John Akii-Bua, mal d’Africa

Scritto da:  | 1 Febbraio 2014 | 8 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri
John Akii-Bua

John Akii-Bua

(3/12/1949 Lira, Uganda – 20/06/1997 Kampala, Uganda)

Il nome di Akii-Bua deve essere tenuto vivo a beneficio delle generazioni future. Quindi, una via di Kampala porterà il suo nome, e sarò io stesso ad inaugurarla.

(Idi Amin Dada)

Scorgere l’ugandese John Akii-Bua tra gli atleti che scaldavano i muscoli accanto ai blocchi di partenza della finale olimpica dei 400 metri ostacoli, il pomeriggio del 2 settembre 1972, non era un’impresa particolarmente difficile. L’unico atleta di colore in una finale con altri sette bianchi non poteva passare inosservato. Ma soprattutto lo si notò improvvisare passi di danza e lanciare baci e sorrisi verso le tribune affollate dell’Olympiastadion di Monaco, mentre tutti gli avversari restavano compassati con gli sguardi fissi a ricercare la concentrazione. Anche in questo modo John Akii-Bua scaricò buona parte della tensione accumulata durante una notte insonne, passata a rimuginare sulla malasorte che gli aveva dato in sorteggio la prima corsia, quella più interna. E per chi si ritrovava a correre in quell’angolino, il ritmo impazziva, mentre gli ostacoli dovevano essere scavalcati in modo irregolare, alternando di volta in volta la gamba di appoggio.

Ma, nonostante questa immagine goliardica data di sé in pubblico, John era un atleta estremamente disciplinato. E come tale, seguì alla lettera la strategia concertata con il proprio allenatore, l’allora ventisettenne gallese Malcom Arnold, che vent’anni dopo condurrà anche l’altro gallese Colin Jakson a vincere il campionato del mondo sui 110 ostacoli. Akii-Bua cominciò a correre al ritmo di tredici passi tra un ostacolo e l’altro nei primi 200 metri, per poi calare a quattordici e a quindici nella fase finale. Vinse la gara, staccando di quasi un secondo il suo grande rivale, il campione olimpico di Città del Messico 1968 David Hemery: Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico per meriti sportivi, nonché prototipo dell’inglese dell’epoca.

Per il giovanissimo ugandese fu il trionfo. Anche dopo avere tagliato il traguardo continuò la sua corsa solitaria, saltando gli ostacoli come un’antilope, finché un boato del pubblico lo fece voltare indietro. Guardò verso l’alto, e vide il grande tabellone elettronico segnare il tempo di 47″82, nuovo record del mondo: il primo ad essere infranto in quelle olimpiadi. Sorridendo lo indicò col dito e riprese, tra gli applausi, la sua corsa agilissima e festosa.

Monaco di Baviera, 2 Settembre 1972. John Akii-Bua dopo la vittoria sui 400 ostacoli © Bettmann/CORBIS

Monaco di Baviera, 2 Settembre 1972. John Akii-Bua dopo la vittoria sui 400 ostacoli © Bettmann/CORBIS

John Akii-Bua era nato nel 1949 nella regione di Lango, nel nord dell’Uganda, in una famiglia patriarcale formato gigante, retta da un capo clan con otto mogli e quarantatre figli. Dopo avere trascorso la prima adolescenza tra l’addestramento alla caccia e il lavoro nei campi, a sedici anni la morte improvvisa del padre lo spinse a trasferirsi nella capitale Kampala per cercare fortuna. Nei primi tempi si dovette accontentare di sopravvivere lavorando saltuariamente ed abitando in una baraccopoli della periferia. Ma, grazie alla propria prestanza fisica, era alto 188 cm per 75 chili, riuscì a farsi arruolare nella polizia ugandese, sorta dalle ceneri di quella coloniale britannica. E lì gli fu offerta la possibilità di studiare e di praticare lo sport a livello agonistico. Proprio le forze di polizia infatti, insieme all’esercito, costituivano la principale riserva di campioni sportivi del paese.

