In questo principio di 2014, una breve storia di speranza nel futuro. Un nuovo inizio come quello che speriamo possa essere quest’anno, per tutti.
Quando aprii gli occhi e mi guardai intorno vidi solo volti di persone sconosciute.
Tutti mi fissavano, accalcati su di me, sdraiato su un letto che sentii subito essere scomodo.
Alcuni indossavano camici bianchi altri solo un incomprensibile sorriso. Ma dalla bocca di ognuno di loro, in tempi e toni diversi, come un coro di ubriachi l’ultimo dell’anno, usciva un nome sconosciuto: Pietro.
Sì, tutti mi chiamavano così, mentre io mi sforzavo di ricordare il mio nome.
Insomma, avrete capito che da quel giorno quello fu, mio malgrado, il nome a cui avrei dovuto rispondere.
Sono rimasto in quella stanza bianca per molto tempo, fino a quando quella donna che tutti i giorni era a fianco del mio letto, Giovanna, che intuii essere mia moglie, decise di portarmi con sé. Era sempre accompagnata da una bambina di dieci anni, Caterina, bella e silenziosa. Era l’unica a guardarmi senza dire nulla. Avrete capito che era mia figlia, così mi disse Giovanna, nel corso di uno di quegli sproloqui quotidiani che probabilmente avevano quale scopo di procurarmi un’emicrania fastidiosa.
Non amavo quella strana situazione, anche se ero curioso di comprendere cosa mi fosse accaduto. Ma per ripicca per quello che mi stava accadendo decisi di non rispondere alle domande di alcuno.
La casa, che mi venne detto essere la mia, non era granché. Settanta metri quadri, un cucinotto, un salottino, due stanze, il bagno e un ripostiglio. Venivo spostato, su una sedia a rotelle o sorretto, nelle varie stanze ma, per circa un settimana, non potendo camminare, non riuscii ad entrare nel ripostiglio. Nessuno me lo mostrò e io, che continuavo nel mio sciopero della parola, non volevo dare alcuna soddisfazione alla mia amerevole sequestratrice che mi ricopriva di soffocanti cortesie, inondandomi di parole. Notai solo che non c’erano fotografie in giro e mi sembrò strano.
In quella prima settimana mangiai poco. Venni a sapere da Giovanna che ero un impiegato presso l’ufficio vendite di una grande multinazionale di tessuti, specializzato nel mercato francese, che avevo molti amici ma che non si erano fatti vedere dal mio rientro a casa perché lei voleva tutelarmi dalla fatica del troppo stress.
Una mattina Giovanna si alzò e mi disse a bassa voce che sarebbe andata a fare la spesa, che avrebbe lasciato Caterina in casa con me perché stava dormendo. Sentii chiudere la porta di casa e, dopo qualche minuto, entrò in camera mia figlia. Avevo sentito la sua voce solo per rivolgersi a Giovanna; mi fece una certa impressione quando mi disse:
– Papà, mamma è uscita. Vieni con me.
Giovanna non era in casa e non c’era motivo per non risponderle.
– Dove mi vuoi portare, Caterina?
Non disse nulla, mi prese la mano, costringendomi a scendere dal letto, mi mise le pantofole ai piedi e mi sorresse in quella breve e faticosa camminata fino alla porta chiusa del ripostiglio.
– Apri, papà.
– Sì.
Girai la chiave nella toppa, aprendo la porta. Caterina cercò l’interruttore e accese la luce nella stanza buia. Era uno sgabuzzino adattato a studiolo. Una libreria proprio in fondo, carica di volumi, e sulla sinistra un piccolo tavolo sul quale faceva bella mostra una scacchiera in legno, con impostata una posizione. Mi avvicinai, alzai un alfiere nero e vidi che la sua base in feltro aveva lasciato un cerchietto nella polvere che si era depositata sulle sessantaquattro caselle. A fianco della scacchiera c’era un formulario, portava la data del 27 dicembre 2011 e il luogo del torneo: Montecatini Terme. Sopra il tavolino con la scacchiera c’era un calendario del 2011, aperto al foglio di dicembre. Guardai Caterina e lei capì, mi disse che eravamo a dicembre 2013.
– Cosa vuol dire, Caterina?
– Sai papà, la mamma non ha toccato niente da quando tu sei andato in ospedale.
Mi sentii scosso dalle parole di quella bambina.
– Ma tu hai paura di me?
