Una storia vera

Scritto da:  | 2 Giugno 2015 | 55 Commenti | Categoria: C'era una volta

Una storia vera 6Per qualche anno ho partecipato a Cremona al torneo internazionale Memorial Vida: l’ultima volta, tra un turno di gioco e l’altro, mi misi a sfogliare il giornale cittadino ove mi capitò di leggere, tra i necrologi, quello dei fascisti locali in ricordo del Cav. Benito Mussolini e di colpo la memoria mi tornò agli anni di guerra, a dopo l’ 8 settembre ’43 con quel che ne è derivato e che ho vissuto in prima persona.

Quella che segue, dunque, ha poco a che vedere con gli scacchi ma è una storia vera.

Comincerò col dire a chi può interessare questa storia, che risiedevo già a Parma dal febbraio ’42, profugo di guerra, e che mi ritrovavo in sintonia, assieme ad altri giovanissimi, per cantare in una corale e partecipare contemporaneamente a una filodrammatica di dilettanti.

A quel tempo infatti c’era poco da scialare in divertimenti per noi giovani ma quello era un modo piacevole per trascorrere assieme qualche ora, visto le ristrettezze imposte dalla guerra. Tra gli altri, in quelle frequentazioni mi era caro un amico che si chiamava Enrico-Edgardo e col quale mi ritrovavo più che con gli altri.

L’8 settembre 1943 sconvolse tutto.

8 settembreNoi giovani eravamo come smarriti: non c’erano più valori e, di colpo, le drammatiche circostanze in cui tutto il Paese era sprofondato ci imponevano una scelta di campo della quale avremmo volentieri fatto a meno se solo fosse stato possibile. Ma possibile non era. Io, poi, avevo per soprammercato la responsabilità della famiglia (mamma e 6 fratelli) perché papà era in Libia, territorio già occupato dagli Alleati e impossibilitato a aiutarci. Lavoravo, e il mio stipendio era essenziale per sopravvivere con la famiglia.

Tutte le volte che incontravo Enrico-Edgardo, mi portava invariabilmente a discutere della situazione in cui il Paese si trovava e ben presto egli maturò una scelta di campo: quella di aderire alla repubblica di Salò e partire volontario. Giocò molto in quella sua scelta la lettura del “Regime Fascista”, il quotidiano diretto da Roberto Farinacci di Cremona, il gerarca più bellicoso di tutti e fondatore delle Brigate Nere.

Una storia vera 2

Enrico mi invitava insistentemente a seguirlo nella sua scelta che però non condividevo e poi, come ho già detto, dovevo badare al sostentamento della mia famiglia.

Alla fine Enrico perse la pazienza, mi coprì di male parole e ruppe il rapporto di amicizia, naturalmente tacciandomi di vigliaccheria.

Sul posto di lavoro subivo intanto pressioni simili da parte di qualche collega anziano che non si peritava di fare riflessioni ad alta voce come ad esempio che “la Patria ha bisogno dei giovani” e che “era l’ora della verità“.

Lasciavo perdere e stavo ben fermo nel credere che il primo mio dovere era di badare alla sopravvivenza della mia famiglia.

Intanto non mi sfuggiva il comportamento dei soldati tedeschi che la facevano da veri e propri occupanti e non da alleati e di come tenessero in scarsa considerazione noi italiani.

Ben presto i bombardamenti degli aerei alleati si infittirono e la Prefettura di Parma fece sfollare noi profughi in Provincia.

La mia famiglia fu destinata a Solignano, un comune di montagna e io mi sobbarcavo ogni fine settimana il viaggio dal luogo di lavoro a Solignano e viceversa, quando andava bene con mezzi pubblici ma più spesso a piedi .

Intanto Sui monti vicini si erano costituiti nuclei partigiani e, nel Luglio ’44, tedeschi e fascisti “rastrellarono” di conseguenza le zone montane delle provincie emiliane. Capitarono quindi anche a Solignano.

Una storia vera 4Convocarono in municipio (così a quel tempo si chiamava la sede comunale) tutti gli uomini del paese ; rimandarono a casa gli anziani e chi aveva responsabilità pubbliche e religiose e trattennero i giovani – me compreso – per ulteriori controlli il che stava a significare, per le esperienze altrui, che la destinazione finale era la Germania dove urgeva mano d’opera per le industrie belliche –

Con i tedeschi partecipavano al rastrellamento reparti di brigate nere, cioè italiani, e con mia sorpresa notai che il loro comandante era Enrico-Edgardo.

Non mi parve vero rivedere quello che consideravo ancora un caro amico e sul momento e speranzoso, lo chiamai e gli chiesi di fare qualcosa per me e per la mia famiglia. Lui sapeva che ero profugo e quali responsabilità familiari avessi.

Mi rispose gelido che non poteva far nulla e non disse più di tanto, allontanandosi immediatamente.

Vi lascio immaginare quale scoramento provai: non mi sembrava possibile un comportamento simile da parte sua.

Qualche ora dopo, in attesa della partenza per chissà dove, vidi il comandante tedesco con un gioco di scacchi in mano e che si accingeva a posare i pezzi sulla scacchiera: Non aveva avversari; io guardavo verso di lui con attenzione; lui se ne accorse e mi apostrofò in un italiano stentato chiedendomi se sapevo giocare a scacchi: risposi di sì, ma non era vero, anche se in buona fede credevo di sapere (da bambino, in parrocchia, avevo appreso come si muovono i pezzi ma non avevo mai giocato una partita per mancanza di avversari…;).