Siccome la giovanissima nazione ugandese non disponeva ancora di allenatori di prestigio, alla fine del 1968 i funzionari del Ministero dello Sport ricorsero a un annuncio a pagamento sulla rivista britannica Athletics Weekly per trovarne uno a cui affidare la selezione nazionale di atletica leggera. Tra i non tantissimi candidati, la spuntò Malcom Arnold, che venne ingaggiato a uno stipendio annuo di 2.000 sterline più living e rimborso spese. Lo stesso anno anche Akii-Bua, che in precedenza si era cimentato in diversi sport, tra cui pallavolo, basket e calcio, venne selezionato per la squadra di atletica.

Ai 400 ostacoli John non giunse però al primo colpo. Disputò gare di salto in alto e salto in lungo, nel quale realizzò tra l’altro un eccellente record personale di 7,40 m. Ma gareggiò soprattutto sui 110 m ostacoli con ottimi piazzamenti, finché Malcom Arnold, intuendo felicemente le sue attitudini naturali, lo dirottò sulla distanza più lunga con le barriere più basse. John vi si sottomise controvoglia, convinto com’era di essere dotato solo per le gare di sprint. Ma proprio qui il suo talento uscì allo scoperto. E nella prima competizione ufficiale su questa specialità, in occasione dei Giochi del Commonwealth di Edinburgo del luglio 1970, raggiunse la finale classificandosi quarto, e sorprendendo tutti per la straordinaria progressione negli ultimi cento metri.

1973. Emiel Puttemans, Lasse Viren e John Akii-Bua

1973. Emiel Puttemans, Lasse Viren e John Akii-Bua

Nel frattempo la situazione politica nel suo paese volse al cambiamento. All’inizio del 1971, grazie a un colpo di stato militare, il generale Idi Amin Dada conquistò il potere, destituendo il legittimo presidente Milton Obote, il principale artefice dell’indipendenza dall’Impero Britannico. Amin, che era stato un pugile di buon livello in gioventù, continuava a conservare una particolare predilezione per lo sport. E, come consuetudine tra i dittatori di tutte le latitudini, lo asservì ai propri fini politici. Così, John Akii-Bua venne sottoposto da Malcom Arnold, messo a propria volta alle strette dalle pressioni dello stesso Amin, ad allenamenti massacranti. Ogni mattina gli tocco correre a velocità spedita per una quindicina di chilometri sui sentieri scoscesi e assolati delle Montagne della Luna nell’Uganda meridionale, indossando un giubbotto di quasi dodici chili di peso, allo scopo di rinforzare le ginocchia e la muscolatura delle gambe.

Subito dopo il trionfo di Monaco tornò in Uganda, portandovi come trofeo la prima medaglia olimpica della storia della nazione. L’accoglienza che ricevette in patria fu degna di un eroe, tanto che Amin lo riempì di onori. Gli diede in regalo una lussuosa villa di cinque stanze nel centro di Kampala, lo fece avanzare di carriera nella polizia, gli dedicò uno stadio nel suo villaggio natale di Lira, e gli intitolò anche una via, che tuttora porta il suo nome, in un quartiere esclusivo della capitale. Akii-Bua, lasciandosi crogiolare sugli allori del successo, non si rese conto pienamente che qualcosa di terribile stava succedendo nel paese.

San Vittore Olona, 1973. John Akii-Bua alla 5 mulini

San Vittore Olona, 1973. John Akii-Bua alla 5 mulini

Infatti proprio in quel periodo il regime adottò una politica di pulizia etnica per scacciare tutti i cinquantamila ugandesi di origine indiana, ritenuti colpevoli di detenere un eccessivo potere economico. E una soluzione ancora più brutale venne impiegata nei confronti dell’etnia dei Lango, quella a cui appartenevano sia l’ex presidente Obote che lo stesso Akii-Bua. Si diede così l’avvio a una persecuzione, inizialmente solo strisciante, a mezzo di epurazioni tra i quadri della burocrazia, dell’esercito e della polizia. Nel volgere di pochi anni queste persecuzioni degenerarono in massacri su vasta scala. E una vera e propria cappa di terrore calò su tutta l’Uganda.

