Scacchi, uno Sport

Scritto da:  | 17 Maggio 2014 | 53 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Zibaldone

Scacchi uno Sport 1Se gli Scacchi sono uno sport, e quasi tutti ormai crediamo lo siano, vediamo allora cos’è lo Sport.

In un’intervista di alcuni anni fa l’allenatore sudafricano di rugby (uno sport dal quale si potrebbero imparare molte cose) Petrus Franco Smith, diceva: “Lo sport è anzitutto divertimento, per chi lo pratica e chi lo guarda. E’ una disciplina per preparare il corpo e la mente. E’ uno strumento per far stare insieme le persone, per permettere ai bambini di condividere esperienze con altri bambini. Lo sport insegna ai bambini l’equilibrio, perché insegna a gestire con serenità, nella loro crescita, lo spazio da dedicare alle responsabilità e ai piaceri, affinché il tempo non sia solo passato, ma vissuto pienamente. L’unico aspetto diseducativo dello Sport è la pressione sulla prestazione, sui risultati, ed è quello che spinge al doping e che annulla il divertimento”.

Questo “lato diseducativo” dello Sport, che non bisogna mai trascurare e sottovalutare, è probabilmente anche ciò a cui pensava Alberto Moravia quando acutamente scriveva (in “Racconti umani”, 1954) che “lo sport rende gli uomini cattivi, facendoli parteggiare per il più forte e odiare il più debole”. Ne ho visti tanti dal vivo di questi esempi inspiegabili, credetemi.

Giorni fa in un commento scrissi che giudicavo i risultati di oggi degli scacchi in Italia “assai deludenti” rispetto a quelli che ci sono stati negli anni ‘70-‘80. Per risultati, e qui poteva starci un equivoco, non intendevo affatto riferirmi ai risultati in senso stretto, considerati come il raggiungimento di determinate classifiche e/o titoli. Intendevo riferirmi invece (come si poteva evincere dalle parole successive) all’impatto sulla società moderna dell’azione congiunta delle istituzioni e dei professionisti del gioco degli scacchi e di tutti gli appassionati. Questo impatto rischia di andare proprio nella direzione segnalata da Petrus Smith come “diseducativa”, qualora si miri alla diffusione del gioco soltanto al fine di partorire campioni, magari anche uno solo, un solo campione su diecimila “testati” (dopodiché forse, secondo voi, possiamo pure buttare a mare gli altri 9.999?).

Alcuni interventi dei lettori su questo Blog ci segnalano (e qui cito, ad esempio, Marco nel suo commento del 14 scorso) che, a fronte della diminuzione di affluenza dei giovani nei circoli, “paradossalmente, rispetto agli anni 70-80, oggi i giocatori sono molti di più … giocano su “FSIarena” e su altre piattaforme … da qui anche il miglioramento dei risultati internazionali … non sarei così pessimista …”

E’ comunque, capiamoci subito, soltanto una questione di punti di vista. Non voglio e non posso esser giudice o censore di differenti e rispettabili punti di vista (e consequenziali corrette considerazioni) di altre persone che seguono gli scacchi sotto aspetti nettamente diversi dal mio. E’ che m’interessa semplicemente chiarire bene il mio, ma non solamente mio, pensiero.

Vedete, anzitutto non mi pongo affatto fra la schiera dei pessimisti perché, pur essendo io abbastanza stagionato, non sono un nostalgico: il mondo cammina, lo sport si evolve, occorre apprezzare e servirsi del nuovo, ma senza dimenticare o cancellare il vecchio. Lamentarsi davanti al nuovo è patetico, ma non per questo tutto ciò che ci porta il nuovo è da accettare tout court.

Valuto del tutto positivamente la grande rivoluzione informatica del nostro secolo, che per motivi di lavoro ho dovuto seguire fin dall’inizio degli anni ’90 e che oggi raggiunge tutti e ovunque, anche chi è più sfortunato e non può muoversi dalla propria abitazione. Mi pongo, tra l’altro, fra coloro che pensano che in Italia non è “tutto da rifare”, non sono “tutti da mandare a casa”, e che si possa far molto e bene da qui in poi in ogni campo. E senza bisogno di rivoluzioni, perché l’Italia nasconde ancora in sé tanta positività e tanta energia.

Sono, insomma, un inguaribile ottimista. Basterebbe, perché tutto andasse meglio, avere il coraggio di muoversi, di sacrificarsi di più anche per gli altri, di alzarsi più spesso dai propri, a volte troppo comodi e privilegiati, piedistalli. Nello Sport basterebbe smetterla (e qui in effetti è dura …) di ritenere che il grimaldello per rimanere attaccati alle poltrone sia quello di presentare ai propri referenti politici medaglie olimpiche e campioncini europei o mondiali.

Un esempio, uno solo, del “nuovo” che non mi piace è quello richiamato da Beppe Severgnini nel suo convincente lavoro “La vita è un viaggio” (Rizzoli, 2014): “Non è normale che il 61% dei giovani fra i 18 e i 34 anni (quasi 7 milioni di persone) viva ancora, in Italia, con almeno un genitore ….”. O forse secondo voi questo è normale e lascereste inerti che il fenomeno si accresca?

Il mio punto di vista resta sempre e fortemente focalizzato sull’aspetto sociale e aggregativo di ogni Sport, che è confronto e dialogo umano prim’ancora che tecnico, che è “crescita” esclusivamente se intendiamo la crescita così come la intende Petrus Smith. Qui Internet c’entra poco.

Che i giovani si avvicinino, e in tanti, a “FSIarena” o a piattaforme simili, che ciò contribuisca a migliorarli tecnicamente e a farli diventare competitivi con i pari età del mondo, va bene ma a me sinceramente non importa granché, anzi meno di zero: ripeto che non cambia nulla in questo Paese per lo Sport (con la S maiuscola) e per la crescita sportiva e culturale e sociale e per i giovani, se si avranno presto in Italia dieci o venti o cento nuovi grandi maestri di scacchi, giovani o meno, “caruani” e carini o meno. Non cambia nulla se molti fra i nostri figli potranno o no fregiarsi di un titolo nazionale o internazionale, a parte l’appagamento egotista del genitore di turno.

Dai milioni di contatti su “FSIArena” o piattaforme del genere cosa si ha? Non si ha nemmeno il piacere di stringere la mano all’amico e avversario dell’altra parte della scacchiera ….. nemmeno il piacere di parlare e conoscersi e scambiare le rispettive esperienze ed opinioni (sulla partita e non soltanto) guardandosi negli occhi.