Il tedesco mi invitò quindi a prendere posizione di fronte a lui e col bianco fece la prima mossa alla quale replicai avanzando un pedone. Alla terza mossa, il tedesco sorrise e mi fece capire che non sapevo affatto giocare a scacchi e… mi rimandò tra i predestinati al viaggio in Germania. Dove però, per mia grande fortuna, non misi mai piede per una serie miracolosa di successivi eventi e alla fine facendo ritorno a casa sano e salvo dopo quattro giorni di peripezie incredibili.

Spesso mi sono domandato come sarebbe andata se avessi saputo realmente giocare a scacchi a quel tempo. Il tedesco mi avrebbe condotto con sé? O lasciato andare a casa?

Una storia vera 7Comunque poco dopo il ritorno in famiglia la situazione generale si era aggravata.

La caccia ai giovani era spietata e se eri renitente alla leva militare, rischiavi la fucilazione. E il compimento dei 18 anni per me era imminente sicchè dopo l’ennesimo rastrellamento e aver nel frattempo conosciuto partigiani, alcuni dei quali nei conflitti succedutisi in zona ci avevano lasciato la pelle, dissi a mia madre che andavo in montagna anch’io e così divenni partigiano.

Una storia vera 1Alla liberazione quando ancora ero in divisa partigiana, scesi in città e in centro vidi da lontano indovinate chi?

Enrico-Edgardo.

Mi diressi verso di lui chiamandolo ma lui, accortosi di me, svicolò nel primo borgo e così lo persi di vista. Non lo rividi mai più. Qualcuno mi disse, più tardi, che si era trasferito a Modena.

Non provavo rancore verso di lui. In tutta sincerità avrei messo una pietra sopra al passato e sarei tornato ben volentieri in amicizia. Ma così non fu, purtroppo.

avatar Scritto da: Antonio Pipitone (Qui gli altri suoi articoli)


55 Commenti a Una storia vera

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    paolo bagnoli 2 Giugno 2015 at 23:35

    Grazie, Maestro!

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    Mongo 3 Giugno 2015 at 00:04

    Emozionante!! 😎
    Alla fine mi è venuto spontaneo intonare ‘Bella ciao’. ❗

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    Roberto Messa 3 Giugno 2015 at 10:42

    Caro Antonio, ho letto con molto interesse, anche per confrontare la tua esperienza con quella di mio padre, che se ci fosse ancora avrebbe un paio di anni più di te.
    A salvarlo dai repubblichini, dai tedeschi e (chissà mai) da qualche improvvido slancio giovanile, fu mio nonno, che dopo l’8 settembre decise di portarlo con sé in Germania a lavorare, una scelta facilitata dal fatto che erano entrambi operai metalmeccanici specializzati (aggiungerei, se me lo consentite, due “grandi maestri” del tornio). Furono mandati a Chemnitz, nei pressi di Dresda, ma prima della fine della guerra vennero separati. Nell’estate del 1945 ritornarono entrambi in Italia a piedi, senza sapere nulla l’uno dell’altro (con le autostrade di oggi da Chemnitz a Brescia sono 850 Km). Mio padre se la cavò con un po’ di scorbuto a causa della scarsa nutrizione.

    Conservo la lettera che scrisse a mia nonna il 26 dicembre 1944:

    “Carissima mamma, anche questo Natale disgraziatamente abbiamo dovuto farlo fuori casa, ma credo che sia l’ultimo”…

    segue una descrizione di come lui, il nonno Pietro e i compagni del “Arbeitskäfte” di Adolf Hitler Strasse 17 cercarono di festeggiare il Natale con il poco che avevano, ma per me è commovente sopra ogni cosa la conclusione della lettera:

    “E voi lì come state? Da diverso tempo non arriva più posta e ieri ero un poco triste poiché non so più niente di voi. Il papà mi fa sempre coraggio perché lui è più ottimista di me e ha ragione. Io sono uno zuccone e non voglio capirla. Cercherò di cambiarmi, ma sarà difficile. La lingua tedesca ora la conosco abbastanza bene ma continuo a studiarla, non mi pesa troppo. (…;)
    Un grosso bacio, tuo Ferdinando”

    Inutile dire che poi a sua volta non mancò mai di cercare di trasmettere ottimismo ai suoi figli.

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      Antonio 3 Giugno 2015 at 17:31

      Grazie a voi per la cortesia e per la pubblicazione di uno scritto che ha poco o nulla a che vedere con gli scacchi. Non ci contavo. Molto bella l’illustrazione e come faccia Messa a procurarsela non lo so proprio. Bravo e complimenti e ancora grazie per l’apprezzamento.
      Certo,rendere l’idea di quali tempi fossero e dei patimenti subiti è pressochè impossibile
      Papà e nonno di Roberto sono da ricordare e ammirare e chissà quante cose avrebbero da raccontare se ci fossero. Grazie ancora, Roberto !
      Antonio P.

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        paolo bagnoli 3 Giugno 2015 at 18:06

        Grazie anche a Roberto!

