In queste “cronache marziane” (scusa, Bradbury) li ho ribattezzati con nomi danteschi, ma chi ha frequentato il CSB negli anni ’60 e ’70 probabilmente li riconoscerà, anche perché i loro tratti caratteristici vennero ampiamente descritti su “Bologna Scacchi” di quegli anni.
Un mercoledì sera d’inizio estate. Rita è a Faenza con sua sorella, Alessandro, Stefano e Gianluca. Vado al Circolo dopo una cena a base di gelato (di Pino in via Castiglione, una favola).
Questa sera non c’è torneo, ma “i soliti” ci sono già: Mezzetti e Ferrarini in un angolo defilato, immersi nelle loro elucubrazioni problemistiche, ed il professor Calabria che vaga da una scacchiera all’altra, spargendo cenere di sigaretta che frana continuamente dal mostruoso bocchino, in attesa di scegliere la vittima dei suoi immancabili commenti.
Roberto Rava ha installato i suoi 160 chili su una pericolante sedia e funge da muto kibitzer ad una frenetica lampo tra Cerioli e “Rubicante pazzo”. Arriva Cappello, seguito a ruota da Pulda, e mi chiedono se voglio fare il quarto a bridge; quando accetto, mi sento dire: “Adesso manca il terzo”.
L’atmosfera si scalda all’ingresso di “Graffiacane”., che prende il posto di Cerioli. La sfida tra “Rubicante pazzo” e “Graffiacane” è un classico da non perdere, che richiama immediatamente qualche spettatore, primo tra tutti il professor Calabria, che inizia ad incombere sul tavolo continuando a spargere cenere.
I due giocano senza orologio, ma una loro partita dura circa tre minuti, visto che entrambi si piccano di “vedere” più rapidamente e meglio dell’altro. Se “Graffiacane” pensa più di venti secondi per muovere, l’altro esplode nel rituale: “Non muove più!”.
“Rubicante pazzo” è sui cinquanta, tarchiato, con una disordinata chioma di capelli rossi. Quando ho pubblicato il mio primo “Scacchi matti” devo aver guadagnato parecchi punti ai suoi occhi, visto che qualche giorno dopo l’uscita del libro è comparso al circolo con un voluminoso dattiloscritto intitolato “Le malebolge” pregandomi di dare un giudizio sul contenuto. Illeggibile, sintatticamente discutibile, popolato da personaggi che soltanto lui conosce e da qualche politico dell’epoca, nelle intenzione dell’autore una sorta di inferno pseudodantesco nel quale sono stati scaraventati i suddetti personaggi.
“Graffiacane” indossa l’inseparabile maglione a collo alto, e la sua chioma riccioluta sfuma in basette alla Bismarck e in una barba che, negli anni, si è trasformata in un ecosistema celante misteri biologici sui quali è meglio non indagare. Come l’avversario., è un tipo apoplettico, costantemente sull’orlo di un’esplosione, sanguigno ed irritabilissimo. Corre voce, tra i meglio informati, che nei momenti di massima tensione emetta scorregge da facocero dispeptico, ma forse sono soltanto chiacchiere.
“Matto!” “Ma va a cagare, se non mi davi matto avevo già vinto!”. A questo punto Rava, mettendo in salvo la sedia, si alza ed accetta di fare il terzo a bridge, mentre il professor Calabria profonde tardivi consigli continuando a spargere cenere sul tavolo.
Una serata come tutte le altre.
Pezzo da antologia.
Gustosissimo. Indimenticabile. Complimenti all’autore.
Divertente e ben scritto. Complimenti !
L’AMICO PAOLO E’ SEMPLICEMENTE UN VERO SCRITTORE ❗
Echi del ” Bar Sport” di Stefano Benni
chissà se c’era pure la mitica Luisona (che non era una donna di notevole stazza ma una brioche stanziale)
Non c’era la mitica Luisona, tuttavia c’erano due bomboloni (vulgo: krapfen) alquanto sospetti. Il barista sosteneva che fossero “freschi” ma la loro posizione, invariata da parecchio tempo, dava adito a dubbi. Nel dubbio, appunto, li si evitava e, alla chiusura del Circolo, ci si recava in via Maggiore mettendosi in fila con qualche decina di cittadini per poter consumare, presso un forno che li preparava nottetempo, bomboloni VERAMENTE freschi, appena fatti ed ancora caldi: al primo morso esplodevano, impiastricciando di favolosa crema le mani dell’incauto consumatore. Mai più mangiato niente del genere!
e se non c’era la Luisona godiamocela in questo pezzo di bravura di Benni , anche se la recitazione non è il massimo