Come eroe e simbolo nazionale, John godette di una particolare immunità, e poté non solo rimanere indenne al proprio posto di ufficiale alla scuola di polizia, ma addirittura ricevere la promozione al grado di ispettore capo. E, per dimostrare che le voci circolate in occidente sul genocidio dei Lango erano delle falsità, il regime lo esibì più volte in pubblico davanti alle telecamere insieme ad altri campioni della sua stessa etnia.

Da qui a fare precipitare gli eventi il passo fu breve. Amin, ormai in preda alla paranoia del sospetto che di solito colpisce i dittatori, intravide nella sua enorme popolarità una minaccia al proprio potere. E, a dispetto degli onori formali, anche John Akii-Bua cadde in disgrazia. Gli venne revocata la possibilità di viaggiare all’estero, e vennero create delle difficoltà anche per i suoi spostamenti interni, tanto che già alla vigilia delle Olimpiadi di Montreal 1976, poi boicottate dall’Uganda insieme alla maggior parte degli altri paesi africani, era costretto a vivere come un detenuto agli arresti domiciliari. Le sue apparizioni in pubblico si azzerarono del tutto, fatta eccezione per una brevissima trasferta blindata in occasione dei Giochi Panafricani di Algeri del luglio 1978. Solo la rivista statunitense Sports Illustrated riuscì a contattarlo telefonicamente per un’intervista nel giugno del 1977. E John confessò ai giornalisti che oltre al lavoro in polizia, trovava un’unica consolazione nell’ascolto delle canzoni di Diana Ross, la sua cantante preferita, sdraiato sul divano. Nelle sue memorie, mai pubblicate, ma riportate ampiamente nel documentario “La storia di John Akii-Bua: una tragedia africana”, trasmesso nell’agosto 2008 dalla BBC, andò oltre. E annotò con amarezza di avere cominciato a bere un litro di whisky al giorno, spesso anche direttamente dalla bottiglia, e di essere diventato, proprio lui convinto salutista, un fumatore accanito.

John Akii-Bua

John Akii-Bua

All’inizio del 1979 però il corso della storia diede una mano a liberare il suo paese dalla dittatura di Amin, quando l’esercito tanzaniano occupò l’Uganda, destituendone il regime. Per Akii-Bua avrebbe potuto significare la riconquista della libertà, ma agli occhi della sua gente la sua stella si era già spenta, e quello che veniva visto in lui non era più l’eroe delle olimpiadi di Monaco, ma solo un privilegiato vissuto sotto l’ala del tiranno. Pochi giorni prima dell’arrivo dei tanzaniani, spaventato dall’anarchia che stava per impadronirsi di Kampala e dalla minaccia di rappresaglie nei suoi confronti, preparò la propria fuga. Mise prima al sicuro la moglie, anche lei poliziotta, e i tre figli oltre il vicino confine del Kenya, per poi partirvi anche lui, insieme all’ex nazionale di calcio Denis Obua, cognato e collega in polizia.

Dopo un’avventurosa corsa in auto riuscì a eludere i numerosi posti di blocco e a raggiungere il confine keniano, dove poté ricongiungersi al resto della famiglia al sicuro in un campo profughi. Ma le vie tortuose della politica non avevano ancora finito di tormentarlo. Il nuovo governo ugandese lo sospettò di collaborazionismo con il deposto regime, e dopo un rapido processo in contumacia lo condannò a morte. Ma fortunatamente, mentre il governo keniano stava già preparando i documenti per il suo rimpatrio forzato, intervenne una mano inaspettata a tirarlo fuori dai guai.

La Puma, multinazionale di articoli sportivi alla ricerca di un testimonial, si interessò alla sua vicenda, e intercedette con successo presso le autorità keniane per lasciarlo libero di partire alla volta della Germania Occidentale insieme alla sua famiglia. A Herzogenaurach, la cittadina bavarese dove la Puma ha la propria sede, John Akii-Bua, oltre a prestarsi come uomo immagine, poté finalmente tornare ad allenarsi per preparare il ritorno in pista per le Olimpiadi di Mosca del 1980. Ma tutti gli anni di inattività si fecero sentire. Alle olimpiadi la sua condizione atletica e il suo passo non erano più quelli di otto anni prima. E, nonostante l’assenza degli atleti statunitensi per il boicottaggio, tra i quali spiccava il detentore del nuovo record mondiale e campione olimpico uscente Edwin Moses, non riuscì ad arrivare oltre le semifinali.