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        Roberto Messa 3 Giugno 2015 at 21:18

        Antonio, io in questo blog non faccio un bel niente! Le immagini, l’impaginazione e le scelte redazionali sono quasi per intero sulle spalle di Martin!

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          Antonio 4 Giugno 2015 at 19:59

          Allora un sentito grazie anche a Martin e-ovviamente sinceri complimenti per l’arte magistrale che dimostra di avere.

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            Joe Dawson 5 Giugno 2015 at 01:00

            No no che complimenti… due vecchie foto e subito scattano gli applausi… si stava parlando di Rosa Fumetto e vediamo di non cambiar di nuovo discorso 😉

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            Antonio 5 Giugno 2015 at 11:22

            Ciao Roberto;
            torno a ricordare per un attimo tuo nonno e tuo papà:
            Tu sai, vero, cosa ha rappresentato per l’Italia la loro arte? (dire mestiere è riduttivo). Fu parte importante della rinascita economica dell’Italia e della nascita del Made in Italy. Grazie alla precisione assoluta del loro lavoro di tornitori le nostre industrie metalmeccaniche furono in grado di realizzare macchinari e linee di produzione che – per dire un esempio – non riuscirono mai a concretizzare giapponesi o nordamericani e così loro venivano a comperare da noi macchinari e impianti di precisione e affidabilità assoluta, per costruire macchine operatrici, macchine utensili, ecc. e ciascuna provincia del nord Italia aveva la sua peculiarità e caratteristica: Brescia primeggiava per la lavorazione del ferro e dell’acciaio; Piacenza per gli impianti di produzione a grandi serie, Parma per gli impianti di lavorazione del pomodoro; Modena non è neanche da citare tanto fu ed è celebre per la sua motoristica. Oggi, con l’elettronica molte cose sono cambiate, ma a quel tempo contava l’occhio e l’abilità dei metalmeccanici e in particolare dei tornitori….se hai qualche foto di papà nonno in tuta, guarda bene se per caso non fa capolino dal taschino la parte superiore del calibro….
            Queste cose le so perchè per il mio lavoro visitavo spesso industrie e dunque ambienti di lavoro. Ciao Antonio

            Il “distintivo” del tornitore era il “”calibro”” uno strumento di misura che immancabilmente spuntava dal taschino della tuta e che consentiva misurazioni

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              alfredo 5 Giugno 2015 at 13:54

              E dagli scacchi siamo finiti a una storia di politica economica del nostro paese, che molti sedicenti economisti dovrebbero mandare a memoria prima di sproloquiare in TV e sui giornali!

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              Roberto Messa 8 Giugno 2015 at 17:04

              Rimasi affascinato dal “calibro” che spuntava dalla tuta di mio padre quando ero bambino, uno strumento semplice ma “bello” nella sua fisicità metallica. Ovviamente volli imparare ad usarlo e dopo il liceo ho anche lavorato con lui “in officina” (come si diceva allora da noi) per un breve periodo, ma ero già troppo affascinato dagli scacchi, o forse non ero tagliato, per diventare come lui un artigiano metalmeccanico. Nella vita a volte basta poco per prendere una strada piuttosto che un’altra… avete presente il film “Sliding doors” ?

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                alfredo 8 Giugno 2015 at 19:31

                si
                soptattutto la protagonista :mrgreen:

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    The dark side of the moon 3 Giugno 2015 at 20:37

    La guerra rappresenta la suprema tragedia della stupidità umana, il periodo in cui si svolsero i fatti citati è stato uno dei più bui della nostra storia.
    Quando capita di leggere racconti come questo di Pipitone ahimè si intuisce purtroppo la differenza che esiste tra alcuni esseri umani ed altri.
    Grazie Antonio Pipitone per questo bel racconto che le fa onore.

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    Jas Fasola 3 Giugno 2015 at 22:50

    Bei racconti, complimenti Maestri! 🙂

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    Ramon 4 Giugno 2015 at 00:11

    Oltre alla storia di Antonio (davvero toccante ed emozionante) desidero segnalare un’altra cosa vera: la foto di copertina che costituisce una vera rarità, siamo nel ghetto di Varsavia… sembrano storie tratte dalla notte dei tempi eppure risalgono ad “appena” 70 anni fa…

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      Jas Fasola 4 Giugno 2015 at 09:47

      ghetto di Terezin, in Cecoslovacchia (per questo non l’avevo riconosciuta 😉 )

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    alfredo 4 Giugno 2015 at 08:07

    grazie come sempre al maestro Pipitone

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    DURRENMATT 4 Giugno 2015 at 16:53

    …Si parla spesso dei sogni della giovinezza;si dimenticano troppo i suoi calcoli.Sono sogni anch’essi,e non meno folli degli altri.Ogni secolo ha le sue audacie…Grazie, Maestro.

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    Danieleg 8 Giugno 2015 at 10:23

    si, concordo con dark side. Nelle situazioni estreme le differenze tra gli esseri umani vengono messe drammaticamente in evidenza. Differenze che in periodi di vacche grasse sono altrimenti invisibili o quasi.

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    alfredo 8 Giugno 2015 at 19:37

    vorrei suggerire la lettura del piu’ bel libro scritto sulla resistenza, non un filo di retorica:
    i piccoli maestri
    luigi meneghello

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    DURRENMATT 9 Giugno 2015 at 15:20

    …a proposito di antiretorica consiglio “Il Partigiano Johnny”.

