un piacere poter leggerLa tutti i giorni, grazie, Felice.

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