Ecco, sotto questo aspetto mi sembra che l’allontanamento dei giovani dai circoli e da similari luoghi di aggregazione e incontro, fenomeno che non appartiene solo a Roma (leggere il commento del lettore Muad’dib, sempre del 14 maggio), sia un sintomo dell’azione “assai deludente” che gli Scacchi stanno svolgendo oggi sul territorio. Anzi, della loro inazione. Un’inazione che ne potrebbe anche affrettare un loro irreversibile declino: infatti gli scacchi da sempre sono già fuori dalle TV, i giovani sono oggi fuori dai circoli, internet intrattiene chi è già praticante ma per sua natura non può procurarne molti di nuovi …

No, non cambierà mai nulla se, contestualmente ad internet e ai vari tornei e campionati di solito privi di buona pubblicità e valorizzazione, poi non si utilizzano gli scacchi come veicolo per avvicinare i giovani ad un effettivo incontro e ad un confronto quotidiano, anche fisico, confronto che non sia soltanto patrimonio di discutibili tifoserie calcistiche od altre, un confronto capace di dare ai ragazzi quei benefici anche psicologici che derivano da ogni esperienza di socializzazione.

Non cambierà mai assolutamente nulla finché qualcuno non deciderà di servirsi degli scacchi come veicolo per far penetrare e seminare nella società, a qualunque livello, i valori insiti nel nostro gioco. Gli scacchi in questo senso presentano enormi potenzialità. Basta saperle individuare, sviluppare e concretizzare. Basta non disperderle scioccamente, così come purtroppo è accaduto lo scorso anno a Roma in occasione del Campionato Italiano Assoluto.

Riporto qui un passo da un commento del 7 maggio (di Silversurfer) per l’articolo di Roberto Messa su Condino. Scrive il nostro lettore: “Credo che il nostro intero movimento dovrebbe prendere spunto da una frase che hanno detto a Londra a dicembre per aprire il convegno legato a “Scacchi a Scuola”, ovvero: “E’ ora di smettere di pensare cosa potrebbe fare la società per il mondo scacchistico e cominciare a pensare a cosa potrebbe fare il mondo scacchistico per la società”. 

Benissimo! Centrato il problema! Questo è il compito prioritario dello Sport e degli addetti allo Sport e di ogni settore dello Sport in un Paese moderno, perbacco! Lo Sport può e deve essere strumento indispensabile di coesione sociale, di divertimento comune, di dialogo, di contatto fra persone fra loro diverse culturalmente, ideologicamente ed economicamente, e può costituire pertanto un forte strumento di integrazione e di crescita (non solo, ripeto, strettamente tecnica).

Quest’azione e ambizione dello Sport, e quindi anche degli Scacchi, un’azione fondamentale che definirei di “inclusione sociale”, prima che su internet (internet è un supporto, è un canale, non è la soluzione) deve di conseguenza realizzarsi fisicamente sul territorio, sui quartieri e sulle dimenticate periferie delle grandi città, sui paesi sportivamente meno attrezzati, sui bambini, sulle diverse comunità, sugli immigrati, sui deboli, sui disabili e sulle persone più esposte (non solo giovani) al pericolo della marginalità.

Aggiungerei che quest’azione sociale, così preziosa, potrebbe a parer mio anche integrarsi, o almeno relazionarsi, con quella che sarà (mi auguro molto presto) la prossima legge sul servizio civile obbligatorio per ragazze e ragazzi. Non è mai troppo tardi, qualcosa si sta muovendo, persino all’interno del CONI.

Tutto il resto (con Caruana e simili) è noia, è tempo perso, è spreco e vuoto sollazzo per ristrette e fortunate élites.

Scacchi uno Sport 2

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53 Commenti a Scacchi, uno Sport

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    Guido Tedoldi 17 Maggio 2014 at 21:58

    Se tante persone non frequentano i circoli scacchistici, non è un problema (non insormontabile, perlomeno): possono essere i circoli ad andare a frequentare le persone dove esse si trovano.
    Se tante persone preferiscono giocare nel web invece che dal vivo, non è un problema: in definitiva sono persone che giocano a scacchi, no? Quando aprì Scacchisti.it e in poche settimane ebbe 20˙000 iscritti, mentre da anni gli iscritti alla Federazione scacchistica italiana stentano a superare i 12˙000, fu la dimostrazione che la conoscenza del nostro gioco è diffusa in maniera molto più capillare di quanto si temeva. E questo è bello, mi pare.
    Se si diffonde l’idea che gli scacchi siano divertenti, stimolanti per lo spirito, tonificanti per l’intelligenza, ecc. ecc. ecc… e che magari tra gli spettatori non scoppiano risse, i tornei non si sospendono per pressioni indebite di ultrà, gli sponsor hanno ritorni importanti in termini d’immagine (e non solo) a costi molto minori rispetto ad altri sport, ecc. ecc. ecc… be’, non è positivo tutto ciò?

    Guido Tedoldi

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      Marramaquis 18 Maggio 2014 at 10:18

      No. Se tutti gli sports si praticassero nel web, invece che dal vivo, sarebbe un bel problema. Sparirebbe lo Sport.

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        Heuristik 18 Maggio 2014 at 11:21

        Mi sembra talebanismo. Quanti altri “sport” si possono praticare su web? Gli scacchi sono sport fra levirgolette: sono un gioco (della mente) come la dama, l’otello, il risiko, il backgammon… senza la componente dadi. Sebbene la componente ‘corpo sano’ sia importante, gli scacchi NON sono uno sport fisico. Non mettiamoci a parlare di sport su web quando il paragone non tiene. Non esiste il rugby su web… e se ci fosse sarebbe un VIDEOGAME. Gli scacchi online sono videogame? No. Sono scacchi veri leggermente diversi, usati con uno strumento appena differente. Se vuoi vedere e parlare coi tuoi avversari, metti Skype 🙂

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          Marramaquis 18 Maggio 2014 at 16:00

          Non è “talebanismo”. E’ solo un punto di vista evidentemente molto diverso dal suo. Non dimentichi che gli scacchi sono una disciplina sportiva regolarmente affiliata al CONI.

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            Heuristik 18 Maggio 2014 at 17:43

            Vero. Ma se non erro lo sono anche il Bridge… un gioco di carte… L’affiliazione è solo una cosa politica ( = regolamentazioni + soldi), non ha niente a che vedere con lo status di sport – fisico – in sé. Ripeto, gli scacchi sono uno sport (e quindi su questo siamo d’accordo) della mente, in quanto la mente è uno dei tanti organi (come i muscoli, tendini e ossa usati nelle altre discipline fisiche) del corpo umano. Il fatto che la tipologia di gioco ne permetta lo svolgimento via web (la vedo dura fare una corsa in bici online…;) lo vedo solo come fatto positivo.