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      Sponenta 9 Giugno 2015 at 21:20

      E se non reca fastidio ci sarebbe pure il notevolissimo saggio storico “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa.

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        paolo bagnoli 9 Giugno 2015 at 21:49

        Perchè dovrebbe recare fastidio?

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          Sponenta 10 Giugno 2015 at 21:30

          “Perché dovrebbe recare fastidio?”

          E’ un libro che racconta fatti realmente avvenuti e bene documentati.

          Tali fatti sono terribili e apportano grandissimo disonore per una parte politica, la sinistra.

          E poiché in Italia va tutto bene fino a quando si parla male della destra (attraverso cose vere e attraverso cose non vere) ma va molto male quando si osa toccare la sinistra, anche e specialmente nel c.d. campo “artistico”, va da sé che quando nomini un libro (o un film, o altro) non di sinistra ti arriveranno di certo eccetera eccetera.

          P.S. Ti ho risposto per una forma di cortesia e per il fatto che tutto sommato era troppo comodo aver scritto quella frase senza poi aggiungere un minimo di spiegazione, ma avviso te e gli altri che non aggiungerò altro (la materia è molto, molto delicata e da quel che ho potuto constatare devo sommessamente dire che a mio avviso questo sito non brilla per equità di giudizio da parte dello staff).

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            nikola 10 Giugno 2015 at 22:55

            certo che confondere la sinistra coi partigiani e poi mischiarci in mezzo anche l’arte fa capire perchè si è letto il libro e sopratutto perchè lo si cita. io l’ho letto e ho semplicemente capito che anche dalla parte di chi ha combattuto contro la dittatura c’erano delle mele marce e sono stati commessi errori ed orrori (di certo in quantità incommensurabilmente inferiore a quelli di chi ci ha portato in guerra e poi ad allearci con hitler) e posso tranquillamente dire che potevo ammetterlo anche senza leggere il libro.
            purtroppo questo volumetto viene utilizzato oggigiorno da certi revisionisti per far passare l’idea che a quel tempo erano tutti uguali, cosa che tra l’altro il contributo del sig. Pipitone ci ha ricordato non essere vero.
            ps: a chi come me vuole farsi un’idea oltre quella storica consiglio di leggere prima Meneghello e casomai dopo Pansa, ma vi assicuro che il valore e lo ‘spessore’ dei due libri non è comparabile.

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              alfredo 12 Giugno 2015 at 07:42

              Caro Nikola
              non perchè sia stato amico mio ma Meneghello è stato uno dei pochi grandissimi scritori italiani del dopoguerra
              un persona meravigliosa inoltre a cui devo molto di quel che sono
              In effetti un Pansa scompare
              uno dei personaggi descritti da ” gigi” era mia zio

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                alfredo 12 Giugno 2015 at 07:45

                Tanto per chiarire
                gigi Meneghello MAI stato di sinistra o comunista .
                la sua formazione culturale era ben diversa
                diciamo un laico , ” partito d’azione “.

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        DURRENMATT 10 Giugno 2015 at 15:00

        …è un libro “padronale” scritto da un vendicativo livoroso. Mi ricorda i libri di scacchi scritti negli anni ’30 …oggetti contundenti per l’interlocutore di turno.

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      alfredo 12 Giugno 2015 at 07:43

      concordo su Fenoglio

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    lordste 10 Giugno 2015 at 11:15

    Perchè – se non ricordo male – non segue la retorica del “partigiani tutti eroi e repubblichini tutti brutti sporchi e cattivi” tanto cara a certa parte politica, ma evidenzia anche le pagine peggiori della resistenza… questo dà fastidio a quelli che anni fa erano stati genialmente chiamati “trinariciuti”.

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    Mongo 12 Giugno 2015 at 09:26

    @Sponenta. Hai scritto: “… questo sito non brilla per equità di giudizio da parte dello staff…”.
    Ma allora perché la non-brillante Redazione non ha ‘censurato’ il tuo commento.
    Sull’argomento ricordo il libro, di parte perché l’autore partecipò in prima persona ai fatti raccontati, ‘I ragazzi di Piazza Mentana’.
    Scusateci tanto Ragazzi se non siamo stati capaci a mantenere ciò per cui avevate lottato e dato la vita: la libertà!

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    The dark side of the moon 12 Giugno 2015 at 20:57

    Concordo al 100% con l’ottimo Nikola.
    Ammetto di non aver letto il libro di Pansa che considero un personaggio non all’altezza rispetto ad altri scrittori che hanno trattato il tema.
    (Volevo dire “squallido” ma ho cercato di essere il più gentile possibile). 😐
    Sicuro comunque di non essermi perso niente, è avvilente che ancora oggi qualche poveraccio (non si offenda nessuno perché non è riferito a nessuno che ha commentato questo articolo, non mi permetterei) cerchi di mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani perché “sono stati commessi degli omicidi anche da chi lottava per la libertà”.