John Akii-Bua e Malcom Arnold nei primi anni settanta

John Akii-Bua e Malcom Arnold nei primi anni settanta

Intanto il clima politico nella sua Uganda si andava stabilizzando, e il periodo di anarchia, durante il quale la sua casa venne saccheggiata e distrutta, e anche la sua medaglia d’oro di Monaco rubata dagli sciacalli, era terminato. Il nuovo governo democratico del redivivo Milton Obote fece archiviare ogni accusa a suo carico, e nel marzo 1983 Akii-Bua decise così di ritornare a Kampala con tutta la famiglia.

Nella ricca Baviera aveva potuto assicurare alla propria famiglia un tranquillo benessere, ma nonostante questo non aveva mai smesso di sentire la nostalgia della sua Uganda. E, come confessò agli amici e colleghi tedeschi, desiderava che i suoi figli non perdessero le proprie radici, e si sentissero per sempre dei cittadini dell’Africa.

Ma al suo ritorno a casa trovò un paese profondamente cambiato. Gli anni di terrore sotto la dittatura di Amin erano sì alle spalle, ma le strutture statali versavano in uno stato di abbandono quasi totale. Anche la capillare ed efficiente organizzazione sportiva non esisteva praticamente più. E inoltre, la sua carriera di atleta volgeva ormai al tramonto, anche se continuò a competere fino alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. In questa occasione però la sua presenza si rivelò poco più che un atto di presenza, e già al primo turno di batterie venne eliminato.

L’inizio della sua seconda vita a Kampala fu contraddistinto da una modesta stabilità. Rientrò nei ranghi della polizia, tra i quali venne reintegrato, e si guadagnò il posto di selezionatore della nazionale ugandese di atletica. Tentò con tutte le proprie forze di realizzare il suo vecchio sogno di aprire una scuola sportiva. Ma intanto la sua famiglia si era allargata a undici figli, e la mancanza di denaro lo costrinse ad abbandonare questo progetto.

Sfiduciato, e in bilico tra la ristrettezza e la povertà vera e propria, nel giugno del 1997, a meno di cinquant’anni, John Akii-Bua morì in un ospedale di Kampala dopo una lunga malattia. Le autorità ugandesi, che gli tributarono l’onore dei funerali di stato e lo dichiararono eroe nazionale, non specificarono mai quale fosse stata.

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8 Commenti a John Akii-Bua, mal d’Africa

  1. avatar
    fds 1 Febbraio 2014 at 19:42

    In quegli anni, ragazzo, praticavo l’atletica leggera, e mi ricordo di Akii-Bua come uno dei nomi top, comparso quasi dal nulla e, purtroppo, quasi subito rientratovi, come hai ben narrato.

  2. avatar
    alfredo 1 Febbraio 2014 at 19:57

    veramente bello
    mi ricordo benissimo questo straordinario atleta ( vinse la sua gara il giorno dopo a quello in cui Fischer divenne campione del mondo .
    ma l’atleta che mi colpi’ di piu’ in quella olimpiade fu ilvincitore degli 800
    Dave Wottle , che correva in maniera molto strana , con un cappello da baseball in testa
    lo ricordi Francesco ?
    ciao!

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      fds 1 Febbraio 2014 at 23:20

      Ciao Alfredo.

      No, non mi ricordo di Wottle.
      Ricordo invece che Monaco ’72 fu una svolta epocale.
      L’architettura dello stadio per l’atletica, con quella copertura a vela.
      Il passaggio dal cronometraggio manuale a quello elettronico, con ricadute sulla falsa partenza.
      Le prime trasmissioni televisive a colori in Italia, per le quali ci si fermava a vedere le vetrine dei negozi che le vendevano. Come dimenticare l’azzurro della piscina?
      ValeriJ Borzov, che doppiava 100 e 200 metri, credo l’ultimo bianco a vincere nelle gare di sprint prima di Mennea.
      Qualcosa del genere per Lasse Virén, prima che gli africani imponessero il loro talento naturale nel mezzo fondo.
      Bernd Kannenberg, quasi sconosciuto, che vinceva la 50 Km di marcia.
      E infine l’attacco agli atleti israeliani… E da allora i Giochi (e non solo) divennero blindati.