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              Marramaquis 18 Maggio 2014 at 18:17

              Ma anch’io, come lei, ne vedo i lati positivi (e l’ho pure scritto!), purché un po’ alla volta gli scacchi non restino confinati soltanto sul web!
              E proprio perché l’affiliazione al CONI è cosa politica (=soldi,=pubblica), possiamo tutti ben dire la nostra su come questa cosa venga gestita e sulle priorità decise dagli organi preposti.

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                Heuristik 20 Maggio 2014 at 21:41

                Molte delle caratteristiche proposte dai circoli tradizionali si sono spostate su web. Ricordo ancora il mio primo ingresso al circolo: giocatori scatenati a pigiare contro l’orologio in forsennate lampo da 5 minuti. Giocai la prima partita con 10 minuti sul mio orologio e 5 in quello del mio (più forte) avversario, “se no non mi diverto” disse. È ovvio che se voglio giocare lampo non faccio km in macchina per raggiungere il circolo ma vado online. Da questo punto di vista i circoli hanno perso molto terreno. Il circolo deve rinnovarsi e spostarsi su attività dove il web fatica di più: la didattica. Ma non è semplice. La preparazione a tornei OTB, lezioni, tornei sociali: cose che il web forse non può eguagliare. Ma sono anche quelle che richiedono più risorse, sia da parte di chi organizza che da quella del giocatore. Una coperta sempre più corta… Senza parlare della distanza fisica dei circoli, a volte proibitiva. L’esempio dei campioni più recenti, poi, non è a favore dei circoli. Molti GM si sono formati “in casa “… Insomma, una dura battaglia…

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      Ivano E. Pollini 18 Maggio 2014 at 10:38

      Concordo! 😀

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      Pier 21 Maggio 2014 at 13:08

      Non so quanto possa valere, ma questo dovrebbe essere un Principio Generale.

      Carta Europea dello Sport (Consiglio d’Europa, Rodi 1992)

      Definizione dello Sport:

      Qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non organizzata, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli.

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        Jas Fasola 21 Maggio 2014 at 14:20

        Nessuno, in quanto le definizioni cambiano con il tempo 🙂

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        Jas Fasola 21 Maggio 2014 at 15:06

        ovviamente comunque grazie per l’info

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    Doroteo Arango 18 Maggio 2014 at 10:44

    Ringrazio Marramaquis per questo importante approfondimento che condivido praticamente in toto.
    Se mi è soltanto permesso fare una distinzione (senza esser tacciato di utilizzare alcun artificio sofistico) oserei direi che gli scacchi sono un gioco e non uno sport, per entrambi è fondamentale la componente ludica ma nello sport vi è anche l’esercizio fisico che negli scacchi non c’è.
    Questo forse vuol dire poco ma per altri aspetti la differenza non è da sottovalutare in quanto l’esercizio fisico generalmente comporta beneficio a tutto l’organismo mentre -e lo possiamo vedere tutti- gli scacchisti professionisti a 40 anni sembrano quasi tutti dei vecchi sfatti e derelitti…

    Il punto, come individuato con precisione da Marramaquis, è sostanzialmente un altro: l’agonismo esasperato. Agonismo che, nella società attuale ove quello che conta è il prodotto ma non la persona, l’uomo, l’artigiano (inteso come colui che impiega l’arte in ciò che fa) che crea tale prodotto, ecco, laddove alla fine è l’oggetto a comandare il tutto, ove ogni cosa è misurata in termini di investimento e ritorno economico, l’agonismo è intrinsecamente connaturato a come ormai ci rapportiamo al prossimo: in termini di risultati, di prodotti, di record, e per noi scacchisti in termini di Elo e di titoli… tristissimo!

    Grazie ancora a persone come Marramaquis che con le loro parole ci fanno riflettere che non funziona in questo modo, che non deve funzionare in questo modo…

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      Jas Fasola 18 Maggio 2014 at 11:23

      Infatti Vettel, Hamilton e Alonso non sono sportivi, sono solo multimilionari 😉

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        fds 18 Maggio 2014 at 12:15

        Mi hai letteralmente anticipato con l’esempio 🙂

        Prima di inerpicarsi su discorsi e discussioni, è assolutamente necessario avere una definizione univoca e condivisa di sport.

        Ad esempio un importante dizionario come il Sabatini-Colletti (http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/S/sport.shtml) non ha dubbi che vale l’equazione sport = attività fisica.

        Alla Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/sport_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/) non sono così categorici e, guarda caso, cita proprio gli scacchi.

        Personalmente, intendo sport con il significato di competizione.
        Probabilmente non è condivisibile in toto, ma tra me e me funziona :mrgreen:

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          Marramaquis 18 Maggio 2014 at 15:46

          Come vede, pare non esista una definizione di sport condivisa ed univoca. L’ho detto: dipende dai punti di vista. Per lei lo sport è competizione, per me lo sport è divertimento e strumento di socializzazione. E’ da qui che partono i miei ragionamenti.

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      Giancarlo Castiglioni 18 Maggio 2014 at 21:49

      Quali “vecchi sfatti e derelitti”?
      Lasciando stare il passato, Lasker, Alekin, Botvinnik, Kasparov è rimasto numero uno fino a quando si è ritirato intorno ai 40 anni.
      Attualmente Anad è numero 2 oltre ai 40 anni e sembra in ottima salute.

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        Doroteo Arango 18 Maggio 2014 at 22:02

        Mi pare che ci siano ottimi medici tra i lettori di questo sito e demanderei a loro l’analisi circa i benefici psico-fisici dell’agonismo scacchistico rispetto agli altri sport… mi vien da pensare al canottaggio, al nuoto, allo stesso tennis…

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    Ivano E. Pollini 18 Maggio 2014 at 11:42

    Vorrei solo chiarire che il mio commento si riferisce
    all’intervento di Guido Tedoldi.
    Grazie.