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      Giancarlo Castiglioni 12 Giugno 2015 at 23:55

      Anche io non ho letto i libri di Pansa.
      Mi interesso di storia, ma non trovo interessante veder documentati minuziosamente scannamenti da entrambe le parti.
      Però metto sullo stesso piano fascisti e partigiani e se per questo qualcuno mi vuol chiamare “poveretto” faccia pure.
      L’insulto è un modo di rifiutare un discorso serio.
      Mi pare che non ci siano dubbi che da entrambe le parti sono state commesse torture, rapine, omicidi.
      Probabilmente c’è chi si illude che tutto questo per una parte fosse l’eccezione e per gli altri la regola.
      Liberi di crederlo.
      A me sembra chiaro che da entrambe le parti ci fossero persone che combattevano per i propri ideali.
      Ognuno è libero di pensare che i propri ideali siano migliori degli altri, ma se pensa che chi combatte per ideali diversi dai propri sia automaticamente un criminale, si sbaglia.
      Osservo solo che gli ideali erano molti e contrastanti.
      C’era chi combatteva per fedeltà al Re, chi fedeltà a Mussolini, chi per la libertà (pochi), chi per il comunismo.
      La realtà è che molti combattevano semplicemente perché si sono trovati presi in mezzo, casualmente da una parte o dall’altra, perché chiamati alla leva della RSI o per evitare la leva della RSI.
      A questi non muovo critiche, si sono trovati in una situazione difficile e non hanno trovato di meglio che combattere una guerra in cui non credevano.
      Invece critico gli “idealisti” che hanno creduto che la cosa migliore fosse mettersi a sparare e uccidere.
      Li considerate degli eroi?
      Per me sono solo degli ingenui illusi.

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        nikola 13 Giugno 2015 at 01:30

        Lo vada a dire al sig. Pipitone per cortesia, che tutti gli ideali vanno bene. Se vincevano quelli che per lei valevano alla stregua dei partigiani a quest’ora non era manco qua a raccontarcele le sue storie.
        Comunque visti i tempi chi lo sa, magari a breve ritorneranno in auge le idee contro cui i partigiani combattevano e avremmo modo di verificare se sono o meno le stesse sulla nostra pelle, visto che qui in pochi hanno avuto la ‘fortuna’ di testarle e leggerle sui libri a quanto pare non basta.
        Io se è ancora lecito mi schiero per gli ‘ideali’ per cui ha combattuto anche mio nonno che ha evitato di finire in un campo di concentramento in germania. Non so se devo a lui l’essere nato e il vivere la vita che sto vivendo, magari al mio posto nasceva un Lothar che sarebbe cresciuto a pane, divisa e mein kampf. Ma tanto chi se ne frega, le idee sono tutte uguali.

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        Michele Oddi 13 Giugno 2015 at 06:40

        Egregio signor Castiglioni, mi pare che le sfugga un concetto importante, quello di “ideale”.

        Come può mettere sullo stesso piano gli ideali di democrazia, uguaglianza, libertà e giustizia per i quali chi ha fatto la Resistenza ha combattuto e ha sacrificato la propra vita con quelli che lei definisce di “fedeltà al re” e di “fedeltà a mussolini”??

        Le farei una domanda diretta e per cortesia mi risponda in modo altrettanto diretto: quali sono (o erano) gli ideali della monarchia e del fascismo?? perché è questo quello che in fondo lei ha espresso…

        O meglio: monarchia e dittatura hanno ideali?
        Chi è fedele al monarca o al dittatore quali ideali persegue??

        O è complice o è succube, mi spieghi meglio per favore. Grazie.

        Michele Oddi

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          Sponenta 13 Giugno 2015 at 08:12

          Mi auto-cito:
          «E poiché in Italia va tutto bene fino a quando si parla male della destra (attraverso cose vere e attraverso cose non vere) ma va molto male quando si osa toccare la sinistra, anche e specialmente nel c.d. campo “artistico”, va da sé che quando nomini un libro (o un film, o altro) non di sinistra ti arriveranno di certo eccetera eccetera.»

          … Ecco
          C.V.D.
          punto

  15. avatar
    Giancarlo Castiglioni 13 Giugno 2015 at 10:06

    Non ho messo sullo stesso piano gli ideali delle due parti, affermo solo che da entrambe le parti alcuni combattevano per un ideale.
    Lei non sarà d’accordo, ma se qualcuno rischia la vita per qualcosa in cui crede mi sembra si possa dire che lo fa per un ideale.
    Non faccio una classifica del valore degli ideali.
    Dico solo che uccidere per un ideale è sempre sbagliato.
    La sua affermazione che chi ha fatto la Resistenza combatteva per “democrazia, uguaglianza, libertà e giustizia” merita un approfondimento.
    Le formazioni partigiane erano in larga maggioranza costituite da comunisti, monarchici e cattolici.
    A queste categorie la democrazia interessava poco, quanto meno era molto in basso nella loro lista di priorità.
    Per concludere la invito ad una maggiore apertura mentale, a cercare di capire le ragioni di chi non la pensa come lei, pur continuando a ritenere queste idee sbagliate.
    Perché al di la della cortesia formale, la sostanza della sua lettera é: io ho ragione, chi non la pensa come me è “complice o succube”.

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      Michele Oddi 13 Giugno 2015 at 11:21

      Ecco, evidentemente non ci siamo capiti, lei dice: “da entrambe le parti alcuni combattevano per un ideale.”