  3. avatar
    Luca Monti 1 Febbraio 2014 at 20:33

    Nell’agosto del 2012,commentando il primo suo scritto pubblicato in SoloScacchi – Il volo di Volodja – ,stante la bellezza, auspicai quello potere essere l’apripista per
    successivi: così è stato.Per quelli passati e per questo di oggi grazie di cuore. Lo
    prenda pure come un paragone un po ingenuo e forse fuori luogo,espresso da chi ne sa poco come Luca Monti.Tuttavia nei suoi pezzi io respiro un’aria che mi rimanda ad altri,dello straordinario Beppe Viola.

  4. avatar
    alfredo 2 Febbraio 2014 at 10:19

    Intervengo “a gamba tesa” ma per un nobile intento
    Oggi su Repubblica Piergiorgio Odifreddi fa gli auguri di compleanno a Boris Spassky
    Auguri a cui con due giorni di ritardo penso tutti gli amici vogliano associarsi

    “Il più famoso match di scacchi della storia mediatica è certamente quello giocato nel 1972 a Reykjavik, tra il campione del mondo in carica, il russo Boris Spassky, e lo sfidante statunitense, Bobby Fischer: un prolungamento sulla scacchiera della guerra fredda, in cui ironicamente a rappresentare l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti c’erano due dissidenti, che in seguito finirono entrambi in esilio dai rispettivi paesi.

    Fischer è morto (o meglio, si è lasciato morire, rifiutando le cure dopo un blocco renale) esattamente sei anni fa, il 17 gennaio 2008, a soli 65 anni. E’ sepolto in Islanda, il paese che gli aveva concesso asilo politico per sfuggire alla persecuzione degli Stati Uniti: questi pretendevano infatti di poter bombardare l’altrui Jugoslavia, ma non permettevano ai propri cittadini di visitarla, e Fisher aveva commesso il “reato” di giocarvi nel 1992 un match di rivincita con Spassky.

    Spassky, invece, ha compiuto 77 anni lo scorso giovedì: sorprendentemente, in Russia, dov’è tornato un anno e mezzo fa in condizioni misteriose. Dopo aver infatti avuto un colpo alla fine del 2010, che l’ha lasciato semiparalizzato, un giorno è sparito da Parigi, e poco dopo è riapparso a Mosca, scortato da gente che dice di averlo “liberato” dall’oppressione della moglie.

    I matematici ricordano questo gentleman, della scacchiera e della vita, come uno dei loro. La matematica era stata il suo primo amore, infatti, e l’aveva lasciata soltanto per compiacere la gelosia possessiva del secondo: gli scacchi, appunto. Ma le aveva reso omaggio nel 2007, al primo Festival di Roma, giocando una simultanea con una serie di beautiful minds, tra cui due premi Nobel: John Nash a Zhores Alferov. Auguri di buon compleanno, Boris! ”
    PIERGIORGIO ODIFREDDI

  5. avatar
    alfredo 2 Febbraio 2014 at 11:05

    ciao Francesco
    questa fu la gara che piu’ mi colpi di Monaco 72
    Forse rivedendola la ricorderai
    in realtà il comportamento di Wottle mi sembra ora molto razionale .
    ci riprovò nei 1500 ma gli andò male, però

    • avatar
      fds 2 Febbraio 2014 at 14:37

      Mah… Strategia di gara un po’ pazzerella. Buon ultimo al primo giro (di due) e quarto agli ultimi 80 metri. Grandissima rimonta sui due keniani, ma se Arzhanov (ho cercato il nome su Internet) non scoppiava gli ultimi 15 metri, nessuna gloria.
      Comunque ha meritatamente vinto.

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        Mongo 2 Febbraio 2014 at 15:44

        Mi ha ricordato il Mennea di Mosca ’80… Recupera… Recupera… Recupera… E vince!
        Beh, conoscendolo meglio, Wottle usava molto spesso quella strana strategia di gara, lento nei primi 400m e veloce nei secondi.

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