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    DURRENMATT 18 Maggio 2014 at 17:09

    Perchè gli scacchi sono uno SPORT? FISIOLOGICAMENTE parlando (questo conta il resto è filosofia spicciola!) dobbiamo considerare 2(due) estremi: da un lato abbiamo gli sport che allenano i muscoli al massimo dinamismo dall’altro vi sono sport(es. tiro con l’arco) che “istruiscono” i muscoli alla perfetta staticità, conditio sine qua non per la prestazione (istruiscono perchè il corpo umano è una macchina cinetica fatta per muoversi. Ecco spiegato il doping anche in questi sport statici).Gli scacchi si collocano esattamente tra questi due estremi: l’attività muscolare aerobica costante, la muscolazione (che non sono sinonimi, of course!)e una efficace educazione alimentare sono presupposti necessari per far lavorare al meglio il SNC(Sistema Nervoso Centrale) il motore della prestazione. Per non parlare del training psicologico indispensabile per qualunque attività agonistica. Alla luce di ciò gli SCACCHI online sono un vero e proprio VIDEOGAME (chi è pratico di videogame non può che confermare questa mia affermazione) con annessi innumerevoli pericoli soprattutto per i minorenni i quali sono soliti trascorrere ore davanti al monitor di un pc (L’addiction e le patologie compulsive non vi dicono nulla?). Domanda: i praticanti (mi riferisco ai dilettanti visto che i professionisti meriterebbero un discorso a parte)percepiscono gli scacchi come sport? Assolutamente NO! Un dilettante agonista di uno sport “minore” (basket, volley,hockey, tennis, ginnastica, nuoto,ciclismo ecc.)è perfettamente a conoscenza dei principi che dominano la fisiologia specifica del proprio sport tanto è vero che affronta le esercitazioni previste e la visualizzazione(costruire nella propria mente il gesto tecnico significa lavorare sulle giunzioni neuro-muscolari che sovrintendono il gesto tecnico) “consapevolmente” perchè sa su cosa sta lavorando. Lo scacchista medio, invece,considerando gli scacchi un’abilità per pochi eletti dotati di talento innato(stereotipo classico che impera nel mondo delle 64 caselle e che caratterizza le èlites) misconosce la specifica fisiologia con evidenti ricadute( leggi post sopra)sulla crescita della cultura sportiva negli scacchi. Fischer quando affermava “tutti possono diventare Maestri di scacchi” si riferiva proprio all’idea degli scacchi come sport: l’allenamento (anche fisico) e la conoscenza(del proprio corpo e la ricerca dei propri limiti anche fisici) sono i requisiti ESSENZIALI per diventare Maestri, ergo, TUTTI POSSONO FARE TUTTO!Fischer incentivava l’uomo della strada a farsi AUTODIDATTA e adduceva come esempio se stesso. I risultati dicono che il CATECHISMO di Fischer ha funzionato! A mio avviso questa è la base di partenza per “inerpicarsi su discorsi e discussioni” ricordando,però, che per cambiare non si può mediare…si deve rompere! P.S. i “padroni” del vapore sono soliti favoleggiare sullo scarso appeal “televisivo” del nobilgiuoco. Non la pensano allo stesso modo gli amici del Poker sportivo, gioco notoriamente “iperdinamico” :sulla loro TV TEMATICA(loro sì noi no!Perchè non parliamo di questo?) è in onda un TALENT sul Poker Sportivo(La Casa degli Assi)…vista l’intraprendenza e la perspicacia dei pokeristi chiedo: sicuri che siano gli scacchi lo sport “intellettuale” per eccellenza?Non è forse questo il male da sconfiggere…l’AUTOREFERENZIALITA'(altra caratteristica saliente delle èlites)??

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      Giancarlo Castiglioni 22 Maggio 2014 at 23:46

      Se ho ben capito tu sostieni che negli scacchi deve esserci una componente fisica per poterli considerare sport.
      Posso essere d’accordo, considerando che questa componente fisica è molto piccola, quasi tendente a zero (qui riaffiora l’ingegnere).
      Ma cosa c’entra la pallavolo?
      Non ci vedo nessuna attinenza con gli scacchi.
      Per me gli scacchi sono un gioco individuale per eccellenza.
      Gli incontri a squadre sono in realtà una somma di incontri individuali.

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        DURRENMATT 23 Maggio 2014 at 16:16

        … ma se consideriamo lo scacchista come conduttore di pezzi(coach che gestisce una squadra) la situazione cambia radicalmente. Lavorare con chessbase o scid significa fare scouting una pratica in voga nel volley dal lontano 1984(introdotta in maniera sistematica e metodologica da Doug Beal).Il resto degli altri sport hanno poi mutuato dal volley questo approccio scientifico(Sacchi coach della Nazionale ha introdotto questo metodo di studio nel calcio dopo uno stage fatto presso la nazionale di Velasco e che provocò lo sdegno di moltissimi calciofili). L’analogo di chessbase è, nel volley, Datavolley.Studi simili a quelli di De Groot sono stati fatti anche su pallavolisti a testimoniare la vicinanza “mentale” tra i due sport.Il metodo Dorfman utile allo scacchista nelle posizioni critiche è, guarda caso, basato su principi del tutto simili a quelli che alimentano il flusso di pensiero di un pallavolista(o del coach) nei momenti topici del set.Ancora,la battuta nel volley determina tutto l’impianto tattico dello scambio del set e della partita(analogia strettissima con l’apertura scacchistica)tanto è vero che vige la regola aurea secondo la quale scendere sotto il 70% di efficacia( non errore ma efficacia che è ben diverso!) significa sconfitta sicura (non ti ricorda qualcosa sui criteri di scelta dell’apertura?).In base allo scout del mio avversario posso scegliere di impostare una battuta aggressiva(nelle zone di conflitto tra due giocatori) o tattica(sull’uomo o nella zona) e in base a ciò si adatterà la correlazione muro-difesa e l’eventuale contrattacco(legare l’apertura scacchistica con le fasi successive della partita ricalca questo principio). Per non parlare dei concetti di Tempo e Spazio del tutto simili a quelli scacchistici. Ancora, il volley è definito nella teoria dei giochi di squadra come sport SITUAZIONALE(posizioni confuse negli scacchi) il che implica un problem solving fatto di micropiani guarda caso quello che fa lo scacchista durante una partita.Per non parlare della ricerca dell’armonia (cooperazione-interazione) tra i vari componenti della squadra( Smyslov docet)pena la scarsa competitività e potrei andare avanti ancora scendendo ancor più nello specifico. Come avrai notato dal punto di vista sportivo( metodologia d’allenamento, preparazione ecc.) gli scacchi sono culturalmente indietro di almeno 20 anni rispetto a molti altri sport semplicemente perchè l’oggi degli scacchi corrisponde all’altro ieri in molti sport….P.S. non sono cose che “io sostengo”(non sono opinioni personali) ma è la TEORIA DELLO SPORT.Basterebbe informarsi e scendere dal piedistallo(non è il tuo caso naturalmente).