      Provo allora a riformulare la domanda: “quale era l’ideale dei repubblichini?”

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    Giancarlo Castiglioni 13 Giugno 2015 at 12:45

    Ma perché dovrei rispondere io a questa domanda?
    Si documenti, faccia un piccolo sforzo per tentare di capire le ragioni degli altri e veda di trovare la risposta da solo.

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      Michele Oddi 13 Giugno 2015 at 14:11

      Prima parlava di ideali, ora di ragioni… ma quali esse siano proprio non ce lo vuol svelare vero?

      Mi sono documentato, e anche molto meglio di lei, e mi risulta che i repubblichini erano squadracce di balordi e canaglie, ne han fatte di tutti i colori: la peggior cancrena fascista, checché ne dica il caro Pansa o il revisionismo arcoriano degli ultimi decenni.

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    alfredo 13 Giugno 2015 at 13:21

    finchè campo non mettero’mai sullo stesso piano il peggiore dei partigiani con il migliore ei repubblichini di salo’ !

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    The dark side of the moon 13 Giugno 2015 at 14:12

    Bravo Alfredo!
    Non voglio entrare in polemica ma mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani (di qualsiasi schieramento) mi sembra intellettualmente scandaloso.
    La RESISTENZA fintanto ci saranno certi commenti sarà ancora una parola attuale.

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      alfredo 13 Giugno 2015 at 14:18

      la Tv italiana sa fare anche buone cose
      ho visto giorni fa un documentario su quella gran donna che fu Tina Anselmi
      ecco forse vedere quel documentario chiarirebbe un pochino le idee.
      e Tina Anselmi , penso che tutti lo sappiano , era una cattolica che poi aderi’ alla DC
      Sarebbe stata un gran presidente della repubblica donna

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        Sponenta 13 Giugno 2015 at 15:49

        Può darsi.
        Io, peraltro, ho avuto pure modo di conoscerla, la Anselmi, molti anni fa.
        Però i genitori di Ilaria Alpi non furono molto contenti di lei, se non ricordo male, in occasione di un’audizione della Commissione Gallo.

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        Vince 13 Giugno 2015 at 20:28

        In replica stasera alle 20:50 su RaiStoria

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      Michele Oddi 13 Giugno 2015 at 14:23

      ben detto! e aggiungerei oltre al suo “intellettualmente” anche un “moralmente”, no?

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        Giancarlo Castiglioni 13 Giugno 2015 at 18:59

        Visto che mi ritenete intellettualmente e moralmente squalificato è inutile continuare la discussione.
        Continuate pure a darvi ragione tra di voi.
        I vostri insulti non mi toccano minimamente.

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          DURRENMATT 13 Giugno 2015 at 20:17

          …da “idealista” stento a capire,Egregio,dove tu voglia andare a parare…analizziamo la posizione:cosa ha rappresentato e rappresenta per te il 25 Aprile?

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          Michele Oddi 14 Giugno 2015 at 08:11

          Suvvia, non si ritiri sull’eremo predappiano e, di grazia, ci illustri da cosa prende origine la sua ammirazione per i gaglioffi di Pavolini.

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            Giancarlo Castiglioni 14 Giugno 2015 at 09:12

            Fare polemica con lei è solo una perdita di tempo, ma voglio fare ancora una precisazione.
            Non mi metta in bocca cose che non ho mai detto, legga almeno quello che scrivo.
            Io non ammiro nessuno che spara e uccide, anche se comprendo le circostanze che lo hanno spinto a farlo non lo giustifico mai.
            Mi sembra che invece lei giudichi giusto e meritevole uccidere per una buona causa.
            Ma rifletta dove ci porta questa logica.
            Ognuno in base alle sue convinzioni personali può decidere che la propria causa è giusta.
            Allora le Brigate Rosse avevano ragione.
            I combattenti islamici dell’ISIS hanno ragione.
            Qualsiasi pazzo che si mette a sparare in una scuola ha ragione.
            Sono queste le persone che lei ammira?

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              Michele Oddi 14 Giugno 2015 at 10:25

              Guardi, le voglio fare un regalo: se lei la smette di rovinarsi le meningi col TG5 e mi fa sapere il suo recapito prometto di inviarle un buono acquisto, dell’entità che più le garba, di libri. Sa, son quegli oggetti di carta, formati da una copertina di cartone e dei fogli sottili dentro. Sui fogli son stampate delle cose interessanti con l’inchiostro, solitamente nero, ma magari per il primo invio, se si sente, iniziamo da qualcosa con tante figure. Che ne pensa?

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                Giancarlo Castiglioni 14 Giugno 2015 at 11:32

                La ringrazio per il regalo.
                Ho la casa già piena di libri e ho dovuto cominciare a regalare libri vecchi alle biblioteche comunali per fare spazio.
                Ma ci sono sempre libri nuovi interessanti da comprare, anche se manca il tempo di leggere tutto.
                Si faccia dare il mio indirizzo e-mail dalla redazione, le manderò direttamente il mio recapito.