– No papà.
L’abbracciai e mi misi seduto al piccolo tavolo. Tolsi i pezzi dalla scacchiera e chiesi a Caterina di prendermi un panno. Spolverai la scacchiera e rimisi i pezzi nella posizione che avevo trovato alcuni minuti prima.
– Papà ma ti ricordi in che posizione erano messi i pezzi!
Era vero.
Non ci avevo fatto caso ma avevo posizionato esattamente i pezzi. Decisi di fare una prova. Misi i pezzi nelle case di partenza e rigiocai la partita secondo il formulario ed infine arrivai alla posizione. Era corretta. Dopo alcuni minuti capii che la mossa successiva del bianco, dei quali ero stato allora il conduttore, era un errore. Finii di giocare quella partita che in quel 27 dicembre 2011, proprio per quell’errore, persi.
Ero turbato. Non ricordavo nulla della mia vita, di mia moglie e di quella meravigliosa bambina, ma ricordavo benissimo le regole degli scacchi. Stanco mi guardai intorno e scoprii delle fotografie di scacchisti famosi, e alcune che mi vedevano impegnato davanti alla scacchiera. Nella libreria sulla mia destra un centinaio di libri di scacchi e le riviste accatastate che ricordavo benissimo “T&C Scacco” e “Europe Echecs”.
Rimisi i pezzi nella posizione che avevo trovato sulla scacchiera, accostai nuovamente la sedia al tavolino.
– Riportami a letto, Caterina.
Uscimmo dalla stanza, Caterina spense la luce, chiusi a chiave la porta e ritornai a letto.
– Grazie, Caterina. Non dire niente alla mamma.
Non rispose.
Rimasi a pensare tutto il giorno alla mia vita – Ma cosa mi era successo? -, l’unica che mi poteva aiutare era Giovanna. Dopo alcuni giorni, feci in modo che mi sorprendesse nel ripostiglio mentre giocavo a scacchi. Capii che sarebbe stata una cura d’urto per entrambi.
“No!” – gridò, scoppiando a piangere – “Cosa stai facendo?”. Si mise la mani sul volto appoggiandosi allo stipite della porta.
Per la prima volta da quando la ricordavo, fui io a sorreggerla. Facendola accomodare sulla sedia del tavolino.
– Raccontami tutto…
– Ma tu riesci a parlare? – continuando a singhiozzare – …ma perché?
– Lascia stare, spiegami. Cos’è accaduto?
Mi disse che mi trovò sdraiato a terra la sera del 30 dicembre 2011, proprio in quello sgabuzzino. Chiamò l’ambulanza. L’aneurisma cerebrale richiese cure amorevoli e molto rempo ed ora che ero davvero fuori pericolo, dovevo subire l’onta dell’amnesia retrograda.
– Capisci che ho paura degli scacchi e quando prima ti ho visto alla scacchiera mi è caduto il mondo addosso un’altra volta. Non sopporto vederti alla scacchiera
– Ma Giovanna, gli scacchi sono l’unica cosa che ricordo. So come si muovo i pezzi, come si chiamano, riesco a ricordarmi le aperture, la teoria dei finali. Tengo a mente le posizioni. Capisci? E’ l’unica cosa che mi lega al mio ieri che non tornerà più.
Cercai di spiegarle le mie ragioni mentre lei continuava a piangere, ma annuì con la testa. Mi sentii osservato, mi girai e Caterina era là, sulla porta che ci stava guardando con un enorme sorriso.
“Benvenuti, signore e signori, al nostro tradizionale torneo di Montecatini Terme anche per questo 2014. Il bianco in moto!”
Il mio avversario ha messo in moto l’orologio. Osservo la targhetta sul tavolo: Pietro Saggini, 1^ nazionale, Elo 1870. “Sono una schiappa” – penso trattenendo il sorriso. Quindi, gioco con sicurezza 1.c4, guardando negli occhi il mio avversario, ignaro di quanto sia contento di giocare contro di lui quel primo turno di un torneo che rappresentava un secondo inizio.
Mi volto verso il pubblico e trovo i volti felici di Giovanna e Caterina, il mio passato sconosciuto ed oggi il mio fortunato presente.
Alessandro Colosimo
Son felice di iniziare questo sconosciuto periodo che si chiama 2014 con il racconto stupendo dell’amico Alessandro (Zenone da sempre sul nostro sito) perché il suo è un messaggio positivo e di fiducia… auguri a tutti per un anno speciale fatto di SoloScacchi …e non solo! 😉
Ottima storia: Speranza !