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          Giancarlo Castiglioni 25 Maggio 2014 at 09:50

          Quindi tu non paragoni il giocatore di scacchi al giocatore di pallavolo, ma all’allenatore di pallavolo; mi lascia sempre perplesso, ma almeno è comprensibile.
          Premetto che so molto poco di volley, nulla sul metodo Dorfman e sulla teoria dello sport.
          Per quanto riguardo gli scacchi non ho mai usato concretamente i data base, perchè quando giocavo io non c’erano, e penso che siano più utili per preparare le proprie aperture che per pepararsi contro un avversario.
          Se si escludono i tornei ad alto livello, non si sa mai chi sarà l’avversario e il colore con anticipo sufficiente per potersi preparare.
          Sulle aperture credo che in genere siano considerate più importanti del dovuto.
          A conferma attualmente Carlsen e Caruana per vincere contano sul centro partita e sul finale.
          Concludendo ammetto che ci siano punti di contatto tra scacchi e pallavolo, come con tutti gli altri sport, sicuramente dovrei conoscere di più la pallavolo per coglierli.
          I punti di contatto con sport individuali come tennis e ping-pong mi sembrano di gran lunga più stringenti.

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    Giancarlo Castiglioni 18 Maggio 2014 at 22:00

    Io non ho mai avuto dubbi a considerare gli scacchi uno sport.
    L’affermazione di Fischer che “tutti possono diventare maestri” è sicuramente eccessiva e va interpretata.
    Il senso è che per raggiungere un livello decente a scacchi ci vuole molto impegno, il talento serve ma non basta.
    Non so cosa pensi lo “scacchista medio”, ma posso affermare con certezza che chi considera “gli scacchi un’abilità per pochi eletti dotati di talento innato” non sa giocare a scacchi o li gioca ad un livello molto basso.

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      DURRENMATT 19 Maggio 2014 at 15:12

      …mi dispiace contraddirti ma lo stereotipo del “talento innato”( che è un falso) non solo è ben presente tra gli scacchisti( anche tra quelli che li sanno maneggiare ad un certo livello) ma viene spesso utilizzato strumentalmente per costruire steccati.Mi riferisco a Levitt e alla sua equazione “fascista”(ELO=(10xQI)+1000) che mi ricorda tanto “il gene del dubbio”, un romanzo surreale scritto da Panayotopoulos. La frase di Fischer è un’ovvietà semplicemente perchè è la regola in altri sport: allenamento=miglioramento.Se a questo ci aggiungi l’OSSESSIONE allora si è pronti per competere(non per vincere, si badi bene!). Tutto dipende da scelte individuali e non da “doni” calati dal cielo. Questo è il messaggio SOCIALE da veicolare perchè, non dimentichiamolo, gli scacchi sono una scelta “intima”.

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        Giancarlo Castiglioni 19 Maggio 2014 at 19:17

        Padrone di contraddirmi, ma vorrei capire su cosa non sei d’accordo.
        Effettivamente ogni tanto si trova qualche scacchista di un certo livello che racconta di non studiare mai e di essere bravo solo perché è un genio, ma sa benissimo di raccontare balle.
        Generalmente lo racconta a chi non gioca scacchi o che ha appena cominciato, cioè a chi può credergli.
        Poi anche queste affermazioni vanno intese in senso relativo.
        Per esempio Hubner a Milano diceva “Io non studio le aperture…gioco mosse naturali…”.
        Subito dopo guardando a caso una Est Indiana “..si, questa variante la ho giocata con Petrosian, ho continuato così…invece Anderson mi ha risposto in questo modo…”.
        Quello che intendeva era che non studiava le aperture con la profondità dei maestri della sua forza ed era vero.
        Solo il suo basso livello era altissimo per un maestro normale.
        Però non bisogna cadere nell’eccesso opposto.
        Il talento serve ed è una quantità reale e misurabile, inutile accampare false modestie o fare affermazioni “politicamente corrette”.
        Premesso che la misurazione del QI non è una scienza esatta, mi sembra evidente che chi si diverte a giocare a scacchi ha già un QI superiore alla media.
        Ricordo che De Maria, un buon giocatore che valeva un CM, mi raccontò di aver fatto un test serio, non ricordo per quale ragione, e che con sua sorpresa era stato misurato un QI di 140.
        Io non ho mai fatto test, ma anche io sono rimasto sorpreso quando al liceo ho scoperto che eravamo regolarmente solo in due che riuscivamo a risolvere i compiti in classe di matematica veramente difficili.
        Senza bisogno di arrivare a Hubner, mi è bastato veder giocare lampo o analizzare certi forti maestri per capire che non è questione di studio, anche dedicandomi agli scacchi a tempo pieno non sarei mai stato nemmeno lontanamente in grado di giocare come loro.

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          DURRENMATT 19 Maggio 2014 at 20:07

          …”chi si diverte a giocare a scacchi ha già un QI superiore alla media”…questo è il vulnus che ci divide.Inoltre,che il talento sia una qualità misurabile non mi risulta a meno che non ci si riferisca alla “parabola dei talenti”. Ma da laico aborro questa favoletta.Sarebbe meglio non entrare nella “selva oscura” e restare sul pezzo, ovvero scacchi, sport e sua diffusione.Come avrai notato la discussione pare si sia arenata. Senza offesa, naturalmente.

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            Giancarlo Castiglioni 19 Maggio 2014 at 22:42

            Scusami, ma io proprio in quanto laico nella “selva oscura” ci entro.
            Non accetto di evitare un argomento solo perchè è ritenuto poco elegante.
            Poi non siamo fuori tema.
            Quanto valga la componente talento e quanto la componente studio interessa, è uno dei discorsi “da bar” senza conclusione che a volte si fanno tra scacchisti.
            Il talento non è misurabile, ma il QI sì e che esistano livelli di QI differenti è un dato di fatto, che ci faccia piacere o no, esattamente come è un dato di fatto che esistono uomini alti e uomini bassi.
            Andando fuori tema, parlare di QI in molti fa scattare come un riflesso condizionato l’accusa di razzismo.
            Invece è proprio trattando scientificamente il problema e misurando il QI in popoli primitivi, che la presunzione di superiorità dei popoli sviluppati si è dimostrata non giustificata.
            Consiglio a tutti di leggere “Armi, acciaio e malattie” di Jared Diamond che spiega in modo convincente le ragioni storiche dei differenti livelli di sviluppo tra i popoli e come queste non abbiano niente a che fare con il razzismo.