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              Cosimo Buttiglione 14 Giugno 2015 at 11:16

              A ben rifletterci fa parecchio male ad insistere a confrontarsi con loro, Castiglioni.
              Tra l’altro, come ha perfettamente colto, essi sono artisti nel darsi ragione l’un l’altro.
              Lasci perdere, se la dia a gambe levate, fugga. Fugga.
              Questi sono solo grandissimi parolai bravi solo a parole, e poco altro.
              Sono spessissimo quelli che sfruttando Voltaire si riempiono la bocca di parole di grandi effetto come “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”.
              A parole. Solo a parole, però. In realtà, ha ben potuto verificare quale sia il loro “stile”.
              Hanno ragioe solo loro, punto e basta. E’ “finta democrazia”.
              Quando invitano l’interlocutore a “spiegarsi” è semplicemente per poi dargli addosso con le loro pseudo-argomentazioni facendosi forza in branco.
              Ripeto ancora: essi son bravi in pratica solo a parole.
              Mi viene in mente, al riguardo, Artur Kogan (faccio un parziale off topic, però con un parallelismo con un personaggio attuale degli scacchi).
              Sa, all’inizio seguivo volentieri il suo (non so se ce l’abbia ancora, se esista ancora) gruppo facebook sulla lotta al cheating negli scacchi.
              Lui scriveva un sacco di belle parole, sempre più o meno contenenti concetti di giustizia, correttezza, libertà, rettitudine, forse anche democrazia, ecc.
              Se non ricordo male, postava immagini bellissime dello stesso tenore (sa, quelle con cieli bellissimi o tramonti bellissimi, o qualcosa del genere, con al centro frasi tipo quella di Voltaire di cui sopra).
              Poi dopo qualche giorno mi sono accorto che “predicava bene e razzolava male”, nel senso che se appena, tu regolarmente iscritto al Gruppo, provavi a postare un post con qualche considerazione che a lui non comodava (e faccio notare, e sottolineo, che parlo di considerazioni per niente “spinte”, bensì tutto sommato banalotte, non “difficili”), ti trovavi defenestrato (post censurati e tu, se non sbaglio, bannato).
              Non che sia l’unico che faccia uso di tali sistemi ma perlomeno altri non si riempiono la bocca di belle parole…
              Ho ampia documentazione di tutto.
              Ecco, tornando a monte, essendo bravi solo a parole, fanno passare solo quello che vogliono loro, solo quello che a loro fa comodo.
              Quindi molto spesso le loro “verità” sono tali solo a metà, o, chissà, manco quella.
              Essi dicono che i libri di storia “di destra” non raccontano il vero quando in realtà parrebbe esatto proprio il contrario (quantomeno a livello di “omissioni” da parte dei libri “di sinistra”;).
              Lasci perdere. Se la dia a gambe. Non vale la pena, se lo spessore è questo (quello che ha toccato direttamente con mano).
              Oppure, essendo risultato inutile il cercare di instaurare un confronto “perbene”, le va di utilizzare il loro stesso modo di fare? Quello che ha sottolineato con un suo commento? Quello, insomma, dell’aspetto formale pacifico delle parole ma del contenuto sostanziale delle stesse di un certo tipo?
              Lo vuole utilizzare anche lei?
              Trovi allora, ovviamente a mo’ di provocazione, come fanno loro, per esempio, un modo “intelligente” per far passare la seguente frase che si può talvolta trovare scritta in rete su forum di politica o siti analoghi nei classici scontri ideologici destra/sinistra: “Un sinistro è un uomo che cerca di ucciderti, non ci riesce e poi ti chiede di non ucciderlo!”.
              Se non è stato censurato il post con lo “squallido” indirizzato a Giampaolo Pansa (sigh) da parte del signor The dark side of the moon men che meno sarà censurato questo, no?!

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                Kino 14 Giugno 2015 at 12:51

                Ueilà Riccardino, ci caschi sempre eh? 😉

  19. avatar
    Pier 13 Giugno 2015 at 14:14

    SAFFA

    -un lontano e chiaro ricordo di guerra-

    Ogni volta che sento i partigiani dell’ANPI parlare delle memorie delle loro imprese mi torna vivido alla mente il ricordo lontanissimo di quello che i miei occhi videro in quel freddo inverno di guerra del 44-45.
    Un paesetto di campagna in cui quasi tutte le persone valide sono obbligate a costruire trincee lungo la strada che di lì a poco sarebbe stata percorsa dalle truppe alleate. Lavorano freneticamente con carriola e badili quasi tutti i contadini dei dintorni arruolati dalle truppe tedesche che compensavano con le smisurate banconote stampate all’ultimo momento.
    Le truppe tedesche consistono in alcuni ragazzi sistemati dentro una delle due aule della piccola scuola, di solito affollata da 35-40 ragazzi istruiti dalle due maestre, una delle quali al pomeriggio è mia madre.
    In cielo passano spesso aerei di ogni tipo, ma tutti alleati essendo la poderosa ‘lutfwaffe’ spazzata via; del resto, come si saprà, anche la straordinaria marina, i carri armati, gli eserciti. Un unico carro armato superstite, è stato colpito sopra un argine e si staglia all’orizzonte sopra gli alberi spogli; prima fumante e poi oggetto di curiosità e saccheggio. Un mio conoscente poi troverà all’interno una scatoletta di carne che darà alla sua gatta.