AUGURI
Un grazie a Zenone, poeta e scrittore che ci regala un po’ di ottimismo.
Ben Fatto!!
Delizioso! Spero che la Speranza torni a farci sperare.
Colgo l’occasione per fare i miei migliori auguri a lettori ed autori di SoloScacchi per il nuovo anno 2014, perché tutti possiamo riuscire a trasformare la forma delle diverse e tante speranze nell’unica sola sostanza della realtà.
…Tutto vero, caro Zenone,bisogna uscire allo scoperto con la propria passione,cercare di essere coraggiosi,audaci e cambiare le cose in meglio.Non proprio cambiare il mondo ma il pezzettino di mondo intorno a noi.Prima o poi la scintilla tornerà a brillare.Buon anno a tutti voi.
Mi associo ai complimenti per il bellissimo racconto e aggiungo (dato che Alessandro ci tiene) che i dipinti raffigurati sono di Sandro Luporini, eclettico personaggio e artista che ha spaziato dai parquet della Serie A di pallacanestro negli anni ’50, alla pluriennale collaborazione artistica con Giorgio Gaber, fino alla pittura come possiamo vedere in questi ispirati esempi…
Zenone è semplicemente un grande. 😎
Sono lieto per il rientro dell’autore da sei mesi dell’ultimo articolo. Un pezzo speciale per lui, tanto è che per la prima volta, Zenone ha firmato con nome e cognome al termine; qualcosa pure significherà.
Mi spiace tuttavia essere una voce dissonante da quelle sino ad ora lette e spero l’autore non la prenda a male. Lo Zenone che prediligo è quello de Lo megghiu jocu, La casa a scacchi e quello rievocativo di
Tre uomini in auto. Scritti che, quando mi ricordo, gradisco rileggere. Nel rispetto del significato del racconto oggi pubblicato, mi sembra questo alcuni passi indietro rispetto agli altri.
Lo scrivo senza alcun intento polemico Zenone, ma la lunga attesa andava spezzata con altro. Lo hai dimostrato ripetutamente, puoi fare molto di più.
Un caro saluto a te.
Luca Monti.
Salve Luca,
ho deciso di firmare il pezzo solo per seguire le scelte di altri che, come te, si firmano. Ho mantenuto il mio pseudonimo, a cui sono affezionato. Il pezzo è per me speciale perché, come detto in altri post, vuole dare un segno di speranza.
Circa le tue contenute critiche, non ci sono problemi. Da lettore sono abituato io stesso a esprimere pareri sugli autori che leggo. Quindi grazie.
Questo racconto, come gli altri da te citati, segue il mio tema preferito: il ricordo.
Non so con cosa avrei dovuto spezzare l’assenza. Scrivo basandomi su ricordi, sogni o sensazioni. Questo pezzo è nato da un sogno (incubo).
Forse a breve presenterò alla compiacenza della redazione un pezzo più leggero sullo stile di “Tre uomni n auto”.
Con stima.
Zenone
Mi permetto di anticipare, Luca, che fra non molto avremo la fortuna di poter rileggere due gioiellini come “Lu megghiu jocu” e “La casa a scacchi” pubblicati in una raccolta curata da “Messaggerie Scacchistiche”, insieme ad altri racconti.
Sì, visto che Marramaquìs ha già svelato la prima sorpresa di questo 2014, posso aggiungere che si tratta di un’antologia dei migliori pezzi pubblicati sul nostro sito dal 2009 e impaginati con immagini nuove e spesso inedite.
Siamo fiduciosi che il volume abbia un’eco positiva sul mercato librario, pur se di nicchia come quello scacchistico, trattandosi in fondo anche di un modo semplice e cortese per supportare il nostro lavoro di entusiasti appassionati…
Grazie Zenone per questo racconto che esprime e disegna, con parole univoche, uno scenario di speranzoso ottimismo verso quel futuro, che, non possiamo vedere se non a tinte fosche. E, trasmettere questo tipo di fiducia è una delle poche cose che non ci fa rimpiangere di avere messo al mondo dei figli. Grazie.
Bel racconto.
Mi è piaciuto lo spirito con cui il protagonista vive il presente.
Guardare avanti con fiducia e positività ritrovando sempre se stessi qualunque cosa accada.