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              DURRENMATT 20 Maggio 2014 at 15:58

              Mi si perdoni la franchezza ma io sono uno di quelli: enfatizzare il valore del QI per me è razzismo (lascio immaginare il mio pensiero riguardo i metodi di selezione basati sul QI in auge nella scuola americana).Il QI non misura un bel nulla soprattutto negli scacchi. Secondo la teoria delle intelligenze multiple le doti che contribuiscono a fare un buon giocatore di scacchi sono l’intelligenza logico-matematica, l’intelligenza spaziale e l’intelligenza corporeo-cinestesica (ecco spiegato l’allenamento fisico variegato di Fischer e di Carlsen con corsa, tennis, calcio ecc). Il vero segno del TALENTO negli scacchi, è rappresentato dalla capacità di riferire una configurazione percepita a configurazioni passate, e di inserire la posizione presente in un piano di partita complessivo. Queste capacità sono implementabili con l’allenamento e il QI non misura nessuna di queste capacità. E’ inutile sottolineare che il test del talento del fisiologo scacchista Pavel Cerny che tutti gli scacchisti conoscono non vale nulla. Quindi Fischer e Lasker avevano visto lungo e bene…tutti possono diventare maestri, basta saper canalizzare(metodo di lavoro). Aggiungo che ad oggi, a quanto ne so, non vi sono ricerche scientifiche che affrontano il problema se gli individui che diventano infine maestri di scacchi abbiano o no avuto fin dal principio una propensione speciale a valutare tali configurazioni e a combinarle…P.S.la questione del talento ha una valenza culturale. Ad es. in estremo Oriente( vedi Giappone) si ritiene che tutti gli individui siano ugualmente dotati e il fallimento è attribuibile solo alla scarsa applicazione.Le arti marziali rappresentano l’appendice pratica di questo principio. D’altro canto si nasce ingegneri o si diventa?

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                Giancarlo Castiglioni 21 Maggio 2014 at 22:09

                Concludo che ognuno rimane della sua opinione.
                Tra l’altro sono ingegnere e non avrei mai potuto fare il medico.
                Per me sono nato ingegnere, anche se per diventarlo ci sono voluti 7 anni di fatiche al Politecnico di Milano.
                Ma volevo tornare sulla questione se gli scacchi si possano ritenere sport anche se non comportano attività fisica.
                E’ questione di definizioni, quindi ognuno può pensarla come vuole.
                Io ritengo con molti altri scacchisti che al di là delle apparenze il tennis e il ping-pong siano gli sport più vicini agli scacchi.
                Entrambi sono una lotta individuale senza contatto fisico, si può vincere giocando meglio dell’avversario o impostando il gioco in modo da farlo giocare peggio.
                Bisogna cercare i punti deboli dell’avversario ed evitare i punti forti.
                Quando il livello tecnico dei giocatori è vicino e la posta alta, la partita diventa uno scontro di volontà dove chi ha maggiore capacità di concentrazione e di resistenza alla fine vince.
                Sono d’accordo con Kasparov che diceva che gli scacchi sono un gioco violento.
                Tutte queste cose in tennis, ping-pong e scacchi sono uguali, se poi volete considerare i primi sport e gli scacchi no, fate pure.

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                  DURRENMATT 22 Maggio 2014 at 15:37

                  Premesso che è stato un piacere dialogare con te vorrei ritornare brevemente sul concetto scacchi&sport. Per questo è d’uopo inquadrare gli scacchi nella Teoria dello sport. In generale la prestazione sportiva è suddivisibile in:A)prestazione fisica B)prestazione tecnico/tattica C)prestazione psichica. Queste tre componenti hanno valenza diversa a seconda dello sport considerato ma devono, comunque, essere contemporaneamente presenti e ben allenate; negli sport dinamici la componente fisica prevale su quella tecnico/tattica e psichica mentre negli scacchi la componente fisica che,ripeto, deve esserci pena la “regressione” degli scacchi a mero gioco da tavolo, è subordinata a quella tecnico/tattica e psichica queste ultime fondamentali. Di solito gli scacchisti agonisti dilettanti lavorano solo sulla componente tecnico/tattica (metodi tradizionali d’allenamento) ma ignorano la componente fisica( la distinzione tra il “riflessivo” e l'”attivo” non esiste in altri sport. Questo fatto dovrebbe indurre noi scacchisti ad almeno un momento di riflessione prima di concludere che una particolare eredità del pensiero occidentale CARTESIANO sia un imperativo universale)e, sopratutto, la componente psichica. A tal proposito il libro di Sedina/Simkin (Allena e sviluppa la mente scacchistica)prova a colmare,in parte, questa lacuna culturale… P.S. il volley ha moltissimo in comune con gli scacchi visto che entrambi sono da considerarsi sport di squadra.

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                  Giancarlo Castiglioni 22 Maggio 2014 at 21:13

                  Continuo in fondo, perchè la striscia dove si scrive è diventata troppo stretta.

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    Filologo 18 Maggio 2014 at 22:28

    Anche Lasker diceva che tutti potevano diventare maestri. Bastava che andassero a lezione per duecento ore da lui…

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      DURRENMATT 19 Maggio 2014 at 15:52

      …Lasker aveva ragione visto che faceva riferimento alla deliberate practice e alla sopravvalutazione del talento innato. Infatti, decenni dopo, sono apparse dal nulla le sorelle Polgar.Per non parlare del Metodo Suzuki (imparare il violino) o il Metodo Logo per apprendere le nozioni fondamentali della programmazione dei computer.La Williams, vincitrice degli Internazionali d’Italia di tennis è figlia(con la sorella Venus) del “metodo Polgar” o Lasker che dir si voglia.Sempre nel tennis c’era la scuola di Nick Bollettieri che creava giocatori di livello internazionale a go go e la maggior parte costruiti.Nel calcio ci sono “maestri” che creano dal nulla giocatori competitivi( vedi Zeman con Immobile per citare l’attualità), nella pallavolo con il Piano Altezza sono stati creati giocatori e giocatrici di livello mondiale dal nulla e potrei continuare con l’hockey su ghiaccio (nazionale olimpica Usa dell’80, medaglia d’oro e creata in soli 6 mesi mediante allenamenti intensivi e massacranti) ecc. Quello che voglio dire è che il messaggio sociale da veicolare deve essere: gli scacchi NON SONO un gioco/sport per geni ma tutti possono primeggiare, basta volerlo!!…Convieni su questa affermazione?? Convieni sul fatto che questo messaggio non passa? Convieni sul fatto che gli scacchi, sotto diversi aspetti, sono indietro anni luce rispetto ad altri sport? Convieni sul fatto che, forse, l’organizzazione del movimento scacchistico sul territorio è obsoleta per non dire ottocentesca e va ripensata?