    Mia madre mi accompagna un giorno dai ‘tedeschi’ che dispongono di qualche medicina, in particolare una pomata per le mie mani irritate dal freddo di quel rigido inverno.
    E’ così che appena oltre la porta di quell’albergo scolastico li vidi. Saranno stati una dozzina circa, tutti giovani, pallidi, magri, nervosi. Il più autorevole scambia qualche parola con mia madre e poi mi spreme un poco di pomata sul dorso d’entrambe le mani; poi ci separiamo ed in pochi giorni effettivamente le mie mani guariscono. – E’ roba tedesca , la migliore ! – mi aveva detto la genitrice con gli allievi in ricreazione nell’aula adiacente.

    Son bastati quei brevi momenti per captare i pensieri dei disciplinati combattenti germanici e ad imprimere nella mia mente quella che doveva essere la loro infelice esistenza.
    Non molto più anziani di me. Noto alcuni materassi buttati di traverso sul pavimento e sono il principale arredo per la guarnigione di questa caserma, gli zaini di fianco semiaperti, i fucili appesi disordinatamente a dei chiodi sul muro di fondo. Un soldato vestito della logora divisa si sforza di dormire sdraiato sul giaciglio. Ma come fare ? Il sonno è indispensabile, lo sappiamo, ma le immagini delle delusioni belliche, in quegli occhi che si aprono e si chiudono senza riposo, e il corpo emaciato che si rigira di scatto, sembrano l’emblema di una ritirata che è una rotta senza ordini precisi, e senza mezzi, tranne due cavalli e due biciclette. Un altro con un’ eguale e unica divisa indossata notte e giorno, cammina sospettosamente avanti e indietro lanciando occhiate oblique oltre i vetri come fosse di guardia contro le imboscate e gli attacchi pendenti, ripensando forse a quante tappe passate simili a questa e sperando ve ne siano altre in avvenire. Si vede nel suo portamento sia l’ingenuo candore del ragazzo e sia il sospetto e la diffidenza conseguenti agli orrori già veduti. Un altro torna in quel momento da una furtiva uscita recando un fagotto di pane ed un secchio d’acqua, forse unico alimento per quel giorno così pesante e lungo da passare tra gli odi di tanti simili fuori da quelle mura. Un altro è all’esterno, dietro all’edificio ad accudire ai cavalli, assicurandosi che assieme al carretto siano ancora lì. E ancora occhi spaventati, pallore nel viso, movimenti furtivi, magrezza, apprensione, assenza di ogni cenno di sorriso.

    Cosa possono fare così pochi con simile equipaggiamento contro una potente armata in movimento ad un giorno di distanza ? E oltre a questo il ricordo recente di troppe cose, le promesse, i combattimenti inutili in Russia, Africa, Iugoslavia, Europa del Nord, Atlantico,.. luoghi in cui la nazione non avrebbe voluto trovarsi immersa; in 5 guerre con fronti smisurati, lontana e coi difficili rifornimenti, qui a fare cosa, sotto incessanti bombardamenti…
    Sembrano chiedersi: – dov’è la decantata supremazia di mezzi moderni, gli ordini tempestivi, la potenza inarrestabile ? che cosa non ha funzionato , dove ci fermeremo …? A cosa è servito il giuramento di combattere fino al ‘supremo sacrificio’? E a casa cosa sarà successo nel frattempo ?-

    Il giorno dopo la zia di buon mattino racconta al bambinetto – il quale la sera precedente è crollato dal sonno poco dopo l’imbrunire – che l’ufficiale della ‘guarnigione’ in questione è venuto, con il buio per salvare la vita, chiedendo di cenare da noi.
    “Dopo ristorato ha cominciato a parlare e forse a salutare – ha detto tante volte, ma tante volte ‘offidersen’- Poi ha preteso tre scatole di fiammiferi di legno e con quelli ha cominciato un disegno sulla tavola mettendoli uno accanto all’altro.
    Compone così un’ immagine, un disegno: – la facciata della sua casa- (mi precisa la zia) –Tutto! Porte, finestre, scalini, tetto, angoli e perfino …. un albero sai, il suo albero e la sua casetta, molto bella. Prima di terminare si mette a piangere.. ne accende uno, lo poggia e in breve si accendono tutti spontaneamente trasformando in carbone il disegno sulla linda tavola di legno.
    Quindi dice : Kaput! Si alza, saluta e va via.-”

    Scendo di corsa a controllare e vedo sulla tavola ancora le confezioni vuote di fiammiferi marca SAFFA , mentre entra uno gridando:- i tedeschi sono andati viaaaaa! Finito, via per sempre! –
    Mio nonno ha fatto venire il falegname suo amico il quale con la pialla livella e liscia eliminando dalla tavola l’opera d’arte, quei segni della seconda Guerra Mondiale.
    Tutti sono allegri respirando liberamente la fresca aria mattinale di quel nuovo giorno, dimentichi di armi, aerei, ebrei, partigiani, carneficine, diplomazie…tranne la zia con il fidanzato ancora prigioniero… lontano
    E’ abbastanza la certezza che son finite finalmente le sparatorie, i bombardamenti, le trincee…
    E i viaggi in bicicletta del vecchio postino per recare alle famiglie i telegrammi dei loro figli caduti.

    Mia nonna prende i fucili abbandonati e con il loro calcio di legno pregiato accende il fuoco per riscaldare l’acqua del bucato settimanale.

    Pgm (su richiesta della UTL)

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