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        Mongo 19 Maggio 2014 at 16:16

        Scusa, ma fare dello sport (scacchi compresi) solo per divertimento, no?
        Quando tiravo con l’arco lo facevo solo per stare fuori a contatto con il verde (primavera ed estate), conoscere gente nuova e per conoscere i miei limiti. I risultati sono poi arrivati da soli; certo che se mi fossi impegnato di più avrei, forse, conquistato anche il mondo, ma non me ne fregava niente.

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    paolo bagnoli 18 Maggio 2014 at 23:15

    Sottoscrivo al cento per cento quanto scritto da Giancarlo

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    Mongo 19 Maggio 2014 at 12:43

    Lo sport è uno ‘strumento’ che serve ad abbattere le differenze.
    Il basket negli States anni ’50 e ’60 ha di molto aiutato ad eliminare le ‘differenze’ tra i bianchi ed i neri. Lì, nel paese più libero e democratico del mondo (??) il nero era prima uno schiavo, poi un cittadino di serie B che non poteva sedersi sui pullman, al cinema doveva stare nei posti a loro riservati in fondo alla platea, ecc.. Poi negli stati meno razzisti qualcuno ha avuto il coraggio di mettere nei quintetti base alcuni giocatori di colore, che poi fecero la storia di questo sport… Oggi un nero alla presidenza degli USA è una cosa normale, mentre solo 20 anni fa era da manicomio il solo penarlo.
    La box, l’atletica leggera ed il rugby, grandi sports dove il razzismo è stato pian piano eliminato grazie alle medaglie ed ai records di uomini di colore eccezionali.
    Stessa cosa sta avvenendo oggi per l’integrazioni dei ‘diversi’ (gay, lesbiche, disabili in genere), anche se taluni pregiudizi sono sempre duri a morire.
    Chi è stato il primo calciatore di colore a giocare in Italia in una squadra di serie A? Io mi ricordo di Blisset, Juary, Zahoui.
    Tennisti di colore? Io ricordo Ashe, Noah.
    Scacchisti di colore?
    Nuotatori di colore?
    Sciatori di colore? Mi ricordo di una squadra Jamaicana di bob che ha partecipato ad un paio di olimpiadi.
    Gesù era nero. A quando un papa nero?
    Questi miei pensieri, buttati giù tra una pausa caffé e l’altra, non sono da intendersi ne razzisti e ne offensivi, ma solo un aspetto del contesto sociale dello sport.

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    alfredo 19 Maggio 2014 at 13:22

    beh no prima dei giocatori dopo la apertura delle frontiere ce ne sono stati parecchi di colore
    io ricordo solo
    canè Napoli
    nene’ cagliari
    Amarildo
    inoltre nel calcio ci fu già negli anni 60 il primo giocatore a fare un cautissimo outing della propria omosessualità . Il fortissimo centrocampista juve e Roma mi sembra Luis Del Sol

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      Matte 19 Maggio 2014 at 14:12

      Non c’era anche uno nella Juve che si faceva chiamare Marisa? 😉

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        Mongo 19 Maggio 2014 at 14:39

        Chi, il presidentissimo? Tutta invidia, come pure per Pinturicchio!! Comunque, anche fosse, quale sarebbe il problema?
        La Navratilova è lesbica, ma è stata una grande tennista; una donna tutta d’un pezzo, così come la Billie Jean King.

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          alfredo 19 Maggio 2014 at 16:25

          beh un anno mi ricordo a wimbledon 4 donne in semifinale tutte lesbiche
          due erano la mandlikova e la navratilova le altre due non ricordo
          comunque che donna e che giocatrice è stata la martina !
          un altro giocatore la cui omosessualità era abbastanza nota era il centrocampista della juve Viola , il sostituto di Capello , purtroppo morto in un incidente stradale 20 anni fa .
          certo c’era un omosessuale nella nazionale campione del 1982
          machissenefrega
          anche tra i grandi scacchisti c’è un omosessuale noto .
          l’unico a dichiaralo pubbliamente fu il MI USa santasiere

          • avatar
            Mongo 19 Maggio 2014 at 17:06

            Me lo ricordo Viola solo perché ce l’avevo in una figurina Panini del 1975.
            Capello venne sostituito, per nostra fortuna, da un certo Romeo Benetti che il Milan giudicava un calciatore ormai finito. Lo stesso errore il Milan lo rifece 30 e passa anni dopo con un certo Pirlo (errare è umano, perseverare è ‘gallianotico’!).
            Quello che fece il Benetti in quei tre anni sulle sponde del Po è paragonabile a quello che sta facendo in questi anni Pirlo: due scudetti (uno con lo storico record dei 51 punti; le squadre erano solo 16 e le vittorie valevano solo 2 punti), una coppa UEFA, una coppa Italia.

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    Mongo 19 Maggio 2014 at 14:02

    Giusto: Nené, mi è tornato in mente appena ho postato il messaggio, Cané, che proprio l’avevo rimosso. Amarildo non lo conoscevo, se non di nome. Vero che dal 1980, con la riapertura delle frontiere, i giocatori stranieri, prima uno per squadra, poi due ed adesso persino i 10/11 dell’ultima Inter ‘cartonata’. Quanti bidoni però sono arrivati: Da Louis Silvio a Zavarov, da Diego a Recoba (passaporto falsificato per farlo passare come comunitario!! Quante porcherie che fece il Facchetti dirigente), da Coet a Muller (quello che giocò nel Torino).

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      alfredo 19 Maggio 2014 at 16:21

      guarda che Recoba proprio bidone non era….

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        Mongo 19 Maggio 2014 at 17:12

        Recoba di buono aveva solo il sinistro e giocava quasi sempre solo nel giardino di Moratti.
        Mi era simpatico per via del suo soprannome ‘El Chino’, lo stesso di un peruviano occhialuto compagno di avventura del Che in Bolivia.

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          Renato Andreoli 19 Maggio 2014 at 20:20

          Chino era anche il nome di un personaggio di “West Side Story”, il musical di Leonard Bernstein poi diventato un film vincitore di dieci Oscar.
          Ma a proposito di musica e di rivoluzionari latino-americani, caro Mongo, esco un po’ dal seminato e ti segnalo una notizia che forse ti potrebbe interessare.
          Questo mese al Teatro Carlo Felice di Genova è in scena la Carmen di Bizet. Ci sono ancora due recite, il 30 e il 31 maggio.
          La notizia curiosa è che il regista Davide Livermore ha trasportato l’ambientazione dell’opera dall’originaria Spagna alla Cuba rivoluzionaria del 1959. Don José diventa un brigadiere dell’esercito di Batista ed il torero Escamillo è addirittura Fidel Castro in persona!
          Se fossi interessato a vedere lo spettacolo, ti segnalo che la recita del 31 maggio sarà trasmessa in diretta streaming dal sito del Carlo Felice al seguente indirizzo:
          http://www.streamingcarlofelice.com/home.html
          Su quest’altro sito si può leggere una recensione:
          http://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/genova-teatro-carlo-felice-carmen

          • avatar
            Mongo 19 Maggio 2014 at 20:56

            Grazie delle info.
            Non è la mia passione, ma per curiosità me la guarderò. 😎

  11. avatar
    Ricardo Soares 19 Maggio 2014 at 14:31

    Morto Jack Brabham, grande campeao de F1.

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      alfredo 19 Maggio 2014 at 17:06

      me lo ricordo anni 60
      grande pilota e poi anche grande costruttore .

  12. avatar
    Paolo Andreozzi 10 Giugno 2014 at 14:52

    Sposo in toto l’impostazione dell’articolo, scacchi come sport (ovviamente non motorio) e come strumento di coesione sociale: la mia attività da istruttore/educatore è centrata da sempre sulla valorizzazione degli aspetti pedagogici/socializzanti (disciplinari e comportamentali) che caratterizzano lo sforzo mentale e la capacità di pianificazione, infatti anche il sentirsi parte di un gruppo di amici che condividono lo stesso interesse ha grandissima importanza. Così la generalità dei ragazzi principianti non partecipa a tornei federali competitivi, ad eccezione di alcuni tornei a squadre dove posso fare leva sulle dinamiche di appartenenza alla squadra, e gestisco con molta attenzione il calendario dei loro impegni sulla scacchiera dando la preferenza a tornei UISP e/o gestiti con circoli amici compatibili con la nostra filosofia. Poi ovviamente c’è la minoranza di allievi agonisti che giustamente pretende assistenza tecnica e si impegna in modo diverso.
    Un passaggio dell’articolo non mi è chiaro: il riferimento al servizio civile obbligatorio al quale relazionare la pratica scacchistica

    • avatar
      Marramaquìs 10 Giugno 2014 at 18:54

      Ringrazio Paolo Andreozzi per l’apprezzamento e preciso sul punto accennato. Più che relazionare il servizio civile agli scacchi, intendevo relazionare entrambi alla fondamentale funzione aggregativa e socializzante che gli stessi hanno (o meglio avranno) in comune.

  13. avatar
    delpraub 29 Giugno 2014 at 11:48

    Durante la recente visita dal tricampione Carlsen in Armenia assieme ad Aronian, Karen Shainyan ha intervistato per il sito russo Slon.ru i due primi giocatori nella classifica ELO.
    L’intervista è stata effettuata separatamente, ma le domande sono state le stesse, quindi le risposte possono essere confrontate senza che l’uno abbia potuto influenzare l’altro.

    Tra i molti argomenti toccati, una delle domande è stata “Gli scacchi sono uno sport?“.
    CARLSEN: “Penso che il modo con il quale io interpreto gli scacchi abbia molto a che fare con lo sport, per quanto riguarda la preparazione ai tornei e il mio approccio alle partite.
    ARONIAN: “Sì, sicuramente gli scacchi sono uno sport. Le partite sono un po’ come una corrida: tu combatti, lotti, ti muovi elegamtemente attorno all’avversario e poi… il toro ti colpisce e tutto quello che hai fatto prima non ha più alcun valore. Negli scacchi è lo stesso: puoi giocare una bella partita ma alla fine, se perdi, tutta questa bellezza non ha senso.

    A seguito delle risposte, la domanda successiva è stata “Visto che gli scacchi secondo te sono uno sport, come ti mantieni in forma?
    CARLSEN: “Mi preparo con i miei allenatori e secondi per essere fisicamente pronto a giocare lunghe partite
    ARONIAN: “Beh, non è un sport molto ‘sportivo’. Giocatori ultra-settantenni, come Smyslov e Korchnoi, hanno ottenuto brillanti risultati. I miei genitori appartengono al mondo accademico e quindi non hanno mai considerato seriamente lo sport, ma grazie ad amici e colleghi ho cominciato a praticare attività sportive a 20 anni.” e, in risposta a un’altra domanda, “Mi piace correre e allenarmi a pallacanestro e boxe“.

    Non sono risposte che aiutano molto la nostra discussione, anche se è interessante sapere che Carlsen si allena scacchisticamente (quindi preparazione fisica esclusa) al massimo due ore al giorno, contro le 5 ore al giorno di Aronian: in quale sport il campione del mondo può permettersi di allenarsi solo 2 ore al giorno?

    Comunque entrambi sembrano insistere sull’aspetto competitivo degli scacchi per dimostrarne la classificazione come sport. Non è sorprendente, visto che sono dei professionisti, ma sarebbe stato interessante chiedere quali risvolti sociali ed educativi gli scacchi abbiano o possano avere dal loro punto di vista.

    Un aspetto divertente delle due interviste è la risposta alla stucchevole domanda da profano “Quante mosse sei in grado di calcolare in anticipo?“:
    CARLSEN: “Se serve, posso calcolare 15-20 mosse, ma normalmente non ce ne è bisogno, perchè ci sono talmente tanti modi in cui le cose possono svilupparsi che non serve analizzare uno scenario così a fondo. Ci sono troppe possibilità“.
    ARONIAN: “Spesso ci si sbaglia: ti sembra di avere calcolato tutto fino in fondo quando in realtà ti sei sbagliato fin dalla seconda mossa. Usando il concetto dell’albero delle varianti, se non ci sono diramazioni ed è un semplice tronco, allora è facile. Di solito, purtroppo, è una giungla e non troverete nessuno scacchista serio che vi potrà dire quante mosse può calcolare.
    Quinid Carlsen è o non è uno scacchista serio? :mrgreen:

    PS: Carlsen ha risposto in inglese e Aronian in russo. Per questo post ho tradotto e adattato la traduzione in inglese disponibile su chess24.com, piuttosto che avventurarmi con Google Translate.

  14. avatar
    DURRENMATT 29 Giugno 2014 at 21:16

    …l’armeno non mi sembra un’aquila, almeno in alcuni passaggi. Carlsen,invece, mi piace tantissimo quando afferma…”Penso che il modo con il quale io interpreto gli scacchi abbia molto a che fare con lo sport, per quanto riguarda la PREPARAZIONE ai tornei e il mio APPROCCIO alle partite”. Carlsen riprende e sviluppa le intuizioni di Fischer…è questa la nuova ERA!

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